Ask the Dust era un foruncolo che faceva male.
Doveva essere fatto sanguinare e pulito.
John Fante, 1971
Introduzione
di Alessandro Baricco
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Chiedi alla polvere è un romanzo costruito su tre storie.
Prima: un ventenne sogna di diventare uno scrittore e in effetti lo diventa.
Seconda: un ventenne cattolico cerca di vivere nonostante il fatto di essere cattolico.
Terza: un ventenne ítaloamericano si innamora di una ragazza ispanoamericana e cerca di sposarla.
Il tutto a bagno nella California.
Immaginate di fondere le tre storie facendo convergere i tre ventenni (lo scrittore, il cattolico, l'italoamericano innamorato) in un unico ventenne e otterrete Arturo Bandini.
Fatelo muovere e otterrete Chiedi alla polvere. Ammesso, naturalmente, che abbiate un talento bestiale.
Non so se lo fece consapevolmente, ma di fatto John Fante scelse per quelle tre storie un andamento sorprendentemente geometrico:
la storia dello scrittore finisce bene, la storia del cattolico non finisce, resta bloccata su se stessa, e la storia dell'innamorato finisce male. Per cui
il libro cresce seguendo l'armonico strabismo di un personaggio che vince pareggia e perde simultaneamente. Se il lettore avrà, ciò nondimeno, la percezione di un libro profondamente doloroso e addolorato, è per il modo con cui Fante, più o meno consapevolmente, distribuì le tre storie nel tessuto del libro. Chiedi alla polvere inizia raccontando le prime due (dove Bandini vince e pareggia): e lì il libro cresce nella luce gradevole di un'umanità fragile ma allegramente indistruttibile.
Poi appare Camilla, e il libro viene risucchiato nella sua vertigine di sconfitta. Negli ultimi capitoli, i successi del Bandini scrittore e le paludi immobili del suo cattolicume, accompagnano l'inabissamento di Camilla come scenari sempre più lontani e inessenziali. Con metamorfosi da insetto, il libro esce dal bozzolo di un allegro diario giovanile per volare il volo di una adulta disfatta senza rimedio.
Vedi cosa può fare una cameriera messicana..
La storia del ventenne che sogna di diventare uno scrittore è molto lineare, semplice e corredata di lieto fine. A chi sia imbarcato in simili ambizioni, essa regala, nondimeno, alcune utili lezioni. La prima riguarda il rapporto tra scrivere e denaro.
Bandini scrive per fare denaro: non per esprimersi, non per fare qualcosa di bello, forse neppure per dimostrare qualcosa a qualcuno. Scrive perché ha fame e vuole mangiare, perché è solo e vuole donne ricche e profumate, perché intorno a sé vede Los Angeles e vuole possederla. Molto pragmatico e molto americano. [...]
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Eppure, anche in quel momento, era come stessi scrivendo, come se stessi registrando tutto sulla carta. Davanti agli occhi avevo il foglio dattiloscritto, mentre fluttuavo, sbattuto dalle onde, senza riuscire a raggiungere la costa, sicuro che non ne sarei uscito vivo".
La seconda storia, quella del ventenne cattolico che cerca di vivere nonostante il fatto di essere cattolico, è forse la storia che avrebbe potuto far diventare Chiedi alla polvere qualcosa di più di una riuscita commedia tragica. Purtroppo l'arrivo di Camilla e la forza della conseguente storia d'amore si portano via il libro, e
la riflessione sulle tare di una giovane mente cattolica rimane un enunciato senza grandi sviluppi. Sarebbe stato bello vederla andare fino in fondo. Già l'enunciato, comunque, vale la pena.
Quello che ha Bandini, di inesorabilmente cattolico, è l'istinto a interpretare la vita come una sequenza di colpa e castigo, destinata a ripetersi all'infinito.
Quello che ha Bandini, di inesorabilmente cattolico, è l'odio per un simile modo di vedere le cose, e un'incapacità assoluta a sottrarvisi. [...]
il complesso di colpa arriva istantaneo, a volte ancor prima di commettere il peccato, rendendo incapaci di commetterlo.
Nel dodicesimo capitolo Bandini finisce a letto con una donna sbagliata, una donna fragile a cui non può che fare del male. La usa, insomma. Al mattino si alza dal letto, esce, e la terra si mette a tremare: terremoto a Los Angeles. «Ero stato io. Era mia la colpa». Non credo che a un buddista verrebbe in mente. Neanche a un protestante. A un cattolico sì. «Sei stato tu, Arturo, e questa è la collera di Dio».
