Kintsugi: le cicatrici d’oro.
La vita consta non soltanto d’integrità, ma anche di rottura e, come tale, va accolta…
E’ capitato a tutti: un fatale momento di distrazione, e l’oggetto in ceramica a cui teniamo tanto cade rovinosamente a terra, rompendosi.
Stupore, incredulità, ira e dispiacere ci attanagliano nei concitati istanti successivi alla caduta, decorsi i quali ci rassegniamo a raccogliere i cocci e ad accomodarli nella spazzatura, seppure a malincuore, o a conservarli racchiusi in una scatola; l’idea di provare a ricomporre il manufatto magari ci sfiora, ma di norma la lasciamo volare via, per pigrizia o per lo scarso valore economico dell’oggetto o semplicemente in quanto fermamente convinti che “un vaso rotto non potrà mai tornare come prima”.
Questo è quello che accade, in genere, in Occidente:
in Oriente, o, per essere più precisi, in parte di esso, le cose vanno molto diversamente.
In Giappone, quando un oggetto in ceramica (di norma il vasellame) si rompe, lo si ripara con l’oro, poiché si è convinti che un “vaso rotto possa divenire ancora più bello di quanto già non lo fosse in origine”.
Tale tecnica di riparazione prende il nome di Kintsugi o Kintsukuroi (letteralmente, “riparare con l’oro”), e consiste nell’incollare i frammenti dell’oggetto rotto con una lacca giallo rossastra naturale e nello spolverare le crepe che attraversano l’opera ricomposta con della polvere d’oro (più raramente d’argento o di rame). Il risultato è strabiliante: il manufatto è striato d’oro, percorso da linee che lo rendono nuovo, diverso, bellissimo. La casualità determinata dalla rottura, rende gli oggetti redivivi grazie al kintsugi tutti differenti fra loro e dunque unici, oltre che pregevoli per via del metallo prezioso che li decora.
Ricorrere al Kintsugi richiede, come facilmente immaginabile, “tempo e denaro”: per rientrare in possesso del manufatto bisogna attendere circa due o tre mesi e la spesa da sostenere si aggira intorno ai 150 €.
La circostanza che il Kintsugi non costituisca una pratica alla portata di tutti, appare, tuttavia, del tutto secondaria: a contare, infatti, non è tanto la possibilità di riparare un oggetto accrescendone la bellezza e il pregio, quanto la filosofia che ne è alla base, secondo la quale la vita consta non soltanto d’integrità, ma anche di rottura e, come tale, va accolta.
Il dolore, per i giapponesi, non incarna un sentimento vergognoso, da estirpare o da occultare, così come l’imperfezione estetica non rappresenta un elemento capace di rovinare l’armonia di una figura; le crepe dell’oggetto rotto non vanno nascoste né mimetizzate ma valorizzate, esattamente come le cicatrici, i difetti fisici e le ferite dell’anima non vanno celate ma esibite senza imbarazzo, essendo le stesse parte dell’uomo e della sua storia.
Una filosofia assai distante da quella tipica delle società occidentali, nelle quali il valore affettivo è sempre più spesso sacrificato a quello materiale, la sofferenza è considerata un sentimento sterile, anziché un moto dell’anima grazie al quale ciascuno ha la possibilità di comprendere più a fondo se stesso e di reinventarsi ridisegnando la propria esistenza, e i difetti fisici sono drammatizzati e camuffati in nome dell’aderenza al modello di perfezione estetica irraggiungibile proposto dai mezzi di comunicazione, invece che valorizzati in quanto elementi di fascino e di unicità.
Il Kintsugi, attraverso, l’arte, ci dimostra che da una ferita risanata, dalla lenta riparazione conseguente a una rottura, può rinascere una forma di bellezza e di perfezione superiore, lasciandoci così intendere che i segni impressi dalla vita sulla nostra pelle e nella nostra mente hanno un valore e un significato, e che è da essi, dalla loro accettazione, dalla loro rimarginazione, che prendono il via i processi di rigenerazione e di rinascita interiore che ci rendono delle persone nuove e risolte.
