"La mattina del 24 agosto del 79 d.C., si sentì un boato nella regione vesuviana. Dal vulcano una nube di gas e pomici si proiettò in alto, simile ad un pino, ed oscurò il cielo. Una pioggia di lapilli e frammenti litici ricoprì Pompei: durò fino al giorno dopo facendo crollare i tetti e mietendo le prime vittime. I Pompeiani tentarono di ripararsi nelle case o sperarono nella fuga, camminando sul letto di pomici che si andava formando, alto ormai più di 2 m. Ma alle 7.30 del 25 agosto, una scarica violentissima di gas tossico e cenere ardente devastò la città: essa si infiltrò dovunque, sorprendendo chiunque cercasse di sfuggire e rendendo vana ogni difesa. Una pioggia di cenere finissima, depositata per uno spessore di circa 6 m, aderì alle forme dei corpi e alle pieghe delle vesti e avvolse ogni cosa. E quando, dopo due giorni, la furia degli elementi si placò, l'intera area aveva un aspetto diverso: una coltre bianca avvolgeva tutto; il fiume Sarno stentava a ritrovare il suo corso, invaso dai detriti vulcanici; e la costa, sommersa dal materiale eruttato dal Vesuvio, aveva guadagnato spazio al mare! L'area della città fu interdetta al passaggio, per salvaguardare le proprietà degli scampati, ma scavatori clandestini cercarono comunque di saccheggiarla: per lungo tempo la presenza umana fu rara e marginale, e solo con l'imperatore Adriano, intorno al 120 d.C., fu ripristinato almeno l'assetto viario nella zona. Ma da una lettera a Tacito, lo storico latino, ascoltiamo la descrizione della catastrofe di Plinio il Giovane, che narra la morte dello zio, Plinio il Vecchio, mentre questi cercava di portare soccorso alle città devastate".
"Ecco il Vesuvio, un tempo verde per le ombre dei pampini,
qui traboccavano i tini ricolmi di uva pregiata:
queste le balze che Bacco amò più dei colli di Nysa,
su questo monte i satiri intrecciarono danze,
questa fu la sede di Venere, a lei più cara di Sparta,
in questo luogo era rinomato il nome di Ercole.
Tutto giace sommerso da fiamme e luttuose faville:
gli dei vorrebbero che ciò non gli fosse stato permesso".
Marziale (Epigrammi, IV, 44)
L'eruzione del Vesuvio che nel 79 d.C., sotto il regno di Tito, annientò Pompei, Stabia ed Ercolano, fu un evento epocale. Marziale, poeta di età flavia, vi dedicò uno dei suoi epigrammi tutto giocato sul contrasto tra la vitalità del passato e il panorama di morte e desolazione del presente.
"Quisquis amat valeat. Pereat qui nescit amare,
Il pane di Ercolano
"Ecco il Vesuvio, un tempo verde per le ombre dei pampini,
qui traboccavano i tini ricolmi di uva pregiata:
queste le balze che Bacco amò più dei colli di Nysa,
su questo monte i satiri intrecciarono danze,
questa fu la sede di Venere, a lei più cara di Sparta,
in questo luogo era rinomato il nome di Ercole.
Tutto giace sommerso da fiamme e luttuose faville:
gli dei vorrebbero che ciò non gli fosse stato permesso".
Marziale (Epigrammi, IV, 44)
L'eruzione del Vesuvio che nel 79 d.C., sotto il regno di Tito, annientò Pompei, Stabia ed Ercolano, fu un evento epocale. Marziale, poeta di età flavia, vi dedicò uno dei suoi epigrammi tutto giocato sul contrasto tra la vitalità del passato e il panorama di morte e desolazione del presente.
"Quisquis amat valeat. Pereat qui nescit amare,
bis tanto pereat quisquis amare vetat"
Stia bene chiunque ami, muoia chi non è capace di amare,
due volte muoia chi vieta d'amare.
Graffito ritrovato a Pompei
«Quisquis ama valia, peria qui nosci amare;
bis tanti peria quisquis amare vota».
Salute a chi ama, morte a chi non sa amare;
e ancor più, morte due volte a chi vieta di amare.
Iscrizione pompeiana
Nothing can last forever:
the sun shone after well runs into,
decreases the moon recently was full,
the violence of the winds often becomes light breeze.
