TOMMASO HOBBES (1588-1679).
Di nazionalità inglese, studia ad Oxford. Diventa precettore dei conti di Devonshire e anche del futuro re Carlo II Stuart allorquando era in esilio a Parigi, ove Hobbes dimora a lungo. Compie frequenti viaggi in Europa, avendo l’occasione di conoscere Cartesio e di diventare amico di Galilei. Muore a Londra.
Opere principali: la trilogia: "De corpore" (Il corpo); "De homine" (L'uomo); "De cive" (Il cittadino) nonché, soprattutto, "Il Leviatano".
Hobbes è l'iniziatore dell'empirismo ed il maggior teorico dello Stato assoluto.
La sua filosofia è nominalistica nella logica, materialistica e meccanicistica nella fisica e nella gnoseologia, utilitaristica nella morale e nella politica.
Egli vive durante un periodo assai tormentato della storia dell'Inghilterra, sconvolta dalla guerra contro la Spagna, dalla guerra civile, dalla dittatura di Cromwell. Sua aspirazione è che finalmente ritorni la pace. A tal fine considera lo Stato assoluto, autoritario e dotato di immane potere sui sudditi, l'unico rimedio contro la guerra e la violenza e l'unica garanzia di pace, pur comportando la rinuncia alla libertà e ai diritti individuali.
Il fine prevalente della filosofia di Hobbes è dunque politico. Scopo della filosofia è di essere utile, capace di trovare le regole in base a cui fondare una comunità ordinata e pacifica. Per contro, una filosofia squisitamente metafisica è ritenuta incapace di fornire indicazioni per fondare una comunità civile. L’intento è di costruire una filosofia puramente naturale e razionale, antimetafisica ed antispiritualistica, e tale inoltre da escludere qualsiasi valore attribuibile all'autorità degli autori antichi, nei quali è scorto solo un amore del sapere ma non ancora un sapere. Gli autori cui si deve attingere sono invece indicati in Cartesio, Bacone, Galilei. E Hobbes, espressamente, vuole essere il Galilei della scienza politica. Affinché sia davvero utile, bisogna applicare alla filosofia le medesime regole del metodo scientifico, sviluppando in particolare la filosofia morale e politica per trovare criteri sicuri di spiegazione delle azioni umane così da poter distinguere quelle giuste da quelle ingiuste. Per l'esaltazione della "luce della ragione" la concezione filosofica di Hobbes è di sapore illuministico: la filosofia è il frutto di una ragione prettamente umana e non di riflessioni metafisiche. Consegue una rigorosa separazione tra scienza e religione, tra ragione e fede.
La logica.
Prima di esporre la sua filosofia Hobbes rappresenta la propria posizione in ordine alla logica, in quanto scienza preliminare che studia le regole del corretto modo di pensare. Definisce dapprima il nome dal punto di vista logico. I nomi, afferma, sono segni convenzionali prodotti dall'uomo allo scopo di indicare le cose o i relativi concetti. Diversamente dalla logica aristotelica, ma anche da quella dei filosofi razionalisti volti a cogliere l'essenza o sostanza della realtà e degli enti, per Hobbes definire una cosa vuol dire soltanto spiegare il significato attribuito al vocabolo usato per indicare la cosa stessa. I concetti, a loro volta, sono solo "nomi di nomi", solamente nomi collettivi, nostri modi di pensare che non esistono nella realtà perché in essa vi sono soltanto le singole cose concrete e individuali (non c'è "l'albero" ma solo i singoli alberi concreti). Trattasi di evidente concezione nominalistica. I concetti sono peraltro utili poiché consentono generalizzazioni ed economicità del linguaggio.
L'insieme dei segni, cioè dei nomi, forma il linguaggio. Ed è il linguaggio, più che la ragione, che differenzia l'uomo dagli animali, dato che anch'essi possiedono un certo grado di ragione e sanno imparare dall'esperienza. L'uomo però, grazie al linguaggio e diversamente dagli animali, può prevedere e progettare a lunga scadenza i propri comportamenti, nonché individuare i mezzi più idonei per raggiungerne gli scopi.
Due sono le principali funzioni del linguaggio:
1. permette di comunicare;
2. ma, soprattutto, permette il ragionamento in virtù di quelle generalizzazioni che sono i concetti.
