Chi è Siddharta? È uno che cerca e cerca soprattutto di vivere intera la propria vita. Passa di esperienza in esperienza, dal misticismo alla sensualità, dalla meditazione filosofica alla vita degli affari, e non si ferma presso nessun maestro, non considera definitiva nessuna acquisizione, perché ciò che va cercato è il tutto, il misterioso tutto che si veste di mille volti cangianti. E alla fine quel tutto, la ruota delle apparenze, rifluirà dietro il perfetto sorriso di Siddharta, che ripete il «costante, tranquillo, fine, impenetrabile, forse benigno, forse schernevole, saggio, multirugoso sorriso di Gotama, il Buddha, quale egli stesso l′aveva visto centinaia di volte con venerazione.
«La maggior parte degli uomini sono come una foglia secca, che si libra e si rigira nell'aria e scende ondeggiando al suolo. Ma altri, pochi, sono come stelle fisse, che vanno per un loro corso preciso, e non c'è vento che li tocchi, hanno in loro stessi la loro legge ed il loro cammino».
Hermann Hesse, “Siddharta”
Siddharta ascoltava. Era tutt'orecchi, interamente immerso in ascolto, totalmente vuoto, totalmente disposto ad assorbire; sentiva che ora aveva appreso tutta l'arte dell'ascoltare. Spesso aveva già ascoltato tutto ciò, queste mille voci nel fiume; ma ora tutto ciò aveva un suono nuovo. Ecco che più non riusciva a distinguere le molte voci, le allegre da quelle in pianto, le infantili da quelle virili, tutte si mescolavano insieme, lamenti di desiderio e riso del saggio, grida di collera e gemiti di morenti, tutto era una cosa sola, tutto era mescolato e intrecciato, in mille modi contesto. E tutto insieme, tutte le voci, tutte le mete, tutti i desideri, tutti i dolori, tutta la gioia, tutto il bene e il male, tutto insieme era il mondo. Tutto insieme era il fiume del divenire, era la musica della vita.”
Hermann Hesse, Siddharta
"Tutti amavano Siddharta. A tutti egli dava gioia, tutti ne traevano piacere. Ma egli, Siddharta, a se stesso non procurava piacere, non era di gioia a se stesso. Passeggiando sui sentieri rosati del frutteto, sedendo nell’ombra azzurrina del boschetto delle contemplazioni, purificando le proprie membra nel quotidiano lavacro di espiazione, celebrando i sacrifici nel bosco di mango dalle ombre profonde, con la sua perfetta compitezza di atteggiamenti, amato da tutti, di gioia a tutti, pure non portava gioia in cuore. Lo assalivano sogni e pensieri irrequieti, portati fino a lui dalla corrente del fiume, scintillati dalle stelle della notte, dardeggiati dai raggi del sole.... e un’agitazione dell’anima..(...) Dunque non era in lui l’Atman, non zampillava nel suo cuore la fonte originaria? Eppure era questa che bisognava trovare: scoprire la fonte originaria nel proprio Io, e impadronirsene! Tutto il resto era ricerca, era errore e deviazione. Tali erano i pensieri di Siddharta, questa era la sua sete, questo il suo tormento.."
Hermann Hesse - Siddharta, cap.1
“L’amore, mi sembra di tutte la cosa principale.
Penetrare il mondo, spiegarlo, disprezzarlo, può essere l’opera dei grandi filosofi.Ma a me importa solo di poter amare il mondo, non disprezzarlo, non odiare il mondo e me;
a me importa solo di poter considerare il mondo, e me, e tutti gli esseri, con amore, ammirazione e rispetto”
Hermann Hesse, Siddharta
Si guardò attorno come se vedesse per la prima volta il mondo. Bello era il mondo, variopinto, raro e misterioso era il mondo! Qui era azzurro, là giallo, più oltre verde, il cielo pareva fluire lentamente come i fiumi, immobili stavano il bosco e la montagna, tutto bello, tutto enigmatico e magico, e in mezzo v'era lui, Siddharta, il risvegliato, sulla strada che conduce a se stesso. Tutto ciò, tutto questo giallo e azzurro, fiume e bosco penetrava per la prima volta attraverso la vista in Siddharta, non era più l'incantesimo di Mara, non era più il velo di Maya, non era più insensata e accidentale molteplicità del mondo delle apparenze, spregevole agli occhi del Brahmino, che, tutto dedito ai suoi profondi pensieri, scarta la molteplicità e solo dell'unità va in cerca. L'azzurro era azzurro, il fiume era fiume, e anche se nell'azzurro e nel fiume vivevan nascosti come in Siddharta l'uno e il divino, tale era appunto la natura e il senso del divino, d'esser qui giallo, là azzurro, là cielo, là bosco e qui Siddharta. Il senso e l'essenza delle cose erano non in qualche cosa oltre e dietro loro, ma nelle cose stesse, in tutto.