D’altronde, anche le perle nascono dal dolore, dalla sofferenza di un’ostrica ferita da un predatore: altro non è, una perla, che una ferita cicatrizzata.
Dalila Giglio
https://www.ilquorum.it/kintsugi-le-cicatrici-doro/
Metafora e tecnica del kintsugi: l’arte delle preziose cicatrici.
Rompendosi, la ceramica prende nuova vita attraverso le linee di frattura all’oggetto, che diventa ancora più pregiato. Grazie alle sue cicatrici. L’arte di abbracciare il danno, di non vergognarsi delle ferite, è la delicata lezione simbolica suggerita dall’antica arte giapponese del kintsugi.
Quando una ciotola, una teiera o un vaso prezioso cadono frantumandosi in mille cocci, noi li buttiamo con rabbia e dispiacere. Eppure c’è un’alternativa, una pratica giapponese che fa l’esatto opposto: evidenzia le fratture, le impreziosisce e aggiunge valore all’oggetto rotto.
Si chiama kintsugi (金継ぎ), o kintsukuroi (金繕い), letteralmente oro (“kin”) e riunire, riparare, ricongiunzione (“tsugi”).
Quest’arte giapponese prescrive l’uso di un metallo prezioso – che può essere oro o argento liquido o lacca con polvere d’oro – per riunire i pezzi di un oggetto di ceramica rotto, esaltando le nuove nervature create. La tecnica consiste nel riunirne i frammenti dandogli un aspetto nuovo attraverso le cicatrici impreziosite. Ogni pezzo riparato diviene unico e irripetibile, per via della casualità con cui la ceramica si frantuma e delle irregolari, ramificate decorazioni che si formano e che vengono esaltate dal metallo.
Così le cicatrici diventano bellezza da esibire
Con questa tecnica si creano vere e proprie opere d’arte, sempre diverse, ognuna con la propria trama da raccontare, ognuna con la propria bellezza da esibire, questo proprio grazie all’unicità delle crepe che si creano quando l’oggetto si rompe, come fossero le ferite che lasciano tracce diverse su ognuno di noi.
La nascita della tecnica kintsugi e il suo significato:
Tradizionalmente, il collante usato è la lacca urushi, che si ricava da millenni dalla pianta Rhus verniciflua. I cinesi la utilizzavano da millenni e in Giappone, nella Tomba Shimahama nella Prefettura di Fukui, sono stati rinvenuti oggetti laccati come pettini e vassoi, usati nel periodo Jomon circa 5.000 anni fa. Inizialmente questa linfa appiccicosa era utilizzata, per le sua qualità adesive, nella realizzazione di armi da guerra e da caccia.
La tecnica kintsugi potrebbe essere stata inventata intorno al XV secolo, quando Ashikaga Yoshimasa, ottavo shogun dello shogunato Ashikaga, dopo aver rotto la propria tazza di tè preferita la inviò in Cina per farla riparare. Purtroppo le riparazioni all’epoca avvenivano con legature metalliche poco estetiche e poco funzionali. La tazza sembrava perduta, ma il suo proprietario decise di ritentare la riparazione affidandola ad alcuni artigiani giapponesi, i quali sorpresi dalla tenacia dello shogun nel riavere la sua amata tazza, decisero di provare a trasformarla in gioiello riempiendo le crepe con resina laccata e polvere d’oro.
La leggenda è plausibile perché situa la nascita del kintsugi in un periodo molto fecondo, per l’arte, in Giappone. Durante il governo di Yoshimasa si assistette allo sviluppo dell’Higashiyama bunka, un movimento culturale fortemente influenzato dal buddhismo Zen e che diede origine alla cerimonia del tè (anche Sado o via del tè), all’ikebana o (anche Kado, via dei fiori), al teatro No, alla pittura con inchiostro cinese.
Ancora oggi, per riparare i pezzi più grandi e pregiati con la tecnica kintsugi, dati i diversi passaggi necessari e il tempo di essiccazione, può occorrere fino a un mese.
