Una gigantesca onda, quasi congelata nell’attimo immediatamente precedente il suo abbattersi su fragili imbarcazioni che sfidano i marosi; quasi artiglio nello spumeggiare sospeso che inquadra nel cavo dell’onda stessa la sagoma eterna del monte Fuji, testimone immoto del dramma che sta per consumarsi nella vita del tempo che fugge, il “mondo fluttuante” dell’ukiyo-e.
Questa stampa, che è diventata un’icona del Giappone in Occidente, scaturì dal genio artistico di Hokusai (1760-1849) agli inizi degli anni ’30 del 1800 e fu stampata e ristampata.
Il MAO ne possiede un esemplare pregevolissimo non della prima tiratura e lo presenta al pubblico periodicamente per evitare che un’esposizione prolungata alla luce lo danneggi.
In occasione della Settimana della Cultura, la galleria delle stampe al secondo piano del Giappone ripropone ai visitatori anche una selezione di xilografie dell’ukiyo-e con soggetti tratti dal teatro kabuki. Le opere sono della seconda metà dell’800, e l’autore più rappresentato è Utagawa Kunisada (1786-1864) nella fase di ormai affermato caposcuola della scuola Utagawa. La produzione artistica di Kunisada è sterminata, ed egli è giustamente considerato l’autore del XIX secolo più influente nell’ambito delleyakusha-e, le stampe che ritraevano attori famosi. Nell’allestimento il suo stile è messo a confronto con quello di alcuni epigoni e di artisti originali come Tsukioka Yoshitoshi (1839-1892).
Che cosa accomuna dunque la “Grande Onda” di Hokusai agli attori del kabuki ritratti da Kunisada? Una risposta è contenuta nell’idea stessa di “sospensione”, di energia latente che entrambe queste rappresentazioni richiamano. Buona parte degli artisti del kabuki vengono ritratti nelle scene clou del dramma, quando si immobilizzano in pose cariche di tensione chiamate in giapponese “mie”. E, come guardando la grande onda sappiamo istintivamente che un attimo dopo si abbatterà in tutta la sua potenza, così l’entusiasta di teatro sa che nel momento successivo l’attore ripartirà nell’azione, calandosi nuovamente in quel “mondo fluttuante” fatto di movimento nel quale viviamo, e che aveva abbandonato per quell’impercettibile istante di eternità che l’arte soltanto può immortalare.
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