Sfidando il lungo cammino del tempo sono giunte sino a noi storie, miti e leggende sulla nascita dell'universo. Gli antichi greci raccontano che all'inizio esisteva solo lo spazio cosmogonico vuoto e senza fine. Non esistevano le stelle. Non esisteva la terra. Non esisteva alcuna cosa del creato. ERA SOLO IL CAOS, senza forma, al di là del tempo e dello spazio.
All'improvviso dal Caos apparve Gea, la madre terra, principio di vita e madre degli uomini e della stirpe divina, prima realtà materiale della creazione. Dopo di lei apparvero Eros l'amore; il Tartaro luogo di punizione delle anime malvagie; l'Erebo la notte.
GEA GENERO' DA SOLA URANO il cielo (che feconda la terra con una pioggia benefica) con il quale si unì e dalla cui unione nacquero i dodici Titani, sei maschi (Oceano, Ceo, Crio, Iperione, Giapeto, Crono) e sei femmine (Tea, Rea, Temi, Teti, Febe, Mnemosine); i tre Ecatonchiri o Centimani, Briareo, Gia e Cotto mostri con cinquanta teste e cento braccia; i tre Ciclopi Bronte, Sterope ed Arge tutti con un solo occhio in mezzo alla fronte.
GEA GENERO' DA SOLA PONTO il mare con il quale si unì e dal quale ebbe Taumante che secondo alcuni fu padre delle Arpie; Forco, la personificazione del mare in tempesta; Ceto la personificazione delle insidie che si celano nel mare in tempesta ed Euribia personificazione della violenza tempestosa del mare .
In quel tempo Gea scelse Urano come sposo ed iniziò così il REGNO DI URANO, che assieme a Gea governavano il creato.
Urano, disgustato dall'aspetto mostruoso dei suoi figli, i Giganti, gli Ecatonchiri e i Ciclopi, e ossessionato dall'idea che potessero privarlo un giorno del dominio dell'universo, li fece sprofondare al centro della terra. Gea, triste e irata per la sorte che il suo sposo aveva destinato ai figli, decise di reagire. Costruì, all'insaputa di Urano, una falce con del ferro estratto dalle sue viscere e radunati i suoi figli, chiese a tutti di ribellarsi al padre. | Particolare di Giorgio Vasari, La mutilazione di Urano da parte di Crono (XVI secolo), Palazzo Vecchio, Firenze (Italia) |
Uno solo, il più giovane osò seguire il consiglio della madre, il titano Crono che armato dalla madre, si nascose nella Terra ed attese l'arrivo del padre. Era infatti abitudine di Urano, discendere la notte dal cielo per abbracciare la sua sposa nell'oscurità. Non appena Urano si presentò, Crono saltò fuori e con una mano immobilizzò il padre mentre con l'altra lo evirava con il falcetto.
Giorgio Vasari, La mutilazione di Urano da parte di Crono (XVI secolo), Palazzo Vecchio, Firenze (Italia)
Il sangue che sgorgava copioso dalla ferita fecondò Gea dalla quale nacquero le Erinni divinità infernali; le ninfe Meliadi (ninfe dei Frassini) protettrici delle greggi; i Giganti creature gigantesche dalla forza spaventosa, simbolo della forza bruta e della violenza sconvolgitrice della natura quali i terremoti e gli uragani. Dalla spuma delle onde creata dai genitali di Urano che cadevano nel mare, si generò Afrodite la dea dell'amore.
Urano, riuscì però a scappare lontano e da allora mai più si avvicinò alla terra, sua sposa.
