mercoledì 12 settembre 2018

Banfield. Familismo amorale - amoral familism. Edward C. Banfield coniò la celebre formula di “familismo amorale” (amoral familism) che appare nel libro "Le basi morali di una società arretrata" (“The moral basis of backward society”, 1ª ed. 1958) per descrivere certi comportamenti collettivi da lui osservati in una cittadina del nostro Mezzogiorno (chiamata "Montegrano" nella finzione sociologica) [...] definizione di familismo amorale che egli stesso ne fa e che cito dalla mia edizione del 1976: «massimizzare i vantaggi materiali e immediati della famiglia nucleare; supporre che tutti gli altri si comportino allo stesso modo», si capirà subito che non è stricto sensu “immorale” tendere ad anteporre la propria famiglia alla Città, alla collettività, alla comunità.

Familismo amorale - amoral familism,  Edward C. Banfield.
Precisazioni sul termine e concetto di "familismo amorale".
Il termine e concetto di “familismo amorale” ha conosciuto decenni di oscuramento nella cultura italiana per ragioni non difficili da spiegare seguendo due ordini di fattori: 

1) l’egemonia culturale marxista che sulla base del materialismo storico (dialettica tra struttura economica e sovrastruttura ideologica, la prima che determina la seconda) deprezzava ogni acquisizione sociologica o antropologica in cui, viceversa, venivano valorizzati i fattori mentali-culturali (le ideologie o le mentalità) che a certe condizioni precedono o determinano i fattori strutturali. Insomma Marx contro Weber per riportare il tutto alle “idee madri” dei due pensatori tedeschi

2) il fatto che tale denominazione di familismo amorale fosse stata enucleata da un sociologo-antropologo americano conservatore al servizio del Pentagono e da alcuni sospettato addirittura di essere un “barba finta”. Inoltre, siccome tale nozione trascinava con sé la descrizione di una “società arretrata”, avvistata per di più in Italia, non piacque alla maggioranza dei nostri intellettuali di essere associati a questo ambito semantico, che come annoterò in seguito, ci svalorizzava.

Oggi invece il termine e concetto viene usato e abusato.

Facciamo allora qualche sforzo di precisazione. 
Quando Edward C. Banfield coniò la celebre formula di “familismo amorale” (amoral familism) che appare nel libro "Le basi morali di una società arretrata" (“The moral basis of backward society”, 1ª ed. 1958) per descrivere certi comportamenti collettivi da lui osservati in una cittadina del nostro Mezzogiorno (chiamata "Montegrano" nella finzione sociologica) adottò l’aggettivo “amoral” in maniera piuttosto precisa dal punto di vista semantico. Non “immoral” (che pure esiste nel vocabolario anglosassone) ma “amoral”, e a ben ragione.

Se richiamiamo la definizione di familismo amorale che egli stesso ne fa e che cito dalla mia edizione del 1976: «massimizzare i vantaggi materiali e immediati della famiglia nucleare; supporre che tutti gli altri si comportino allo stesso modo», si capirà subito che non è stricto sensu “immorale” tendere ad anteporre la propria famiglia alla Città, alla collettività, alla comunità. È normale e non è dunque “immorale” pensare ai propri cari: ciò avviene sotto qualsiasi cielo morale. Quel che Banfield intendeva sottolineare con “amorale” è che questo comportamento quando non ha altri scopi che questo, non pensa collettivo, non sviluppa comportamenti orientati alla comunità (“community oriented”) non si pone nemmeno obiettivi relativi all’ethos, allo spirito pubblico. È cioè un comportamento esclusivo, ostile o avulso da preoccupazioni “sociali” che non siano interessi o convenienze. (“Chi cc’è ppi mia?” Cosa c’è per me, Che me ne viene a me, si interroga il catanese medio prima di muovere qualsiasi passo verso il collettivo).

Tutto ciò quanto all’aggettivo amorale. 
Quanto al sostantivo, "familismo", si capirà ben presto che tale termine non descrive sempre e solo il proprio nucleo familiare ovvero gli atti di promozione della famiglia verso i propri componenti. Facile intuire che, per Banfield, in effetti la nozione di familismo amorale è estensibile a qualsiasi gruppo, non solo familiare, ma alla conventicola, alla corporazione, alla cricca, al sindacato, al partito, al gruppo amicale detto cronyism ecc., ossia tutti quei soggetti che contrappongono valori “particolaristici” a quelli universalistici: in altri termini è un valore mentale-culturale oltre che una devastante prassi sociale che, così come prospettato da Banfield, si contrappone alla "civicness", al senso civico. Sotto questo riguardo è “familismo amorale” per esempio accettare o chiedere voti di scambio (fatto esplicitamente trattato da Banfield in alcune implicazioni che troverete in fondo pagina), accettare o chiedere raccomandazioni, ma anche, stressando il concetto nei suoi confini semantici, non donare il sangue, non denunciare comportamenti criminosi ecc., farsi i fatti propri, ecc.; ovvero non condividere o osteggiare comportamenti community oriented.

Da questa incapacità a “pensare collettivo” motivata da particolarismo e da sfiducia verso gli altri nasce per Banfield un problema sia per l’economia che per la politica. Questo è un punto su cui porre la massima attenzione. In economia non fai un passo avanti nello sviluppo se non sai aggregarti agli altri, e in politica non otterrai la democrazia (autogoverno), perché come aveva già osservato Tocqueville nella "Democrazia in America" (fonte di ispirazione di Banfield) tale assetto politico nasce dall’associazionismo, ossia dalla capacità che hanno gli individui di uscire fuori da se stessi, dal proprio nucleo familiare e dalla propria corporazione per sviluppare comportamenti orientati verso la comunità, di partecipare alla vita pubblica. E avrai pertanto in ultima analisi una società “arretrata”.

Riporto il passo cruciale ove Banfield chiarisce questo concetto.

«Non si può attuare un sistema economico moderno se non si sa curare e mantenere in vita un’organizzazione professionale; in altri termini, più elevato è il livello di vita che ci si propone di raggiungere, tanto più risulterà indispensabile l’organizzazione. L’incapacità di organizzarsi costituisce ugualmente un ostacolo al progresso politico: infatti proprio dalla possibilità di coordinare, in relazione ai problemi di interesse pubblico, le linee di condotta di un gran numero di persone dipende, tra l’altro, l’attuazione di forme di autogoverno. In breve, i medesimi elementi che concorrono alla formazione di un’associazione ai fini economici, concorrono altresì alla formazione di associazioni di carattere politico».

Un’ultima noterella linguistica che però la dice lunga sull’adozione dei termini è la seguente: la prima traduzione italiana del libro (1961) ebbe un titolo generico "Una comunità del Mezzogiorno". Perché? Voleva evitare quella etichetta deprezzatoria che è nel titolo e che è già un giudizio di valore: “società arretrata”. E nessuno ama essere definito “arretrato".

Alfio Squillaci


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