Quel che aveva capito Fante è che una simile incapacità di peccare non può che esiliare dalla vita.
E lo scrisse mirabilmente nel personaggio di Bandini fino a metà del libro: facendone
un tipo umano con una ossessiva domanda stampata in testa: cosa ci faccio io qui? Ovunque vada, Bandini vorrebbe andarsene. «Ora che ero qui, sapevo che non sarei dovuto venire». Si può dire che
la scrittura sia l'unico posto in cui si senta legittimato a dimorare. Il resto del mondo è un posto sbagliato. [...]
Poi arriva Camilla, e in qualche modo, Bandini riassume e semplifica tutta la sua incapacità di vivere nella sua incapacità di amarla. In un certo senso smette di lottare. Camilla è il posto sbagliato in cui decide di restare, senza farsi più domande, esule cronico, vada come deve andare, come un automa fino in fondo. Ma non è una storia vissuta. [...]
«
Mi parve di essere diventato di legno, senza più sentimenti, se non il panico e la sensazione che lei fosse troppo bella per me, anzi, più bella e salda di me. Mi rese estraneo a me stesso». [...]
Nel 1980 Bukowski andò a trovare John Fante al Motion Picture Hospital, una clinica per gente del mondo dello spettacolo. Praticamente
Bukowski è l'uomo che ha riscoperto Fante, portandolo via dalle secche dell'oblio collettivo, e facendone un autore cult all'inizio degli anni Ottanta. Andava matto per Chiedi alla polvere. Quel giorno andò a trovare Fante e gli chiese «
Ehi, John, che fine ha poi fatto la femmina di Chiedi alla polvere?» Fante era ormai messo male, più di là che di qua. «Quella puttana, -rispose. - Alla fine era lesbica».
La battuta dell'arrosto.
C'è Bandini che per l'ennesima volta se ne sta a tribolare in quegli amplessi con Camilla in cui non riesce a fare niente, e si sente morire. «
Sentii le sue mani che mi cercavano, e le mie che cercavano invece di scoraggiarle, imprigionandole in una mossa impaurita». E lì che Camilla lo bacia. «
Fu come se avesse appoggiato le labbra su un pezzo di arrosto freddo».
Chandler gliel'avrebbe invidiata. [...]
Nel Prologo, inoltre, Fante dichiara esplicitamente alcuni suoi modelli, a partire dall'amatissimo
Knut Hamsun di Fame (1890), riecheggiato fin dal titolo. [...]
La storia della
riscoperta di Fante, e soprattutto di
Chiedi alla polvere, è ormai nota ai fan di tutto il mondo, e quasi leggendaria.
Incuriosito da un riassunto contenuto in un saggio dell'amico Carey McWilliams, fu Robert Towne, lo sceneggiatore di Chinatown di Roman Polanski, a procurarsi il libro all'inizio degli anni Settanta e a scriverne con entusiasmo a Fante. Una parte della sceneggiatura che Towne ha ricavato da Chiedi alla polvere è anche stata tradotta in italiano (Prologo a «Chiedi alla polvere», Marcos y Marcos, Milano 2001), però dopo più di trent'anni, il progetto di film non è stato ancora realizzato. Ma
Fante, da molto tempo, aveva un grandissimo ammiratore, Charles Bukowsky, che aveva trovato in biblioteca, nel dopoguerra, una copia di Chiedi alla polvere e ne era rimasto folgorato.
Sempre più popolare in America (ma soprattutto in Germania e in Italia) verso la fine degli anni Settanta, Bukowsky, per bocca del suo alter-ego
Hank Chinaski (il suo Arturo Bandini!)
parla di Fante («un uomo veramente coraggioso») in Donne, romanzo pubblicato nel 1978. Si capisce bene che Bukowsky, impegnato nella ricerca di uno stile narrativo in prima persona con forti componenti autobiografiche, sia rimasto folgorato dall'incontro casuale, in biblioteca, con i libri di Bandini: così come Fante aveva trovato a sua volta nei romanzi di
Knut Hamsun un incoraggiamento e un modello umano e letterario.