Il ragionamento è per Hobbes "un calcolare", ossia un sommare o sottrarre tra loro più nomi o concetti. Ad esempio: uomo=corpo+animato+razionale; animale= corpo+animato-razionale. È possibile sommare un nome o un concetto ad un altro per induzione oppure sottrarlo per deduzione. La forma generale del ragionamento è il sillogismo ipotetico. Ad esempio: se qualcosa è uomo è anche animale; se qualcosa è animale è anche corpo; allora se qualcosa è uomo è anche corpo. Il ragionamento (o sillogismo ipotetico) deduttivo consente una dimostrazione scientifica, ossia certa, perché è un ragionamento a priori, che parte dalla causa per spiegarne gli effetti. È però applicabile solo quando la causa o le cause siano note e le cause sono davvero note solo quando esse sono prodotte direttamente dall'uomo: noi possiamo veramente conoscere solo ciò che produciamo direttamente (è un concetto simile a quello che si troverà anche in Giambattista Vico). Ma l'uomo produce direttamente soltanto la matematica e la propria storia politica e sociale nonché il comportamento morale. Perciò le dimostrazioni scientifiche certe sono possibile unicamente nelle scienze matematiche, nelle scienze storiche e politiche e nelle scienze morali. Le cose naturali sono invece prodotte da Dio; perciò gli uomini non ne conoscono davvero le cause. Intorno ad esse non è dunque possibile una dimostrazione scientifica deduttiva a priori ma soltanto una spiegazione induttiva a posteriori. Sennonché tale dimostrazione non è certa ma solo probabile giacché il medesimo effetto può essere prodotto da cause diverse.
Il materialismo meccanicistico.
Mentre la concezione del mondo di Cartesio è materialistica e meccanicistica per quanto riguarda la natura fisica (la res extensa) e spiritualistica per quanto riguarda il pensiero (la res cogitans), la concezione di Hobbes è invece totalmente materialistica e meccanicistica anche per quanto riguarda il pensiero e la conoscenza.
Nella realtà del mondo, secondo Hobbes, esistono solo i corpi materiali e i loro movimenti. Conoscere una cosa significa individuarne la causa, tenuto conto che la ragione può conoscere le cause solamente dei corpi: le conosce a priori se si tratta di enti matematici e di eventi umani e storici; le conosce a posteriori se si tratta di corpi naturali. Tutto ciò che è sostanza spirituale, o comunque non è materia corporea, non è oggetto della filosofia. Di Dio e delle sostanze spirituali potranno occuparsi semmai la religione e la teologia. La filosofia è perciò scienza dei corpi: esistono solo corpi materiali e tutto ciò che accade, ovvero le trasformazioni dei corpi, che si generano, si sviluppano e periscono, è effetto del movimento meccanico dei corpi stessi. Il corpo, la materia, è l'unica realtà ed il movimento dei corpi è l'unica causa e principio di spiegazione di tutti i fenomeni naturali.
I corpi si dividono in corpi naturali (gli oggetti inanimati, le piante, gli animali, gli stessi uomini) e in corpi artificiali, costruiti dall'uomo (la società civile, lo Stato). In corrispondenza vi sono due tipi di filosofie: la filosofia naturale e la filosofia civile. Quest'ultima si divide a sua volta in etica, che studia le emozioni, i bisogni e i costumi degli uomini, e in politica, che studia i doveri civili degli uomini e le forme della convivenza sociale.
Poiché i corpi materiali sono l'unica realtà, allora anche l'anima, la coscienza umana, è corporea. I processi conoscitivi hanno natura materiale e si svolgono in modo meccanico. La conoscenza deriva esclusivamente dalla sensazione, la quale non è qualcosa di spirituale ma è invece un movimento materiale e meccanico prodotto dall'oggetto percepito che modifica i sensi del soggetto, il quale reagisce alla sensazione con un altro movimento. Gli stessi sentimenti (piacere, dolore, desiderio, amore, odio, ecc.) sono movimenti corporei e materiali poiché causati anch'essi dal movimento di corpi esterni (la paura, ad esempio, è causata dal movimento di una cosa spaventosa che avanza verso di noi e che ci troviamo davanti). E’ pertanto giudicato errato il ragionamento di Cartesio allorquando, dall'affermazione "io sono una cosa che pensa", passa all'altra affermazione che dice “perciò io sono una sostanza pensante immateriale, spirituale”. Per Hobbes non è affatto necessario che il pensiero sia immateriale. E’ invece considerato funzione biologica e fisiologica del corpo, in particolare di quella parte del corpo che è il cervello. Non c'è res cogitans, anima o pensiero come sostanze spirituali, ma solo res extensa, solo materia e corpi materiali.
Il materialismo etico.
