Perchè Flatland?
Il nome deriva da un romanzo pubblicato nel 1882 dal Reverendo Edwin Abbott: Flatlandia, racconto fantastico a più dimensioni.
Abbott racconta un viaggio immaginario di un personaggio particolare: un quadrato che esplora “terre” diverse dalla propria, conoscendo gli abitanti di pointland, lineland, ecc.
In ogni nuovo mondo mostra sempre un senso di superiorità, dovuto al fatto che, in effetti, la sua bi-dimensionalità è una marcia in più rispetto agli altri stadi. Poi, ad un certo punto assiste ad un fenomeno strano, un punto che si allarga e poi si restringe, fino a scomparire.
E’ davvero una cosa strana.
http://www.flatland.it/nome-flatland/
Il racconto è diviso in due parti.
Nella prima parte il narratore descrive brevemente il mondo di Flatlandia.
Questo è un mondo bidimensionale (flat in inglese significa piatto) e gli abitanti di questo mondo sono delle figure geometriche che si muovono su un piano che per loro è l'universo.
Il narratore è uno degli abitanti, e nella fattispecie è un quadrato.
Come si vede a Lineland
La Sfera attraversa Flatlandia
Nella seconda parte del racconto il quadrato racconta il suo incontro con una sfera proveniente da Spacelandia (il mondo a tre dimensioni) che lo illumina sulla presenza della terza dimensione. In seguito il quadrato racconta di come gli abitanti di Flatlandia abbiano reagito al suo tentativo di illustrare la presenza di una terza dimensione.
Come si è detto, il racconto è una satira della società dell'autore, infatti in Flatlandia la società è rigidamente divisa in gerarchie e la suddivisione si basa sull'aspetto fisico. Nello specifico, sul numero di lati che formano le figure.
Nel mondo di Flatlandia un maggior numero di lati (o meglio, un angolo più largo) viene associato a maggior intelligenza e quindi a scuole migliori e in seguito a lavori migliori e di maggior responsabilità. In questo mondo ogni individuo può sperare in un'ascesa sociale sua o eventualmente della sua prole, anche se in realtà solo un ridottissimo numero di individui riesce a migliorare la propria posizione sociale.
La remota possibilità d'elevazione sociale viene utilizzata dalla classe dominante per mantenere pacifico il popolo e in caso di rivolte l'elevazione di classe viene utilizzata per allettare i capi delle rivolte e quindi per far fallire tutte le rivolte in Flatlandia. Uno speciale spazio viene riservato alle donne che in quell'universo sono delle linee e quindi simili a figure dotate solo di due lati e di un angolo pari a zero sono assimilate a dei bambini che vanno perennemente protetti dal mondo esterno.
Il protagonista nel racconto non si ferma ad un mondo a tre dimensioni, e, riprendendo gli allora recenti lavori di Riemann, teorizza mondi a più dimensioni che aspettano solo di essere scoperti con gli occhi della mente.
Infatti, pur avendo la sfera iniziato il quadrato al mondo delle tre dimensioni, quando il quadrato congettura la presenza di mondi con quattro, cinque, sei, ecc. dimensioni, la sfera lo zittisce affermando che il mondo ha solo tre dimensioni e non ne può avere più di tre. Quindi il maestro si dimostra più miope dell'allievo e non riesce ad elevare la sua mente oltre i suoi sensi in un primo momento. Nonostante questo, in un secondo momento gli appare nuovamente affermando che effettivamente è possibile proseguire all'infinito nella ricerca di altre dimensioni.
Alcuni vedono nel libro un intento dissacratorio nei confronti della società vittoriana, le cui ridicole convenzioni sociali sono esorcizzate attraverso la descrizione del sistema delle caste di Flatlandia: le donne sono semplici linee prive di posizione sociale, gli uomini sono classificati in base al numero dei lati di cui sono costituiti.