Incuriosito dalla menzione di quel nome assolutamente sconosciuto, l'editor della Black Sparrow Press, che aveva pubblicato Donne, chiese notizie a Bukowski, che si offrì di scrivere la prefazione alla ristampa di Chiedi alla polvere, uscita per Black Sparrow nel gennaio del 1980 (anche la City Light di Ferlinghetti era a quel tempo interessata a una ristampa).
Nella prefazione, Bukowsky rievocava con toni appassionati il primo incontro con Chiedi alla polvere.
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Ero giovane, saltavo i pasti, mi ubriacavo e mi sforzavo di diventare uno scrittore. Le mie letture andavo a farle nella biblioteca di Los Angeles, nel centro della città, ma niente di quello che leggevo aveva alcun rapporto con me, con le strade o con la gente chele percorreva [...] poi. un giorno, presi un volume e capii subito di essere arrivato in porto [...] Ecco finalmente uno scrittore che non aveva paura delle emozioni. Ironia e dolore erano intrecciati tra loro con straordinaria semplicità. Quando cominciai a leggere quel libro mi parve che mi fosse capitato un miracolo, grande e inatteso."
Bukowsky
John Fante: la vita, i libri"
Chiedi alla polvere
Introduzione di Alessandro Baricco
Marie riappare sporadicamente nell'epistolario di Fante, ad esempio nel 1940, quando scrive a un certo Keith Baker che
la storia d'amore in Ask the Dust è quasi vera nel senso che una volta sono stato infatuato della ragazza del romanzo e lei, secondo me, è affascinante e interessante nella vita reale quanto ho cercato di farla apparire nel libro. Oggi è a Spring Street a Los Angeles, lavora nello stesso bar che ho descritto nel romanzo, essendoci tornata dal manicomio, dal deserto, e punta verso il nord» (Lettere, p.246).
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Chiedi alla polvere" (Fante)
Arturo Bandini è un giovane scrittore che si trasferisce a Los Angeles cercando spunti per scrivere il romanzo del secolo che lo renderà immortale. Quello che troverà in realtà è la miseria, è il sopravvivere mangiando solo arance per giorni e giorni, è vivere in un alberguccio con strani vicini di stanza, finché nella sua vita non apparirà Camilla e da quel momento in poi tutto sarà diverso.
Lo stile di Fante è semplice, lineare, a volte ironico, a volte tragico e costellato di piccoli picchi poetici che rendono il libro qualcosa di indimenticabile.
Il personaggio di Bandini è uno di quelli con cui entri subito in sintonia: contorto, complicato, generoso ma umano in tutti i suoi pregi e i suoi difetti. Un romanzo che sembrano tanti romanzi insieme e che alla fine, con il suo epilogo così incisivo, ti farà commuovere fino alle lacrime.
Erica Braconi a Leggo i classici di letteratura, di Walter Ruffini
"....Si, Fante ha avuto una grande influenza su di me. Non molto tempo dopo averlo scoperto, mi misi a vivere con una donna. Beveva come una spugna, anche più di me, e assieme facevamo delle litigate feroci, durante le quali le gridavo: "Non chiamarmi figlio di puttana! Io sono Bandini, Arturo Bandini!".
Fante era il mio dio e io sapevo che gli déi vanno lasciati in pace, non si andava a bussare alla loro porta. E tuttavia mi piaceva immaginare la casa dove era vissuto, in Angel's Flight, e illudermi che ci abitasse ancora. Ci passavo davanti quasi ogni giorno e mi chiedevo: è questa la finestra da cui è uscita Camilla? E' quella la porta dell'albergo ? Quella la hall? Non l' ho mai saputo. Ho riletto Ask the Dust quest'anno, trentanove anni dopo la prima volta, e ho dovuto riconoscere che ha resistito al tempo, come tutte le altre opere di Fante. Questa, però, resta la mia preferita perché è con essa che ho scoperto la magia. Fante ha scritto altri libri oltre Dago Red e Wait until Spring, Bandini, e i loro titoli sono Full of Life e The Brotherhood of the Grape. Attualmente sta lavorando al suo nuovo romanzo, A Dream of Bunker Hill. Per una serie di circostanze, quest'anno l'ho finalmente conosciuto. Ma la storia di John Fante non è tutta qui. E' la storia di un uomo fortunato e sfortunato in ugual misura, di un uomo di raro coraggio naturale. Un giorno qualcuno la racconterà, ma ho la sensazione che lui non voglia che lo faccia qui. Dirò solo che,
nel suo caso, linguaggio e personalità coincidono: entrambi sono forti, buoni e caldi. E ora basta. Il libro è vostro".
