È sorprendente quanto grande, totale, possa essere l’ILLUSIONE CHE NELLA BELLEZZA C'E' IL BENE.
Lev Tolstoj
La semplicità è la principale condizione della bellezza morale.
Lev Tolstoj
Tutta la varietà, tutta la delizia, tutta la bellezza della vita è composta d'ombra e di luce
Lev Tolstoj
La semplicità è la principale condizione della bellezza morale.
Lev Tolstoj
Tutta la varietà, tutta la delizia, tutta la bellezza della vita è composta d'ombra e di luce
Lev Tolstoj
Per vivere con onore bisogna struggersi, turbarsi, battersi, sbagliare, ricominciare da capo e buttare via tutto, e di nuovo ricominciare e lottare e perdere eternamente. La calma è una vigliaccheria dell'anima.
Lev Tolstoj
Lev Tolstoj
Mangiare carne è semplicemente immorale, poiché comporta un'azione che è contraria al sentimento morale, quella di uccidere. Uccidendo l'uomo sopprime anche in sé stesso le più alte capacità spirituali, l'amore e la compassione per altre creature viventi e, sopprimendo questi sentimenti, diventa crudele.
Lev Tolstoj
L'accresciuta importanza del concetto di patria ha condotto il popolo del cosiddetto mondo cristiano a un grado tale di abbrutimento, che non solo coloro che vengono obbligati a sparare e a morire si rallegrano di ciò ed osannano la guerra, ma persino chi viene lasciato a casa alle sue occupazioni, in Europa e in America, viene coinvolto attraverso la stampa e la moderna facilità delle comunicazioni, e viene a trovarsi nella situazione dello spettatore romano che gioisce della morte dei gladiatori e avido di sangue grida pollice verso! Persino i bambini osannano ciascuno alla propria nazionalità ... e i genitori - ne conosco molti di simili - li incoraggiano in questa crudeltà ... Cosa son poi questi governi, dei quali gli esseri umani sembrano non poter fare a meno? Oggi essi sono un male inutile e peggiore di tutti gli spauracchi con cui argomentano la propria indispensabilità.
Lev Tolstoj, maggio 1900
Lo scopo dell'arte non è quello di risolvere i problemi, ma di costringere la gente ad amare la vita. Se mi dicessero che posso scrivere un libro in cui mi sarà dato dimostrare per vero il mio punto di vista su tutti i problemi sociali, non perderei un'ora per un'opera del genere. Ma se mi dicessero che quello che scrivo sarà letto tra vent'anni da quelli che ora sono bambini, e che essi rideranno, piangeranno e s'innamoreranno della vita sulle mie pagine, allora dedicherei a quest'opera tutte le mie forze.
Lev Tolstoj, lettera a P.D. Boboryk, in Lettere
« […] io lo definisco un litigio, ma in realtá fu semplicemente la scoperta del profondissimo abisso che ci divideva. L'innamoramento si era esaurito in seguito alla soddisfazione dei sensi, e noi ora eravamo rimasti l'uno di fronte all'altra nel nostro reale reciproco rapporto, e cioè nel rapporto di due egoisti completamente estranei l'uno all'altro e bramosi soltanto di procurarsi quanto più piacere possibile.»
Lev Tolstoj, Sonata a Kreutzer
Dicono che la musica agisca in modo da elevare l’anima: sono sciocchezze, non è vero. Agisce, agisce terribilmente, parlo di me stesso, ma niente affatto in modo da elevare l’anima; non agisce in modo né da elevare, né da abbassare l’anima, ma in modo da eccitare l’anima. Come dirvi? La musica mi costringe a dimenticarmi di me, della mia vera situazione, mi trasporta in una situazione nuova, e che non è la mia; sotto l’influsso della musica mi pare di sentire quello che in realtà non provo, di capire quello che non capisco, di potere quello che non posso. Io lo spiego dicendo che la musica ha la stessa azione dello sbadiglio, del riso: non ho sonno, ma sbadiglio, guardando della gente che sbadiglia; non c’è ragione di ridere, ma rido, sentendo della gente che ride. Essa, la musica, mi trasporta d’un colpo, immediatamente, nello stato d’animo in cui si trovava colui che ha scritto la musica. Mi fondo spiritualmente con lui e insieme a lui passo da uno stato d’animo all’altro. Ma perché lo faccio, non so.
Lev Tolstoj, Sonata a Kreutzer
"erba, il cespuglio di assenzio, quel filo di fumo che si levava in piccole volute dalla piccola palla nera che girava su se stessa. ‘Io non posso, non voglio morire, io amo la vita, amo quest'erba, la terra, l'aria…"
Lev Tolstoj, Guerra e pace
"Sebbene i dottori lo curassero, gli estrassero sangue e gli dessero da inghiottire delle medicine, ciò nonostante guarì lo stesso".
Lev Tolstoj, "Guerra e pace"
Come tutto è quieto, calmo e solenne, affatto diverso da quando correvo […] da quando correvamo gridando e ci battevamo! […] in modo diverso strisciano le nuvole su questo cielo alto, infinito. Come mai prima questo cielo alto non lo vedevo? E come sono felice di averlo finalmente conosciuto! Sì! Tutto è vuoto, tutto è inganno tranne questo cielo infinito. Nulla, nulla esiste, tranne questo. Ma anche questo non esiste, non c'è più nulla, fuorché il silenzio e la quiete.
Lev Tolstoj, Guerra e pace
«(…) I migliori generali che ho conosciuto sono uomini sciocchi o distratti.
Il migliore di tutti è Bagratiòn, come lo stesso Napoleone ha riconosciuto.
Ma anche Bonaparte! Ricordo la sua faccia soddisfatta, espressione d'una mente limitata, sul campo di Austerlitz. Non solo un buon condottiero non ha bisogno di genio o di qualità particolari, qualunque siano, ma al contrario deve mancare delle più alte e migliori qualità umane: amore, poesia, tenerezza, dubbio filosofico e indagatore. Deve essere limitato, fermamente convinto che ciò che egli compie è molto importante (altrimenti non avrebbe sufficiente pazienza), e soltanto allora sarà un valoroso condottiero. Dio lo scampi dell'essere un uomo: se sarà un uomo, amerà qualcuno, avrà pietà di qualcuno, penserà a ciò che è giusto e ingiusto. Si comprende che fin dall'antichità abbiano inventato apposta per loro la teoria del genio, perché essi sono il potere».
Lev Tolstoj, Guerra e pace, vol. III, parte prima, cap. ll.
IL GUERRIERO DELLA PACE.
Il conte Tolstoj, se non fosse Lev Tolstoj, uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi, oggi sarebbe ricordato per essere stato un povero illuso. Uno che voleva portare la pace nel mondo senza avere un’organizzazione politica o religiosa alle spalle. Senza essere papa o re e neppure una grande anima.
Lev l’anima ce l’aveva, e probabilmente pure grande, ma era tormentata assai.
Nacque da una principessa e da un conte nella tenuta di Jasnaja Poljana il 9 settembre 1828.
Rimasto orfano ancora bambino, non terminò gli studi perché preferì dedicarsi alla vita dissoluta e al gioco fino a che, per seguire il fratello, partì per la guerra del Caucaso. Tornato, decise di raccontarla e di non farla mai più. Si sposò con Sofja Andreevna, la quale partorì i suoi tredici figli (ma soltanto otto gli sopravvissero) che, nell’ultimo periodo della sua vita, lui si era convinto volessero ucciderlo, perché la sua esasperata filantropia, aveva ridotto notevolmente le risorse familiari.
L’istituzione delle scuole per i contadini, l’impegno contro la proprietà fondiaria, erano cause di grande tensione con la moglie che non ne poteva più di questo genio così ingombrante. Il 28 ottobre 1910, Tolstoj se la svignò (bisogna svignarsela furono le sue ultime parole) fuggì da Jasnaja Poljana. La radura serena era divenuta un prigione della sua anima. Voleva abbandonare tutto per vivere in Cristo. Ma il suo progetto si fermò qualche giorno dopo, il 20 novembre, nella piccola stazione ferroviaria di Astapovo a causa di una polmonite. O forse ha avuto ragione lui e il progetto di vivere in Cristo l’ha effettivamente realizzato.
Il corpo del vecchio padre del popolo russo sta nascosto a Jasnaja Poljana, in un dirupo, dentro una tomba coperta dalle piante. Nessuna iscrizione, nessuna citazione presa dalle centinaia di migliaia di pagine da lui scritte.
Ognuno dei suoi lettori potrà ricordarlo con una delle frasi che più ha amato. La mia è questa: “Non esiste un uomo migliore di un altro, come non esiste un posto di un fiume più profondo e più pulito di un altro posto in un altro fiume. L’uomo scorre come un fiume”.
E Tolstoj scorre ancora nelle nostre menti, dettando le nostre parole, suggerendo i nostri gesti, disegnando perfino la trama dei nostri sentimenti, proprio come in un suo romanzo, sempre attuale, sempre così terribilmente reale, in cui il lettore è l’unico protagonista che i racconti di Tolstoj lasciano nudo dinanzi alla verità della sua anima.
(9 settembre 1828 - 20 novembre 1910)
di Andrea Lupi
da I GOVERNI SONO INGANNATORI di Lev Tolstoj
''In epoca più recente è sorto ancora un altro inganno che ha riconfermato i popoli cristiani nella loro condizione servile. Ed esso si manifesta mediante un complesso sistema d’elezione, dove degli uomini eletti da un dato popolo, divengono delegati entro le varie istituzioni rappresentative, entro le quali eleggeranno a loro volta o senza alcun criterio dei candidati sconosciuti, o i propri rappresentanti secondo personali interessi; il popolo stesso sarà allora una delle cause del potere del governo, e pertanto, obbedendo ad esso, crederà in effetti di obbedire a sé medesimo, supponendo di vivere quindi in un regime di libertà.
Chiunque avrebbe potuto accorgersi che tutto ciò non era altro che un imbroglio [...]. Questo inganno, – anche a tacere del fatto che gli uomini eletti in tal modo, partecipando al governo del loro Paese, approvano leggi e governano il popolo non in vista di ciò che è bene per esso, ma lasciandosi guidare per lo più, unicamente, dall’intento di mantenere salda la propria posizione di privilegio e il proprio potere frammezzo alle lotte dei vari partiti, e per tacere altresì della depravazione che questo inganno diffonde tra il popolo mediante le menzogne, lo stordimento e le corruzioni che son caratteristica costante dei periodi elettorali – è particolarmente dannoso a cagione di quella schiavitù autocompiacentesi in cui esso riduce gli uomini che vi incorrono.
