giovedì 8 novembre 2018

La pedagogia araba.

Cronologia Islam:
Nel 570 nasce Maometto
Nel 610 è rivelato a Maometto il Corano, testo sacro che ogni allievo dovrà memorizzare.
Nel 622 si ha l'Egira
Nel 632 muore Maometto

La pedagogia araba.

La società beduina.
L’islam nasce dalla cultura tribale nomade dei beduini e ad essa ha sempre cercato di mantenersi il più possibile fedele. 

La predicazione di Maometto.
Nato nel 570 alla Mecca e rimasto orfano in giovane età, Maometto è un mercante carovaniere
analfabeta. A 40 anni comincia a ricevere le rivelazioni dall’angelo Gabriele che, nei 23 anni successivi, danno origine al Corano. Il carattere innovativo della sua predicazione monoteista lo pone in contrasto con i governatori della Mecca, che nel 622 lo costringono alla fuga. 
È l’egira, anno d’inizio dell’era islamica.

Rifugiatosi alla città della Medina, Maometto ottiene l’appoggio della popolazione locale, e quindi ribalta le sorti del conflitto rientrando alla Mecca nel 630. 

La predicazione del monoteismo da parte di Maometto riesce a unire sul piano religioso, politico e militare le numerose tribù beduine di religione politeista che abitano nella regione arabica e nelle zone desertiche in particolare.


Il Corano,
Ciò che in pochissimo tempo trasforma le rissose tribù beduine in una potente macchina conquistatrice è l’unità data dalla comune fede nel Corano, a cui i musulmani non hanno mai cessato di rivolgersi per affermare la propria identità religiosa e culturale. La teologia coranica, infatti, è molto semplice e si articola nei cinque pilastri delle fede:
1) la professione monoteistica;
2) la preghiera cinque volte al giorno;
3) il dovere dell’elemosina;
4) il digiuno nel mese di ramadan;
5) il pellegrinaggio alla Mecca.

Oltre a questi precetti fondamentali, tuttavia, il Corano ne prevede molti altri, relativi a quasi tutti gli ambiti dell’esistenza: regole alimentari come il divieto della carne di maiale, del vino e di qualsivoglia sostanza inebriante; regole culinarie per la corretta preparazione della carne; regole vestimentarie, come l’obbligo del velo per le donne; regole commerciali, come il divieto del prestito a interesse.

L’islam attribuisce al Corano un grado di sacralità superiore a quello conferito dalle altre due religioni rivelate e monoteistiche, l’ebraismo e il cristianesimo, ai rispettivi testi sacri. 

Si crede che il Corano derivi da un esemplare eterno e che la sua perfezione letteraria sia prova della sua natura divina. Il Corano non può quindi essere oggetto di interpretazioni simboliche o allegoriche che ne stravolgano i significati immediati. 

D’altra parte, la struttura stessa del Corano, in cui i versetti non sono nell’ordinaria sequenza discorsiva, rende l’interpretazione problematica.

Inizia la formalizzazione della madrasa, la scuola coranica.






L’eternità del Corano celeste.
Il Corano riporta fedelmente la parola di Allah, e pertanto l’islam esclude la possibilità che esso sia stato creato in un momento storico. Come attributo di Dio, il Corano partecipa della sua eternità: secondo la tradizione musulmana, esiste da sempre un prototipo celeste del Corano. 

E' rivelato a Maometto, una prima volta per intero e poi nuovamente a frammenti nell’arco di 23 anni affinché lui lo memorizzi, dall’angelo Gabriele, il quale, assumendo forma umana, dialoga con lui dettandogli direttamente i versetti da tramandare. 

Il Profeta è quindi un semplice tramite; si esclude che abbia in qualche modo personalmente contribuito all’elaborazione di un testo la cui origine divina è ribadita dalla sacralità conferita a ogni sua copia: ogni esemplare del Corano è venerabile e per gli infedeli intangibile, cioè letteralmente non toccabile

Il Corano è diviso in 114 capitoli o sure, composte da 6236 versetti accostati l’uno all’altro che sviluppano argomenti diversi, senza una concatenazione argomentativa.

