In senso etimologico "delirare" (dal latino DE "allontanamento" e LIRA "solco della terra) significa "uscire dal solco", uscire dallo spazio seminato della cultura e del linguaggio vivente, colloquiale, dialogante. Significa dunque uscire dalle vie della ragione, cioè dal logos istituzionale dell'uomo-cultura.
Salomon Resnik, L'esperienza psicotica, 1986 Bollati Boringhieri, pag.96.
Se la depressione è una caduta verso il basso, la mania potrebbe considerarsi come un tentativo di risolvere la caduta, in termini di verticalità ascendente, facendo pressione verso l'alto.
Salomon Resnik, L'esperienza psicotica, 1986 Bollati Boringhieri, pag.34.
"Per poter pensare si richiedono uno spazio mentale e dell'aria, al fine di lasciar respirare le idee."
Salomon Resnik (a cura di), Dialoghi sulla psicosi, 1989 Bollati Boringhieri, Introduzione, pag.16.
"Accettare la presenza dell'altro significa accettare l'assenza della globalità madre-bambino, il crollo della relazione sincretica. Il neonato rifiuta per lungo tempo di accettare la madre o una parte di essa come esterna a lui."
Salomon Resnik, Persona e psicosi, 1972 Francia, ed.it. 1976 Einaudi, pag. 9.
Un giorno il neonato s'arrabbierà e vi dirà che le cose sono andate esattamente come dovevano andare e che lui non ce l'ha con sua madre, che non era vero che era in simbiosi con lei e che è stato doloroso staccarsene, anzi, è stato un atto liberatorio.Chi potrà smentirlo?
di Resnik amo soprattutto il concetto di spazio mentale, ho letto diversi suoi libri e l'ho ascoltato molto volentieri in qualche convegno, mi ricordo a Lucca anni fa a uno dei convegni annuali di Psicoanalisi e metodo organizzati da Giuseppe Maffei. Mi piace la sua apertura al mondo dell'arte, l'interesse per i gruppi, insomma allo spazio mentale ci crede davvero. E poi odia il fumo, l'ha scritto non ricordo in quale suo saggio, e per questo mi piace anche di più. [...]
ho amato Resnik da sempre (per il calore, l'umiltà, la passione, la belllezza della sua anima che lo rende capace di stare a contatto..) anche riflettendo sull'esperienza in Ospedale psichiatrico, da giovane psi alle prime armi (la mia preistoria...); lui interpreta, nel mondo della psicosi, "certe guarigioni spontanee come conseguenza di un'apertura inattesa alla parte sana (vergine da ogni contatto) che in quel momento si risveglia" ("Glaciazioni. Viaggio nel mondo della follia". Bollati Boringhieri, 2001, p 65). Parlando di Egon Schiele ne scrive: " il suo dramma, il suo sentimento di disintegrazione e di 'smembramento' sono nutriti dalla parti sane, creative della sua personalità (p. 258) (Tali citazioni sono inserite in un mio lavoro del 2002: "Creatività e libertà postanalitiche: un confronto con la realtà", Atti del convegno "Arte e follia" (2010, in"Creatività e clinica", a cura di Luigi Baldari, Alpes, 2013, pp. 85-87).
La vita non è una "supervisione", né una "super-visione" di oggetti. Purtuttavia, la comprensione di un linguaggio sconosciuto, il linguaggio dell'inconscio, può farci sentire potenti e questo è un pericolo.
Il narcisismo eccessivo è opposto al socialismo, disse Bion, ma come è possibile mettere insieme modestia, narcisismo e la gratificazione derivante dal capire e ricevere allo stesso tempo?
Salomon Resnik, Lo spazio della follia, in: Bion e la psicoterapia di gruppo, a cura di Malcom Pines, 1985, ed. it. 1988 Borla, a cura di Antonello Correale, pag.290.
è possibile perchè la coerenza è solo una classificazione imposta..secondo me.
Ogni analisi è fino a un certo punto una "ferita narcisistica" per il paziente, in quanto implica che egli ha bisogno di aiuto, che non può essere la bocca e il seno nello stesso tempo.
Salomon Resnik, Persona e psicosi, 1972 Francia, ed.it. 1976 Einaudi, pag.235.
Nel discorso delle neuroscienze non c'è traccia di una riflessione e, tanto meno, di una spiegazione del miracolo attraverso cui l'"oggettivo" diventa "soggettivo", attraverso cui l'insieme dei "fatti", accertabili neuroscientificamente, si "trasformi" nei "significati" che esse dovrebbero spiegare, chiarire, indicare nel loro fondamento.
Salomon Resnik, L'esperienza psicotica, 1986 Bollati Boringhieri, pag.96.