Pieter Paul Rubens (1577 - 1640), Crono divora Poseidone, olio su tela, Museo del Prado, Madrid (Spagna) |
Nel frattempo, la grande opera della creazione continuava e numerose divinità apparivano:
- le Graie e le Gorgoni; - Thanatos la morte, Eris la discordia, Nemesi la vendetta, le Moire , il destino (tutti figli di Erebo, la notte); - Elios il sole, Selene la luna, Eos il mattino (tutti figli del Titano Iperione); - Iride l'arcobaleno ed altre ancora. Con Rea, Crono ebbe numerosi figli tra cui tre maschi Poseidone, Ade, Zeus, e tre femmine, Era, Demetra, Estia. Sotto il regno di Crono la terra conobbe l'età dell'oro ma la sua tranquillità fu minata da un triste vaticinio: gli fu infatti predetto che il suo regno avrebbe avuto fine per mano di uno dei suoi figli. Terrorizzato, per tentare di ingannare il destino iniziò a divorare i suoi figli non appena nascevano, tenendoli così prigionieri nelle sue viscere. |
Rea, disperata, subito dopo la nascita del suo ultimogenito Zeus, si recò da Crono e anziché presentargli il figlio, gli consegnò un masso avvolto nelle fasce che Crono ingoiò senza sospettare nulla.
Nel frattempo il piccolo Zeus era stato portato in una caverna del monte Ida nell'isola di Creta e affidato alle cure delle ninfe Melissa (o Ida) e Adrastea e secondo alcuni storiografi fu allattato dalla capra Amaltea mentre secondo Ovidio (Fasti, V, 115 e segg.) Amaltea era il nome della ninfa Amaltea che possedeva una capra che aveva due capretti la quale costituiva l'orgoglio del suo popolo per le superbe corna ricurve all'indietro e per le mammelle ricche di latte, degne di allattare il grande Zeus. | Rea che consegna a Crono una pietra al posto di Zeus |
Un giorno la capra si spezzò un corno urtando contro un albero perdendo metà della sua bellezza. Il corno fu raccolto da Amaltea che lo ricolmò di frutta ed erbe e lo donò a Zeus (1). Anche l'ape Panacride nutriva Zeus dandogli il miele ed un'aquila gli portava ogni giorno il nettare dell'immortalità. I suoi pianti erano coperti dai Cureti che battevano il ferro per impedire ad alcuno di sentire i suoi vagiti.
Zeus quando fu grande a sufficiente salì in cielo e con l'inganno fece bere a Crono una speciale bevande preparata da Metis che gli fece vomitare i figli che aveva divorato e dopo ciò dichiarò guerra al padre.
Ebbe così inizio una lunga guerra che durò dieci anni che vide da una parte Crono, al cui fianco si schierarono i Titani e dall'altra Zeus, al cui fianco c'erano tutti i suoi fratelli.
Entrambe le parti si battevano senza esclusione di colpi. La terra era devastata dai Titani che con la loro forza cambiavano i contorni della terra, distruggendo montagne scagliandole nell'Olimpo, il monte più alto della Grecia, dove Zeus ed i suoi fratelli avevano stabilito il proprio regno.
Ciclopi che lavorano nella fucina di Efesto - Rilievo antico |
La guerra sarebbe andata avanti ancora per parecchio tempo se Gea non fosse intervenuta per consigliare a Zeus di liberare i Ciclopi e stringere un'alleanza con loro. I Ciclopi, per ripagare Zeus di avergli reso la libertà fabbricarono per lui le armi che sarebbero entrate nella leggenda e con le quali avrebbe retto il suo regno dalla cima dell'Olimpo: le folgori.
Zeus liberò anche gli Ecatonchiri, che con le loro cento braccia iniziarono a scagliare una quantità infinita di massi contro gli alleati di Crono che assieme alle folgori scagliate da Zeus, decretarono la vittoria finale. |
Sulla sorte che Zeus fece fare al padre Crono ci sono diverse ipotesi. Secondo alcuni gli fu concesso di regnare nelle isole dei Beati, ai confini del mondo. Secondi altri, fu condotto a Tule e sprofondato in un magico sonno secondo altri ancora fu incatenato nelle più profonde viscere della terra.
Certa è invece la sorte che fu destinata ai Titani: furono incatenati nel Tartaro, e la loro custodia fu affidata agli Ecantonchiri.