Gli uomini che s’imbattono in questa trappola si immaginano davvero d’obbedire a se stessi ogni volta che ascoltano il governo, e perciò non osano più disobbedire ai provvedimenti del potere degli uomini, anche quando tali provvedimenti sono contrari non soltanto ai loro gusti personali, al loro vantaggio, o ai loro desideri, ma altresì alla legge suprema e alla loro stessa coscienza.
E invece gli atti e i provvedimenti del governo di quei popoli che presumono di autogovernarsi non sono che il risultato delle complesse lotte tra i partiti, degli intrighi, della sete di potere e dell’interesse personale di questi e quegli individui, e dipendono tanto poco dalla volontà e dai desideri del popolo tutto, quanto gli stessi atti e i provvedimenti dei governi più dispotici. Quei popoli sono come uomini rinchiusi in carcere che s’immaginano di essere liberi perché viene concesso loro il diritto di votare per l’elezione dei carcerieri delegati all’amministrazione interna dello stesso carcere.
Cosicché gli uomini degli stati costituzionali, immaginandosi di essere liberi, proprio in seguito a tale loro sforzo di immaginazione, finiscono per non saper nemmeno più in cosa consista l’autentica libertà. Questi individui, mentre credono di liberare se stessi, si condannano in realtà a divenire sempre più profondamente schiavi dei loro governi.
[…]''
Lev Tolstoj, I governi sono ingannatori
LA CAMICIA DELLA FELICITA'
C’era una volta un re malato di malinconia: diceva d’avere già i piedi nella fossa, chiedeva aiuto, e prometteva metà del suo regno a chi gli avesse portato la felicità. Tutti i cortigiani erano in riunione notte e giorno, ma il rimedio non riuscivano a trovarlo. Fu chiamato anche il Vecchio della Montagna, il quale dichiarò: «Trovate un uomo felice. Toglietegli la camicia, infilatela al re, e il re troverà subito la felicità». Immediatamente partirono cercatori per ogni parte del regno. Fu suonata la tromba nelle città, nei paesi e nei villaggi, ma gli esseri felici non si fecero innanzi. Chi era povero in canna e soffriva d’astinenza, chi era ricco e sospirava per mal di denti o mal di ventre, chi aveva la moglie bisbetica e la suocera in convulsione, chi la stalla appestata, chi il pollaio in rovina... I cercatori tornarono tutti alla Corte, avviliti e delusi. Una sera il figlio del re uscì a passeggio e, davanti ad una capanna, che aveva il tetto di foglie e di fango, udì una voce sommessa: «Ti ringrazio, buon Dio! Ho lavorato, ho sudato, ho mangiato di buon appetito, ed ora mi riposerò tranquillo su questo letto di foglie. Grazie. Sono proprio felice!». Felice? Dunque c’era un uomo felice! Il giovane principe volò a palazzo. Chiamò le guardie e ordinò di andare a prendere immediatamente la camicia di quell’uomo felice. «Dategli quanto denaro vuole... Fatelo barone, conte, duca... principe, ma ceda la sua camicia». Corsero le guardie alla povera capanna. Offrirono al boscaiolo una fortuna. Macché! L’uomo felice era così povero che… non aveva neanche la camicia.
Da una novella di Lev Tolstoj
Lev Tolstoy.
La sua opera rappresenta una delle più significative manifestazioni della cultura artistica russa della seconda metà del XIX secolo. Per l'ampiezza della comprensione degli aspetti della vita e del loro riflesso sull'arte, per la varietà di interessi, non ha eguali nella pittura russa precedente e contemporanea. Figlio di un modesto soldato, terminò l'Accademia con la medaglia d'oro per La resurrezione della figlia di Giairo. Tra il 1873 e il 1876 in Francia, visitando Italia, Inghilterra e Germania. Prese parte a numerose mostre internazionali: Vienna (1873), Parigi (1878 e 1900), Berlino (1896), Venezia (1897) e Roma (1911). Insegnò all'Accademia di San Pietroburgo.
È stato intitolato in suo onore l'asteroide 2468 Repin.
(*Stella)
CHI E’ FELICE HA RAGIONE”. LEV TOLSTOJ
Tolstoj intende dire che coloro che sono capaci di riconoscersi felici hanno un animo aperto, sincero e quindi stanno dalla parte della ragione, perché male non ne possono fare. Essere felici nel senso tolstojano ha indubbiamente a che fare con lo spirito e la serenità di una coscienza libera e non con il potersi permettere un pediluvio da una palafitta in un resort polinesiano.
Insomma, è complicato definire e misurare la felicità. Quante dimensioni della felicità conosciamo?? Quante ne riconosciamo? Durante le stagioni della nostra vita cambiamo metro di misura più volte: dall’infinitamente grande alla svolta atomistica (quella minimal). «Ogni società, infatti, elabora una lista e una gerarchia di piaceri, tale che la piacevolezza della vita dei singoli è definita dal grado maggiore o minore di accesso che essi hanno a quel menu. Per la medesima ragione risulta irrilevante al proprio godimento quanto da quel menu non è previsto», scrive Salvatore Natoli (nel suo saggio "La felicità" - Feltrinelli).
Arrostire vermi sul barbecue non mi rende felice da europeo, ma sarebbe una goduria infinita se io fossi indocinese.
Gli antichi Egizi, molto intelligentemente, avevano capovolto la ratio: Osiride chiedeva alle anime, traghettate alle porte dell’al di là da Anubii, se in vita avessero portato felicità ad alcuno. Da cacciatori di felicità a destinatari di gioia per precetto divino. Trovo fantastica questa prospettiva egizia. Una vera rivoluzione copernicana della felicità. Non chiedetevi, quindi, la sera prima di addormentarvi se siete stati felici, bensì se qualcuno è stato felice per causa vostra.
Torniamo a Tolstoj. All’epoca del suo più profondo impegno sociale, iniziava la giornata spazzando con grande cura il pavimento della sua camera. Gli dava felicità, di quella felicità che si prova nel fare una cosa utile e farla per bene. La felicità si conferma una questione morale: fare del bene.
Sof’ja Andreevna, donna intelligente, colta e amante della scrittura, sposò Lev Tolstoj a soli 18 anni e fin dai primi giorni della loro vita coniugale iniziò a tenere un diario in cui si leggono pagine felici, illuminate dalla poesia dell’amore coniugale e materno. Non un pretesto per scrivere l’ennesima biografia dello scrittore ma il racconto, in prima persona, della donna il cui ruolo è stato fondamentale nella vita di Tolstoj: la donna che diede 13 figli allo scrittore e che trascrisse numerose volte la sterminata mole di pagine dei grandi romanzi del marito.
Le discussioni sui coniugi Tolstoj sono state sempre molto accese e ancora oggi il dibattito continua. “Da un lato stanno coloro che prendono le parti di Sof'ja convinti che vivere accanto a Tolstoj fosse difficile, a tratti insopportabile”.
Nell’altro schieramento vi sono coloro che, senza alcuno scrupolo o tenerezza, accusano Sof’ja di vanità o insoddisfazione per le decisioni prese da lui.
Il loro matrimonio, tra momenti di felicità e crisi coniugali, durò 48 anni e Tolstoj non tradì mai la moglie. “Le quasi 900 lettere alla moglie dimostrano il suo amore per lei. Appena si trovava separato dalla sua Sof’ja, ecco che veniva preso da un senso di nostalgia e iniziava ad attendere tormentosamente le sue lettere. Le lettere di Tolstoj sono commoventi, tenere, colpiscono per la loro sincerità.” Ma anch’ella lo amava. “Per il genio bisogna creare un ambiente tranquillo, allegro, comodo; al genio bisogna dare da mangiare, bisogna lavarlo, vestirlo, bisogna trascrivere le sue opere un numero infinito di volte, bisogna amarlo, non fornire pretesti alla sua gelosia, perché sia tranquillo; bisogna nutrire ed educare gli innumerevoli figli che il genio procrea, con cui però si annoia e non trova il tempo di stare, perché deve comunicare con i vari Epitteti, Socrati e Budda e deve lui stesso tentar di diventare uno di loro”.
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«12 settembre 1862. Sono innamorato, come non credevo si potesse esserlo. Sono pazzo, se vado avanti così, sarò costretto a spararmi. Sono stato da loro questa sera: lei è incantevole sotto tutti gli aspetti...
13 settembre 1862. Domani vado appena alzato e le dico tutto, se no mi sparo... Sono le quattro di notte... le ho scritto una lettera e gliela darò domani, cioè oggi 14. Dio mio, come ho paura di morire! La felicità e una felicità così mi sembra impossibile. Dio mio, aiutami!... »
Il 9 Settembre 1828 nasceva Lev Nikolàevič Tolstòj, scrittore, filosofo, educatore ed attivista sociale russo, autore di capolavori quali “Guerra e pace” ed “Anna Karenina”.
Di nobili origini, ebbe una formazione irregolare, inizialmente molto lacunosa, che tentò di colmare da autodidatta. Tenterà la facoltà di filosofia per passare poi a giurisprudenza, abbandonando anche quest’ultima in favore di una vita dedita all’eccesso ed al gioco d’azzardo.
Raccontando della sua vita, in età matura, si espresse così:
«… quel primo tempo poetico, meraviglioso, innocente, radioso dell'infanzia fino ai quattordici anni. Poi quei venti anni orribili di grossolana depravazione al servizio dell'orgoglio, della vanità e soprattutto del vizio. Il terzo periodo, di diciotto anni, va dal matrimonio fino alla mia rinascita spirituale: il mondo potrebbe anche qualificarlo come morale, perché in quei diciotto anni ho condotto una vita familiare onesta e regolata, senza cedere a nessuno dei vizi che l'opinione pubblica condanna. Tutti i miei interessi però erano limitati alle preoccupazioni egoistiche per la mia famiglia, il benessere, il successo letterario e tutte le soddisfazioni personali. Infine il quarto periodo è quello che sto vivendo adesso, dopo la mia rigenerazione morale …»
Dall’esperienza della guerra di Crimea trarrà ispirazione per i “Racconti di Sebastopoli”, che, pur avendo qualche problema con la censura, saranno poi pubblicati.