Quanti messaggi belli, ci dà il il kintsugi.
Il kintsugi suggerisce paralleli suggestivi. Non si deve buttare ciò che si rompe.
La rottura di un oggetto non ne rappresenta più la fine. Le sue fratture diventano trame preziose.
Si deve tentare di recuperare, e nel farlo ci si guadagna. È l’essenza della resilienza.
Nella vita di ognuno di noi, forse, si deve cercare il modo di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di crescere attraverso le proprie esperienze dolorose, di valorizzarle, esibirle e convincersi che sono proprio queste che rendono ogni persona unica, preziosa.
https://www.lifegate.it/persone/stile-di-vita/kintsugi-larte-delle-preziose-cicatrici
NETSUKE' (netsuke da ne, "legna", e tsuke, "bottone")
<< Antico portafortuna dei samurai giapponesi anche se mezzo millennio prima dell'introduzione in Giappone, i cinesi avevano già i netsuke. Una "coperta" dotata di poteri magici e terapeutici, un po' amuleto e un po' medicina: la scelta di certi legni, per esempio, era determinata dalle virtù curative e salutari che venivano attribuite ai materiali; la scelta di alcuni soggetti era determinata dal loro significato fausto e augurale.>>
"Prendi un piatto e tiralo per terra!"
"Fatto!"
'Si è rotto?"
'Si"
"Bene ora chiedigli scusa.." 'Scusa!'
"È tornato come prima?" "No"
'Ora capisci?"
-Prendi un piatto e gettalo per terra
-Fatto.
-Si è rotto?
-No, è di plastica.
le scuse non servono a riparare i danni... ma a far capire che non sono stati danni causati con intenzione, e che si è pentiti.. o almeno dovrebbe essere così...
LA LEGGENDA DEI CHIODI NEL MURO
C'era una volta un ragazzo con un bruttissimo carattere.
Suo padre gli diede un sacchetto di chiodi e gli disse di piantarne uno sul muro del giardino ogni volta che avrebbe perso la pazienza e avrebbe litigato con qualcuno.
Il primo giorno ne piantò 37 nel muro.
Le settimane successive, imparò a controllarsi, ed il numero di chiodi piantati diminuì giorno dopo giorno: aveva scoperto che era più facile controllarsi che piantare chiodi.
Infine, arrivò un giorno in cui il ragazzo non piantò nessun chiodo sul muro.
Allora andò da suo padre e gli disse che quel giorno non aveva piantato nessun chiodo.
Suo padre gli disse allora di togliere un chiodo dal muro per ogni giorno in cui non avesse mai perso la pazienza.
I giorni passarono e infine il giovane poté dire a suo padre che aveva levato tutti i chiodi dal muro. Il padre condusse il figlio davanti al muro e gli disse : " Figlio mio, ti sei comportato bene, ma guarda tutti i buchi che ci sono sul muro. Non sarà mai come prima. Quando litighi con qualcuno e gli dici qualcosa di cattivo, gli lasci una ferita come questa. Puoi piantare un coltello in un uomo e poi tirarglielo via, ma gli resterà sempre una ferita. Poco importa quante volte ti scuserai, la ferita resterà.
Una ferita verbale fa male tanto quanto una fisica".
i giapponesi però insegnano a provare a riempire le crepe con l'oro....
in questo modo è anche meglio di prima che si rompesse no?
Quando i giapponesi riparano un oggetto rotto, valorizzano la crepa riempiendo la spaccatura con dell'oro. Essi credono che quando qualcosa ha subito una ferita ed ha una storia, diventa più bello. Questa tecnica è chiamata Kintsugi .......
Rendere belle e preziose le "persone" che hanno sofferto......questa tecnica si chiama amore.
Il dolore è parte della vita. A volte è una parte grande, e a volte no, ma in entrambi i casi, è una parte del grande puzzle, della musica profonda, del grande gioco.