Racconta Luciano nei Saturnali in un singolare dialogo tra Crono detronizzato e vecchio ed un suo sacerdote: " (…) Crono: Ti dirò. In prima essendo vecchio e perduto di podagra (e questo ha fatto creder al volgo che io ero incatenato) io non potevo bastare a contenere la gran malvagità che c'è ora: quel dover sempre correre su e giù, a brandire il fulmine, e folgorare gli spergiuri, i sacrileghi, i violenti, era una fatica grande e da giovane; onde con tutto il mio piacere la lasciai a Zeus. Ed ancora mi parve bene di dividere il mio regno tra i miei figlioli , ed io godermela zitto e quieto , senza aver rotto il capo da quelli che pregano e che spesso dimandano cose contrarie, senza dover mandare i tuoni, i lampi e talora i rovesci di grandine. E così da vecchio meno una vita tranquilla , fo buona cera, bevo del nettare più schietto, e mo un po' di conversazioncella con Giapeto e con altri dell'età mia; ed egli si ha il regno e le mille faccende. (…)"
Terminava così il regno di Crono, secondo sovrano della divina famiglia e aveva inizio quella di Zeus, terzo sovrano e suo figlio.
Scriveva Omero (Iliade, VIII, 3 e sgg.)
"Su l'alto Olimpo il folgorante Giove
Tenea consiglio. Ei parla e riverenti
stansi gli Eterni ad ascoltar: M'udite
Tutti ed abbiate il mio voler palese;
E nessuno di voi, nè Dio nè Diva,
Di frangere s'ardisca il mio decreto;
Ma tutti insieme il secondate ...
... degli Dei son io
Il più possente ... "
In realtà però, una nuova minaccia si affacciava all'orizzonte che avrebbe portato Zeus ad intraprende re un'ennesima lotta contro un temibile nemico: Tifone.
Zeus contro Tifone
Gea che non sopportava l'idea che i suoi figli, i Titani, fossero stati imprigionati nel Tartaro da Zeus, si recò in Cilicia, da suo figlio Tifone (o Tifeo) padre di tutti i venti funesti e dei mostri più terribili(1) che aveva generato dopo essersi unita al Tartaro, al quale chiese aiuto per muovere guerra contro Zeus.
Tifone, la cui statura non aveva eguali sulla terra in quanto non c'era monte che lo eguagliava in altezza e con le sue cento teste che sputavano fuoco e reso ancora più orribile dall'ira che lo animava, salì sull'Olimpo per battersi contro gli dei. La sorpresa e lo spavento fu tale che gli stessi dei, dopo essersi trasformati in animali (Apollo in corvo, Artemide in gatta, Afrodite in pesce, Ermes in cigno, ecc.), scapparono nel lontano Egitto lasciando da solo Zeus ad affrontarlo.
Il combattimento fu lungo. Zeus dapprima iniziò a scagliare le sue folgori, poi, mano mano che Tifone si avvicinava, lo colpì ripetutamente con la falce. Il mostro sembrava vinto ma quando Zeus si avvicinò per scagliare il colpo mortale, fu afferrato dalle gambe di Tifone ed immobilizzato. Tifone fu rapido a strappargli la falce con la quale gli recise i tendini delle mani e dei piedi.
Zeus era vinto.
Tifone decise quindi di nascondere Zeus in Cilicia, rinchiudendolo in una grotta chiamata Korykos (il "Korykos antron", che vuol dire "sacco di pelle") mentre i suoi tendini, deposti in una sacca di pelle d'orso, li affidò alla custodia della dragonessa Delfine, metà fanciulla e metà serpente.
Il suo destino sarebbe stato segnato se Ermes, figlio di Zeus, ripresosi dallo spavento decise di reagire. Rubò la sacca a Delfine e trovata la grotta dove era stato imprigionato il padre, lo liberò e lo curò rendendolo nuovamente forte e potente.
Zeus, iniziò allora una nuova aspra e dura lotta contro Tifone, che riuscì a sconfiggere scagliandogli addosso l'isola di Sicilia (secondo altri l'isola di Ischia) e ad imprigionarlo sotto il monte Etna, dove ancora giace. Narra la leggenda che le eruzioni del vulcano altro non sarebbero che le fiamme scagliate da Tifone per la rabbia di essere stato vinto.