Tratto dalla vecchia introduzione che Charles Bukowski fece a
Chiedi alla polvere di John Fante.
«Parlo come un pazzo? E sia, ridatemi la pazzia e quei giorni, datemi un romanzo bizzarro su un uomo e sulla sua compassione per il genere umano, su quella gran persona che era Bandini, protagonista di magnifiche uscite di scena, e sulla sua compassione per tutto quanto, per l’assurda città attorno a me, che ha allevato il mio genio, e lassù in cima ad Angel’s Flight, in cima a duecento gradini fino a Bunker Hill nel cuore della città, gradini consacrati, Signore, Bandini li ha percorsi fino all’immortalità!»
John Fante, Chiedi alla polvere.
Così l'ho intitolato
Chiedi alla polvere, perché in quelle strade c'è la polvere dell'Est e del Middle West, ed
è una polvere da cui non cresce nulla, una cultura senza radici, una frenetica ricerca di un riparo, la furia cieca di un popolo perso e senza speranza alle prese con la ricerca affannosa di una pace che non potrà mai raggiungere. E c'è una ragazza ingannata dall'idea che felici fossero quelli che si affannavano, e voleva essere dei loro.
John Fante, Chiedi alla polvere. (dalla prefazione)
Forse le cose stanno esattamente così: quelli che vale la pena di amare veramente sono quelli che ti rendono estraneo a te stesso. Quelli che riescono a estirparti dal tuo habitat e dal tuo viaggio e ti trapiantano in un altro ecosistema, riuscendo a tenerti in vita in quella giungla che non conosci e dove certamente moriresti se non fosse che loro sono lì e ti insegnano i passi, i gesti e le parole: e tu, contro ogni previsione, sei in grado di ripeterli.
John Fante, Chiedi alla polvere. (dalla prefazione)
John Fante, Incipit di
Chiedi alla Polvere.
Una sera me ne stavo a sedere sul letto della mia stanza d'albergo, a Bunker Hill, nel cuore di Los Angeles. Era un momento importante della mia vita; dovevo prendere una decisione nei confronti dell'Albergo. O pagavo o me ne andavo: così diceva il biglietto che la padrona mi aveva infilato sotto la porta. Era un bel problema, degno della massima attenzione. Lo risolsi spegnendo la luce e andandomene al letto.
Al mattino mi svegliai, decisi che avevo bisogno di un po' di esercizio fisico e cominciai subito. Feci parecchie flessioni, poi mi lavai i denti. Sentii in bocca il sapore del sangue, vidi che lo spazzolino era colorato di rosa, mi ricordai cosa diceva la pubblicità, e decisi di uscire a prendermi un caffè.
Andai al solito ristorante, mi sedetti su uno sgabello davanti al bancone e ordinai un caffè. Il sapore era più o meno quello ma, nel complesso, la bevanda non valeva quello che costava. Mentre ero lì seduto, mi fumai un paio di sigarette, lessi i cartelloni che riportavano i risultati delle partite dell'American League, evitando con cura quelli della National League, e notai con soddisfazione che Joe DiMaggio teneva ancora alto l'onore degli italiani, perché era in testa alla classifica dei battitori.
John Fante, Incipit di
Chiedi alla Polvere.
- Ha un lavoro? - mi chiese.
- Faccio lo scrittore, - le risposi. - Guardi un po' qui.
Aprii la valigia ed estrassi una copia della rivista. - L'ho scritto io, - le dissi.
Ero un entusiasta, a quei tempi. - Gliene regalo una copia, - le dissi. - Aspetti che gliela firmo.
Presi una stilografica dal banco, ma era senza inchiostro e dovetti intingerla. Mi passai la lingua sulle labbra, pensando a qualcosa di carino da scrivere. - Come si chiama? - le chiesi. Melo disse a malincuore. - Sono la signora Hargraves. Perché? - Ma era un onore quello che le facevo e non avevo tempo di rispondere alle sue domande, così
scrissi in cima alla prima pagina: «A una donna di fascino ineffabile, con gli occhi azzurri e il sorriso generoso, l'autore. Arturo Bandini».