Se la depressione è una caduta verso il basso, la mania potrebbe considerarsi come un tentativo di risolvere la caduta, in termini di verticalità ascendente, facendo pressione verso l'alto.
Salomon Resnik, L'esperienza psicotica, 1986 Bollati Boringhieri, pag.34.
"Per poter pensare si richiedono uno spazio mentale e dell'aria, al fine di lasciar respirare le idee."
Salomon Resnik (a cura di), Dialoghi sulla psicosi, 1989 Bollati Boringhieri, Introduzione, pag.16.
"Accettare la presenza dell'altro significa accettare l'assenza della globalità madre-bambino, il crollo della relazione sincretica. Il neonato rifiuta per lungo tempo di accettare la madre o una parte di essa come esterna a lui."
Salomon Resnik, Persona e psicosi, 1972 Francia, ed.it. 1976 Einaudi, pag. 9.
Un giorno il neonato s'arrabbierà e vi dirà che le cose sono andate esattamente come dovevano andare e che lui non ce l'ha con sua madre, che non era vero che era in simbiosi con lei e che è stato doloroso staccarsene, anzi, è stato un atto liberatorio.Chi potrà smentirlo?
di Resnik amo soprattutto il concetto di spazio mentale, ho letto diversi suoi libri e l'ho ascoltato molto volentieri in qualche convegno, mi ricordo a Lucca anni fa a uno dei convegni annuali di Psicoanalisi e metodo organizzati da Giuseppe Maffei. Mi piace la sua apertura al mondo dell'arte, l'interesse per i gruppi, insomma allo spazio mentale ci crede davvero. E poi odia il fumo, l'ha scritto non ricordo in quale suo saggio, e per questo mi piace anche di più. [...]
ho amato Resnik da sempre (per il calore, l'umiltà, la passione, la belllezza della sua anima che lo rende capace di stare a contatto..) anche riflettendo sull'esperienza in Ospedale psichiatrico, da giovane psi alle prime armi (la mia preistoria...); lui interpreta, nel mondo della psicosi, "certe guarigioni spontanee come conseguenza di un'apertura inattesa alla parte sana (vergine da ogni contatto) che in quel momento si risveglia" ("Glaciazioni. Viaggio nel mondo della follia". Bollati Boringhieri, 2001, p 65). Parlando di Egon Schiele ne scrive: " il suo dramma, il suo sentimento di disintegrazione e di 'smembramento' sono nutriti dalla parti sane, creative della sua personalità (p. 258) (Tali citazioni sono inserite in un mio lavoro del 2002: "Creatività e libertà postanalitiche: un confronto con la realtà", Atti del convegno "Arte e follia" (2010, in"Creatività e clinica", a cura di Luigi Baldari, Alpes, 2013, pp. 85-87).
La vita non è una "supervisione", né una "super-visione" di oggetti. Purtuttavia, la comprensione di un linguaggio sconosciuto, il linguaggio dell'inconscio, può farci sentire potenti e questo è un pericolo.
Il narcisismo eccessivo è opposto al socialismo, disse Bion, ma come è possibile mettere insieme modestia, narcisismo e la gratificazione derivante dal capire e ricevere allo stesso tempo?
Salomon Resnik, Lo spazio della follia, in: Bion e la psicoterapia di gruppo, a cura di Malcom Pines, 1985, ed. it. 1988 Borla, a cura di Antonello Correale, pag.290.
è possibile perchè la coerenza è solo una classificazione imposta..secondo me.
Ogni analisi è fino a un certo punto una "ferita narcisistica" per il paziente, in quanto implica che egli ha bisogno di aiuto, che non può essere la bocca e il seno nello stesso tempo.
Salomon Resnik, Persona e psicosi, 1972 Francia, ed.it. 1976 Einaudi, pag.235.
Nel discorso delle neuroscienze non c'è traccia di una riflessione e, tanto meno, di una spiegazione del miracolo attraverso cui l'"oggettivo" diventa "soggettivo", attraverso cui l'insieme dei "fatti", accertabili neuroscientificamente, si "trasformi" nei "significati" che esse dovrebbero spiegare, chiarire, indicare nel loro fondamento.
Eugenio Borgna, Le intermittenze del cuore, 2003 Feltrinelli, pag.22.
Salomon Resnik, L'esperienza psicotica, 1986 Bollati Boringhieri, pag.81.
Nell'allucinazione vi è infatti la proiezione all'esterno di un'esperienza sensopercettiva interiore, di un oggetto interno o di una relazione oggettuale, attraverso l'apparato sensoriale (lo sguardo, l'apparato uditivo, il naso ecc.).
Salomon Resnik, Spazio mentale - sette lezioni alla Sorbona (1987/88), 1990 Bollati Boringhieri, Lezione quarta, pag.57.