Narra Ovidio nella Metamorfosi (V. 346-358): "(...) la vasta isola della Trinacria si accumula su membra gigantesche, e preme, schiacciando con la sua mole Tifeo, che osò sperare una dimora celeste. Spesse, invero, egli si sforza e lotta per rialzarsi, ma la sua mano destra è tenuta ferma dall'Ausonio Peloro, la sinistra da te, o Pachino; i piedi sono schiacciati dal (Capo) Lilibeo, l'Etna gli grava sul capo. Giacendo qui sotto, il feroce Tifeo getta rena dalla bocca e vomita fiamme. Spesso si affatica per scuotersi di dosso il peso della terra, e per rovesciare con il suo corpo le città e le grandi montagne. Perciò trema la terra, e lo stesso re del mondo del silenzio teme che il suolo si apra e si squarci con larghe voragini."
Dopo questa ennesima lotta sostenuta da Zeus, seguì un nuovo periodo di tranquillità. Gli dei fecero ritorno all'Olimpo dove Zeus aveva stabilito la loro dimora.
Ma una nuova minaccia si profilava all'orizzonte perchè Gea continuava a tramare contro Zeus.
Zeus contro i Giganti
Gea, si era recata infatti a Pallade, dove avevano dimora i Giganti, suoi figli generati con Urano. Ad essi chiese aiuto per muovere guerra contro Zeus. I Giganti, accosentendo alla richiesta della madre, forti anche della profezia secondo la quale nessun immortale sarebbe stato in grado di batterli, guidati da Porfirione, il più forte tra loro e da Alcioneo, si recarono nell'Olimpo e iniziarono quella che gli storici chiamarono GIGANTOMACHIA.
La profezia della loro invincibilità nei confronti degli immortali era nota anche a Zeus, pertanto lo stesso decise di far partecipare alla lotta, oltre a tutti gli dei, anche il mortale Eracle (noto anche come Ercole), suo figlio, generato assieme ad Alcmena .
Scena della Gigantomachia, vaso attico a figure rosse, Istituto Archeologico germanico, Roma (Italia) | Scena della Gigantomachia, vaso attico a figure rosse, Istituto Archeologico germanico, Roma (Italia) |
I Giganti, illustrazione di Gustave Doré (1832 -1883) |
Alla fine i terribili Giganti furono vinti e gli antichi per spiegare la causa dei terremoti, immaginavano i Giganti sprofondati nelle viscere della terra, schiacciati da montagne e isole ed i loro tentativi di liberarsi sarebbero la causa dei terremoti.
Zeus, signore degli dei e dell'Universo, riprese così a regnare dall'alto dell'Olimpo, come ci narrano le leggende tramandate dai nostri antichi. |
PAGINE 1- 2
Note(1) I figli di Tifone furono La Sfinge, Orto, Leone, Nemeo, Cerbero, l'Idra di Lerna e Chimera.
http://www.elicriso.it/it/mitologia_ambiente/nascita_mondo/
L'Eremita - Cronos.
La carta dell'Eremita è la lezione morale finale per il Matto nel suo viaggio archetipo nei Tarocchi Mitologici. E 'tempo per lui di imparare le lezioni del tempo, e di affrontare la propria mortalità. L'Eremita sorge a metà del cammino per la totalità del Sé, come indicato nella carta finale del Mondo. Nel mazzo dei Tarocchi Mitologici, la carta dell'Eremita è rappresentata da Cronos, un vecchio con la barba grigia, avvolto in vesti grigie con il volto seminascosto. Nella mano destra, egli porta una lampada che si illumina con una luce dorata che simboleggia l'intuizione e la guida che può venire dall'essere paziente, e nella mano sinistra tiene una falce che si presenta come la falce della luna, che simboleggia i cicli eterni del tempo. Un corvo appollaiato sulla sua spalla, come simbolo dello spirito del vecchio re che è morto, per far posto al nuovo ciclo. Dietro di lui, c'è una catena montuosa nebbiosa, fredda con un tetro, cielo grigio.
