L’esperienza è il tipo di insegnamento più difficile
prima ti fa l’esame poi ti spiega la lezione.
Oscar Wilde.
Gli ideali sono cose pericolose.
Le cose reali sono infinitamente preferibili,
anche se talora possono ferirci.
Oscar Wilde.
Nessuno può essere libero se costretto ad essere simile agli altri.
Oscar Wilde
La vita è troppo breve per sprecarla a realizzare i sogni degli altri.
Oscar Wilde
Mi piace sentirmi parlare. È una delle cose che mi divertono di più. Spesso sostengo lunghe conversazioni con me stesso e sono così intelligente che a volte non capisco nemmeno una parola di quello che dico.
Oscar Wilde
Il 16 ottobre del 1854 nasceva Oscar Wilde, l'autore, tra l'altro, de “Il Ritratto di Dorian Gray” e “L'importanza di chiamarsi Ernesto”, ma soprattutto di una miriade di geniali aforismi come «Nulla mi è più necessario del superfluo», «Il patriottismo è il vizio delle nazioni» o «Non protesto contro la fatica purché non miri a uno scopo preciso», aforismi che, diciamolo, la maggior parte di noi conosce senza sapere da dove siano tratti.
Alcuni poi, tipo l’arcinoto «Tutto quello che mi piace è immorale, illegale o fa ingrassare», non li ha nemmeno detti lui.
Beh, se non è stato lui sarà stato di sicuro George Bernard Shaw.
Ma oggi vorrei dire qualche parola su una sua opera meno nota, la poesia "Ravenna".
Fu la sua prima opera "importante", scritta quando aveva 23 anni nel 1877 e gli fruttò il prestigioso premio Newdigate conferito dall'Università di Oxford allo studente che aveva scritto la miglior composizione.
All'epoca Wilde si trovava infatti a Oxford dopo aver iniziato gli studi nella natia Irlanda, al Trinity College di Dublino.
I dublinesi sono giustamente orgogliosi del fatto che la loro città abbia dato i natali a un simile genio, anche se a dire il vero Wilde lasciò l'Irlanda giovanissimo per non farvi più ritorno.
Se andate a Dublino non potrete evitare di dare un'occhiata alla sua statua a Merrion Square.
Devo ammettere, però, che faccio un po' fatica a immaginarmi un dandy snob come lui stravaccato come un fricchettone sopra un pietrone in veste da camera (Wilde in veste da camera, non il pietrone).
Nel 1875 Wilde trascorse le vacanze estive in Italia; quello fu solo il primo dei suoi numerosi viaggi nel nostro paese che amava molto, una passione condivisa da tutti gli inglesi colti di quell'epoca, ma che in lui, autentica incarnazione dell'estetismo e adoratore di tutto ciò che è bello e artistico, era particolarmente spiccata.
Durante un soggiorno a Roma accarezzò addirittura l'idea di convertirsi al cattolicesimo; in questo non fu assolutamente spinto da uno slancio mistico o da una folgorazione. Giammai! Fedele al suo stile a colpirlo fu soprattutto la bellezza "estetica", appunto, delle cerimonie cattoliche, così diverse, con il loro sfarzo e la loro pompa, dalla semplicità e austerità dei rituali protestanti a cui era abituato.
Nutriva inoltre una profonda ammirazione per Pio IX, tanto da dichiarare «Non sono cattolico, sono solo papista», un altro notevole aforisma.
Probabilmente sotto sotto avrebbe voluto anche lui vestirsi da papa e girare su un trono portato a spalla da nerboruti energumeni moraccioni.
«Il cattolicesimo è la sola religione in cui morirei» dichiarò Wilde dopo essere stato ricevuto da Pio IX in udienza privata.
Nel corso di questo incontro il Papa augurò allo scrittore irlandese “di compiere un viaggio nella vita per giungere alla Città di Dio”.
