Tito Livio
“Non est, non tantum ab hostibus armatis aetati nostrae periculi, quantum ab circumfusis undique voluptatibus.”
(Nei tempi nostri non vi è tanto pericolo dai nemici in armi, quanto dai piaceri che da ogni parte sono sparsi.)
Publio Cornelio Scipione l’Africano citato in Tito Livio, XXX, 14
Dà tempo all'ira. Spesso l'indugio non toglie la forza:
ma alle forze aggiunge il ragionevole consiglio.
Tito Livio, Patavium, 59 a.C. - 17 d.C.
Tratto da "I fondamenti della repubblica romana: istituzioni, diritto, religione" di Michel Humm.
"Avverte Livio: «qui si trova il Campidoglio (Capitolium), ove già, dopo la scoperta di una testa d’uomo (caput humanum), fu predetto che sarebbe stata la testa del mondo (caput rerum) e il centro dell’impero» (Livio, v 7).
In definitiva, per quello che si può definire come lo storico ufficiale del regime instaurato da Augusto, il carattere sacro del sito di Roma la predestinava, a partire dalle sue origini, a dirigere il mondo. Roma era anzitutto una città (civitas), ossia una comunità di uomini liberi (res publica) associata ai suoi dèi e che viveva su un territorio definito religiosamente. Secondo la tradizione, Roma fu fondata dopo che Romolo ebbe tratto gli auspici, cioè consultato Giove mediante l’osservazione nel cielo del volo degli uccelli al fine di ottenere la sua approvazione. L’atto di fondazione della città, che si riproduceva ogni volta che Roma fondava una colonia, costituiva di conseguenza un passo che era sia politico che religioso.
Ricorda il grande erudito Varrone: “Nel Lazio molti usavano fondare città secondo il rituale etrusco, cioè con una coppia di bovini, un toro e una vacca, questa dalla parte interna, facevano intorno un solco con l’aratro (e ciò facevano, per motivi religiosi, in un giorno di auspici favorevoli), al fine di essere difesi da un fossato e da un muro. Il luogo da cui avevano estratto la terra chiamavano fossato e quella, gettata all’interno, chiamavano muro. Il circolo [orbis] che si veniva a trovare tracciato dietro questi elementi segnava il principio della città [urbs]; e poiché esso era dopo il muro [post murum] si chiamò pomerio [postmerium] e andava fin dove terminava la zona fissata per prendere gli auspici per la città. Dei cippi che segnavano il limite del pomerio rimangono presso Ariccia e presso Roma. Perciò le città la cui cinta era stata precedentemente tracciata con l’aratro furono chiamate urbes, da orbis [circolo] e urvum [aratro]; per questo tutte le nostre colonie nelle opere degli antichi sono ricordate come urbes perché fondate alla stessa maniera di Roma, e perciò si dice che le colonie e città conduntur [si fondano], perché ponuntur [si pongono] all’interno di un pomerio."
Numa Pompilio
La storia Di Numa Pompilio tramandataci da Tito Livio e dalla biografia fatta Plutarco, di nascita Sabina e genero del già famoso Tito Tazio, ci permette di tracciare un profilo di uomo saggio ed esperto conoscitore del sovranaturale e del divino, regnò tra il 715 ed il 670 a.C. succedendo come re di Roma a Romolo, dopo che quest’ultimo scomparve in una nuvola prodigiosa, accettò la propria incoronazione solo dopo che gli dei gli si dimostrarono favorevoli e fu acclamato re dal popolo dopo che l’Augure lo esortò ad accettare e rassicurandolo dei buoni auspici. Numa Pompilio fu appellato dal popolo come uomo pio, apportò le riforme delle istituzioni di carattere giuridico e dando un maggior peso alle istituzioni religiose, tanto da dare al popolo un lungo periodo di pace mai conosciuto fino ad allora.
IL LEGIONARIO ROMANO
Il legionario romano era il fante che faceva parte della legione romana. I Romani dovettero affrontare svariate popolazioni che adottavano metodi di combattimento differenti tra loro; questo influì sia sull'organizzazione e sulla struttura della legione, sia sul tipo di armamento utilizzato. Il legionario è sempre stato fonte di ispirazione e modello dal punto di vista militare per le proprie capacità, la propria esperienza ed efficienza. In questa voce è trattata la vita del legionario dell'antica Roma dal momento del suo reclutamento al congedo, ed è analizzato il complesso evolversi dell'armamento dall'epoca monarchica alla crisi dell'impero.
L'arruolamento dei soldati veniva stabilito in caso di guerra tra le varie tribù presenti a Roma (da 17 iniziali passarono a 21 successivamente). Il console stabiliva la data dell'inizio della leva; di solito i contingenti delle varie tribù si radunavano in Campo Marzio. I motivi per astenersi dalla chiamata alle armi dovevano essere esaminati e, nel caso in cui non fossero stati validi, si veniva dichiarati desertor (disertore) e si poteva essere puniti severamente. A volte, come riportatoci da Tito Livio, i tempi dell'arruolamento non permettevano l'esame delle esenzioni dal servizio, il quale veniva rimandato a guerra conclusa. Il comando (imperium) era tenuto dal console, che era coadiuvato per le funzioni amministrative dai tribuni. I centurioni erano scelti dai soldati.