Con il matrimonio tornerà ad occuparsi dei suoi possedimenti e sarà a contatto con i contadini. Questo quotidiano rapporto e l’attività di giudice di pace lo porteranno a riflettere sulle ingiustizie sociali presenti in Russia. Dopo l’assassinio dello Zar Alessandro II nel 1880, Tolstoj scriverà una lettera al successore, che diverrà Zar con il nome di Alessandro III, perché sia clemente con gli assassini. La preghiera dello scrittore cadrà nel vuoto: i colpevoli saranno condannati a morte ed il nuovo monarca andrà ad instaurare un regime fortemente repressivo. In quegli stessi anni Tolstoj iniziò un cammino spirituale che lo avrebbe portato alla conversione prima in seno alla Chiesa Ortodossa e poi nel contesto di un cattolicesimo anarchico. Armato da propositi umanitari, Tolstoj si fece editore per educare le masse con costi contenuti. Nell'estate del 1891 una grande carestia si abbatté sulle provincie centrali e sud-occidentali della Russia, a causa di una siccità prolungata. In tale circostanza, la moglie Sof'ja lo aiuterà a mobilitare una catena internazionale di soccorsi per i contadini che stavano morendo letteralmente di fame, ma il conflitto fra i coniugi tornò ad inasprirsi poco dopo, quando Tolstoj comunicò ai giornali la decisione di rinunciare ai diritti d'autore per le opere scritte dopo la conversione per devolverli a scopo umanitario. Nello stesso anno, lo scrittore si recò a Firenze per partecipare ad un convegno ecumenico dal titolo “Conferenze sulla fusione di tutte le Chiese cristiane”, dove si dichiarò favorevole alla «proposta di fondere le Chiese cristiane in una sola che abbia per capo il Papa di Roma e per base la sua organizzazione esteriore nella formula cavouriana e per fondamento del suo pensiero le massime di Cristo e dell'Evangelo.»
Iniziò a riceve lettere dai suoi ammiratori, molti dei quali avevano letto i suoi scritti (alcuni proibiti dalla censura) e ne condividevano il pensiero morale. Sulla spinta di Vladimir Čertkòv (e non per iniziativa dello stesso Tolstoj, che era scettico verso tutto ciò che assomigliasse ad una setta) nacque la corrente del tolstoismo, ispirata all'etica filosofico-religiosa di Tolstoj, e i cui seguaci saranno poi violentemente perseguitati sotto il regime comunista. Tanta popolarità non fu però scevra da imprevisti: nel Febbraio 1901 il Santo Sinodo scomunicò Tolstoj per le sue idee anarchico-cristiane e anarco-pacifiste. Konstantin Pobedonostsev, procuratore del Sinodo, aveva chiesto anni prima di rinchiudere con la forza Tolstoj in un monastero, ma ormai lo scrittore aveva raggiunto una fama internazionale e le persecuzioni ne avrebbero aumentato la popolarità, tanto che la sua eliminazione fisica era ritenuta imprudente dagli stessi vertici politici, i quali si rendevano conto che in tal modo ne avrebbero fatto un martire scatenando grandi rivolgimenti sociali. Ricevette attestati di solidarietà da tutto il mondo. Lo scrittore ribatté punto per punto alle accuse rivoltegli nel testo della scomunica scrivendo una “Risposta alla deliberazione del sinodo” (1901), in cui rivendicava il suo essere un onesto seguace di Cristo e della verità.
Nel 1909 lo scrittore tentò – con appelli alla Duma di Stato – di convincere il governo ad abolire la proprietà privata della terra, onde scongiurare una grande rivoluzione, che reputava imminente. Già nel precedente articolo “Al popolo lavoratore” , del 1902, Tolstoj aveva affrontato l'argomento, individuando nella proprietà fondiaria la maggiore ingiustizia sociale presente in Russia. La liberazione della terra tuttavia non doveva avvenire con la violenza, ma tramite il boicottaggio (dei contadini a lavorare la terra altrui) e la disobbedienza (dei soldati nel reprimere le occupazioni). Per quanto riguarda la ridistribuzione della terra, una volta liberata, egli appoggiava il progetto di Henry George, ossia l'imposta unica sulla terra.
Questi i sogni di Lev Nikolàevič Tolstòj, scrittore, filosofo, educatore e mistico, che aveva saputo guardare più lontano degli Zar.
Lev Tolstòj nasceva il 9 settembre 1828.
La sua vita fu lunga e tragica, nell'accezione più vera del termine, ossia nel senso che essa fu dominata da una profonda, segreta tensione: una vera tragedia dell'anima. Tolstòj stesso riteneva che il 1878 fosse lo spartiacque tra due fasi della sua esistenza, nella prima il grande scrittore, famosissimo e tronfio della fama letteraria, nella seconda la rinascita spirituale.
Questa grande frattura sarà fonte di difficoltà, contraddizioni e spesso incomprensioni nella interpretazione da parte dei contemporanei, problemi che ancor oggi sono presenti.
Le tracce per potersi avvicinare all'animo di Tolstoj sono dunque svariate:
La incessante ricerca della verità:
« La verità... Io amo tanto... come loro... »,ultime parole pronunciate da Tolstoj prima di morire
La tensione al miglioramento continuo.
« Ci sono in me tutti i vizi... e ad un grado ben più grande che presso la maggior parte degli uomini. La mia salvezza risiede nel fatto che io lo so e lotto, tutta la mia vita ho lottato »
dai Diari, 1905
[...]
Da"Memorie di un cristiano"
So che per questo titolo mi condanneranno. Alcuni – i più – diranno: sarebbe ora che la smettesse con queste sciocchezze. Al giorno d'oggi lo capiscono tutti che la fede cristiana è una delle tante religioni. E tutte le religioni sono superstizioni, sono cioè quel materiale che più di ogni altra cosa intralcia l'evoluzione dell'umanità. Altri diranno: come, di un cristiano? Chi può dire di sé: io sono un cristiano? Il vero cristiano è innanzitutto umile e non osa definir sé stesso cristiano né tantomeno dichiararsi tale sulla carta stampata. Mi condannino pure, ma io metterò questo titolo. Non mi fa paura che mi si accusi di essere retrogrado perché non soltanto non ritengo che la religione sia una superstizione, ma, al contrario, ritengo che la verità religiosa sia l'unica verità accessibile all'uomo, e la dottrina cristiana io la ritengo una verità che – lo vogliano riconoscere gli uomini o no – si trova a fondamento di tutto il sapere umano, e non mi fa paura nemmeno mi si condanni perché ho l'orgoglio di chiamarmi cristiano, dato che le parole: io sono un cristiano, le intendo diversamente da come le si intende di solito.
BACCO, TABACCO E VENERE RIDUCONO TOLSTÒJ IN CENERE?
« Ci sono in me tutti i vizi... e ad un grado ben più grande che presso la maggior parte degli uomini. La mia salvezza risiede nel fatto che io lo so e lotto, tutta la mia vita ho lottato »
( Lev Tolstoj Diari, 21 settembre 1905)
L’immagine che tutti abbiamo del grande Lev Tolstoj è quella di un uomo anziano, un misto tra Gandalf e un Babbo Natale un po’ di cattivo umore.
Ma, come si può vedere dall’immagine, anche il nostro è stato giovane.
Lev Nikolaevič Tolstoj nasce il 9 settembre 1828 a Jasnaja Poljana nella tenuta della sua famiglia, che è di tradizioni aristocratiche, appartenente alla vecchia nobiltà russa.
Problemi economici zero, non sarà mai costretto, come invece molti altri scrittori dell’ottocento, a scrivere romanzi d’appendice per sbarcare il lunario.
Ma in realtà non è poi così fortunato; in effetti sua mamma muore quando ha solo 2 anni e suo padre quando ne ha otto.
Il piccolo Lev viene cresciuto da una zia e istruito da precettori francesi e tedeschi.
Come studente universitario non ottiene grandi risultati, anche perché la sua indole è troppo ribelle e indipendente. Frequenta prima orientalistica, poi cambia corso e si iscrive a giurisprudenza, ma, alla fin fine, non si laurea mai.
È un giovanotto piuttosto scalmanato, e passa da periodi di gozzoviglie, stravizi e gioco d’azzardo, a momenti in cui, in preda ai sensi di colpa, si impone rigidissime regole di vita, che regolarmente non rispetta.
Ecco come descrive la sua giovinezza:
“Non posso ricordarmi di quegli anni senza orrore, disgusto e profondo dolore. Uccisi degli uomini in guerra e altri ne sfidai a duello per ucciderli, giocavo e perdevo al gioco dilapidando il frutto del lavoro dei contadini, fornicavo, ingannavo. Menzogne, furti, adulteri di tutti i generi, ubriachezza, violenze, omicidi... non ci fu delitto che io non commettessi, e per tutto questo venivo lodato e i miei coetanei mi consideravano -e tuttora mi considerano- come un uomo relativamente morale”.
Niente male eh?
Questa fase della sua esistenza si conclude bruscamente quando muore suo fratello.
Lev affronta una profonda crisi e cambia radicalmente vita.
Ma è proprio grazie a queste esperienze che sarà in grado di parlare, da vero esperto, dei vizi umani.
A questo proposito è interessantissimo il suo scritto del 1902 I Piaceri Viziosi, in cui affronta il tema delle dipendenze con la competenza di un operatore del SER.D. (servizio per le dipendenze).
Lo scrittore si chiede quale sia il motivo che spinge gli uomini a cercare di alterare il proprio stato di coscienza:
“Qual è l'origine di questa abitudine presa da quasi tutti gli uomini, e perché mai questa abitudine si è sparsa con tanta rapidità e si mantiene con tanta tenacia fra le persone di tutte le classi e di tutte le posizioni, tanto fra i selvaggi quanto fra i popoli civili? A che dunque attribuire questo fatto indiscutibile che là dove il vino, l'acquavite, la birra sono sconosciuti, si consuma l'oppio, l'Hashish, ecc. mentre poi l'uso di fumare tabacco si può dire universale?”
E la risposta che Tolstoj propone è questa:
“Nel periodo della sua vita cosciente, l'uomo ha spesso l'occasione di distinguere in sé due esseri assolutamente distinti: l'uno, cieco e sensitivo; l'altro, veggente e pensante. Il primo mangia, beve, si riposa, dorme, si riproduce e si muove come una macchina a cui si sia dato corda per un certo tempo. Il secondo, invece, l'essere veggente e pensante, unito all'essere cieco e sensitivo, non agisce da sé: non fa che controllare e giudicare la condotta del compagno, aiutandolo attivamente quando lo approva, rimanendo passivo nel caso contrario”.