Ma tornando alla poesia "Ravenna", l'opera gli fu ispirata da una gita a cavallo nella città romagnola. Eccone un passo:
Or è un anno - Poco tempo sembra passato da quando
Vidi per l'ultima volta quelle superbe contrade del Sud
Dove fiore e frutto s'espandono in purpureo fulgore
E come radiose lampade i favolosi pomi risplendono.
Era colma primavera, e tra ricche viti fiorenti,
Scuri boschetti d'ulivi e nobili foreste di pini
(Sì, la vispa Teresa avea tra l'erbetta al volo sorpresa gentil farfalletta!)
A piacer mio cavalcavo; dolce era l'aria umida e lieta,
La bianca strada risonava sotto gli zoccoli del mio cavallo,
Ed io, meditando di Ravenna sul nome vetusto,
Guardai la luce del giorno finché, segnato da ferite di fiamma,
Il cielo di turchese si fece d'oro brunito.
Oh, come il mio cuore avvampò di fanciullesca passione,
Quando in lontananza, al di là delle càrici e della palude,
Nitida vidi profilarsi la santa città
Cinta della sua corona di torri! Sempre avanti, con impeto
Galoppai, in gara con il sole calante,
E prima che si fosse spento il rosso crepuscolo
Entro le mura di Ravenna finalmente giungevo.
Punto centrale della poesia è il racconto della visita alla tomba di Dante che ispira al giovane Wilde questi versi:
Ahimè! mio Dante! tu conosci la pena
di vite più vili, - l'irritante catena dell'esilio,
Come siano ripide le scale nelle case dei re,
E tutte le piccole miserie che guastano
La più nobile natura dell'uomo con il senso del torto.
Pure questo sordo mondo ti è grato per il tuo canto;
Le nostre nazioni ti rendono omaggio, - lei stessa,
Quella crudele regina della Toscana vestita di vigne,
Che cinse la tua viva fronte con la corona di spine,
Ora ha adornato di alloro la tua tomba vuota,
E chiede invano le ceneri del suo figlio.
O più possente fra gli esuli! Tutto il tuo dolore è finito:
La tua anima incede ora accanto alla tua Beatrice;
Ravenna custodisce le tue ceneri: dormi in pace.
È curioso come, in questi pur abbastanza scadenti versi, Wilde sembri presagire quella che sarà la sua stessa sorte: esiliato dalla sua patria d'adozione, l'Inghilterra, non potrà farvi ritorno neanche dopo morto; le sue spoglie riposano a Parigi.
Come è noto nel 1895 lo scrittore subì l’umiliazione di un processo che ebbe grande risalto sulla stampa dell’epoca e venne condannato a due anni di lavori forzati perché giudicato colpevole di omosessualità.
In quel periodo l’omosessualità era considerata un reato anche tra persone maggiorenni e consenzienti e Wilde aveva intrattenuto una relazione con il giovane e bellissimo Lord Alfred Douglas, figlio del potente e ricco marchese di Queensberry. Un grave errore, a quanto pare.
Wilde sentiva una profonda affinità spirituale con Dante Alighieri, del quale credeva addirittura di essere un discendente; durante i terribili anni della prigionia a Reading avrebbe trovato consolazione nella lettura dei suoi versi.
Nel marzo del 1897 Wilde presentò una richiesta al direttore del carcere, che venne approvata, e ricevette una serie di libri tra cui una Bibbia in francese, una grammatica tedesca, la “Vita Nova” di Dante in inglese e in italiano, le Commedie di Goldoni in italiano e “L’Isola del Tesoro” di Stevenson.
In una lettera a Bosie (Lord Alfred Douglas) dello stesso periodo Wilde scrive:
«Ricordo durante il mio primo trimestre a Oxford di aver letto nel Rinascimento di Pater […] di come Dante colloca in basso nell’Inferno coloro che vivono volontariamente nella mestizia, e di essere andato alla Biblioteca Universitaria a cercare nella Divina Commedia il punto in cui nella triste palude giacciono coloro che furono “tristi nell’aria dolce”, in atto di ripetere in eterno fra i sospiri:“Tristi fummo/ Nell’aer dolce che dal sol s’allegra”».