Va ricordato d'altro canto che Abbott, noto pedagogo, faceva parte di un gruppo di studiosi che proponeva di rinnovare l'esame di matematica per l'ammissione alle università britanniche, che a quel tempo imponeva di imparare lunghe dimostrazioni di geometria euclidea; nonostante il supporto di molti matematici e dell'opinione pubblica, i programmi tradizionali furono mantenuti ancora a lungo. L'opera può quindi essere considerata un esempio di pamphlet politico-pedagogico.
Dal punto di vista letterario, Flatlandia può essere visto come un esempio ante litteram di romanzo distopico novecentesco. Ne è un sintomo la forte gerarchia sociale descritta dall'autore: il rango degli uomini dipende dal numero di lati; i soldati semplici sono triangoli isosceli con una piccola base e un angolo al vertice assai acuto, i sacerdoti sono quasi dei circoli perfetti, le donne sono semplici segmenti e sono costrette per legge a muoversi sinuosamente per rendersi visibili e non costituire minaccia per gli uomini. Il protagonista, Quadrato, è inoltre imprigionato per eresia e pazzia, viene arrestato a causa delle sue convinzioni sulla terza dimensione e si rifiuta fino alla fine di accettare l'ideologia imposta dalle masse.
https://it.wikipedia.org/wiki/Flatlandia
Flatlandia.
Incipit.
Chiamo il nostro mondo Flatlandia, non perché sia così che lo chiamiamo noi, ma per renderne più chiara la natura a voi, o Lettori beati, che avete la fortuna di abitare nello Spazio.
Immaginate un vasto foglio di carta su cui delle Linee Rette, dei Triangoli, dei Quadrati, dei Pentagoni, degli Esagoni e altre Figure geometriche, invece di restar ferme al lor posto, si muovano qua e là, liberamente, sulla superficie o dentro di essa, ma senza potersene sollevare e senza potervisi immergere, come delle ombre, insomma – consistenti, però, e dai contorni luminosi. Così facendo avrete un'idea abbastanza corretta del mio paese e dei miei compatrioti. Ahimè, ancora qualche anno fa avrei detto: «del mio universo», ma ora la mia mente si è aperta a una più alta visione delle cose.
Edwin A. Abbott, Flatlandia, Adelphi, 1998
Voi, che avete la fortuna di avere tanto l'ombra che la luce, voi che avete due occhi dotati della conoscenza prospettica e allietati dal godimento dei vari colori, voi che potete "vederlo" per davvero, un angolo, e contemplare l'intiera circonferenza di un Circolo nella beata regione delle Tre Dimensioni... come potrò mai render chiara a voi l'estrema difficoltà che incontriamo noi, in Flatlandia, per riconoscere le nostre rispettive configurazioni?
Edwin A. Abbott, Flatlandia
Tutti gli esseri della Flatlandia, animati o inanimati, qualunque sia la loro forma, presentano "al nostro occhio" il medesimo, o quasi il medesimo aspetto, quello cioè di una Linea Retta. Se dunque tutti hanno lo stesso aspetto, come si farà a distinguere l'uno dall'altro?
Edwin A. Abbott, Flatlandia
Osserva quella miserabile creatura. Quel Punto è un Essere come noi, ma confinato nel baratro adimensionale. Egli stesso è tutto il suo Mondo, tutto il suo Universo; egli non può concepire altri fuor di se stesso: egli non conosce lunghezza, né larghezza, né altezza, poiché non ne ha esperienza; non ha cognizione nemmeno del numero Due; né ha un'idea della pluralità, poiché egli è in se stesso il suo Uno e il suo Tutto, essendo in realtà Niente. Eppure nota la sua soddisfazione totale, e traine questa lezione: che l'essere soddisfatti di sé significa essere vili e ignoranti, e che è meglio aspirare a qualcosa che essere ciecamente, e impotetemente, felici.
Edwin A. Abbott, Flatlandia
Osserva quella miserabile creatura. Quel Punto è un Essere come noi, ma confinato nel baratro adimensionale. Egli stesso è tutto il suo Mondo, tutto il suo Universo; egli non può concepire altri fuor di se stesso: egli non conosce lunghezza, né larghezza, né altezza, poiché non ne ha esperienza; non ha cognizione nemmeno del numero Due; né ha un'idea della pluralità, poiché egli è in se stesso il suo Uno e il suo Tutto, essendo in realtà Niente. Eppure nota la sua soddisfazione totale, e traine questa lezione: che l'essere soddisfatti di sé significa essere vili e ignoranti, e che è meglio aspirare a qualcosa che essere ciecamente, e impotetemente, felici.