In pratica, secondo il nostro Lev, siccome l’uomo si sente molto a disagio quando non ascolta la voce della sua coscienza, cerca di addormentare questa voce utilizzando le sostanze inebrianti o psicotrope. Le persone comuni sentono in misura minore questa necessità, perché vengono facilmente distratte, ma sono proprio gli animi più sensibili ad aver maggior bisogno di intontirsi, perché in loro la voce della coscienza si fa sentire molto chiaramente.
In effetti è vero che letterati e artisti, cioè persone particolarmente sensibili, fanno spesso uso di alcool e di sostanze varie.
Dopo aver parlato del consumo di alcool Tolstoj, da ex fumatore, analizza anche il consumo di tabacco, con una lungimiranza incredibile, nella sua epoca.
“Se fosse vero che il tabacco non fa che procurare un piacere qualunque e schiarire le idee, non se ne proverebbe un bisogno appassionato, in certe date circostanze nettamente definite, e non vedremmo della gente assicurarci che preferirebbe esser priva di cibo anziché di tabacco.
In quanto a me, mi posso ricordare perfettamente – nel tempo in cui fumavo – dei momenti nei quali il bisogno del tabacco si faceva sentire in modo più intenso e tirannico: era sempre allorquando volevo dimenticare certe cose ed addormentare la mia facoltà di pensare. Talvolta, rimasto solo ed ozioso, avevo la coscienza che dovevo mettermi al lavoro, mentre il lavoro mi pareva penoso: allora accendevo una sigaretta e continuavo a rimanere ozioso”.
E sentite come spiega la dipendenza da nicotina paragonandola alle altre, dal punto di vista del giudizio sociale:
“La proprietà caratteristica che distingue il tabacco dagli altri narcotici è la facilità colla quale lo si può trasportare ed usare. L'assorbimento dell'oppio, dell'alcool, dell'hashish è sempre più complicato: non vi si può ricorrere sempre e dovunque, mentre che si possono portare sigari o tabacco colla massima facilità e comodità. Di più, il consumatore d'oppio e l'ubriacone ispirano disgusto ed orrore, mentre il fumatore non presenta nulla di ributtante”.
Naturalmente Leone, che non riesce assolutamente a resistere al fascino delle donne, si esprime molto duramente anche nei confronti di questa sua “debolezza”.
In questo stesso testo Tolstoj affronta un altro dei temi che gli sono cari: l’antimilitarismo, sostenendo che, se non fossero ubriachi, col cavolo che gli uomini potrebbero concepire la guerra:
“Tutti gli Stati dell'Europa si sono occupati e si occupano anche ora attivamente d'inventare e di perfezionare le armi da guerra.
Insegnano con cura la scienza dell'omicidio organizzato a tutti i giovani che hanno raggiunto l'età virile. Tutti sentono che questo è uno stato di cose assurdo, nefasto, rovinoso, immorale, empio, ed intanto si persiste nel continuare i preparativi con lo scopo di uccidersi a vicenda. Uomini che avessero la mente lucida potrebbero mai agire a questo modo? Sembra che, ai giorni nostri, la razza umana sia legata a qualche cosa che la trattiene, che ne impedisce i progressi”.
La fama di Tolstoj in Europa occidentale inizia quando Turgenev parla dei suoi capolavori a Flaubert e a Maupassant, che si occupano subito di farli tradurre.
In realtà lo scrittore è conosciuto fuori dalla Russia prima come “guru” che come autore dei suoi più famosi romanzi, Guerra e pace e Anna Karenina.
Infatti il suo primo testo pubblicato in Francia è il manifesto intitolato In cosa consiste la mia fede, del 1884, mentre Anna Karenina esce nel 1886, e Guerra e pace ancora più tardi.
Tolstoj viene visto come un maestro spirituale, l’ispiratore di una nuova filosofia di vita.
Dal 1890, i giornali tedeschi, ma anche americani, cominciano a definire Tolstoj un "apostolo" e molti giornalisti vanno nella sua tenuta di Jasnaja Poljana per intervistarlo e per raccontare il suo modo di vivere così fuori dagli schemi.
Viene fotografato vestito da contadino mentre svolge lavori manuali.
I lettori delle riviste europee e americane sono affascinati da questo strano personaggio folkloristico che ha rinunciato ai privilegi della classe nobiliare cui appartiene, e persino ai diritti d'autore sulla sua produzione letteraria, e si è fatto scomunicare come eretico, provocando un’ondata di manifestazioni popolari in sua difesa.
Gli attacchi dello scrittore contro Stato e Chiesa diventano intanto sempre più decisi.
Gli viene scatenata contro una campagna di stampa, nel tentativo di diffamarlo e screditarlo agli occhi dell'opinione pubblica. ma la sua fama è oramai incredibile, è una star internazionale.
Ed è per questo che non lo arrestano: per il regime zarista è impossibile imprigionare un uomo così celebre.
Scoppia la rivoluzione del 1905, quella della corazzata Potëmkin (una cagata pazzesca cit.).
Tolstoj si schiera contro lo zar ma disapprova anche la violenza dei rivoltosi. Prende però posizione a favore dell'abolizione della proprietà privata ed invoca una nuova organizzazione sociale della Russia, fondata sul rifiuto della gerarchia e dell'autoritarismo.
Nel 1909 inizia una fitta corrispondenza con Gandhi che si trova in Sud Africa e che ammira la sua teoria della «non resistenza al male».
Ecco cosa scrive in seguito il Mahatma:
«Quarant'anni fa, mentre attraversavo una grave crisi di scetticismo e dubbio, incappai nel libro di Tolstoj Il regno di Dio è dentro di noi, e ne fui profondamente colpito. A quel tempo credevo nella violenza. La lettura del libro mi guarì dallo scetticismo e fece di me un fermo credente nell'ahimsā. Quello che più mi ha attratto nella vita di Tolstoj è il fatto che egli ha praticato quello che predicava e non ha considerato nessun prezzo troppo alto per la ricerca della verità. Fu l'uomo più veritiero della sua epoca. La sua vita fu una lotta costante, una serie ininterrotta di sforzi per cercare la verità e metterla in pratica quando l'aveva trovata. Fu il più grande apostolo della non-violenza che l'epoca attuale abbia dato. Nessuno in Occidente, prima o dopo di lui, ha parlato e scritto della non-violenza così ampiamente e insistentemente, e con tanta penetrazione e intuito”
In Russia nasce in suo nome un vero e proprio movimento di obiettori di coscienza al servizio militare e prendono forma le prime comunità tolstoiane, tutte ispirate agli insegnamenti evangelici di Gesù e in particolare al Discorso della Montagna.
Tolstoj è piuttosto perplesso ed ecco cosa racconta sua figlia in proposito:
“Una volta notai, tra coloro che stavano attorno a mio padre, un giovane sconosciuto con un camiciotto russo, pantaloni a sbuffo e grosse scarpe.
-Chi è?- domandai.
Papà si chinò verso di me e, con la mano davanti alla bocca, mi sussurrò all'orecchio:
-È un giovane membro della setta che mi è più estranea e incomprensibile: quella dei tolstoiani-.»
In effetti lo scrittore tenta di essere coerente e questo gli crea non pochi problemi in famiglia, soprattutto con la moglie Sofja Andreevna Bers che ha sposato nel 1862.
Dal loro matrimonio nascono ben 13 figli, di cui solo 7 sopravvivono.
Dai primi anni '80, Lev ha cominciato a lavorare la terra; vuole vivere come i suoi contadini e rinuncia, almeno formalmente, ai privilegi dell'agiatezza; ha anche aperto nella sua tenuta dodici scuole indirizzate prevalentemente ai figli dei suoi contadini, in cui l'insegnamento, assolutamente privo di ogni forma d'autoritarismo e repressione, è curato in prima persona da lui stesso.
La moglie lo considera mezzo matto, le figlie femmine simpatizzano per le idee del padre, mentre i figli maschi difendono la madre, motivati probabilmente anche dal fatto che sono loro che dovrebbero ereditare e quindi non si trovano per niente d’accordo con le scelte economiche del babbo. Nel marzo del 1883 lo scrittore nomina la moglie unica amministratrice dei suoi beni, per sentirsi prossimo alla condizione di nulla tenente.
Il matrimonio, tra alti e bassi, momenti di felicità e crisi coniugali, dura comunque ben 48 anni.
Il nostro Leone è davvero un tipo bizzarro e per Sofja la convivenza con l’impegnativo marito non è davvero facile.
Ecco cosa scrive nel suo diario:
“Per il genio’ bisogna creare un ambiente tranquillo, allegro, comodo; al genio bisogna dare da mangiare, bisogna lavarlo, vestirlo, bisogna trascrivere le sue opere un numero infinito di volte, bisogna amarlo, non fornire pretesti alla sua gelosia, perché sia tranquillo; bisogna nutrire ed educare gli innumerevoli figli che il genio procrea, con cui però si annoia e non trova il tempo di stare, perché deve comunicare con i vari Epitteti, Socrati e Budda e deve lui stesso tentar di diventare uno di loro”.
E d’altra parte questa è l’opinione di lui:
“Lei sarà fino al momento della mia morte, come una macina appesa al mio collo e a quello dei figli”.
Ed ecco ancora Sofja:
“Per lui l’universo si riduce a ciò che ruota intorno al suo genio e alla sua opera; da ciò che lo circonda prende unicamente quello che può servire al suo talento e al suo lavoro. Il mio destino è di essere soltanto la segretaria di un marito-scrittore.
Non faccio altro che svezzare, allattare, disinfettare e medicare; e non è finita: devo badare ai bambini, pensare alle confetture, alle conserve, ai dolci, al lavoro di copiatura per Lev”.
Anche il finale di questa vicenda matrimoniale è davvero paradossale: nella notte fra il 27 e il 28 ottobre 1910 Tolstoj trova la moglie che fruga tra le sue carte, alla ricerca del suo Diario; è la goccia che fa traboccare il vaso per l'ottantaduenne scrittore , che decide di fuggire dalla propria abitazione nonostante sia ammalato. Si mette in viaggio, in incognito, su un vagone ferroviario di seconda classe. Ma si sente male, ha la febbre a 40 e la polmonite e deve scendere nella stazioncina del minuscolo villaggio sperduto di Astapovo. Con lui ci sono il suo fedele segretario e sua figlia che li ha raggiunti.