Le sure sono ordinate secondo un criterio quantitativo: dalla più lunga, la seconda che comprende 286 versetti, alle più corte, le ultime che ne hanno solo tre. 

Contengono soprattutto precetti di vita, norme religiose e giuridiche


Sure abrogate.
Il criterio della successione cronologica è adottato per risolvere i casi di affermazioni contraddittorie fra due sure differenti, assumendo come abrogate quelle vecchie e abroganti quelle successive. 

Ad esempio il versetto 217 della seconda sura, che proibisce di combattere durante il mese lunare di rajab, considerato sacro, è abrogato dal versetto 36 della nona sura, che prescrive di combattere anche durante tutti i quattro mesi sacri. 

Del resto la prima abrogazione di un versetto si deve allo stesso Maometto, come dimostra l’episodio dei versetti satanici. Rivelando la sura 53, in un periodo in cui stentava a convertire gli abitanti di Mecca, sostenitori del politeismo tradizionale, Maometto pronuncia un’invocazione ad al-Lāt, al-’Uzzā e Manāt, tre divinità femminili preislamiche, «la cui intercessione», afferma, «è cosa grata a Dio». Il riconoscimento della loro esistenza sembra smentire il rigido monoteismo islamico, tanto che la mattina seguente lo stesso Maometto ritratta quanto affermato e abroga due versetti chiarendo ai compagni di averli ricevuti non all’orecchio destro, come di solito con l’angelo Gabriele, ma a quello sinistro, a dimostrazione della loro origine satanica.






L’obbligo religioso della conoscenza dell’arabo.
Come il cristianesimo, e a differenza dell’ebraismo, l’islam è una religione universalista il cui messaggio si rivolge a tutti gli uomini, come l’angelo Gabriele ricorda a Maometto: 
«Non ti abbiamo inviato se non come nunzio e ammonitore per tutta l’umanità» (XXXIV:28). 
Questa vocazione ecumenica pone il problema delle traduzioni del Corano in lingue diverse da quella araba. Già nei primi secoli se ne riconosce la validità divulgativa, tanto che si producono versioni in siriaco, berbero, persiano, hindi e poi in latino (negli ultimi anni del primo millennio, su commissione del benedettino Pietro il Venerabile, abate di Cluny). 

Queste traduzioni, tuttavia, sono ammesse solo come strumenti didattici elementari, per avvicinare nuovi fedeli a una conversione che richiede obbligatoriamente la conoscenza della lingua araba. 
Il Corano, infatti, non può essere tradotto, ed è considerato blasfemo l’uso di traduzioni in ambito liturgico, anche per i fedeli che, pur volonterosi, non sono riusciti a impadronirsi della lingua.


È opinione universale di coloro che conoscono l’arabo, siano o no islamici, che il Corano è scritto in modo molto raffinato. È possibile che un’opera tanto elegante e ricercata sia stata composta da un beduino sicuramente illetterato come Maometto? L’islam lo esclude, e anzi considera lo stile inimitabile del Corano un vero e proprio miracolo, una prova della sua origine divina.

La memorizzazione.
Corano, in arabo Qur’an, significa “declamare, recitare salmodiando”
Il titolo del testo, quindi, riguarda il modo della sua fruizione, non il contenuto, e impone che debba essere non letto in silenzio ma pronunciato con la voce, letteralmente “cantato” come un inno liturgico. Del resto, in origine, le rivelazioni del Profeta non sono finalizzate alla scrittura di un testo ma alla memorizzazione del suo contenuto da parte dei fedeli. 

Una scelta giustificata dal quasi totale analfabetismo dei beduini. 
Man mano che i versetti sono rivelati, i fedeli li memorizzano, diventando così hāfiz, una specie di uomini-libro. Solo con la morte nella battaglia di Yamama, nel 633, di ben 70 trasmettitori orali del testo, si decide di preservarlo redigendone una versione scritta.