Mi rivolse un sorriso che parve ferirle la faccia, riaprendo vecchie incrinature che le segnarono la carne arida attorno alla bocca e sulle guance. - Non tollero i racconti sui cani, - mi disse, imboscando la rivista. Mi guardò da un punto ancora più in alto, al di sopra degli occhiali. - Giovanotto, - mi disse. - È messicano, per caso?
Mi indicai e mi misi a ridere.
- Messicano, io? - scossi il capo. - Sono americano, signora Hargraves. E quello non è un racconto sui cani. Parla di un uomo e non è niente male. Non c'è nemmeno un cane, lì dentro.
- Non ospitiamo messicani in questo albergo, - insistè.
- Non sono messicano. Il titolo l'ho tratto da una favola. E il cagnolino rise a vedere un simile spasso,
- E nemmeno ebrei, - concluse.
John Fante, Chiedi alla polvere.
Il mondo non era che un mito, un aereo trasparente, su cui tutto era in transito; anche noi, Bandini, Hackmuth, Camilla e Vera, eravamo qui solo di passaggio per finire poi chissà dove.
Non eravamo vivi, noi, ci limitavamo a sfiorare la vita senza mai afferrarla. E poi saremmo morti, tutti sarebbero morti e anche tu, Arturo, avresti fatto la fine degli altri.
John Fante, Chiedi alla polvere.
«Camilla Lopez se n'è andata, il deserto l'ha inghiottita. Può essere che qualcuno l'abbia tirata su e l'abbia portata in Messico. Può darsi che sia tornata a Los Angeles e sia morta in una stanza polverosa. Quello che so io è che è sparita, che il cane è sparito, e nulla ne è rimasto a parte la sua storia che vi voglio raccontare».
John Fante, Chiedi alla polvere.
«Per tutta la notte abbiamo bevuto e pianto, e da sbronzo sono riuscito a dirti quello che mi si agitava nel cuore, tutte le parole dolci e le similitudini ingegnose, tanto eri troppo intenta a soffrire per quell’altro per sentire quello che ti dicevo, ma lo sentivo io, e Arturo Bandini era particolarmente in forma quella sera, perché si rivolgeva al suo grande amore, al suo vero grande amore, che non eravate né tu né Vera Rivken. Era semplicemente il suo grande amore.»
John Fante, Chiedi alla polvere.
«
Giorni di magra, carichi di determinazione, perché proprio di questo si trattava, determinazione: Arturo Bandini, seduto davanti alla sua macchina da scrivere per due giorni consecutivi, deciso a farcela. Ma non funzionò. Fu l’attacco di testardaggine più lungo e violento di tutta la sua vita, ma non ne uscì neanche un rigo, solo due parole ripetute per tutta la pagina, su e giù, sempre le stesse: la palma, la palma, la palma, una lotta all’ultimo sangue tra me e la palma, e la palma vinse: eccola là che ondeggia nell’aria azzurrina, che scricchiola piano nell’aria azzurra. Vinse dopo due giorni di lotta e io scavalcai il davanzale e mi sedetti ai suoi piedi.»
John Fante, Chiedi alla polvere.
«Dovevo riuscire a tutti i costi a tenere la testa fuori dall’acqua, ma mi sentivo risucchiare sotto dalle onde che si ritraevano. E così questa era la fine, la fine di Camilla e di Arturo Bandini;
eppure, anche in quel momento, era come se stessi scrivendo, come se stessi registrando tutto sulla carta. Davanti agli occhi avevo il foglio dattiloscritto, mentre fluttuavo, sbattuto dalle onde, senza riuscire a raggiungere la costa, sicuro che non ne sarei uscito vivo.»
John Fante, Chiedi alla polvere.
«
Il telegramma diceva: romanzo accettato. Invio contratto oggi stesso. Firmato: Hackmuth. Tutto qui. Il foglietto mi sfuggì di mano, ma io non mi chinai a raccoglierlo. Poi mi sedetti per terra e cominciai a baciarlo. Strisciai sotto il letto e rimasi lì sdraiato. Non avevo più bisogno del sole, né della terra o del cielo. A questo punto potevo anche morire. Non mi sarebbe successo mai più niente. La mia vita era giunta al compimento.»
John Fante, Chiedi alla polvere.
Guardai le facce della gente attorno a me, e sentii che la mia era uguale alle altre.
Facce senza sangue, facce tirate, preoccupate, smarrite.
Facce sbiadite come fiori strappati alla radice e ficcati in un vaso.