Arrivano giornalisti, fotografi e cineoperatori, oltre agli amici e ai familiari di Tolstoj. Arriva anche la moglie Sof'ja, ma le viene impedito di avvicinarsi al capezzale se non quando lo scrittore perde conoscenza. Per sei giorni la stampa rende noti i minimi dettagli della vicenda, come in un grottesco reality show.
Queste pare siano state le ultime parole del genio morente: «Svignarsela! Bisogna Svignarsela!»
Muore il 20 novembre 1910 e viene sepolto nei pressi della sua casa, in un bosco. Secondo le sue ultime volontà, la tomba è un semplice cumulo di terra, senza croce e senza nome.
Nel libro Tolstoj è morto scritto da Vladimir Pozner nel 1935 e pubblicato da Adelphi viene raccontata questa vicenda a dir poco incredibile, sulla base di documenti e fonti originali.
Lev Tolstoj
L'accresciuta importanza del concetto di patria ha condotto il popolo del cosiddetto mondo cristiano a un grado tale di abbrutimento, che non solo coloro che vengono obbligati a sparare e a morire si rallegrano di ciò ed osannano la guerra, ma persino chi viene lasciato a casa alle sue occupazioni, in Europa e in America, viene coinvolto attraverso la stampa e la moderna facilità delle comunicazioni, e viene a trovarsi nella situazione dello spettatore romano che gioisce della morte dei gladiatori e avido di sangue grida pollice verso! Persino i bambini osannano ciascuno alla propria nazionalità ... e i genitori - ne conosco molti di simili - li incoraggiano in questa crudeltà ... Cosa son poi questi governi, dei quali gli esseri umani sembrano non poter fare a meno? Oggi essi sono un male inutile e peggiore di tutti gli spauracchi con cui argomentano la propria indispensabilità.
Lev Tolstoj, maggio 1900
Lo scopo dell'arte non è quello di risolvere i problemi, ma di costringere la gente ad amare la vita. Se mi dicessero che posso scrivere un libro in cui mi sarà dato dimostrare per vero il mio punto di vista su tutti i problemi sociali, non perderei un'ora per un'opera del genere. Ma se mi dicessero che quello che scrivo sarà letto tra vent'anni da quelli che ora sono bambini, e che essi rideranno, piangeranno e s'innamoreranno della vita sulle mie pagine, allora dedicherei a quest'opera tutte le mie forze.
Lev Tolstoj, lettera a P.D. Boboryk, in Lettere
« […] io lo definisco un litigio, ma in realtá fu semplicemente la scoperta del profondissimo abisso che ci divideva. L'innamoramento si era esaurito in seguito alla soddisfazione dei sensi, e noi ora eravamo rimasti l'uno di fronte all'altra nel nostro reale reciproco rapporto, e cioè nel rapporto di due egoisti completamente estranei l'uno all'altro e bramosi soltanto di procurarsi quanto più piacere possibile.»
Lev Tolstoj, Sonata a Kreutzer
Dicono che la musica agisca in modo da elevare l’anima: sono sciocchezze, non è vero. Agisce, agisce terribilmente, parlo di me stesso, ma niente affatto in modo da elevare l’anima; non agisce in modo né da elevare, né da abbassare l’anima, ma in modo da eccitare l’anima. Come dirvi? La musica mi costringe a dimenticarmi di me, della mia vera situazione, mi trasporta in una situazione nuova, e che non è la mia; sotto l’influsso della musica mi pare di sentire quello che in realtà non provo, di capire quello che non capisco, di potere quello che non posso. Io lo spiego dicendo che la musica ha la stessa azione dello sbadiglio, del riso: non ho sonno, ma sbadiglio, guardando della gente che sbadiglia; non c’è ragione di ridere, ma rido, sentendo della gente che ride. Essa, la musica, mi trasporta d’un colpo, immediatamente, nello stato d’animo in cui si trovava colui che ha scritto la musica. Mi fondo spiritualmente con lui e insieme a lui passo da uno stato d’animo all’altro. Ma perché lo faccio, non so.
Lev Tolstoj, Sonata a Kreutzer
"erba, il cespuglio di assenzio, quel filo di fumo che si levava in piccole volute dalla piccola palla nera che girava su se stessa. ‘Io non posso, non voglio morire, io amo la vita, amo quest'erba, la terra, l'aria…"
Lev Tolstoj, Guerra e pace
Lev Tolstoj, "Guerra e pace"
Come tutto è quieto, calmo e solenne, affatto diverso da quando correvo […] da quando correvamo gridando e ci battevamo! […] in modo diverso strisciano le nuvole su questo cielo alto, infinito. Come mai prima questo cielo alto non lo vedevo? E come sono felice di averlo finalmente conosciuto! Sì! Tutto è vuoto, tutto è inganno tranne questo cielo infinito. Nulla, nulla esiste, tranne questo. Ma anche questo non esiste, non c'è più nulla, fuorché il silenzio e la quiete.
Lev Tolstoj, Guerra e pace
«(…) I migliori generali che ho conosciuto sono uomini sciocchi o distratti.
Il migliore di tutti è Bagratiòn, come lo stesso Napoleone ha riconosciuto.
Ma anche Bonaparte! Ricordo la sua faccia soddisfatta, espressione d'una mente limitata, sul campo di Austerlitz. Non solo un buon condottiero non ha bisogno di genio o di qualità particolari, qualunque siano, ma al contrario deve mancare delle più alte e migliori qualità umane: amore, poesia, tenerezza, dubbio filosofico e indagatore. Deve essere limitato, fermamente convinto che ciò che egli compie è molto importante (altrimenti non avrebbe sufficiente pazienza), e soltanto allora sarà un valoroso condottiero. Dio lo scampi dell'essere un uomo: se sarà un uomo, amerà qualcuno, avrà pietà di qualcuno, penserà a ciò che è giusto e ingiusto. Si comprende che fin dall'antichità abbiano inventato apposta per loro la teoria del genio, perché essi sono il potere».
Lev Tolstoj, Guerra e pace, vol. III, parte prima, cap. ll.
Il conte Tolstoj, se non fosse Lev Tolstoj, uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi, oggi sarebbe ricordato per essere stato un povero illuso. Uno che voleva portare la pace nel mondo senza avere un’organizzazione politica o religiosa alle spalle. Senza essere papa o re e neppure una grande anima.
Lev l’anima ce l’aveva, e probabilmente pure grande, ma era tormentata assai.
Nacque da una principessa e da un conte nella tenuta di Jasnaja Poljana il 9 settembre 1828.
Rimasto orfano ancora bambino, non terminò gli studi perché preferì dedicarsi alla vita dissoluta e al gioco fino a che, per seguire il fratello, partì per la guerra del Caucaso. Tornato, decise di raccontarla e di non farla mai più. Si sposò con Sofja Andreevna, la quale partorì i suoi tredici figli (ma soltanto otto gli sopravvissero) che, nell’ultimo periodo della sua vita, lui si era convinto volessero ucciderlo, perché la sua esasperata filantropia, aveva ridotto notevolmente le risorse familiari.
L’istituzione delle scuole per i contadini, l’impegno contro la proprietà fondiaria, erano cause di grande tensione con la moglie che non ne poteva più di questo genio così ingombrante. Il 28 ottobre 1910, Tolstoj se la svignò (bisogna svignarsela furono le sue ultime parole) fuggì da Jasnaja Poljana. La radura serena era divenuta un prigione della sua anima. Voleva abbandonare tutto per vivere in Cristo. Ma il suo progetto si fermò qualche giorno dopo, il 20 novembre, nella piccola stazione ferroviaria di Astapovo a causa di una polmonite. O forse ha avuto ragione lui e il progetto di vivere in Cristo l’ha effettivamente realizzato.
Il corpo del vecchio padre del popolo russo sta nascosto a Jasnaja Poljana, in un dirupo, dentro una tomba coperta dalle piante. Nessuna iscrizione, nessuna citazione presa dalle centinaia di migliaia di pagine da lui scritte.
Ognuno dei suoi lettori potrà ricordarlo con una delle frasi che più ha amato. La mia è questa: “Non esiste un uomo migliore di un altro, come non esiste un posto di un fiume più profondo e più pulito di un altro posto in un altro fiume. L’uomo scorre come un fiume”.
E Tolstoj scorre ancora nelle nostre menti, dettando le nostre parole, suggerendo i nostri gesti, disegnando perfino la trama dei nostri sentimenti, proprio come in un suo romanzo, sempre attuale, sempre così terribilmente reale, in cui il lettore è l’unico protagonista che i racconti di Tolstoj lasciano nudo dinanzi alla verità della sua anima.
(9 settembre 1828 - 20 novembre 1910)
di Andrea Lupi
da I GOVERNI SONO INGANNATORI di Lev Tolstoj
''In epoca più recente è sorto ancora un altro inganno che ha riconfermato i popoli cristiani nella loro condizione servile. Ed esso si manifesta mediante un complesso sistema d’elezione, dove degli uomini eletti da un dato popolo, divengono delegati entro le varie istituzioni rappresentative, entro le quali eleggeranno a loro volta o senza alcun criterio dei candidati sconosciuti, o i propri rappresentanti secondo personali interessi; il popolo stesso sarà allora una delle cause del potere del governo, e pertanto, obbedendo ad esso, crederà in effetti di obbedire a sé medesimo, supponendo di vivere quindi in un regime di libertà.
Chiunque avrebbe potuto accorgersi che tutto ciò non era altro che un imbroglio [...]. Questo inganno, – anche a tacere del fatto che gli uomini eletti in tal modo, partecipando al governo del loro Paese, approvano leggi e governano il popolo non in vista di ciò che è bene per esso, ma lasciandosi guidare per lo più, unicamente, dall’intento di mantenere salda la propria posizione di privilegio e il proprio potere frammezzo alle lotte dei vari partiti, e per tacere altresì della depravazione che questo inganno diffonde tra il popolo mediante le menzogne, lo stordimento e le corruzioni che son caratteristica costante dei periodi elettorali – è particolarmente dannoso a cagione di quella schiavitù autocompiacentesi in cui esso riduce gli uomini che vi incorrono.
Gli uomini che s’imbattono in questa trappola si immaginano davvero d’obbedire a se stessi ogni volta che ascoltano il governo, e perciò non osano più disobbedire ai provvedimenti del potere degli uomini, anche quando tali provvedimenti sono contrari non soltanto ai loro gusti personali, al loro vantaggio, o ai loro desideri, ma altresì alla legge suprema e alla loro stessa coscienza.
