«La malinconia te la portavi addosso come un profumo.»
Oriana Fallaci, Lettera a Pier Paolo Pasolini.
No, non scrivo più poesie da due o tre anni. Questo non me lo sarei mai aspettato. Ho cominciato a scrivere infatti a sette anni d’età, e ho scritto senza interruzione fino appunto a due o tre anni or sono. Perché non scrivo più? Perché ho perduto il destinatario. Non vedo con chi dialogare usando quella sincerità addirittura crudele che è tipica della poesia. Ho creduto per tanti anni che un destinatario delle mie «confessioni» e delle mie «testimonianze» esistesse. Mi sono dunque ora accorto che non esiste. Che con gli amici non c’è bisogno di esprimersi con la poesia: ci si esprime esistendo. Le proprie esagerazioni, i propri eccessi, le proprie idee si esprimono vivendo. La poesia richiede che ci sia una società (ossia un ideale destinatario) capace di dialogare con il povero poeta. In Italia una tale società non c’è. C´è un buon popolo ancora simpatico (specie là dove non arrivano i giornali e la televisione) e una piccola élite di borghesi colti e disperati. Ma una società con cui ci si possa mettere in rapporto attraverso la poesia non c’è. (Lo dico perché un poeta deve avere delle illusioni, ma quando le perde non deve illudersi di averle ancora.)
“Quasi un testamento”, pubblicato postumo su Gente il 17 novembre 1975
"Il rifiuto è sempre stato un gesto essenziale. I santi, gli eremiti, ma anche gli intellettuali, i pochi che hanno fatto la storia sono quelli che hanno detto di no, mica i cortigiani e gli assistenti dei cardinali. Il rifiuto per funzionare deve essere grande non piccolo, totale, non su questo o quel punto, “assurdo”, non di buon senso."
Oriana Fallaci, Lettera a Pier Paolo Pasolini.
No, non scrivo più poesie da due o tre anni. Questo non me lo sarei mai aspettato. Ho cominciato a scrivere infatti a sette anni d’età, e ho scritto senza interruzione fino appunto a due o tre anni or sono. Perché non scrivo più? Perché ho perduto il destinatario. Non vedo con chi dialogare usando quella sincerità addirittura crudele che è tipica della poesia. Ho creduto per tanti anni che un destinatario delle mie «confessioni» e delle mie «testimonianze» esistesse. Mi sono dunque ora accorto che non esiste. Che con gli amici non c’è bisogno di esprimersi con la poesia: ci si esprime esistendo. Le proprie esagerazioni, i propri eccessi, le proprie idee si esprimono vivendo. La poesia richiede che ci sia una società (ossia un ideale destinatario) capace di dialogare con il povero poeta. In Italia una tale società non c’è. C´è un buon popolo ancora simpatico (specie là dove non arrivano i giornali e la televisione) e una piccola élite di borghesi colti e disperati. Ma una società con cui ci si possa mettere in rapporto attraverso la poesia non c’è. (Lo dico perché un poeta deve avere delle illusioni, ma quando le perde non deve illudersi di averle ancora.)
“Quasi un testamento”, pubblicato postumo su Gente il 17 novembre 1975
"Il rifiuto è sempre stato un gesto essenziale. I santi, gli eremiti, ma anche gli intellettuali, i pochi che hanno fatto la storia sono quelli che hanno detto di no, mica i cortigiani e gli assistenti dei cardinali. Il rifiuto per funzionare deve essere grande non piccolo, totale, non su questo o quel punto, “assurdo”, non di buon senso."
Pier Paolo Pasolini
Tu doni,spargi doni, hai bisogno di donare, ma il tuo dono te l’ha dato Lui, come tutto; ed è Nulla il dono di Nessuno; io fingo di ricevere; ti ringrazio, sinceramente grato; Ma il debole sorriso sfuggente non è di timidezza; è lo sgomento, più terribile, ben più terribile di avere un corpo separato, nei regni dell’essere - se è una colpa se non è che un incidente: ma al posto dell’Altro per me c’è un vuoto nel cosmo un vuoto nel cosmo e da là tu canti.
Pier Paolo Pasolini, da “Timor di me”
L'indipendenza che è la mia forza, implica la solitudine che è la mia debolezza....
