Mi è accaduto durante le passeggiate solitarie per i boschi che circondano Baarn di fermarmi di colpo sui miei passi, colto da una sensazione allarmante, irreale e allo stesso tempo deliziosa: mi trovavo faccia a faccia con l’inspiegabile. Quell'albero davanti a me, come oggetto, come parte dei boschi, può non essere sorprendente. La distanza, lo spazio, che è tra di noi sembra, comunque, improvvisamente enigmatica. Non conosciamo lo spazio. Non lo vediamo, non lo ascoltiamo, non lo sentiamo. Siamo in mezzo a esso, ne facciamo parte, ma non ne sappiamo nulla. Posso misurare la distanza tra me e un albero, ma quando dico “tre metri”, quel numero non svela in alcun modo il mistero. Vedo solo frontiere, segni; non vedo lo spazio vero e proprio. Il vento che soffia sul mio viso pungendomi la pelle, non è spazio. Quando tengo un oggetto tra le mani, non sento l’oggetto spaziale in sé. Lo spazio resta impenetrabile, un miracolo.
Maurits Cornelis Escher, Esplorando l'infinito
“…con le mie stampe, cerco di testimoniare che viviamo in un mondo bello e ordinato e non in un caos senza forma, come sembra talvolta. I miei soggetti sono spesso anche giocosi: non posso esimermi dallo scherzare con le nostre inconfutabili certezze. Per esempio, è assai piacevole mescolare sapientemente la bidimensionalità con la tridimensionalità, la superficie piana con lo spazio, e divertirsi con la gravità… E’ piacevole osservare che parecchie persone sembrano gradire questo tipo di giocosità, senza paura di cambiare opinione su realtà solide come rocce.”
Maurits Cornelis Escher
Ed ecco quindi le prime ricerche testimoniate da opere come Ex libris (1922), Scarabei (1935); le grafiche suggestionate dai paesaggi italiani Tropea, Santa Severina (1931) dove Escher struttura lo spazio; Metamorfosi II (1940) una delle più lunghe xilografie a quattro colori mai realizzate per narrare una storia per immagini, in cui una scena conduce a quella successiva attraverso una sottile e graduale mutazione delle forme; le figure impossibili di Su e giù (1947) e di Belvedere (1958); le straordinarie tensioni dinamiche tra figura e sfondo nei fogli come Pesce (1963).
Accanto alle sue celebri incisioni – in mostra capolavori assoluti come Tre sfere I (1945), Mani che disegnano (1948), Relatività (1953), Convesso e concavo (1955), Nastro di Möbius II (1963) – saranno presentati anche numerosi disegni, documenti, filmati e interviste all’artista che mirano a sottolineare il ruolo di primo piano che egli ha svolto nel panorama storico artistico sia del suo tempo che successivo. [...]
La mostra è inoltre concepita come uno strumento e una “macchina didattica” che consente di entrare “dentro” la creatività di questo singolarissimo artista. Suggestive installazioni immergeranno dunque il visitatore nel magico modo di Escher. E’ evidente, e molto indagato, il rapporto che Escher ebbe con “il mondo dei numeri” – intendendo per tale quello della geometria (euclidea e non) e della matematica. Non meno intrigante è la sua ricerca su spazio reale e spazio virtuale, ovvero sul come “ingannare la prospettiva”. Infine, ma non ultima, la conoscenza che Escher dimostra delle leggi della percezione visiva messe in luce dalle ricerche della Gestalt. [...]
Maurits Cornelis Escher nacque il 17 giugno 1898 a Leeuwarden ma crebbe nella città di Arnhem con quattro fratelli. Mauk, come venne soprannominato, prese da ragazzo lezioni di carpenteria e sebbene non fosse particolarmente brillante in matematica e scienze, assimilò dal padre ingegnere l’approccio metodologico dello scienziato. Una delle sue materie preferite fu subito il disegno al quale si dedicò durante gli studi alla Scuola di Architettura e Arti Decorative di Haarlem. Fu l’incontro con de Mesquita a stimolare in Escher l’interesse per la tecnica xilografica e le sue possibili sperimentazioni nella resa di effetti chiaroscurali e pittorici di grande raffinatezza. Al 1922 risale la sua visita a Firenze (primo di una serie di viaggi tra la Toscana e il sud d’Italia) e a Granada (dove visitò lo splendido palazzo di Alhambra) dai quali colse dettagli architettonici, decorativi e particolari inusuali che gli avrebbero fornito spunti per le sue composizioni. Nel 1935 si trasferì in Svizzera. E’ a partire dal 1937 che si osserva un profondo cambiamento: perde l’interesse per il mondo visibile, per la natura e l’architettura concentrandosi sulle proprie “visioni interiori” e realizzando un corpus significativo di straordinari giochi ottici, prospettive invertite, paesaggi illusionistici tra i più famosi. Trasferitosi nel 1941 con tutta la sua famiglia in Olanda continuò a lavorare intensamente fondendo le molteplici fonti di ispirazione che traeva dai suoi interessi (psicologia, matematica, poesia, fantascienza). Morì a Laren nel 1972.
Nessun commento:
Posta un commento