E invece gli atti e i provvedimenti del governo di quei popoli che presumono di autogovernarsi non sono che il risultato delle complesse lotte tra i partiti, degli intrighi, della sete di potere e dell’interesse personale di questi e quegli individui, e dipendono tanto poco dalla volontà e dai desideri del popolo tutto, quanto gli stessi atti e i provvedimenti dei governi più dispotici. Quei popoli sono come uomini rinchiusi in carcere che s’immaginano di essere liberi perché viene concesso loro il diritto di votare per l’elezione dei carcerieri delegati all’amministrazione interna dello stesso carcere.
Cosicché gli uomini degli stati costituzionali, immaginandosi di essere liberi, proprio in seguito a tale loro sforzo di immaginazione, finiscono per non saper nemmeno più in cosa consista l’autentica libertà. Questi individui, mentre credono di liberare se stessi, si condannano in realtà a divenire sempre più profondamente schiavi dei loro governi.
[…]''
Lev Tolstoj, I governi sono ingannatori
LA CAMICIA DELLA FELICITA'
C’era una volta un re malato di malinconia: diceva d’avere già i piedi nella fossa, chiedeva aiuto, e prometteva metà del suo regno a chi gli avesse portato la felicità. Tutti i cortigiani erano in riunione notte e giorno, ma il rimedio non riuscivano a trovarlo. Fu chiamato anche il Vecchio della Montagna, il quale dichiarò: «Trovate un uomo felice. Toglietegli la camicia, infilatela al re, e il re troverà subito la felicità». Immediatamente partirono cercatori per ogni parte del regno. Fu suonata la tromba nelle città, nei paesi e nei villaggi, ma gli esseri felici non si fecero innanzi. Chi era povero in canna e soffriva d’astinenza, chi era ricco e sospirava per mal di denti o mal di ventre, chi aveva la moglie bisbetica e la suocera in convulsione, chi la stalla appestata, chi il pollaio in rovina... I cercatori tornarono tutti alla Corte, avviliti e delusi. Una sera il figlio del re uscì a passeggio e, davanti ad una capanna, che aveva il tetto di foglie e di fango, udì una voce sommessa: «Ti ringrazio, buon Dio! Ho lavorato, ho sudato, ho mangiato di buon appetito, ed ora mi riposerò tranquillo su questo letto di foglie. Grazie. Sono proprio felice!». Felice? Dunque c’era un uomo felice! Il giovane principe volò a palazzo. Chiamò le guardie e ordinò di andare a prendere immediatamente la camicia di quell’uomo felice. «Dategli quanto denaro vuole... Fatelo barone, conte, duca... principe, ma ceda la sua camicia». Corsero le guardie alla povera capanna. Offrirono al boscaiolo una fortuna. Macché! L’uomo felice era così povero che… non aveva neanche la camicia.
Da una novella di Lev Tolstoj
Lev Tolstoy.
La sua opera rappresenta una delle più significative manifestazioni della cultura artistica russa della seconda metà del XIX secolo. Per l'ampiezza della comprensione degli aspetti della vita e del loro riflesso sull'arte, per la varietà di interessi, non ha eguali nella pittura russa precedente e contemporanea. Figlio di un modesto soldato, terminò l'Accademia con la medaglia d'oro per La resurrezione della figlia di Giairo. Tra il 1873 e il 1876 in Francia, visitando Italia, Inghilterra e Germania. Prese parte a numerose mostre internazionali: Vienna (1873), Parigi (1878 e 1900), Berlino (1896), Venezia (1897) e Roma (1911). Insegnò all'Accademia di San Pietroburgo.
È stato intitolato in suo onore l'asteroide 2468 Repin.
(*Stella)
CHI E’ FELICE HA RAGIONE”. LEV TOLSTOJ
Tolstoj intende dire che coloro che sono capaci di riconoscersi felici hanno un animo aperto, sincero e quindi stanno dalla parte della ragione, perché male non ne possono fare. Essere felici nel senso tolstojano ha indubbiamente a che fare con lo spirito e la serenità di una coscienza libera e non con il potersi permettere un pediluvio da una palafitta in un resort polinesiano.
Insomma, è complicato definire e misurare la felicità. Quante dimensioni della felicità conosciamo?? Quante ne riconosciamo? Durante le stagioni della nostra vita cambiamo metro di misura più volte: dall’infinitamente grande alla svolta atomistica (quella minimal). «Ogni società, infatti, elabora una lista e una gerarchia di piaceri, tale che la piacevolezza della vita dei singoli è definita dal grado maggiore o minore di accesso che essi hanno a quel menu. Per la medesima ragione risulta irrilevante al proprio godimento quanto da quel menu non è previsto», scrive Salvatore Natoli (nel suo saggio "La felicità" - Feltrinelli).
Arrostire vermi sul barbecue non mi rende felice da europeo, ma sarebbe una goduria infinita se io fossi indocinese.
Gli antichi Egizi, molto intelligentemente, avevano capovolto la ratio: Osiride chiedeva alle anime, traghettate alle porte dell’al di là da Anubii, se in vita avessero portato felicità ad alcuno. Da cacciatori di felicità a destinatari di gioia per precetto divino. Trovo fantastica questa prospettiva egizia. Una vera rivoluzione copernicana della felicità. Non chiedetevi, quindi, la sera prima di addormentarvi se siete stati felici, bensì se qualcuno è stato felice per causa vostra.
Torniamo a Tolstoj. All’epoca del suo più profondo impegno sociale, iniziava la giornata spazzando con grande cura il pavimento della sua camera. Gli dava felicità, di quella felicità che si prova nel fare una cosa utile e farla per bene. La felicità si conferma una questione morale: fare del bene.
Sof’ja Andreevna, donna intelligente, colta e amante della scrittura, sposò Lev Tolstoj a soli 18 anni e fin dai primi giorni della loro vita coniugale iniziò a tenere un diario in cui si leggono pagine felici, illuminate dalla poesia dell’amore coniugale e materno. Non un pretesto per scrivere l’ennesima biografia dello scrittore ma il racconto, in prima persona, della donna il cui ruolo è stato fondamentale nella vita di Tolstoj: la donna che diede 13 figli allo scrittore e che trascrisse numerose volte la sterminata mole di pagine dei grandi romanzi del marito.
Le discussioni sui coniugi Tolstoj sono state sempre molto accese e ancora oggi il dibattito continua. “Da un lato stanno coloro che prendono le parti di Sof'ja convinti che vivere accanto a Tolstoj fosse difficile, a tratti insopportabile”.
Nell’altro schieramento vi sono coloro che, senza alcuno scrupolo o tenerezza, accusano Sof’ja di vanità o insoddisfazione per le decisioni prese da lui.
Il loro matrimonio, tra momenti di felicità e crisi coniugali, durò 48 anni e Tolstoj non tradì mai la moglie. “Le quasi 900 lettere alla moglie dimostrano il suo amore per lei. Appena si trovava separato dalla sua Sof’ja, ecco che veniva preso da un senso di nostalgia e iniziava ad attendere tormentosamente le sue lettere. Le lettere di Tolstoj sono commoventi, tenere, colpiscono per la loro sincerità.” Ma anch’ella lo amava. “Per il genio bisogna creare un ambiente tranquillo, allegro, comodo; al genio bisogna dare da mangiare, bisogna lavarlo, vestirlo, bisogna trascrivere le sue opere un numero infinito di volte, bisogna amarlo, non fornire pretesti alla sua gelosia, perché sia tranquillo; bisogna nutrire ed educare gli innumerevoli figli che il genio procrea, con cui però si annoia e non trova il tempo di stare, perché deve comunicare con i vari Epitteti, Socrati e Budda e deve lui stesso tentar di diventare uno di loro”.
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«12 settembre 1862. Sono innamorato, come non credevo si potesse esserlo. Sono pazzo, se vado avanti così, sarò costretto a spararmi. Sono stato da loro questa sera: lei è incantevole sotto tutti gli aspetti...
13 settembre 1862. Domani vado appena alzato e le dico tutto, se no mi sparo... Sono le quattro di notte... le ho scritto una lettera e gliela darò domani, cioè oggi 14. Dio mio, come ho paura di morire! La felicità e una felicità così mi sembra impossibile. Dio mio, aiutami!... »
Di nobili origini, ebbe una formazione irregolare, inizialmente molto lacunosa, che tentò di colmare da autodidatta. Tenterà la facoltà di filosofia per passare poi a giurisprudenza, abbandonando anche quest’ultima in favore di una vita dedita all’eccesso ed al gioco d’azzardo.
Raccontando della sua vita, in età matura, si espresse così:
«… quel primo tempo poetico, meraviglioso, innocente, radioso dell'infanzia fino ai quattordici anni. Poi quei venti anni orribili di grossolana depravazione al servizio dell'orgoglio, della vanità e soprattutto del vizio. Il terzo periodo, di diciotto anni, va dal matrimonio fino alla mia rinascita spirituale: il mondo potrebbe anche qualificarlo come morale, perché in quei diciotto anni ho condotto una vita familiare onesta e regolata, senza cedere a nessuno dei vizi che l'opinione pubblica condanna. Tutti i miei interessi però erano limitati alle preoccupazioni egoistiche per la mia famiglia, il benessere, il successo letterario e tutte le soddisfazioni personali. Infine il quarto periodo è quello che sto vivendo adesso, dopo la mia rigenerazione morale …»
Dall’esperienza della guerra di Crimea trarrà ispirazione per i “Racconti di Sebastopoli”, che, pur avendo qualche problema con la censura, saranno poi pubblicati.
Con il matrimonio tornerà ad occuparsi dei suoi possedimenti e sarà a contatto con i contadini. Questo quotidiano rapporto e l’attività di giudice di pace lo porteranno a riflettere sulle ingiustizie sociali presenti in Russia. Dopo l’assassinio dello Zar Alessandro II nel 1880, Tolstoj scriverà una lettera al successore, che diverrà Zar con il nome di Alessandro III, perché sia clemente con gli assassini. La preghiera dello scrittore cadrà nel vuoto: i colpevoli saranno condannati a morte ed il nuovo monarca andrà ad instaurare un regime fortemente repressivo. In quegli stessi anni Tolstoj iniziò un cammino spirituale che lo avrebbe portato alla conversione prima in seno alla Chiesa Ortodossa e poi nel contesto di un cattolicesimo anarchico. Armato da propositi umanitari, Tolstoj si fece editore per educare le masse con costi contenuti. Nell'estate del 1891 una grande carestia si abbatté sulle provincie centrali e sud-occidentali della Russia, a causa di una siccità prolungata. In tale circostanza, la moglie Sof'ja lo aiuterà a mobilitare una catena internazionale di soccorsi per i contadini che stavano morendo letteralmente di fame, ma il conflitto fra i coniugi tornò ad inasprirsi poco dopo, quando Tolstoj comunicò ai giornali la decisione di rinunciare ai diritti d'autore per le opere scritte dopo la conversione per devolverli a scopo umanitario. Nello stesso anno, lo scrittore si recò a Firenze per partecipare ad un convegno ecumenico dal titolo “Conferenze sulla fusione di tutte le Chiese cristiane”, dove si dichiarò favorevole alla «proposta di fondere le Chiese cristiane in una sola che abbia per capo il Papa di Roma e per base la sua organizzazione esteriore nella formula cavouriana e per fondamento del suo pensiero le massime di Cristo e dell'Evangelo.»