(IT)
«All'unanimità venne quindi decretata e sùbito messa in pratica la leva militare. Di fronte all'assemblea i consoli proclamarono che non c'era tempo per valutare i motivi per esentare dal servizio, e dunque i più giovani - nessuno escluso - dovevano presentarsi in campo Marzio all'alba del giorno successivo; solo a guerra finita si sarebbe trovato il tempo di valutare la giustificazione di chi non era andato ad arruolarsi; e quanti avessero addotto delle motivazioni poi giudicate non sufficientemente valide avrebbero ricevuto il trattamento riservato ai disertori. Il giorno successivo tutti i giovani si presentarono. Ciascuna coorte si scelse autonomamente i propri centurioni e due senatori vennero posti al comando di ognuna di esse.»
Tito Livio, Ab Urbe condita, III, 69
(LA)
« Consensu omnium dilectus decernitur habeturque. Cum in contione pronuntiassent tempus non esse causas cognoscendi, omnes iuniores postero die prima luce in campo Martio adessent; cognoscendis causis eorum qui nomina non dedissent bello perfecto se daturos tempus; pro desertore futurum, cuius non probassent causam; -- omnis iuventus adfuit postero die. Cohortes sibi quaeque centuriones legerunt; bini senatores singulis cohortibus praepositi. »
Tito Livio, Ab Urbe condita, III, 69
Cassio Dione , Storia Romana , Libro XLIX , Tomo XXX
“Descriverò adesso la testuggine e come essa si forma. Le bestie da soma, i soldati armati alla leggera e i cavalieri, vengono collocati nel mezzo dello schieramento; una parte degli opliti armati di scudi oblunghi, cilindrici e cavi, si dispongono all’intorno sui limiti estremi, a forma di quadrato e rivolti verso l’esterno protendendo in avanti gli scudi, coprono tutta la massa. Gli altri, cioè’ quelli che hanno gli scudi larghi si raccolgono nel mezzo, tutti stretti tra loro, e alzando gli scudi a difesa propria e di tutti. In questo modo non si vede per tutto lo schieramento altro che scudi, e tutti sono al riparo dai dardi nemici, a motivo della compattezza della formazione assunta.
Tale formazione è così salda che sopra di essa si può anche camminare e possono persino andare cavalli e carri, ogniqualvolta i Romani si trovano in luoghi cavi e stretti. Questa dunque è la forma che assume lo schieramento, e ha preso il nome di "Testuggine" per la sua robustezza e per il sicuro riparo che offre. I Romani vi ricorrono in due casi, quando si avvicinano ad una fortezza per conquistarla o quando circondati da ogni parte da arcieri nemici, si inginocchiano tutti contemporaneamente compresi i cavalli che sono stati ammaestrati a piegare le ginocchia e a distendersi per terra. Così fanno credere al nemico di essere sfiniti, quando poi si avvicinano i nemici si alzano all' improvviso e li annientano”.
Cassio Dione , Storia Romana , Libro XLIX , Tomo XXX
Cassio Dione , Storia Romana , Libro XLIX , Tomo XXX
“Descriverò adesso la testuggine e come essa si forma. Le bestie da soma, i soldati armati alla leggera e i cavalieri, vengono collocati nel mezzo dello schieramento; una parte degli opliti armati di scudi oblunghi, cilindrici e cavi, si dispongono all’intorno sui limiti estremi, a forma di quadrato e rivolti verso l’esterno protendendo in avanti gli scudi, coprono tutta la massa. Gli altri, cioè’ quelli che hanno gli scudi larghi si raccolgono nel mezzo, tutti stretti tra loro, e alzando gli scudi a difesa propria e di tutti. In questo modo non si vede per tutto lo schieramento altro che scudi, e tutti sono al riparo dai dardi nemici, a motivo della compattezza della formazione assunta.
Tale formazione è così salda che sopra di essa si può anche camminare e possono persino andare cavalli e carri, ogniqualvolta i Romani si trovano in luoghi cavi e stretti. Questa dunque è la forma che assume lo schieramento, e ha preso il nome di "Testuggine" per la sua robustezza e per il sicuro riparo che offre. I Romani vi ricorrono in due casi, quando si avvicinano ad una fortezza per conquistarla o quando circondati da ogni parte da arcieri nemici, si inginocchiano tutti contemporaneamente compresi i cavalli che sono stati ammaestrati a piegare le ginocchia e a distendersi per terra. Così fanno credere al nemico di essere sfiniti, quando poi si avvicinano i nemici si alzano all' improvviso e li annientano”.
Cassio Dione , Storia Romana , Libro XLIX , Tomo XXX
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