La maggiore attendibilità della tradizione orale.
 notevoli rischi di fraintendimento. L’arabo di quei tempi è infatti una scrittura defectiva, in cui cioè: 1) si scrivono solo le consonanti lasciando al lettore l’onere di aggiungere le vocali formando così le parole; 
2) mancano tutti i segni ortografici e di interpunzione, così che spetta al lettore capire dove terminano le parole e le frasi. 
In queste condizioni, l’utilità dello scritto si riduce a quella di un appunto, un richiamo a un testo già conosciuto, mentre numerose sono le possibilità di errore se si affronta la lettura senza una previa conoscenza del suo contenuto: in assenza di vocali, ad esempio,possono originarsi parole diverse, in certi casi tutte compatibili con il contesto. Da ciò risulta, paradossalmente, che è la tradizione orale a essere più affidabile di quella scritta.


La Sunna.
Gli ahadith: i detti del Profeta.
Gli ahādith sono classificati in base all’argomento, dando così origine a raccolte che riguardano temi specifici: il matrimonio, l’usura, l’educazione e così via. Nel complesso queste collezioni formano la Sunna, letteralmente “consuetudine, codice dei comportamenti”, in cui si formalizzano le tradizioni giuridiche
Ad essa i tribunali islamici si rifanno sia per interpretare passi dubbi del testo sacro sia per risolvere questioni che esso non affronta, attribuendogli in questo caso un valore normativo. 
Dopo il Corano, la Sunna costituisce la seconda fonte dell’islam.


Sharia: la legge coranica. 
Tutta l’attività interpretativa del Corano e della Sunna si conclude con la formalizzazione della sharia, letteralmente “la via da seguire”. Essa indica la legge sia in senso teologico, la volontà divina, in quanto tale inconoscibile all’uomo, sia in senso giuridico-sociale
Se teologicamente può esistere una sola sharia, di fatto ne sono sempre esistite molteplici, variando a seconda del periodo storico e delle tradizioni interpretative di riferimento, e per il grado di commistione con i sistemi giuridici laici e secolari. 
Ogni sharia distingue tutti i possibili comportamenti umani in cinque categorie: 
obbligatori, raccomandati, neutrali, scoraggiati e proibiti. 

Ognuno di essi ha un valore sia religioso sia giuridico. 
L’inosservanza delle norme obbligatorie esclude dalla comunità; pratiche scoraggiate o comunque non raccomandate possono dar origine a una citazione in giudizio, presso un tribunale religioso o civile; quelle proibite sono sia un peccato sia un reato.

La mentalità islamica a la conseguente legislazione coranica tende a integrare la dimensione religiosa in ogni aspetto della vita: purificazione, preghiera, riti funerari, fiscalità, digiuno, pellegrinaggio, commercio, eredità, matrimonio, divorzio e giustizia.



La fatwa.
La fatwa. Il rispetto delle leggi coraniche è affidato ai tribunali religiosi, che assumono anche funzioni civili nei Paesi in cui la sharia è assunta come legge dello Stato. 
In ogni caso dubbio, il giudice può sollecitare una fatwā, ossia chiedere a un muftī, un autorevole esperto di giurisprudenza islamica, di emettere un parere non vincolante ai fini del giudizio e redatto in forma astratta, indicante cioè, più che la soluzione del caso, il modo per arrivarvi. Nei secoli sono state emesse milioni di fatāwā, non poche delle quali fra loro incompatibili. 

Il che non è affatto sconcertante per la cultura araba; in primo luogo perché questi giudizi si fondano solo sulla capacità di discernimento umano, senza concernere direttamente i fondamenti della rivelazione.


Guida allo studio.
▶ Come è strutturato il Corano?
▶ Che cosa sono le sure abroganti?
▶ Perché la trasmissione orale del Corano è ritenuta più attendibile di quella scritta?
▶ Che cos'è la Sunna?
▶ Che cosa prescrive la legge coranica? 




La fulminea espansione islamica.
Espansione islamica (632 - 750)


Il quadro storico
Le tre aree geopolitiche della penisola arabica

www.loescher.it/Risorse/LOE/Public/O_31020/31020/Materiale_Demo/31020_MOD_Online_002_025_La_pedagogia_araba.pdf





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