Il dolore fa due cose: Ti insegna, ti dice che sei vivo. Poi passa e ti lascia cambiato.
E ti lascia più saggio, a volte. In alcuni casi ti lascia più forte.
In entrambe le circostanze, il dolore lascia il segno, e tutto ciò che di importante potrà mai accadere nella tua vita lo comporterà in un modo o nell'altro.
Jim Butcher. I 5 elementi
Con una tecnica chiamata
Kintsugi, i Giapponesi riparano un oggetto che si è rotto.
ESSI CREDONO CHE QUANDO QUALCOSA SUBISCE UNA FERITA ED HA UNA STORIA, DIVENTI PIÙ BELLO E NON CERCANO DI NASCONDERE LE CREPE, MA LE VALORIZZANO RIEMPIENDOLE CON DELL'ORO. Mi sembra una buona tecnica......
Oro al posto della colla. Metallo pregiato invece di una sostanza adesiva trasparente.
E la differenza è tutta qui: occultare l'integrità perduta o esaltare la storia della ricomposizione?
Chi vive in Occidente fa fatica a fare pace con le crepe.
"Spaccatura, frattura, ferita" sono percepiti come l'effetto meccanicistico di una colpa, perchè il pensiero digitale ci ha addestrati a percorrere sempre e solo una delle biforcazioni: o è intatto, o è rotto. Se è rotto, è colpa di qualcuno.
Il pensiero analogico -arcaico, mitico, simbolico- invece, rifiuta le dicotomie e ci riporta alla compresenza degli opposti, che smettono di essere tali nel continuo osmotico fluire della vita.
La Vita è integrità e rottura insieme, perché è ri-composizione costante ed eterna.
Rendere belle e preziose le "persone" che hanno sofferto......questa tecnica si chiama "amore".
Il dolore è parte della vita. A volte è una parte grande, e a volte no, ma in entrambi i casi, è una parte del grande puzzle, della musica profonda, del grande gioco. Il dolore fa due cose: Ti insegna, ti dice che sei vivo. Poi passa e ti lascia cambiato. E ti lascia più saggio, a volte. In alcuni casi ti lascia più forte. In entrambe le circostanze, il dolore lascia il segno, e tutto ciò che di importante potrà mai accadere nella tua vita lo comporterà in un modo o nell’altro I giapponesi che hanno inventato il Kintsugi l'hanno capito più di sei secoli fa - e ce lo ricordano sottolineandolo in oro.
ESSI CREDONO CHE QUANDO QUALCOSA SUBISCE UNA FERITA ED HA UNA STORIA, DIVENTI PIÙ BELLO E NON CERCANO DI NASCONDERE LE CREPE, MA LE VALORIZZANO RIEMPIENDOLE CON DELL'ORO. Mi sembra una buona tecnica......
Oro al posto della colla. Metallo pregiato invece di una sostanza adesiva trasparente.
E la differenza è tutta qui: occultare l'integrità perduta o esaltare la storia della ricomposizione?
Chi vive in Occidente fa fatica a fare pace con le crepe.
"Spaccatura, frattura, ferita" sono percepiti come l'effetto meccanicistico di una colpa, perchè il pensiero digitale ci ha addestrati a percorrere sempre e solo una delle biforcazioni: o è intatto, o è rotto. Se è rotto, è colpa di qualcuno.
Il pensiero analogico -arcaico, mitico, simbolico- invece, rifiuta le dicotomie e ci riporta alla compresenza degli opposti, che smettono di essere tali nel continuo osmotico fluire della vita.
La Vita è integrità e rottura insieme, perché è ri-composizione costante ed eterna.
Rendere belle e preziose le "persone" che hanno sofferto......questa tecnica si chiama "amore".
