“La collisione fra le nostre facoltà razionali e la fede organizzata, per quanto dovesse già essersi verificata nell’intimo di molti, ha la sua probabile scena originaria nel processo di Socrate del 399 a.C. non ha alcuna importanza, a mio parere, che neppure si sappia con certezza se Socrate sia esistito davvero. Le testimonianza circa la sua vita e le sue parole sono di seconda mano, quasi (ma non esattamente) come i libri della Bibbia ebraica e cristiana e i hadith dell’islam. La filosofia, in ogni caso, non ha bisogno di tali prove, dato che il suo terreno non è quello della sapienza «rivelata». Tuttavia, qualche plausibile elemento della vita di Socrate lo conosciamo (era un soldato coraggioso che può ricordare nell’aspetto Švejk; aveva una moglie megera; era afflitto da attacchi di catalessi) e tanto basta. Dalle parole di Platone, il quale se non altro fu un testimone oculare, sappiamo che in un periodo di paranoia e tirannia ad Atene Socrate venne accusato di empietà, con la pena che ne conseguiva. Come emerge dalle nobili parole dell’<Apologia>, egli non cercò di salvarsi la vita dichiarando cose in cui non credeva, come faranno piú tardi altri uomini di fronte all’Inquisizione. Sebbene non fosse un ateo in senso stretto, lo si reputava piuttosto appropriatamente un folle per la sua vocazione al libero pensiero e perché non accettava limiti alla ricerca rifiutando ogni dogma. Egli affermava che tutto ciò che «sapeva» era l’ampiezza della sua ignoranza (e questo, per me, è tuttora il crisma di una persona istruita). Secondo Platone, il grande ateniese amava osservare riti e consuetudini della città, affermava che era stato l’oracolo di Delfi a ordinargli di diventare filosofo, e sul letto di morte, condannato a bere la cicuta, parlò di una possibile vita nell’aldilà, nella quale coloro che si erano disfatti del mondo attraverso l’esercizio della mente potevano continuare a condurre una vita puramente intellettuale. Ma anche in quel momento egli non mancò di distinguersi aggiungendo che poteva non essere cosí. La questione, come sempre, merita di essere indagata. La ricerca filosofica comincia là dove finisce la religione, proprio come, per similitudine, la chimica e l’astronomia iniziano quando vengono meno l’alchimia e l’astrologia.”
CHRISTOPHER HITCHENS (1949 – 2011), “Dio non è grande. Come la religione avvelena ogni cosa”, trad. di Mario Marchetti, Einaudi, Torino 2007, Capitolo diciottesimo ‘Una tradizione piú bella: la resistenza della razionalità’, pp. 244 – 245.
“ The original collision between our reasoning faculties and any form of organized faith, though it must have occurred before in the minds of many, is probably exemplified in the trial of Socrates in 399 BC. It does not matter at all to me that we have no absolute certainty that Socrates even existed. The records of his life and his words are secondhand, almost but not quite as much as are the books of the Jewish and Christian Bible and the hadiths of Islam. Philosophy, however, has no need of such demonstrations, because it does not deal in «revealed» wisdom. As it happens, we have some plausible accounts of the life in question (a stoic soldier somewhat resembling Schweik in appearance; a shrewish wife; a tendency to attacks of catalepsy), and these will do. On the word of Plato, who was perhaps an eyewitness, we may accept that during a time of paranoia and tyranny in Athens, Socrates was indicted for godlessness and knew his life to be forfeit.
The noble words of the Apology also make it plain that he did not care to save himself by affirming, like a later man faced with an inquisition, anything that he did not believe. Even though he was not in fact an atheist, he was quite correctly considered unsound for his advocacy of free thought and unrestricted inquiry, and his refusal to give assent to any dogma. All he really «knew,» he said, was the extent of his own ignorance. (This to me is still the definition of an educated person.) According to Plato, this great Athenian was quite content to observe the customary rites of the city, testified that the Delphic oracle had instructed him to become a philosopher, and on his deathbed, condemned to swallow the hemlock, spoke of a possible afterlife in which those who had thrown off the world by mental exercise might yet continue to lead an existence of pure mind. But even then, he remembered as always to qualify himself by adding that this might well not be the case. The question, as always, was worth pursuing. Philosophy begins where religion ends, just as by analogy chemistry begins where alchemy runs out, and astronomy takes the place of astrology.”
CHRISTOPHER HITCHENS, “God is not Great. How Religion Poisons Everything”, Twelve, New York 2007, Chapter Eighteen ‘A Finer Tradition: The Resistance of the Rational’, pp. 255 – 256.
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