Iniziò a riceve lettere dai suoi ammiratori, molti dei quali avevano letto i suoi scritti (alcuni proibiti dalla censura) e ne condividevano il pensiero morale. Sulla spinta di Vladimir Čertkòv (e non per iniziativa dello stesso Tolstoj, che era scettico verso tutto ciò che assomigliasse ad una setta) nacque la corrente del tolstoismo, ispirata all'etica filosofico-religiosa di Tolstoj, e i cui seguaci saranno poi violentemente perseguitati sotto il regime comunista. Tanta popolarità non fu però scevra da imprevisti: nel Febbraio 1901 il Santo Sinodo scomunicò Tolstoj per le sue idee anarchico-cristiane e anarco-pacifiste. Konstantin Pobedonostsev, procuratore del Sinodo, aveva chiesto anni prima di rinchiudere con la forza Tolstoj in un monastero, ma ormai lo scrittore aveva raggiunto una fama internazionale e le persecuzioni ne avrebbero aumentato la popolarità, tanto che la sua eliminazione fisica era ritenuta imprudente dagli stessi vertici politici, i quali si rendevano conto che in tal modo ne avrebbero fatto un martire scatenando grandi rivolgimenti sociali. Ricevette attestati di solidarietà da tutto il mondo. Lo scrittore ribatté punto per punto alle accuse rivoltegli nel testo della scomunica scrivendo una “Risposta alla deliberazione del sinodo” (1901), in cui rivendicava il suo essere un onesto seguace di Cristo e della verità.
Nel 1909 lo scrittore tentò – con appelli alla Duma di Stato – di convincere il governo ad abolire la proprietà privata della terra, onde scongiurare una grande rivoluzione, che reputava imminente. Già nel precedente articolo “Al popolo lavoratore” , del 1902, Tolstoj aveva affrontato l'argomento, individuando nella proprietà fondiaria la maggiore ingiustizia sociale presente in Russia. La liberazione della terra tuttavia non doveva avvenire con la violenza, ma tramite il boicottaggio (dei contadini a lavorare la terra altrui) e la disobbedienza (dei soldati nel reprimere le occupazioni). Per quanto riguarda la ridistribuzione della terra, una volta liberata, egli appoggiava il progetto di Henry George, ossia l'imposta unica sulla terra.
Questi i sogni di Lev Nikolàevič Tolstòj, scrittore, filosofo, educatore e mistico, che aveva saputo guardare più lontano degli Zar.
La sua vita fu lunga e tragica, nell'accezione più vera del termine, ossia nel senso che essa fu dominata da una profonda, segreta tensione: una vera tragedia dell'anima. Tolstòj stesso riteneva che il 1878 fosse lo spartiacque tra due fasi della sua esistenza, nella prima il grande scrittore, famosissimo e tronfio della fama letteraria, nella seconda la rinascita spirituale.
Questa grande frattura sarà fonte di difficoltà, contraddizioni e spesso incomprensioni nella interpretazione da parte dei contemporanei, problemi che ancor oggi sono presenti.
Le tracce per potersi avvicinare all'animo di Tolstoj sono dunque svariate:
La incessante ricerca della verità:
« La verità... Io amo tanto... come loro... »,ultime parole pronunciate da Tolstoj prima di morire
La tensione al miglioramento continuo.
« Ci sono in me tutti i vizi... e ad un grado ben più grande che presso la maggior parte degli uomini. La mia salvezza risiede nel fatto che io lo so e lotto, tutta la mia vita ho lottato »
dai Diari, 1905
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Da"Memorie di un cristiano"
So che per questo titolo mi condanneranno. Alcuni – i più – diranno: sarebbe ora che la smettesse con queste sciocchezze. Al giorno d'oggi lo capiscono tutti che la fede cristiana è una delle tante religioni. E tutte le religioni sono superstizioni, sono cioè quel materiale che più di ogni altra cosa intralcia l'evoluzione dell'umanità. Altri diranno: come, di un cristiano? Chi può dire di sé: io sono un cristiano? Il vero cristiano è innanzitutto umile e non osa definir sé stesso cristiano né tantomeno dichiararsi tale sulla carta stampata. Mi condannino pure, ma io metterò questo titolo. Non mi fa paura che mi si accusi di essere retrogrado perché non soltanto non ritengo che la religione sia una superstizione, ma, al contrario, ritengo che la verità religiosa sia l'unica verità accessibile all'uomo, e la dottrina cristiana io la ritengo una verità che – lo vogliano riconoscere gli uomini o no – si trova a fondamento di tutto il sapere umano, e non mi fa paura nemmeno mi si condanni perché ho l'orgoglio di chiamarmi cristiano, dato che le parole: io sono un cristiano, le intendo diversamente da come le si intende di solito.
« Ci sono in me tutti i vizi... e ad un grado ben più grande che presso la maggior parte degli uomini. La mia salvezza risiede nel fatto che io lo so e lotto, tutta la mia vita ho lottato »
( Lev Tolstoj Diari, 21 settembre 1905)
L’immagine che tutti abbiamo del grande Lev Tolstoj è quella di un uomo anziano, un misto tra Gandalf e un Babbo Natale un po’ di cattivo umore.
Ma, come si può vedere dall’immagine, anche il nostro è stato giovane.
Lev Nikolaevič Tolstoj nasce il 9 settembre 1828 a Jasnaja Poljana nella tenuta della sua famiglia, che è di tradizioni aristocratiche, appartenente alla vecchia nobiltà russa.
Problemi economici zero, non sarà mai costretto, come invece molti altri scrittori dell’ottocento, a scrivere romanzi d’appendice per sbarcare il lunario.
Ma in realtà non è poi così fortunato; in effetti sua mamma muore quando ha solo 2 anni e suo padre quando ne ha otto.
Il piccolo Lev viene cresciuto da una zia e istruito da precettori francesi e tedeschi.
Come studente universitario non ottiene grandi risultati, anche perché la sua indole è troppo ribelle e indipendente. Frequenta prima orientalistica, poi cambia corso e si iscrive a giurisprudenza, ma, alla fin fine, non si laurea mai.
È un giovanotto piuttosto scalmanato, e passa da periodi di gozzoviglie, stravizi e gioco d’azzardo, a momenti in cui, in preda ai sensi di colpa, si impone rigidissime regole di vita, che regolarmente non rispetta.
Ecco come descrive la sua giovinezza:
“Non posso ricordarmi di quegli anni senza orrore, disgusto e profondo dolore. Uccisi degli uomini in guerra e altri ne sfidai a duello per ucciderli, giocavo e perdevo al gioco dilapidando il frutto del lavoro dei contadini, fornicavo, ingannavo. Menzogne, furti, adulteri di tutti i generi, ubriachezza, violenze, omicidi... non ci fu delitto che io non commettessi, e per tutto questo venivo lodato e i miei coetanei mi consideravano -e tuttora mi considerano- come un uomo relativamente morale”.
Niente male eh?
Questa fase della sua esistenza si conclude bruscamente quando muore suo fratello.
Lev affronta una profonda crisi e cambia radicalmente vita.
Ma è proprio grazie a queste esperienze che sarà in grado di parlare, da vero esperto, dei vizi umani.
A questo proposito è interessantissimo il suo scritto del 1902 I Piaceri Viziosi, in cui affronta il tema delle dipendenze con la competenza di un operatore del SER.D. (servizio per le dipendenze).
Lo scrittore si chiede quale sia il motivo che spinge gli uomini a cercare di alterare il proprio stato di coscienza:
“Qual è l'origine di questa abitudine presa da quasi tutti gli uomini, e perché mai questa abitudine si è sparsa con tanta rapidità e si mantiene con tanta tenacia fra le persone di tutte le classi e di tutte le posizioni, tanto fra i selvaggi quanto fra i popoli civili? A che dunque attribuire questo fatto indiscutibile che là dove il vino, l'acquavite, la birra sono sconosciuti, si consuma l'oppio, l'Hashish, ecc. mentre poi l'uso di fumare tabacco si può dire universale?”
E la risposta che Tolstoj propone è questa:
“Nel periodo della sua vita cosciente, l'uomo ha spesso l'occasione di distinguere in sé due esseri assolutamente distinti: l'uno, cieco e sensitivo; l'altro, veggente e pensante. Il primo mangia, beve, si riposa, dorme, si riproduce e si muove come una macchina a cui si sia dato corda per un certo tempo. Il secondo, invece, l'essere veggente e pensante, unito all'essere cieco e sensitivo, non agisce da sé: non fa che controllare e giudicare la condotta del compagno, aiutandolo attivamente quando lo approva, rimanendo passivo nel caso contrario”.
In pratica, secondo il nostro Lev, siccome l’uomo si sente molto a disagio quando non ascolta la voce della sua coscienza, cerca di addormentare questa voce utilizzando le sostanze inebrianti o psicotrope. Le persone comuni sentono in misura minore questa necessità, perché vengono facilmente distratte, ma sono proprio gli animi più sensibili ad aver maggior bisogno di intontirsi, perché in loro la voce della coscienza si fa sentire molto chiaramente.
In effetti è vero che letterati e artisti, cioè persone particolarmente sensibili, fanno spesso uso di alcool e di sostanze varie.
Dopo aver parlato del consumo di alcool Tolstoj, da ex fumatore, analizza anche il consumo di tabacco, con una lungimiranza incredibile, nella sua epoca.
“Se fosse vero che il tabacco non fa che procurare un piacere qualunque e schiarire le idee, non se ne proverebbe un bisogno appassionato, in certe date circostanze nettamente definite, e non vedremmo della gente assicurarci che preferirebbe esser priva di cibo anziché di tabacco.