John Fante, Chiedi alla polvere
Il passato è un lusso da proprietari. Ed io dove potrei conservare il mio?
Non ci si può più mettere il passato in tasca; bisogna avere una casa per sistemarvelo.
Io non possiedo che il mio corpo; un uomo completamente solo, col suo corpo soltanto,
non può fermare i ricordi, gli passano attraverso.
John Fante, Chiedi alla polvere
La mia parte migliore si destò e tutto quello a cui aspiravo negli oscuri recessi del mio essere affiorò in quel momento alla coscienza. Davanti a me c'era la muta tranquillità della natura, indifferente alla grande città; oltre queste strade, attorno a queste strade, c'era il deserto che attendeva che la città morisse per ricoprirla di nuovo con la sua sabbia senza tempo. Fui sopraffatto dalla consapevolezza del patetico destino dell'uomo, del terribile significato della sua presenza. Il deserto era lì come un bianco animale paziente, in attesa che gli uomini morissero e le civiltà vacillassero come fiammelle, prima di spegnersi del tutto. Intuii allora il coraggio dell'umanità e fui contento di farne parte. Il male del mondo non era più tale, ma diventava ai miei occhi un mezzo indispensabile per tenere lontano il deserto.
John Fante "Chiedi alla polvere"
Decido di entrarci, per ragioni sentimentali, non per altro.
Non ho mai letto Lenin, ma l’ho sentito citare:
la religione è l’oppio dei popoli.
Quanto a me, sono ateo: ho letto L’Anticristo e la considero un’opera fondamentale.
Credo nel cambiamento dei valori, Signore.
La Chiesa deve sparire; è il ricettacolo degli stolti, delle canaglie e delle mezze cartucce.
Tirai il portale, che diede un lieve gemito. Sopra l’altare sfrigolava il lume perenne, rosso come il sangue, illuminando di un riflesso cremisi la quiete di quasi duemila anni. Mi ricordava la morte, ma anche gli strilli dei neonati che venivano battezzati. Mi inginocchiai, solo per abitudine, poi mi sedetti. Tornai a inginocchiarmi, perché il legno duro sotto le ginocchia serviva a distrarmi dalla calma terribile che mi circondava.
Pregai; certo, pregai. Per ragioni sentimentali. Dio Onnipotente, mi dispiace di essere diventato ateo, ma hai mai letto Nietzsche? Ah, che libro! Dio Onnipotente, voglio essere onesto. Ti farò una proposta. Fai di me un grande scrittore e io tornerò alla Chiesa. A proposito, Signore, devo chiederti un altro favore: fa' in modo che mia madre sia felice. Del vecchio non mi interessa; lui ha il suo vino e la sua salute, ma mia madre si tormenta sempre. Amen.
John Fante, Chiedi alla polvere
Ho vomitato sui loro giornali, ho letto i lori libri, studiato le loro abitudini, mangiato il loro cibo, desiderato le loro donne, ammirato la loro arte. Ma sono povero, il mio nome termina con una vocale dolce e loro odiano me, mio padre e il padre di mio padre. Avrebbero voluto succhiarmi il sangue e abbattermi come un animale, ma ora sono vecchi e stanno morendo sotto il sole e nella polvere calda delle strade, mentre io sono giovane e pieno di speranze e di amore per il mio paese e i miei tempi.»
John Fante, Chiedi alla polvere
[...] lettera alla madre scritta da Fante nel gennaio del 1936 [...]:
Ho detto "noi" in riferimento a me e alla mia ragazza, Marie. Te l'ho già nominata in altre lettere che ti ho scritto.
Senza di lei non so proprio cosa avrei fatto quando sono stato malato. Si è occupata di me in tutto e per tutto, ha cucinato e fatto le pulizie in casa. Inoltre è una cuoca davvero straordinaria. Costretto a una dieta vegetariana come sono, il cibo diventa piuttosto monotono. Ma Marie sa come fare [...]
Sono assolutamente al verde, ma Marie pensa anche a quello. Fa la modella per gli artisti, e il suo lavoro consiste nel posare per i pittori. La pagano due dollari l'ora, e anche se al giorno lavora dalle due alle quattro ore, è abbastanza per garantirci la sopravvivenza. Immagino che dovrei vergognarmi di permettere che una donna vada a lavorare e mi mantenga, invece non mi vergogno affatto. Anzi, direi che mi piace [...]