Anch'io, come Wilde e come molti altri, durante la mia visita a Ravenna non ho mancato di rendere omaggio al Sommo Poeta Dante visitando la sua tomba: quello che più mi ha colpito, oltre alla semplicità del monumento funebre, è stato scoprire quanto il grande poeta fosse… piccolo. In effetti era alto un metro e 64, una statura bassa anche per il Medioevo; Wilde, per contro, con il suo metro e 91, svettava anche tra gli irlandesi e gli inglesi del suo tempo.
Entrambi però superavano i loro contemporanei soprattutto con "l'altezza d'ingegno" per usare un termine dantesco; e difatti i loro contemporanei arrivarono ad odiarli tanto da adoperarsi per rovinare la vita ad entrambi; i grandi uomini finiscono spesso per soffrire in mezzo a quelli piccoli.
Non è da escludere che la celebre conclusione dell'Inferno «E quindi uscimmo a riveder le stelle» abbia ispirato uno dei più celebri aforismi di Wilde (questo davvero suo, e, per la cronaca, tratto dalla commedia "Il ventaglio di Lady Windermere"): «Siamo tutti immersi nel fango ma alcuni di noi guardano verso le stelle».
«Al mondo esiste una sola cosa peggiore dell'essere oggetto di conversazione, ed è il non essere oggetto di conversazione».
Oscar Wilde nasce a Dublino il 16 ottobre 1854; in una casa di modeste condizioni al numero civico 21 di Westland Row.
Il padre, Sir William, divenne un celebre oftalmologo irlandese, fondatore di un ospedale a Dublino - il St Mark - e autore di diversi trattati medici. Fra i suoi pazienti annoverò il re Oscar I di Svezia, e la regina Vittoria d'Inghilterra, di cui divenne oculista personale.
La madre, Jane Francesca Elgee era una poetessa irlandese.
Oscar Wilde aveva poco in comune col padre, molto invece con la madre, cui somigliava nell'aspetto, nella voce, nelle eccentricità e nella passione per la letteratura.
Oscar Wilde fu educato tra le mura domestiche fino all'età di nove anni.
In seguito studiò alla Portora Royal School a Enniskillen e frequentò il Trinity College di Dublino.
Grazie a una borsa di studio ebbe modo di seguire il Magdalen College di Oxford; dove tra l’altro fu iniziato in Massoneria.
Durante il periodo degli studi universitari compì un viaggio in Italia in compagnia di William Goulding e del reverendo John Pentland Mahaffy, suo tutore in anni passati.
A Roma fu ricevuto da Papa Pio IX a cui Wilde dedicò un sonetto.
In quel periodo Oscar scrisse per il "Dublin University Magazine" non senza avere alcuni piccoli screzi con il direttore, Keningale Cook.
Nel giugno del 1878 Oscar si presentò per il "Final Schools", dove consegnò il compito mezz'ora prima dello scadere del tempo assegnato.
La commissione dichiarò vincitore Oscar Wilde.
Per la poesia “Ravenna”, Oscar pure anche l'Oxford Newdigate Prize.
Aiutato da Frank Benson, il 3 giugno 1880 riuscì a portare in scena la rappresentazione teatrale del "Agamennone" di Eschilo.
Sarebbe stata la prima rappresentazione di un’intensa produzione teatrale che avrebbe visto Wilde scrivere e mettere in scena opere come “Vera o i nichilisti”, “La duchessa di Parma”, “Salomè”, “Il ventaglio di Lady Windermere”, “Una donna senza importanza”, “Un marito ideale”, “ L'importanza di chiamarsi Ernesto”, “La santa cortigiana o La donna coperta di gioielli” e “Una tragedia fiorentina”.
Ad ogni modo, nel maggio del 1881, tornato a Londra con all’attivo una raccolta di poesie intitolata “Poems”; accompagnò sua madre a casa di amici e lì conobbe Constance Lloyd. Si sarebbero sposati tre anni dopo.