Altrettanto materialistica e meccanicistica in Hobbes è la concezione dell'etica. Le valutazioni morali di ciò che è bene e ciò che è male sono puramente soggettive: cambiano da persona a persona. Viene chiamato bene ciò che si desidera e viene chiamato male ciò che si odia, ma ognuno può desiderare od odiare cose diverse. Non c'è una norma in grado di distinguere in modo assoluto il bene dal male. Il bene e il male non esistono in sé, non sono entità autonome ma sono relativi come sostenevano i sofisti. Non esiste un'etica oggettiva che prescinda dalle inclinazioni soggettive.
Non c'è neppure libera volontà, libero arbitrio. Se tutta la realtà è costituita da corpi materiali ed il movimento è loro unico principio di spiegazione, anche la nostra volontà, allora, non è libera ma determinata e causata dal movimento di un corpo su di essa. I nostri desideri non nascono liberamente da noi ma sono sempre determinati meccanicamente dai fatti esterni che ci capitano. Non c'è dunque libertà di volere; semmai vi può essere una certa libertà di fare, una certa libertà di azione, poiché, quando una causa esterna determina in me una volizione, ho la possibilità di decidere se soddisfarla o meno. Non ci accorgiamo dell’inesistenza della libera volontà solo perché si ignora tutta la concatenazione delle cause esterne che predetermina la volontà.
L’originario stato di natura dell’uomo e il sorgere dello Stato
Se per Hobbes le valutazioni morali su ciò che è bene e male sono soggettive e relative e non vi sono autonome regole morali e sociali, com’è possibile allora realizzare una società civile, uno Stato pacifico e ordinato in cui ognuno senta il dovere morale di rispettare gli altri?
Hobbes risponde che le regole morali e sociali non derivano da leggi o principi morali esterni, oggettivi, e comunque innati ed insiti nella natura umana, bensì da un calcolo di convenienza puramente artificioso, in base al quale gli uomini sono indotti a stipulare fra di essi un patto o contratto sociale per salvaguardare il loro primo bene che è quello della vita e della sua conservazione.
Non è la natura umana ma la ragione umana che convince gli uomini a mettersi d'accordo per costituire uno Stato che, con le sue leggi, garantisca un'esistenza pacifica. Quindi non c'è, come diceva Aristotele, un istinto naturale negli uomini a stare e a vivere pacificamente insieme. L'uomo non è un animale sociale per sua propria natura, per suo istinto.
Hobbes, si è visto, ha inteso costruire la sua filosofia politica come scienza, analogamente alla geometria fondata su pochi principi, pochi postulati. Così come predeterminata è la volontà umana, altrettanto predeterminata per Hobbes è la volontà politica, l’operare politico. E’ possibile pertanto scoprire i postulati che stanno alla base dell'agire politico, dai quali dedurre con certezza tutta la scienza politica, l'intero sistema politico e la sua complessiva organizzazione.
Due sono le condizioni predeterminanti l’azione politica:
1. la bramosia naturale, per la quale ogni uomo pretende tutto per sé a discapito degli altri;
2. l'istinto di conservazione, in forza del quale ognuno teme la morte violenta come il peggiore dei mali naturali.
L'originario stato di natura dell'uomo, caratterizzante l'uomo primitivo, è appunto la bramosia, l'egoismo, ovvero la pretesa di aver diritto a tutto; da ciò deriva la sopraffazione, la prepotenza e, quindi, una continua lotta per prevalere sugli altri, una continua guerra di tutti contro tutti (bellum omnium contra omnes). L'uomo non è naturalmente buono ma aggressivo come un lupo nei confronti degli altri uomini (homo homini lupus). Non c'è una giustizia naturale, un amore spontaneo dell'uomo verso gli altri uomini. Esso potrà semmai venire in seguito, col progredire della civiltà e dell'educazione sociale. Lo stato originario di natura dell'uomo è invece quello della legge del più forte, ma anche il più forte troverà, prima o poi, un altro più forti di lui. In questa situazione è costantemente messa a rischio la vita, la sopravvivenza. Diventa inoltre sempre più impraticabile e difficile la vita lavorativa per procurarsi ciò di cui si ha bisogno perché i frutti del lavoro possono essere derubati a causa della prepotenza altrui.