Edwin A. Abbott, Flatlandia
Ancora una volta mi sentii sollevare nello Spazio. Era proprio come la Sfera aveva detto. Più ci allontanavamo dall'oggetto che stavamo osservando, più il campo visivo aumentava. La mia città natia, con l'interno di ogni casa e di ogni creatura ivi contenuta, si apriva al mio sguardo come in miniatura. Salimmo ancora e, oh, i segreti della terra, le profondità delle miniere si svelava davanti a me!
Sbigottito alla vista dei misteri della terra così rivelati al mio occhio, dissi al mio compagno: «Guarda, sono diventato come un Dio:. Perché i saggi al nostro paese dicono che la visione di tutte le cose o, come essi si esprimono, l'onniveggenza, è attribuito a Dio solo». C'era un po' di scherno nella voce del mio Maestro quando rispose: «Davvero? Allora anche i borsaioli e gli assassini del mio paese dovrebbero essere venerati come Dèi dai vostri saggi: perché non ce n'è uno che non veda quel che tu vedi. Ma dài retta a me, i vostri saggi si sbagliano». (1989)
Edwin A. Abbott, Flatlandia
Edwin A. Abbott, Flatlandia
http://koi0009.altervista.org/_4_FISICA/Flatlandia_Abbott.pdf
Come si fa a vedere la quinta dimensione?
Usare le lenti gravitazionali per provare l’esistenza di nuove dimensioni dell’Universo.
Ci stanno provando gli scienziati dell’Università della Pennsylvania
Non sono una fisica (e si vede, dirà qualcuno).
Per capire certi concetti ho bisogno di metafore.
Quella che ho sempre usato per farmi un’immagine mentale di dimensioni al di là delle quattro canoniche la rubo al libro del reverendo Edwin Abbott Abbott (il romanzo non è nuovissimo, in effetti, del XIX secolo), Flatlandia. Nella storia gli abitanti di un mondo bidimensionale (dei poligoni) quando incontrano una sfera possono vederla solo come cerchio, ma alcune anomalie del suo comportamento, o meglio della sua apparenza (il fatto di allargarsi e restringersi quando si muove nella terza dimensione, invisibile ai poligoni), fanno loro intuire che c’è qualcosa che sfugge.
Anche gli scienziati usano delle “anomalie” per comprendere se il nostro Universo sia in realtà composto da più dimensioni di quelle che possiamo osservare con i nostri limitati sensi.
Un lavoro di recente pubblicato su Physical Review D propone un nuovo test che misura come la gravità di oggetti celesti massivi (un buco nero per esempio) piega la luce proveniente da stelle distanti (fenomeno noto col nome di “lente gravitazionale”). Secondo gli autori dello studio questo test potrebbe fornire la prova dell’esistenza di dimensioni ulteriori.
Proprio come i poligoni di Flatlandia osservavano le strane distorsioni delle forma della sfera nel loro mondo bidimensionale, Amitai Bin-Nun, astrofisico teorico dell’Università della Pennsylvania, e colleghi hanno osservato gli effetti di una lente gravitazionale sulle stelle che orbitano intorno a Sagittarius A*, (una fonte radio al centro della Via Lattea). Questo corpo celeste è stato scelto perché si trova nell’area centrale della nostra galassia, e si pensa che celi un buco nero.
“Abbiamo scoperto che se il nostro Universo è realmente descritto da una teoria che incorpora altre dimensioni, la luce che passa vicino al buco nero al centro della galassia dovrebbe apparire più intensa di quello che farebbe se invece vivessimo in un Universo con solo le dimensioni che già conosciamo,” ha spiegato Bin-Nun.