Nel frattempo Wilde ebbe diverse relazioni omosessuali, ma seppure il suo amante prediletto fu Alfred Douglas, detto “Bosie”, l'uomo a lui più fedele e devoto fu senza dubbio Robert Ross; il quale all'epoca in cui iniziarono una relazione era appena diciassettenne.
Dopo aver scritto “Il fantasma di Canterville”; nel 1888 Wilde pubblicò "Il principe felice e altri racconti", una raccolta di fiabe scritte per i suoi due figli Cyril e Vyvyan; nati rispettivamente nel 1885 e nel 1886.
Nel 1890 venne il momento di "Il ritratto di Dorian Gray"; romanzo ambientato nella Londra vittoriana del XIX secolo e che narra di un giovane di bell'aspetto, Dorian Gray, che arriverà a fare della sua bellezza un rito insano.
Nel 1891 diede alla luce tre saggi: “Intenzioni”, “L’anima dell’uomo sotto il socialismo” e “Impressioni dell’America”.
Scrisse inoltre il raccolto “l delitto di Lord Arthur Savile” e venne consegnata nelle librerie la raccolta di racconti “La casa dei melograni”.
Nel 1894 tornò alla poesia e compose “La Sfinge”; dedicata a Marcel Schwob.
Gli avvenimenti che lo fecero ritenere un personaggio scandaloso per l'opinione pubblica dei benpensanti connazionali, riguardarono i processi che Wilde subì a causa della sua omosessualità; per cui venne processato e condannato a due anni di carcere e lavori forzati.
Condannato al massimo della pena prevista, Wilde, in divisa da carcerato, fu trasferito alla prigione di Holloway a Pentonville ed infine a Reading Gaol. Lavorava 6 ore al giorno ad un mulino a ruota, dormiva senza materasso, conobbe fame e insonnia e dimagrì circa dieci chili.
È rimasta famosa nella letteratura inglese "De Profundis", una lunga lettera che Oscar Wilde scrisse in carcere nel 1897 al suo amante Alfred Douglas.
Uscì il 19 maggio 1897 e chiese asilo per mesi a dei gesuiti di Farm Street che rifiutarono di accoglierlo.
Incontrato di nuovo “Bosie" andò con lui a Napoli dove incontrò Eleonora Duse.
Poiché sia Douglas che Wilde non avevano alcun reddito se non quello che ricevevano dalle rispettive mogli; le due donne giunsero al ricatto del denaro per convincere i mariti ad interrompere la relazione.
I due furono così costretti prima a vivere in due case separate, poi a lasciarsi definitivamente.
Trasferitosi a Parigi, Oscar completò "The Ballad of Reading Gaol".
Constance morì a Genova, a 40 anni, il 7 aprile del 1898, dopo una doppia operazione chirurgica, prima alla schiena e poi per un fibroma uterino.
Sul monumento funebre al cimitero monumentale di Staglieno venne apposto come epitaffio "moglie di Oscar Wilde”,
Nel maggio 1898, per cause sconosciute, Wilde venne operato alla gola.
Nel giro di due anni morì Beardsley - suo amante di vecchia data - e suo fratello Willie.
Malato di sifilide, Wilde soffriva di otite e di un forte prurito che lo costringeva a grattarsi continuamente.
Assistito da un suo amante del passato, Robert Ross, lo scrittore gli confidò di voler vedere un prete per convertirsi.
A somministrargli il battesimo per poi assolverlo dai suoi peccati e dargli l’estrema unzione fu il reverendo cattolico irlandese Cuthbert Dunne.
Alle ore 14 del 30 novembre del 1900, in Rue des Beaux-Arts 13, all'età di 46 anni, dopo aver vomitato sangue, Oscar Wilde morì.
Inizialmente seppellito nel cimitero di Bagneaux; dal 1909 le sue spoglie riposano al cimitero di Père Lachaise, sotto un imponente monumento costruitogli da Jacob Epstein, raffigurante una sfinge, e con l'epitaffio dalla "Ballata del carcere di Reading”.
Morto Ross, le sue ceneri vennero sepolte nella stessa tomba di Wilde.
Nessun commento:
Posta un commento