Nella mitologia greca, il dio Cronos, il cui nome significa tempo, era l'ultimo nato dagli dei greci, Urano e Gea. Poiché Urano si vergognava della sua progenie, aveva imprigionato tutti i suoi figli contro le proteste di Gea. Gea pregò allora il suo figlio ultimogenito, Cronos, di usare la sua falce per castrare il padre, e quindi liberare i suoi fratelli, e diventare sovrano della terra. Sotto il suo lungo regno, l'opera della creazione è stata completata. Come dio del tempo, ha governato il passaggio ordinato delle stagioni, la nascita e la crescita seguita dalla morte, la gestazione e la rinascita. Ma, come il padre, Urano, Cronos ha avuto anche paura di essere detronizzato da suo figlio, come poi è accaduto, Zeus, il più giovane dei suoi figli, che nella mitologia dopo aver rovesciato suo padre, ha inaugurato il regno degli dei dell'Olimpo.
Il migliore è indubbiamente colui che sa decidere da solo, ma buono è anche colui che sa ascoltare chi gli dà buoni consigli. Chi invece non sa né decidere da solo né ascoltare i buoni consigli è proprio un uomo da nulla.
Esiodo
Aristotele stesso (Met., 1, 4; 984 b, 29) dice che Esiodo fu probabilmente il primo a cercare un principio delle cose quando disse: «primissimo fu il caos, poi fu la terra dall'ampio seno... e l'amore che eccelle fra gli dèi immortali» (Teog., 116 sgg.).
D’altro racconto, se tu vorrai, narrerò i sommi capi,
bene e in virtù di sapienza –tu ponilo dentro il tuo cuore–
come nascessero insieme gli dèi e le genti mortali.
Aurea prima una stirpe di uomini nati a morire
fecero i numi immortali che hanno le case d’Olimpo.
Vissero al tempo di Crono, allorché sul cielo regnava;
ebbero vita di dèi, e l’animo immune da angosce,
privi d’infelicità, di travagli; vile vecchiaia
non li opprimeva, ma sempre di piede e di mano immutati,
nell’allegria s’allietavano, ignari di tutti i malanni;
poi, come vinti dal sonno, morivano; v’era per loro
ogni bontà: dava frutto la terra nutrice di biade,
spontaneamente, in gran copia e senza negarsi; essi, paghi,
placidi, colmi di tutte delizie, abitavano i campi,
[ricchi di greggi com’erano e cari ai beati, agli dèi.]
Ma sin da quando la loro genia la coperse la terra,
spiriti son divenuti –volere di Zeus, di quel grande–,
saggi, abitanti terreni, guardiani alle genti mortali,
che stanno a guardia del giusto agire e degli atti nefandi,
cinti di nebbia s’aggirano e scorrono ovunque la terra,
dànno ricchezza: anche questo ottennero, premio regale.
Dopo di quella, seconda, assai meno nobile stirpe
fecero, argentea, i numi che hanno dimore in Olimpo,
impari all’aurea sia nell’aspetto sia nell’ingegno.
E per cent’anni ogni figlio accanto alla degna sua madre
era allevato e cresceva in casa, da stolto fanciullo.
Come ciascuno cresceva, giungeva nel fiore degli anni,
tutti vivevano un tempo effimero, avendo dolori,
ma per stoltezza: non seppero, infatti, evitare fra loro
malvagità tracotante, e non vollero essere servi
degli immortali, e officiare agli altari sacri ai beati,
come nell’uso è pur giusto fra gli uomini. Ed ecco che infine
li subissò, incollerito, Zeus Crònide, ché di tributi
non omaggiavano i numi beati che sono in Olimpo.
E sin da quando anche questa genia la coperse la terra,
sono chiamati mortali che stanno sotterra beati,
i successivi, e però l’onore s’accorda anche a loro.