(Written on the walls of Pompeii Roman)
Nada puede durar para siempre:
brillaba el sol después de bien topa,
disminuye la luna hace poco estaba lleno,
la violencia de los vientos a menudo se vuelve ligera brisa. (Escrito en las paredes de Pompeya romana)
NIHIL DURARE POTEST TEMPORE PERPETUO
CUM BENE SOL NITUIT REDDITUR OCEANO
DECRESCIT PHOEBE QUAE MODO PLENA FUIT
VEN[TO]RUM FERITAS SAEPE FIT AURA L[E]VIS
Nulla può durare in eterno:
il sole dopo aver ben brillato si getta nell’Oceano,
decresce la luna che poco fa era piena,
la violenza dei venti spesso diventa brezza leggera.
(Scritta sui muri della Pompei Romana)
Nothing can last forever:
the sun shone after well runs into,
decreases the moon recently was full,
the violence of the winds often becomes light breeze.
(Written on the walls of Pompeii Roman)
Nada puede durar para siempre:
brillaba el sol después de bien topa,
disminuye la luna hace poco estaba lleno,
la violencia de los vientos a menudo se vuelve ligera brisa. (Escrito en las paredes de Pompeya romana)
NIHIL DURARE POTEST TEMPORE PERPETUO
CUM BENE SOL NITUIT REDDITUR OCEANO
DECRESCIT PHOEBE QUAE MODO PLENA FUIT
VEN[TO]RUM FERITAS SAEPE FIT AURA L[E]VIS
Nulla può durare in eterno:
il sole dopo aver ben brillato si getta nell’Oceano,
decresce la luna che poco fa era piena,
la violenza dei venti spesso diventa brezza leggera.
(Scritta sui muri della Pompei Romana)
LE PAROLE DEGLI INNAMORATI SUI MURI DI ROMA...2000 ANNI FA…
Le parole di un innamorato disperato, su un muro della Domus Tiberiana sul Palatino:
"Non ho più forze, non chiudo occhio, notte e giorno l'amore divampa"
Vis nulla est animi, non somnus claudit ocellos, noctes atque dies aestuat omnis amor.
Le scritte di un giovane, a Pompei, sul suo amore non corrisposto:
"Se puoi e non vuoi, perché rimandi le gioie /
e incoraggi le speranze e sempre mi dici di tornare domani? /
Costringimi dunque a morire, poiché mi costringi a vivere senza di te, /
certo sarà il dono di un'azione pietosa cessar di soffrire. /
La speranza certo restituisce all'amante ciò che gli ha strappato".
Le frasi felici di un innamorato, sui muri di Pompei:
"Gli amanti come le api assaporano una vita dolce come il miele"
Amantes ut apes vitam mellitam exigunt).
E qualcuno sotto ha aggiunto: "Magari!" (Vellem).
Le parole, sempre a Pompei, sul fuoco d'amore:
"Chi ama non deve bagnarsi in acque calde,
perché nessun ustionato d'amore può amare le fiamme"
Quisquis amat, calidis non debet fontibus uti,
nam nemo flammas ustus amare potest.
Ancora, le parole di un benevolo invidioso, sui muri di un vicolo di Pompei:
"Rimproverare gli amanti è come legare l'aria,
è impedire che sempre corrano le acque di fonte".
Non possono mancare le parole di "delusione":
“Venga chiunque ama.
A Venere voglio spezzare le costole a bastonate, e fiaccarle i lombi, alla dea. /
Se lei può trapassarmi il tenero petto, /
perché io non potrei spaccarle la testa con un bastone?".
E, per finire, le parole che su un muro romano,
riassunto della bellezza dell’amore:
"Chi ama prosperi, /
muoia chi non sa amare; /
due volte tanto, poi, muoia /
chi impedisce di amare"
Quisquis amat valeat /
pereat qui nescit amare /
bis tanto pereat /
quisquis amare vetat.
Le parole di un innamorato disperato, su un muro della Domus Tiberiana sul Palatino:
"Non ho più forze, non chiudo occhio, notte e giorno l'amore divampa"
Vis nulla est animi, non somnus claudit ocellos, noctes atque dies aestuat omnis amor.
Le scritte di un giovane, a Pompei, sul suo amore non corrisposto:
"Se puoi e non vuoi, perché rimandi le gioie /
e incoraggi le speranze e sempre mi dici di tornare domani? /
Costringimi dunque a morire, poiché mi costringi a vivere senza di te, /
certo sarà il dono di un'azione pietosa cessar di soffrire. /
La speranza certo restituisce all'amante ciò che gli ha strappato".
Le frasi felici di un innamorato, sui muri di Pompei:
"Gli amanti come le api assaporano una vita dolce come il miele"
Amantes ut apes vitam mellitam exigunt).
E qualcuno sotto ha aggiunto: "Magari!" (Vellem).
Le parole, sempre a Pompei, sul fuoco d'amore:
"Chi ama non deve bagnarsi in acque calde,
perché nessun ustionato d'amore può amare le fiamme"
Quisquis amat, calidis non debet fontibus uti,
nam nemo flammas ustus amare potest.