Inoltre a Marie piace lavorare per me. Le donne sono esseri strani. Se ti amano, fanno qualsiasi cosa per te. Sfortunatamente non sono innamorato di lei e prima o poi la lascerò, ma non posso farci nulla. Un sentimento cosi sembra freddo e cattivo, e forse anche tu pensi che sia un atteggiamento insensibile nei confronti di una donna che mi ama. Ma come sai, l'amore è una forza strana. Non ci si può fare niente. Colpisce alcuni e non tocca altri. E fino a ora non mi ha toccato
John Fante, Lettere, pp. 155-56.
la storia d'amore in Ask the Dust è quasi vera nel senso che una volta sono stato infatuato della ragazza del romanzo e lei, secondo me, è affascinante e interessante nella vita reale quanto ho cercato di farla apparire nel libro. Oggi è a Spring Street a Los Angeles, lavora nello stesso bar che ho descritto nel romanzo, essendoci tornata dal manicomio, dal deserto, e punta verso il nord»
(Lettere, p.246).
Così tutti i vecchi che incontro per la strada sono mio padre.
Ogni vecchio mi fa stringere lo stomaco, sento una pietà incontrollata che mi lascia perso.
Voglio prendere quei vecchioni fra le mie braccia e dargli delle pacche sulle spalle e dirgli di smetterla di scherzare, che sono soltanto ragazzini, che il mondo ha ancora terrore di loro. Allo stesso tempo vorrei che ognuno di loro morisse, perché mi sembra che solo pochi uomini si sappiano impadronire della sottile arte di invecchiare.
John Fante, da una lettera a Henry Louis Menken, direttore del "The American Mercury" - 06/01/1934
Poi accadde. Una sera, mentre la pioggia batteva sul tetto spiovente della cucina, un grande spirito scivolò per sempre nella mia vita. Reggevo il suo libro tra le mani e tremavo mentre mi parlava dell'uomo e del mondo, d'amore e di saggezza, di delitto e di castigo, e capii che non sarei mai più stato lo stesso.
Il suo nome era Fedor Michailovic Dostoevskij. Ne sapeva più lui di padri e figli di qualsiasi uomo al mondo, e così di fratelli e sorelle, di preti e mascalzoni, di colpa e di innocenza.
Dostoevskij mi cambiò. "L'idiota", "I demoni", "I fratelli Karamazov", "Il giocatore". Mi rivoltò come un guanto. Capii che potevo respirare, potevo vedere orizzonti invisibili. L'odio per mio padre si sciolse. Amavo mio padre, povero disgraziato sofferente e perseguitato. Amavo anche mia madre, e tutta la mia famiglia.
Era tempo di diventare uomo, di lasciare San Elmo e andarmene nel mondo.Volevo pensare e sentirmi come Dostoevskij. Volevo scrivere.
John Fante, La confraternita dell'uva
Come Paolo, che ebbe il suo momento di verità prima di Damasco, così Henry Molise aveva avuto il suo frammento d'estasi venticinque anni prima nella biblioteca civica di San Elmo. Mi fermai su un lato del grazioso edificio, salii i gradini di arenaria rossa che mio padre aveva costruito con le sue proprie mani, entrai nel foyer e percorsi a grandi passi un corridoio di scaffali fino a quel punto familiare in un angolo vicino alla finestra, vicino al temperamatite sotto il ritratto di Mark Twain, ed estrassi la copia rilegata in pelle de "I fratelli Karamazov". La tenni tra le mani, sfogliai le pagine, la tenni stretta tra le braccia: la mia vita, la mia gioia, il mio sublime Dostoevskij.
Magari l'avevo tradito nei fatti, mai nella devozione.
Il mio amato papà se nìera andato ma Fedor Michailovic sarebbe rimasto con me fino alla fine dei giorni.
John Fante, La confraternita dell'uva
Sì, me ne andai. Lo feci ancora prima di compiere vent'anni.
Furono gli scrittori a portarmi via. London, Dreiser, Sherwood Anderson, Thomas Wolfe, Hemingway, Fitzgerald, Silone, Hamsun, Steinbeck. In trappola, barricato contro il buio e la solitudine della valle, me ne stavo lì coi libri della biblioteca pubblica impilati sul tavolo da cucina, ad ascoltare il richiamo delle voci dei libri, con la brama di altre città