E il padre Zeus, terza stirpe di uomini nati a morire,
bronzea progenie, del tutto diversa da quella d’argento,
trasse, dai frassini, truce e violenta, a cui solo gesta
d’Ares dolenti piacevano, e oltraggi; e non certo di pane
s’alimentavano, avevano un animo fiero, adamante,
gli infaticabili: grande vigore, invincibili mani
da quelle membra possenti crescevano, sopra le spalle.
Erano bronzee le loro armature e bronzee le case,
e lavoravano il bronzo, ed il nero ferro non c’era.
Di propria mano costoro si uccisero gli uni con gli altri,
sì che la sordida casa raggiunsero di Ade crudele,
privi di gloria; e benché tremendi, alla fine li prese
nera la morte e lasciarono il fulgido raggio del sole.
Poi, non appena anche questa genia la coperse la terra,
ecco che il Cronide Zeus, su terra nutrice di vite,
ne creò allora una quarta, più giusta e ben più valorosa,
stirpe divina d’eroi, di quelli che sono chiamati
i semidei, la progenie degli avi, su terra infinita.
Tutti costoro la guerra tremenda e l’orribile mischia,
o nella terra cadmea, a Tebe, settemplice porta,
li trucidò, da poi che per le greggi d’Edipo in lizza
vennero, o a bordo di navi, oltre il vasto abisso del mare,
quando li inviarono a Troia per Elena bella di chiome.
Tutti costoro, in quel tempo, il fine di morte li avvolse,
vita e costumi diversi dagli uomini il Crònide padre,
Zeus, diede loro e li pose all’estremità della terra:
là, presso gorghi-d’abisso, Oceano, nelle beate
isole, tutti han dimora, e animo immune da angosce,
quei fortunati, gli eroi, a cui dà tre volte in un anno
florido frutto di miele, la terra nutrice di biade
[dagli immortali lontano, e su loro è Crono a regnare.
Già, ché in persona lo sciolse il padre di uomini e dèi;
ora per sempre fra quelli ha l’ onore che gli si addice.
Zeus nuova stirpe creò di uomini nati a morire,
quanti tuttora son vivi su terra nutrice di vite].
Ah, se soltanto non fossi io vissuto in mezzo alla quinta
stirpe d’umani, se fossi già morto o di là da venire!
Già, poiché ormai la semenza è ferrea; gli uomini mai
cessano infelicità, fatica, e di giorno e di notte,
nel macerarsi, e gli dèi infliggono cure angosciose;
anche per loro, comunque, si mescola bene con male.
Zeus disfarà questo seme di uomini nati a morire
quando la prole avrà già, nel nascere, tempie canute.
Né sarà simile il padre ai suoi figli, o i figli ai parenti,
l’ospite non sarà caro all’ospite come in passato,
e non l’amico all’amico e non il fratello al fratello.
Né ai genitori, per poco che invecchino, onore faranno;
anche li rampogneranno con dure parole, gridando,
folli, né occhio di dèi cureranno più, né sostegno
ai genitori offriranno, allorché saranno invecchiati:
per legge il pugno; e le proprie città spianeranno l’un l’altro.
Né gratitudine avrà, chi giura sincero, né il giusto,
né l’uomo buono, a chi opera infamie, all’oltraggio in persona,
tributeranno ogni ossequio: nel pugno il diritto; il pudore
non sarà più: farà danno ad uomo più nobile il vile,
e spanderà voci oblique, per esse farà giuramento.
Lieto del male, parola d’infamia, aborrito d’aspetto,
Zelo s’accompagnerà con gli uomini tutti, infelici.
Ecco che allora in Olimpo, fuggendo la terra, ampia via,
e ravvolgendo fra bianchi mantelli le candide membra,
si partiranno dagli uomini, andranno alle stirpi immortali,
sia Pudicizia sia Nèmesi; e agli uomini lugubri pene
poi rimarranno, ai mortali, né più s’avrà scampo dal male.
Esiodo, Opere e Giorni
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