Pier Paolo Pasolini
Io avevo voglia di stare da solo, perché soltanto solo, sperduto, muto, a piedi, riesco a riconoscere le cose.
Pier Paolo Pasolini, “L’odore dell’India”
Solitudine
Bisogna essere molto forti per amare la solitudine
bisogna avere buone gambe e una resistenza fuori del comune
non si deve rischiare raffreddore, influenza o mal di gola
non si devono temere rapinatori o assassini
se tocca camminare per tutto il pomeriggio o magari per tutta la sera bisogna saperlo fare senza accorgersene
da sedersi non c’è
specie d’inverno
col vento che tira sull’erba bagnata,
non c’è proprio nessun conforto, su ciò non c’è dubbio,
oltre a quello di avere davanti tutto un giorno e una notte senza doveri o limiti di qualsiasi genere.
Il sesso è un pretesto.
Per quanti siano gli incontri
non sono che momenti della solitudine
più caldo e vivo è il corpo gentile che unge di seme e se ne va, più freddo e mortale è intorno il diletto deserto
è esso che riempie di gioia, come un vento miracoloso, non il sorriso innocente o la torbida prepotenza di chi poi se ne va
egli si porta dietro una giovinezza enormemente giovane
e in questo è disumano, perché non lascia tracce, o meglio, lascia una sola traccia che è sempre la stessa in tutte le stagioni.
Un ragazzo ai suoi primi amori altro non è che la fecondità del mondo.
E il mondo che così arriva con lui
appare e scompare, come una forma che muta.
Restano intatte tutte le cose, e tu potrai percorrere mezza città, non lo ritroverai più
l’atto è compiuto, la sua ripetizione è un rito.
Dunque la solitudine è ancora più grande se una folla intera attende il suo turno:
cresce infatti il numero delle sparizioni
- l’andarsene è fuggire -
e il seguente incombe sul presente come un dovere, un sacrificio da compiere alla voglia di morte.
Invecchiando, però, la stanchezza comincia a farsi sentire,
specie nel momento in cui è appena passata l’ora di cena, e per te non è mutato niente
allora per un soffio non urli o piangi
e ciò sarebbe enorme se non fosse appunto solo stanchezza, e forse un po’ di fame.
Enorme, perché vorrebbe dire che il tuo desiderio di solitudine non potrebbe esser più soddisfatto,
e allora cosa ti aspetta, se ciò che non è considerato solitudine è la solitudine vera, quella che non puoi accettare?
Non c’è cena o pranzo o soddisfazione del mondo,
che valga una camminata senza fine per le strade povere,
dove bisogna essere disgraziati e forti, fratelli dei cani.
Pier Paolo Pasolini
Pier Paolo Pasolini scrisse che “Bisogna essere molto forti per amare la solitudine.”
E lui invece era fragile come un vetro sottilissimo…
Ed infatti lui con la solitudine tracciava e scavava grandi trincee per cercare di allontanarsi da quella società consumista ed omologata che lui odiava e rifiutava. Quella solitudine che cercava con la sua rabbia, la sua indignazione , con le sue provocazioni, con lo scandalo,….
solitudine che gli era indispensabile per la sua molteplice attività creativa.
Quella di Pasolini era una solitudine accompagnata da una ricerca spasmodica, a tappe forzate, della morte, inconsciamente vista, forse, come liberazione e redenzione. Da parte di un uomo e di un artista che troppo in fretta sbranò la sua la vita, vissuta nel triste sodalizio fra l’angoscia e la disperazione dell’intellettuale che troppo presto aveva capito dove sarebbe finita la società, anche quella parte che lui riteneva più sana ed incontaminata.
La sua fu una solitudine disperata, cercata quasi per rabbia, visto che per primo fu lui ad esser lasciato solo... Solo da tutti, dagli altri intellettuali dell'epoca, dai compagni comunisti, dagli ipocriti benpensanti, da tutti i politici... Ci fu perfino un periodo di allontanamento da parte della madre, che adorava, ai tempi delle prime denunce per rapporti omosessuali.
Fu sempre molto solo, molto lucido, molto fragile, e disperato.
Lo amo moltissimo, questo nostro Genio visionario ed infelice!
Vorrei che fosse ricordato, qualche volta!!! .. Anzi, spesso.. Ma è sempre stato troppo scomodo a TUTTI.
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