Il dolore è parte della vita. A volte è una parte grande, e a volte no, ma in entrambi i casi, è una parte del grande puzzle, della musica profonda, del grande gioco. Il dolore fa due cose: Ti insegna, ti dice che sei vivo. Poi passa e ti lascia cambiato. E ti lascia più saggio, a volte. In alcuni casi ti lascia più forte. In entrambe le circostanze, il dolore lascia il segno, e tutto ciò che di importante potrà mai accadere nella tua vita lo comporterà in un modo o nell’altro I giapponesi che hanno inventato il Kintsugi l'hanno capito più di sei secoli fa - e ce lo ricordano sottolineandolo in oro.
Quando i giapponesi riparano un oggetto rotto, valorizzano la crepa riempiendo la spaccatura con dell'oro. Essi credono che quando qualcosa ha subito una ferita ed ha una storia, diventa più bello. Questa tecnica è chiamata Kintsugi ....... Rendere belle e preziose le "persone" che hanno sofferto......questa tecnica si chiama Amore. Il dolore è parte della vita. A volte è una parte grande, e a volte no, ma in entrambi i casi, è una parte del grande puzzle, della musica profonda, del grande gioco. Il dolore fa due cose: Ti insegna, ti dice che sei vivo. Poi passa e ti lascia cambiato. E ti lascia più saggio, a volte. In alcuni casi ti lascia più forte. In entrambe le circostanze, il dolore lascia il segno, e tutto ciò che di importante potrà mai accadere nella tua vita lo comporterà in un modo o nell’altro.
Questa tecnica è una metafora della vita di una persona, che dopo essersi rialzata da un periodo buio e difficile si ricompone più forte e valorosa di prima.
Jim Butcher. I 5 elementi
Si racconta che nel Quindicesimo secolo uno shogun, ossia un importante generale dell'esercito giapponese, avesse mandato in Cina una teiera rotta per farla riparare. Questa però fu malamente ritoccata con dei fili di metallo e rimandata allo shogun il quale, deluso del pessimo lavoro svolto, commissionò lo stesso lavoro a degli artigiani giapponesi. Il risultato fu una meravigliosa teiera rifinita con venature dorate al posto delle crepe; fu solo il primo suppellettile di questo genere ma diede il via a una vera e propria forma d'arte destinata ad avere grande successo fra i collezionisti dell'epoca e quelli contemporanei, tanto che alcuni iniziarono a rompere spontaneamente il proprio vasellame per farlo riparare. La tecnica prese il nome di "Kintsugi" e prevedeva l'uso di un collante di resina mista a polvere d'oro, argento o platino. Con l'andare del tempo, oltre alla forma estetica ha assunto un significato più profondo: il vaso rotto e riparato con queste splendide venature dorate rappresenta la vita ed i cambiamenti che essa porta con sé. La nostra storia infatti non è mai lineare ma presenta sempre delle spaccature, delle scissioni e degli ostacoli che siamo fieri di sottolineare ed evidenziare, una volta rimessi insieme i pezzi.
La frase giapponese “Kachō-Fūgetsu” significa “Rappresentare la bellezza di tutti gli elementi che troviamo in natura e che la natura stessa ci trasmette”.
Dettagliatamente:
“Ka” significa “Fiori”
“Fu” significa “Il paesaggio fatto di montagne, fiumi, vento, ecc.”
“Cho” significa “Uccelli e l'armonia del suono degli uccelli”
“Getsu” significa “Luna”
Questi significati indicano la totalità della natura nella sua bellezza, serenità e purezza.
Bellissime riflessioni attraversando... il Kintsugi. Purtroppo il pensiero lineare dei sillogismi in Barbara di aristotelica memoria ha gessato la mente facendoci dimenticare che esistono anche quelli meravigliosi in erba, di cui parla Bateson, della metafora , del sogno, della poesia, del mito che ci aiutano a riappacificarci con la vita
... secondo il feng shui ogni cosa che mettiamo in casa rischiamo di infulenzarla...
urge elevare la nostra mente a non indugiare su "o intatto o rotto" , se afferriamo il concetto di entaglement, la crepa, l'intatto o il rotto diventano UNO...ciò conduce all'assenza di giudizio, allo scioglimento del senso di colpa e finalmente all' AMORE.
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