Spezzare gli schemi della dipendenza affettiva [prima parte]
Filed under (psicologia) by Enrico Maria Secci on 23-02-2015
Le dipendenze resistono al cambiamento perché garantiscono vantaggi secondari a chi ne soffre (alleviano temporaneamente il disagio e la sofferenza che provocano), si innestano e si ramificano profondamente nel quotidiano, sino a diventare elementi centrali dell’esistenza. In particolare, le dipendenze relazionali e affettive si distinguono dalle altre per il fatto che si strutturano dentro sistemi “interattivi”: sono l’unico caso in cui “la droga” ha gambe per inseguire chi cerca di mettere fine al dolore, braccia per richiamare nel vortice, parole per riacchiappare chi scappa.
Un fatto contro-intuitivo ma frequentissimo è che, anche quando il rapporto è gravemente deteriorato e il “carnefice” respinge apertamente il suo omologo dipendente, finisce per cercarlo non appena avverte che si allontana. Può accadere subito, oppure dopo mesi o anni, ma si verifica quasi regolarmente e ciò rende difficile il distacco completo, a meno che gli schemi psicologici, emotivi, cognitivi e comportamentali dell’individuo dipendente non siano profondamente e drasticamente mutati.
Per spezzare gli schemi della dipendenza affettiva occorre per prima cosa abbandonare la logica e mettere da parte il buon senso comune. Lo dimostra il fatto che chi vive una storia di mal d’amore a livello razionale comprende perfettamente l’assurdità e la patologia del proprio attaccamento e, malgrado ciò, è incapace di uscirne. Inoltre, la tendenza a parlare con gli amici del proprio problema circonda il dipendente affettivo di consiglieri che lo esortano a cambiare facendo leva proprio sulla logica senza ottenere altro risultato che aggravare il suo senso di inadeguatezza e di disperazione.
Nella palude del mal d’amore, dove ogni vicenda è diversa e irripetibile, è difficile individuare strategie universali per svincolarsi. Tuttavia, quattro accorgimenti possono rivelarsi utili allo scopo:
1) assumersi la responsabilità della dipendenza relazionale;
2) riconoscere gli schemi dell’altro;
3) recuperare l’autostima: cambiare il linguaggio;
4) attenersi al principio di reciprocità.
Assumersi la responsabilità della dipendenza relazionale
Per uscire da una dipendenza affettiva è importante capire che solo chi la patisce ha il potere di farlo e non può contare in alcun modo sull’aiuto del partner. Giungere a questa consapevolezza è già un passo verso la liberazione: l’altro non ci lascerà liberi, a meno che non affermiamo con forza e determinazione il nostro bisogno di amare davvero e di essere riamati. La “vittima” del mal d’amore ha in genere una percezione completamente diversa, quella di essere un ostaggio, di vivere soggiogata dalle mosse del partner, anche quando tace o si inalbera per lunghi periodi. Questa idea ostacola la decisione di interrompere il rapporto e, allo stesso tempo, alimenta la speranza vana che prima o poi le cose miglioreranno.
Molte storie di dipendenza si trascinano in sequenze interminabili di “chiarimenti”, scadenze mai rispettate, riconciliazioni temporanee e accordi di pseudo-amicizia che da un punto di vista razionale dovrebbero alleviare il dolore della separazione, ma sul piano emotivo rappresentano stratagemmi per evitare il distacco.
Se una relazione procura sofferenza, occorre riconoscere che il problema viene alimentato, a livello per lo più inconsapevole, quotidianamente e continuamente. Telefonate, lettere, sms, profili facebook sono in molti casi il motore della dipendenza, perché veicolano messaggi facilmente fraintendibili, messaggi che mantengono l’ambiguità affettiva e la speranza utopistica di realizzare, prima o poi, una relazione d’amore equilibrato e funzionale.
E’ certo una considerazione banale, ma cruciale: per interrompere la dipendenza bisogna astenersi dalla comunicazione e stare a vedere cosa succede. Proprio come accade quando ci si disintossica da sostanze, dopo un periodo di sospensione dei contatti col partner, si comincia a state meglio e a vederci più chiaro. Soprattutto, si sente che il distacco non solo è possibile, ma è necessario.
Questo primo snodo dipende dalla capacità di riconoscere le proprie responsabilità nel mantenimento del problema e, allo stesso tempo, dall’esigenza di smettere di convogliare per intero la propria attenzione sull’altro allo scopo di compiacerlo per facilitare un cambiamento che non avverrà. Prendersi responsabilità vuol dire ricostruire la storia che si sta vivendo e identificare con chiarezza le volte in cui si è stati incongruenti e dissonanti con la propria intuizione. Si scopre così che la dipendenza affettiva non è che un grande auto-inganno reiterato sino all’esasperazione con l’obiettivo di realizzare a tutti i costi “un modello amoroso interiorizzato”, un’utopia, e di farlo a prescindere dalle qualità dell’altro e dal suo contributo alla relazione.
Un elemento che mi colpisce nelle storie dei miei pazienti è che sin dalla prima conoscenza la gran parte di loro non provava alcun interesse verso la persona che poi è diventata ossessione. “Non mi piaceva proprio”, “Sentivo che non era il mio tipo”, ho sentito centinaia di volte queste parole come fossero scritte nel copione del mal d’amore. E il copione comincia con la decisione di investire sulla storia, sebbene l’intuizione suggerisse da subito l’esatto contrario. Ipotizzo che, al di là dell’apparenza emotivamente sconsolante e del grado di instabilità esistenziale che procura, il mal d’amore sia in realtà provocato e mantenuto dalla ragione e non dal cuore o, per meglio dire, dipenda dalla scissura che si produce progressivamente tra razionalità ed emotività. Si vuole credere (parte razionale) di amare perché se ne ha bisogno e, in virtù di questo bisogno (parte emotiva) si intraprende la storia; poiché si investe sentimentalmente, per un principio di coerenza cognitiva, ci si convince gradualmente di essere innamorati e di amare, illusione che aumenta mano a mano che l’altro frustra le nostre aspettative. Sempre per un principio di coerenza cognitiva, a fronte dei comportamenti improvvisamente incostanti del partner – che appaiono illogici – il dipendente affettivo costruisce un castello di sabbia fatto di razionalizzazioni finalizzate a proteggere e rinforzare l’utopia. Gli indizi più evidenti di tali razionalizzazioni sono il tentativo di giustificare le mancanze del partner, rivolgendo contro di sé ogni responsabilità sulla deriva del rapporto.
Assumersi la responsabilità della dipendenza significa acquisire un nuovo sguardo sulla vicenda “amorosa” e riconoscere il ruolo dei nostri comportamenti, pensieri ed emozioni nel tenere in piedi qualcosa che non regge e che, soprattutto, non è amore ma dipendenza.
Enrico Maria Secci, Blog Therapy
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CONTINUA NEI PROSSIMI GIORNI
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Per approfondimenti:
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