Per oggetto interno si intende l'interiorizzazione di una figura in genere significativa esistente o esistita nella realtà esterna, per esempio una madre amorevole oppure ostile o tutt'e due, che può interiormente parlarmi o tacere, calmarmi o disturbarmi e così via. Per relazione oggettuale s'intende la relazione interiorizzata di relazioni effettivamente esistenti o esistite nel mondo esterno o (non so se sia proprio la stessa cosa) la relazione tra due o più oggetti interni. Più o meno così. [...] Gli oggetti interni non sono pari pari la copia degli oggetti esterni. Una persona sconosciuta può anche stare al posto per esempio di mia madre, è tutto più complicato, e una figura può essere composta da diversi pezzi combinati insieme, penso anche inanimati o figure di animali. L'essenziale dell'allucinazione secondo me è questo: gli organi di senso funzionano al contrario, cioè dall'interno verso l'esterno.[...] Comunque che sia necessario non negare l'esistenza del delirio non mi pare consegua dal discorso sui neuroni specchio, e non c'era bisogno delle neuroscienze per saperlo, la psicoanalisi l'ha sempre saputo.
[...] che ci fosse uno stretto legame tra gruppi e psicosi l'avevo intuito da me, grazie alla mia esperienza psicomotoria, voglio dire che stati psicotici li avevo vissuti anche proprio io [...] .
Recentemente ho letto intorno ad alcuni studi eseguiti da neuroscienziati, in merito ai neuroni specchio. In pratica: il delirio, le allucinazioni, non lo sono. sono <<percezioni reali>>. se ho un delirio sensoriale... le voci, le immagini, o sensazioni olfattive, ad esempio, con le risonanze a un positrone si è dimostrato che le aree del cervello normalmente deputate - che quindi si accenderebbero - durante una specifica reale percezione, si comportano esattamente allo stesso modo di quando la percezione è per così dire immaginata. Quindi salta un pò tutto il discorso dei sensi che funzionano al contrario. si potrebbe dire piuttosto che la persona sente-vede-etc <<realmente>> ciò che non c'è. Questo impone a mio avviso almeno una importante riflessione: che sia assolutamente necessario non negare a chi <<sente>> il suo delirio che esso esista. non è la cantilena dell'<<asseconda il matto>>, assolutamente no... quanto piuttosto la conclusione di un altro studio a questi correlati: all'inizio dei fenomeni di distacco della realtà... pare che la maggior parte delle persone che delirano, sentendosi negare le loro percezioni, iniziano un circuito vizioso in cui non si fidano più delle proprie percezioni e si creerebbe una nebbia d'ansia generalizzata ancor più grave. perchè per loro è impossibile distinguere tra ciò che realmente toccano e la loro sensazione, ad esempio, di stare toccando ciò che in realtà, noi ancorati al principio di realtà, sappiamo non esistere. e cominciano a non fidarsi più di sè stessi e di ciò che percepiscono. da qui possono scegliere una paranoia, a questo punto secondaria: tutti ce l'hanno con loro o hanno un piano per fargli tanto male. o altre forme secondarie che fin troppo spesso si accompagnano a episodi psicotici. [...] Rimane certamente costante l'elemento fonte del delirio: la propria esperienza. ciò che si è esperito, per processi complessi, [...] è come se <<sentisse il bisogno, l'urgenza>> di esprimersi alla persona (quasi fosse uno spettacolo solo per sè), in manifestazioni concrete di percezioni che però non sono <<officinate>> dalla realtà, quanto dal bisogno estremo di esperire della persona che allucina. è tutto incredibilmente affascinante.
Secondo Resnik, che da oltre cinquant’anni lavora quotidianamente a contatto con pazienti psichiatrici gravi, lo psicotico vive un’esistenza sospesa, paragonabile a uno stato di ibernazione. È particolarmente sensibile e fragile, e non riesce a tollerare né il piacere né il dolore psichico. Si sente ferito da ogni tentativo di avvicinarsi affettivamente a lui; di qui il suo bisogno di proteggersi, spesso rinchiudendosi nell’autismo come in una corazza. A partire dall’impressione di persone «bloccate», «ibernate», che questi pazienti suscitano in coloro che se ne prendono cura, Resnik parla qui di glaciazioni, utilizzando la metafora delle ere geologiche con riferimento alla regressione dello psicotico alla propria preistoria affettiva, quella dei primi rapporti con la madre. Il disgelo, allora, fa parte del processo di guarigione, che dev’essere accompagnato da una presa in carico istituzionale ma soprattutto umana. In questo libro, che si ricollega alle lezioni di "Spazio mentale", Resnik è più che mai maestr onel trasmettere l’arte di comunicare con il paziente grave, e sono particolarmente efficaci le pagine dedicate alla formazione di quanti si accostano al mondo della sofferenza psichica.
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