Il mondo alla rovescia del Carnevale.
Il Carnevale trova le sue origini nell’antica Roma con la festa dei Saturnali, le feste in onore del dio Saturno, che insieme ad altre divinità come Fauno, Giano e Opi, fu considerato signore dell’agricoltura, delle messi e della pastorizia (non si deve dimenticare che i Romani, prima di diventare un grande popolo conquistatori, furono pastori e agricoltori).
I Saturnali si svolgevano dopo la metà di dicembre e duravano sette giorni, di cui solo il primo aveva carattere religioso. Durante i Saturnali si svolgevano banchetti e feste sfrenate, ci si scambiavano doni augurali e le distanze sociali erano cancellate: gli schiavi potevano agire da uomini liberi; i padroni servivano gli schiavi; gli uomini si vestivano da donna e le donne da uomini; i poveri si addobbavano come re; principi, signori e tutti nascondevano la propria identità sotto una maschera.
Questo “mondo alla rovescia” lo ritroviamo anche durante i festeggiamenti del Carnevale nel Medioevo.
Nel Medioevo i festeggiamenti del Carnevale, con i suoi divertimenti, le azioni e i riti comici, occupavano per giorni interi le piazze e le strade. Nessuna festa aveva luogo senza che vi mancassero elementi dell’organizzazione comica come, per esempio, l’elezione di re e regine «per burla». Nel Medioevo il periodo consacrato al Carnevale venne spostato da dicembre a febbraio, in modo che la Chiesa potesse collegarli con la Quaresima (i quaranta giorni che precedono la Pasqua). Il clero, infatti, riteneva necessario rallegrare gli animi prima della tristezza del periodo quaresimale.
I giullari e i clerici vagantes (gli studenti che passavano da una sede universitaria a un’altra) incoraggiavano il popolo, continuamente oppresso dal potere e dalle guerre, a esprimere, attraverso la parodia, il rovesciamento dei valori correnti, della serietà e autorità del potere politico e religioso e delle sue leggi: si affermava allora un “mondo alla rovescia” che sosteneva le ragioni materiali e corporali contro quelle spirituali dominanti e che influenzerà la letteratura «carnevalesca» di Boccaccio.
Anche le feste religiose dunque avevano un loro aspetto comico, pubblico e popolare, consacrato dalla tradizione. Così nelle Chiese avvenivano rappresentazioni buffonesche del “mondo alla rovescia”. Vi partecipavano gli stessi religiosi, che si abbandonavano a esibizioni con travestimenti ed altre trovate.
Anche le cerimonie e i riti civili della vita di ogni giorno (proclamazione dei nomi dei vincitori di un torneo, cerimonie per la concessione di diritti feudali, vestizione di cavalieri, ecc.) vedeva la partecipazione di buffoni e stolti, che parodiavano tutti i momenti del cerimoniale serio.
Il Carnevale era dunque il trionfo di una sorta di liberazione temporanea dalla verità dominante e dal regime esistente, l’abolizione provvisoria di tutti i rapporti gerarchici, dei privilegi, delle regole e dei tabù.
Durante le feste ufficiali, infatti, le differenze gerarchiche erano mostrate in modo evidente: in esse bisognava apparire con tutte le insegne del proprio titolo, grado e stato, e occupare il posto assegnato al proprio rango. L’ineguaglianza era sacra. Al contrario nel Carnevale tutti erano considerati uguali, e nella piazza carnevalesca regnava la forma particolare del contatto familiare e libero fra le persone, separate nella vita normale dalle barriere insormontabili della loro condizione, dei loro beni, del loro lavoro, della loro età e della loro situazione familiare.
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