Il forte effetto gravitazionale del buco nero distorce la luce che arriva dalle stelle intorno a Sagittarius A* prima che arrivi sulla terra, creando immagini multiple dei corpi celesti. Per ogni stella, Bin-Nun ha osservato che la brillantezza dell’immagine secondaria cambia nel tempo e arriverà al suo massimo quando la stella sarà più o meno allineata con Sagittarius A*.
Lo scienziato ha anche calcolato la curva di luminosità di ogni stella nel futuro, assumendo per vero un modello di Universo a cinque dimensioni (quello detto di Randall-Sundrum II). Se questa descrizione dell’Universo fosse corretta, per esempio una delle immagini secondarie delle stelle prese in considerazione dovrebbe raggiungere il 44% in più di luminosità nel 2018. Se così non succedesse, il modello di Universo a sole 4 dimensioni allora apparirebbe più sensato.
In realtà il lavoro ha numerosi punti deboli teorici (e anche pratici, per esempio per quel che riguarda gli strumenti per misurare la luminosità delle stelle e delle immagini raddoppiate), ma l’intuizione di usare le lenti gravitazionali come uno strumento per sbirciare dentro a un mondo a più dimensioni potrebbe rivelarsi geniale.
Pubblicati su 19 novembre 2010 da Federica Sgorbissa
https://oggiscienza.it/2010/11/19/come-si-fa-a-vedere-dimensione/
https://youtu.be/C8oiwnNlyE4
Theodor Franz Eduard Kaluza
(Oppeln, 9 novembre 1885 – Gottinga, 19 gennaio 1954) è stato un matematico e fisico tedesco, noto soprattutto per la teoria di Kaluza-Klein riguardante le equazioni di campo in uno spazio pentadimensionale.
Ha studiato matematica presso l'università di Königsberg, dove ha conseguito la laurea nel 1910. Kaluza si è sposato nel 1909 e, dopo la sua abilitazione, è diventato Privatdozent all'università di Königsberg.
Nel 1919 sottopose ad Albert Einstein un lavoro intitolato
“Sul problema dell'unità in fisica”, nel quale proponeva l'esistenza di una quinta dimensione (oltre alle tre spaziali e alla quarta temporale) per riuscire ad unificare la gravitazione di Einstein con l'elettromagnetismo di Maxwell. In un mondo a 5 dimensioni anche l'elettromagnetismo poteva essere descritto mediante una deformazione geometrica: il campo elettrico sarebbe una deformazione della quinta dimensione e due cariche di segno opposto si avvicinano perché questo percorso è una geodetica (ovvero la curva di minima distanza che unisce due punti). Kaluza si immaginava la quinta dimensione come un cerchio associato a ogni punto dello spazio-tempo, ovvero l'analogo pentadimensionale di un cilindro. Einstein rimase piacevolmente colpito dal testo di Kaluza, anche se dovettero passare due anni prima che ne appoggiasse la pubblicazione. In effetti nella nuova teoria non si spiegavano due fatti fondamentali:
- perché la carica elettrica è quantizzata ed esiste solo in multipli del valore fondamentale e;
- perché la quinta dimensione né si vede né si manifesta.
Queste “sviste” (e in particolar modo la prima) sono dovute al fatto che Kaluza si basava non sulla fisica moderna (con la teoria quantistica), bensì su quella classica, nella quale le traiettorie degli elettroni erano considerate a spirale dirette verso il nucleo (in realtà questo movimento porterebbe al collasso degli atomi e alla conseguente scomparsa della materia).
Un passo avanti nella risoluzione del lavoro di Kaluza fu fatto nel 1927 dal fisico svedese Oskar Klein: questi introdusse un elemento fondamentale nella teoria: la quinta dimensione non si vede perché è troppo piccola. Nella teoria di Kaluza-Klein le due forze fondamentali fino ad allora conosciute, la gravità e l'elettromagnetismo, divenivano quindi entrambe manifestazione della geometria dello spazio-tempo: le deformazioni e oscillazioni del nostro spazio tridimensionale danno luogo ai fenomeni gravitazionali, quelle della quinta dimensione creano la luce e tutte le forze elettriche e magnetiche.
https://it.wikipedia.org/wiki/Theodor_Kaluza
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