Dall’originaria e perigliosa umana condizione di natura si può uscire solo facendo ricorso alla ragione, unico strumento capace di calcolare gli svantaggi derivanti dalla primitiva situazione di guerra permanente fra tutti e di indicare, quindi, la scelta alternativa più conveniente. La ragione calcola e fa comprendere che, allo scopo di conservare la vita e non essere soppressi dal più forte, conviene limitare il naturale egoismo individuale, rinunciare alla pretesa di aver diritto a tutto, scegliendo tutti di osservare alcune precise regole (Hobbes ne indica 19), di cui tre sono le più importanti:
1. occorre sempre cercare la pace e, quando non è possibile, difendersi con tutti i mezzi perché la difesa della vita, questo sì, è un diritto naturale, tale cioè che non deriva dalla ragione umana ma fa parte della condizione naturale dell'uomo, mentre alla ragione spetta di trovare i mezzi per garantirlo;
2. l'uomo deve spontaneamente rinunciare alla pretesa di aver diritto a qualunque cosa ed accontentarsi di aver tanta libertà quanta egli stesso ne riconosce agli altri; questa, dice Hobbes, è la "legge del Vangelo" applicata alla politica, alla società civile: non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te;
3. bisogna stare ai patti, rispettarli: questa è la condizione necessaria per la convivenza pacifica, per entrare nella società civile e nello Stato; da questa regola nasce il diritto, la legge, la giustizia civile.
E’ in base a queste regole fondamentali che gli uomini convengono di stipulare fra di loro quel contratto o patto sociale da cui sorge lo Stato. Lo Stato non ha quindi un'origine divina o naturale, come si credeva o si voleva far credere, bensì un'origine artificiale; è un prodotto degli uomini. Se è un prodotto umano, sono note allora le cause per cui lo Stato viene realizzato. Di conseguenza, applicando il metodo deduttivo a priori, è possibile passare dalle cause generali concernenti l'origine dello Stato (le tre regole di cui sopra) alla spiegazione certa degli effetti particolari che ne derivano, alla spiegazione cioè della struttura e delle caratteristiche peculiari dello Stato. In tal senso è da Hobbes giustificata la sua concezione della politica come scienza.
Lo Stato assoluto: il Leviatano.
Non può tuttavia costituirsi uno Stato che perduri solo in virtù di un patto sociale se non viene creato anche un "potere" che costringa ogni uomo a rispettare le regole del patto stipulato. Con il patto sociale gli uomini di una comunità rinunciano ai loro diritti, alla loro pretesa su tutto, tranne il diritto della difesa della vita, e li cedono ad un sovrano: un re o una Assemblea. Ne discende che il patto sociale è stipulato fra i sudditi tra loro e non tra i sudditi ed il sovrano, il quale dunque è al di sopra delle regole del patto medesimo, al di sopra delle leggi dello Stato. Il sovrano è l'unico a mantenere gli originari diritti dello stato di natura, il diritto su tutto, eccetto il diritto sulla vita altrui. Lo Stato sorto dal contratto sociale, perciò, riunisce su di sé un potere enorme. Solo nel caso in cui lo Stato non difenda e non rispetti la vita dei sudditi essi hanno, allora, il diritto di ribellarsi.
Hobbes, massimo teorico dello Stato assoluto, lo definisce "per metà uomo e per metà Dio mortale" perché è subito al di sotto del Dio immortale e quasi altrettanto potente. Lo Stato assoluto, così mostruosamente potente, è paragonato al “Leviatano”, il mostro invincibile di cui narra la Bibbia.
Lo Stato assoluto possiede un potere veramente smisurato poiché:
1. il patto sociale è irreversibile ed unilaterale, in quanto, si è visto, stipulato tra i sudditi e non tra i sudditi e il sovrano, che sta al di sopra;
2. il potere del sovrano è indivisibile, non ammette separazione fra potere legislativo, esecutivo e giudiziario poiché, altrimenti, lo Stato ne verrebbe svigorito e verrebbe pertanto indebolita la difesa della vita dei sudditi;
3. il bene e il male, il giusto e l'ingiusto, sono stabiliti dalla legge emanata dal sovrano, restando con ciò confermato il concetto hobbesiano che non esiste una morale naturale, non c'è il bene e il male in sé, ma bene e male è solo ciò che è prescritto dalla legge dello Stato;
4. la sovranità dello Stato deve pretendere l'obbedienza assoluta dei propri sudditi, anche per gli ordini ritenuti ingiusti, tranne il caso in cui sia messa in pericolo la vita; la stessa Chiesa è sottomessa allo Stato, che ha il diritto di intervenire anche in materia religiosa: la religione diventa religione di Stato e la Chiesa è al servizio dello Stato.
Bisognerà attendere l'avvento delle monarchie costituzionali e la filosofia di Locke, il teorico dello Stato costituzionale, perché lo Stato assoluto venga superato e nascano forme più democratiche di governo. Ma il periodo in cui visse Hobbes era così pieno di guerre e di lotte che per lui l'unico rimedio in grado di consentire la pace e la difesa della vita poteva essere solo uno Stato potentissimo ed autoritario: uno Stato assoluto.
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