Ancora, le parole di un benevolo invidioso, sui muri di un vicolo di Pompei:
"Rimproverare gli amanti è come legare l'aria,
è impedire che sempre corrano le acque di fonte".
Non possono mancare le parole di "delusione":
“Venga chiunque ama.
A Venere voglio spezzare le costole a bastonate, e fiaccarle i lombi, alla dea. /
Se lei può trapassarmi il tenero petto, /
perché io non potrei spaccarle la testa con un bastone?".
E, per finire, le parole che su un muro romano,
riassunto della bellezza dell’amore:
"Chi ama prosperi, /
muoia chi non sa amare; /
due volte tanto, poi, muoia /
chi impedisce di amare"
Quisquis amat valeat /
pereat qui nescit amare /
bis tanto pereat /
quisquis amare vetat.
Il pane di Ercolano
Il Pane di Ercolano
https://fbcdn-sphotos-f-a.akamaihd.net/hphotos-ak-xfp1/v/t1.0-9/10670144_977543898928587_2190953893843972859_n.jpg?oh=645feb573470ae87632ce875def4e222&oe=5528B197&__gda__=1432335134_76b35cd6bd304b6e8fdfa8e43da977b3
Pane di farro …è stato cotto e fossilizzato dall’eruzione del Vesuvio.
l farro dicocco (Triticum dicoccum), noto anche come emmer, farro medio o comunemente anche solo farro, è un cereale, parente stretto del grano. È una delle tre specie del genere triticum comunemente chiamate farro
Le prime menzioni di questo cereale si ritrovano nella Bibbia.
Era conosciuto e coltivato nell'antico Egitto.
Ezechiele lo usava come uno degli ingredienti per il suo pane (Ezechiele 4:9).
La farina di farro costituiva la base della dieta delle popolazioni latine.
Il pane di farro veniva consumato congiuntamente dagli sposi nel rito della cumfarreatio, la forma più solenne di matrimonio dell'antica Roma.
Dopo la coltivazione di altre varietà di cereali, in particolare frumento, mais e riso, la coltura del farro è andata diminuendo nel tempo fin quasi a sparire.
Oggi, riscoperto grazie alle sue ottime proprietà dietetiche, viene coltivato in Italia soprattutto in Toscana, nella Garfagnana, ai piedi delle Alpi Apuane, in provincia di Lucca.
Il farro della Garfagnana ha ottenuto la certificazione di qualità IGP.
Da notare le sirene simili alle arpie.
Le sirene non sono simli alle arpie. Sono le arpie a essere simili alle sirene.
Comunque, a parte chi siano più antiche, le arpie avevano il viso da donna ed il corpo di uccello (con ali, senza braccia), queste rappresentate sono sirene.
https://scontent-a-mxp.xx.fbcdn.net/hphotos-xfa1/t31.0-8/s960x960/10548838_728871687169712_8348559204396559748_o.jpg
Pompei ed Ercolano.
http://youtu.be/CR0zpnPGDWE
Ulisse e le sirene.
Affresco da Pompei o comunque da area vesuviana.
Londra, British Museum.
Da notare le sirene simili alle arpie.
Le sirene non sono simli alle arpie. Sono le arpie a essere simili alle sirene.
La sirena è una figura in parte donna, in parte uccello, ben più antica delle arpie
Siamo noi italiani che sbagliamo chiamando "sirene" le mermaid (cioè le dame del mare), che sono appunto donne fino al bacino e giù coda di pesce.
Comunque, a parte chi siano più antiche, le arpie avevano il viso da donna ed il corpo di uccello (con ali, senza braccia), queste rappresentate sono sirene.
Segnali stradali a Pompei...........
Può sembrare strano ma anche questo arcinoto personaggio itifallico, un po' Mercurio, un po' Priapo, rappresentava l'indicazione di un negozio.
Figura portafortuna che fonde gli attribuiti di due divinità dell'abbondanza: Priapo, dio della fecondità, e Mercurio, dio del commercio, riconoscibile dal caduceo e dal sacchetto con il denaro.
Museo Archeologico Nazionale di Napoli
(gabinetto segreto)
Riti in onore di Iside.
Pompei centro di diverse culture.
Il razzismo è una stupida invenzione moderna.
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Paesaggio: un pescatore ed un sacerdote intento ad un sacrificio di fronte al sarcofago di Arpocrate.
Affresco dal tempio di Iside, Pompei.
Museo Archeologico Nazionale, Napoli.
Una perfezione del segno e una ricchezza stilistica degna dei migliori vedutisti del '700.
La Metafisica nasce da qui?
sembra un de Chirico!
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