In quanto a me, mi posso ricordare perfettamente – nel tempo in cui fumavo – dei momenti nei quali il bisogno del tabacco si faceva sentire in modo più intenso e tirannico: era sempre allorquando volevo dimenticare certe cose ed addormentare la mia facoltà di pensare. Talvolta, rimasto solo ed ozioso, avevo la coscienza che dovevo mettermi al lavoro, mentre il lavoro mi pareva penoso: allora accendevo una sigaretta e continuavo a rimanere ozioso”.
E sentite come spiega la dipendenza da nicotina paragonandola alle altre, dal punto di vista del giudizio sociale:
“La proprietà caratteristica che distingue il tabacco dagli altri narcotici è la facilità colla quale lo si può trasportare ed usare. L'assorbimento dell'oppio, dell'alcool, dell'hashish è sempre più complicato: non vi si può ricorrere sempre e dovunque, mentre che si possono portare sigari o tabacco colla massima facilità e comodità. Di più, il consumatore d'oppio e l'ubriacone ispirano disgusto ed orrore, mentre il fumatore non presenta nulla di ributtante”.
Naturalmente Leone, che non riesce assolutamente a resistere al fascino delle donne, si esprime molto duramente anche nei confronti di questa sua “debolezza”.
In questo stesso testo Tolstoj affronta un altro dei temi che gli sono cari: l’antimilitarismo, sostenendo che, se non fossero ubriachi, col cavolo che gli uomini potrebbero concepire la guerra:
“Tutti gli Stati dell'Europa si sono occupati e si occupano anche ora attivamente d'inventare e di perfezionare le armi da guerra.
Insegnano con cura la scienza dell'omicidio organizzato a tutti i giovani che hanno raggiunto l'età virile. Tutti sentono che questo è uno stato di cose assurdo, nefasto, rovinoso, immorale, empio, ed intanto si persiste nel continuare i preparativi con lo scopo di uccidersi a vicenda. Uomini che avessero la mente lucida potrebbero mai agire a questo modo? Sembra che, ai giorni nostri, la razza umana sia legata a qualche cosa che la trattiene, che ne impedisce i progressi”.
La fama di Tolstoj in Europa occidentale inizia quando Turgenev parla dei suoi capolavori a Flaubert e a Maupassant, che si occupano subito di farli tradurre.
In realtà lo scrittore è conosciuto fuori dalla Russia prima come “guru” che come autore dei suoi più famosi romanzi, Guerra e pace e Anna Karenina.
Infatti il suo primo testo pubblicato in Francia è il manifesto intitolato In cosa consiste la mia fede, del 1884, mentre Anna Karenina esce nel 1886, e Guerra e pace ancora più tardi.
Tolstoj viene visto come un maestro spirituale, l’ispiratore di una nuova filosofia di vita.
Dal 1890, i giornali tedeschi, ma anche americani, cominciano a definire Tolstoj un "apostolo" e molti giornalisti vanno nella sua tenuta di Jasnaja Poljana per intervistarlo e per raccontare il suo modo di vivere così fuori dagli schemi.
Viene fotografato vestito da contadino mentre svolge lavori manuali.
I lettori delle riviste europee e americane sono affascinati da questo strano personaggio folkloristico che ha rinunciato ai privilegi della classe nobiliare cui appartiene, e persino ai diritti d'autore sulla sua produzione letteraria, e si è fatto scomunicare come eretico, provocando un’ondata di manifestazioni popolari in sua difesa.
Gli attacchi dello scrittore contro Stato e Chiesa diventano intanto sempre più decisi.
Gli viene scatenata contro una campagna di stampa, nel tentativo di diffamarlo e screditarlo agli occhi dell'opinione pubblica. ma la sua fama è oramai incredibile, è una star internazionale.
Ed è per questo che non lo arrestano: per il regime zarista è impossibile imprigionare un uomo così celebre.
Scoppia la rivoluzione del 1905, quella della corazzata Potëmkin (una cagata pazzesca cit.).
Tolstoj si schiera contro lo zar ma disapprova anche la violenza dei rivoltosi. Prende però posizione a favore dell'abolizione della proprietà privata ed invoca una nuova organizzazione sociale della Russia, fondata sul rifiuto della gerarchia e dell'autoritarismo.
Nel 1909 inizia una fitta corrispondenza con Gandhi che si trova in Sud Africa e che ammira la sua teoria della «non resistenza al male».
Ecco cosa scrive in seguito il Mahatma:
«Quarant'anni fa, mentre attraversavo una grave crisi di scetticismo e dubbio, incappai nel libro di Tolstoj Il regno di Dio è dentro di noi, e ne fui profondamente colpito. A quel tempo credevo nella violenza. La lettura del libro mi guarì dallo scetticismo e fece di me un fermo credente nell'ahimsā. Quello che più mi ha attratto nella vita di Tolstoj è il fatto che egli ha praticato quello che predicava e non ha considerato nessun prezzo troppo alto per la ricerca della verità. Fu l'uomo più veritiero della sua epoca. La sua vita fu una lotta costante, una serie ininterrotta di sforzi per cercare la verità e metterla in pratica quando l'aveva trovata. Fu il più grande apostolo della non-violenza che l'epoca attuale abbia dato. Nessuno in Occidente, prima o dopo di lui, ha parlato e scritto della non-violenza così ampiamente e insistentemente, e con tanta penetrazione e intuito”
In Russia nasce in suo nome un vero e proprio movimento di obiettori di coscienza al servizio militare e prendono forma le prime comunità tolstoiane, tutte ispirate agli insegnamenti evangelici di Gesù e in particolare al Discorso della Montagna.
Tolstoj è piuttosto perplesso ed ecco cosa racconta sua figlia in proposito:
“Una volta notai, tra coloro che stavano attorno a mio padre, un giovane sconosciuto con un camiciotto russo, pantaloni a sbuffo e grosse scarpe.
-Chi è?- domandai.
Papà si chinò verso di me e, con la mano davanti alla bocca, mi sussurrò all'orecchio:
-È un giovane membro della setta che mi è più estranea e incomprensibile: quella dei tolstoiani-.»
In effetti lo scrittore tenta di essere coerente e questo gli crea non pochi problemi in famiglia, soprattutto con la moglie Sofja Andreevna Bers che ha sposato nel 1862.
Dal loro matrimonio nascono ben 13 figli, di cui solo 7 sopravvivono.
Dai primi anni '80, Lev ha cominciato a lavorare la terra; vuole vivere come i suoi contadini e rinuncia, almeno formalmente, ai privilegi dell'agiatezza; ha anche aperto nella sua tenuta dodici scuole indirizzate prevalentemente ai figli dei suoi contadini, in cui l'insegnamento, assolutamente privo di ogni forma d'autoritarismo e repressione, è curato in prima persona da lui stesso.
La moglie lo considera mezzo matto, le figlie femmine simpatizzano per le idee del padre, mentre i figli maschi difendono la madre, motivati probabilmente anche dal fatto che sono loro che dovrebbero ereditare e quindi non si trovano per niente d’accordo con le scelte economiche del babbo. Nel marzo del 1883 lo scrittore nomina la moglie unica amministratrice dei suoi beni, per sentirsi prossimo alla condizione di nulla tenente.
Il matrimonio, tra alti e bassi, momenti di felicità e crisi coniugali, dura comunque ben 48 anni.
Il nostro Leone è davvero un tipo bizzarro e per Sofja la convivenza con l’impegnativo marito non è davvero facile.
Ecco cosa scrive nel suo diario:
“Per il genio’ bisogna creare un ambiente tranquillo, allegro, comodo; al genio bisogna dare da mangiare, bisogna lavarlo, vestirlo, bisogna trascrivere le sue opere un numero infinito di volte, bisogna amarlo, non fornire pretesti alla sua gelosia, perché sia tranquillo; bisogna nutrire ed educare gli innumerevoli figli che il genio procrea, con cui però si annoia e non trova il tempo di stare, perché deve comunicare con i vari Epitteti, Socrati e Budda e deve lui stesso tentar di diventare uno di loro”.
E d’altra parte questa è l’opinione di lui:
“Lei sarà fino al momento della mia morte, come una macina appesa al mio collo e a quello dei figli”.
Ed ecco ancora Sofja:
“Per lui l’universo si riduce a ciò che ruota intorno al suo genio e alla sua opera; da ciò che lo circonda prende unicamente quello che può servire al suo talento e al suo lavoro. Il mio destino è di essere soltanto la segretaria di un marito-scrittore.
Non faccio altro che svezzare, allattare, disinfettare e medicare; e non è finita: devo badare ai bambini, pensare alle confetture, alle conserve, ai dolci, al lavoro di copiatura per Lev”.
Anche il finale di questa vicenda matrimoniale è davvero paradossale: nella notte fra il 27 e il 28 ottobre 1910 Tolstoj trova la moglie che fruga tra le sue carte, alla ricerca del suo Diario; è la goccia che fa traboccare il vaso per l'ottantaduenne scrittore , che decide di fuggire dalla propria abitazione nonostante sia ammalato. Si mette in viaggio, in incognito, su un vagone ferroviario di seconda classe. Ma si sente male, ha la febbre a 40 e la polmonite e deve scendere nella stazioncina del minuscolo villaggio sperduto di Astapovo. Con lui ci sono il suo fedele segretario e sua figlia che li ha raggiunti.
Arrivano giornalisti, fotografi e cineoperatori, oltre agli amici e ai familiari di Tolstoj. Arriva anche la moglie Sof'ja, ma le viene impedito di avvicinarsi al capezzale se non quando lo scrittore perde conoscenza. Per sei giorni la stampa rende noti i minimi dettagli della vicenda, come in un grottesco reality show.
Queste pare siano state le ultime parole del genio morente: «Svignarsela! Bisogna Svignarsela!»
Muore il 20 novembre 1910 e viene sepolto nei pressi della sua casa, in un bosco. Secondo le sue ultime volontà, la tomba è un semplice cumulo di terra, senza croce e senza nome.
Nel libro Tolstoj è morto scritto da Vladimir Pozner nel 1935 e pubblicato da Adelphi viene raccontata questa vicenda a dir poco incredibile, sulla base di documenti e fonti originali.
Lev Nikolàevič Tolstòj a Jasnaja Poljana
fotografato da Sergey Mikhaylovich Prokudin-Gorsky,1908
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Sof'ja Andrèevna bussa a una porta immaginaria
per non disturbare il marito Lev Tolstoj mentre scrive.
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