"Come sono stato sordo e ottuso! " pensava, e camminava intanto rapidamente. "Quand'uno legge uno scritto di cui vuoi conoscere il senso, non ne disprezza i segni e le lettere, né li chiama illusione, accidente e corteccia senza valore, bensì li decifra, li studia e li ama, lettera per lettera. Io invece, io che volevo leggere il libro del mondo e il libro del mio proprio Io, ho disprezzato i segni e le lettere, a favore d'un significato congetturato in precedenza, ho chiamato illusione il mondo delle apparenze, ho chiamato il mio occhio e la mia lingua fenomeni accidentali e senza valore. No, tutto questo è finito, ora son desto, mi sono risvegliato nella realtà e oggi nasco per la prima volta".
Hermann Hesse, Siddharta
la nascita psichica...
Amaro era il sapore del mondo. La vita, tormento. Una meta si proponeva Siddharta: diventare vuoto, vuoto di sete, vuoto di desideri, vuoto di sogni, vuoto di gioia e di dolore. Morire a se stesso, non essere più lui, trovare la pace del cuore svuotato, nella spersonalizzazione del pensiero rimanere aperto al miracolo, questa era la sua meta. Quando ogni residuo dell’Io fosse superato ed estinto, quando ogni brama e ogni impulso tacesse nel cuore, allora doveva destarsi l’ultimo fondo delle cose, lo strato più profondo dell’essere, quello che non è più Io: il grande mistero.
Hermann Hesse, Siddharta
La sua meta lo tira a sé, poiché egli non conserva nell’anima propria, che potrebbe contrastare a questa meta.
Hermann Hesse, Siddharta
La memoria, travestita da ricordo torna a percuotermi, si fissa lì, nello sguardo e più nulla lascia trapelare, se non quegli attimi , quegli attimi che sempre mi apparterranno.
Hermann Hesse, Siddharta
Si, Siddharta", è questo ciò che vuoi dire:che il fiume si trova ovunque in ogni istante, dalle sorgenti e alla foce, alla cascata, al traghetto, nel mare, in montagna, dovunque in ogni istante, e che per lui non vi è che presente, neanche l'ombra del passato, neanche l'ombra dell'avvenire. E quando l'ebbi appreso, allora considerai la mia vita e vidi che è anch'essa un fiume...Nulla fu, nulla sarà:tutto è, tutto ha realtà e presenza."
Siddharta
Che dovrei mai dirti io, o venerabile?
Forse questo, che tu cerchi troppo?
Che tu non pervieni al trovare per il troppo cercare"?
"Come dunque"? chiese Govinda.
Rispose Siddharta:
"Quando qualcuno cerca," rispose Siddharta "allora accade facilmente che il suo occhio perda la capacità di vedere ogni altra cosa, fuori di quella che cerca, e che egli non riesca a trovar nulla, non possa assorbire nulla, in sé, perché pensa sempre unicamente a ciò che cerca, perché ha uno scopo, perché è posseduto dal suo scopo. Cercare significa: avere uno scopo. Ma trovare significa: esser libero, restare aperto, non avere uno scopo. Tu, venerabile, sei forse di fatto uno che cerca, poiché, perseguendo il tuo scopo, non vedi tante cose che ti stanno davanti agli occhi."
Hermann Hesse, Siddharta
...La saggezza non può essere trasmessa.
La saggezza che un saggio tenta di trasmettere
suona sempre simile alla follia."
Hermann Hesse, "Siddharta "
Il fiume rideva. Sì, era così, tutto ciò che non era stato sofferto e consumato fino alla fine si ripeteva, e sempre si soffrivano di nuovo gli stessi dolori.[...] Oh, non era forse il tempo la sostanza di ogni pena, non era forse il tempo la sostanza di ogni tormento e d'ogni paura, e non sarebbe stato superato e soppresso tutto il male, tutto il dolore del mondo, appena si fosse superato il tempo, appena si fosse trovato il modo di annullare il pensiero del tempo?
Hermann Hesse, Siddharta
E tutto insieme, tutte le voci,
tutte le mete, tutti i desideri,
tutti i dolori, tutta la gioia, tutto il bene e il male,
tutto insieme era il mondo.
Tutto insieme era il fiume del divenire,
era la musica della vita.
Hermann Hesse, Siddharta
Vedi, Kamala, se tu getti una pietra nell'acqua, essa si affretta per la via più breve fino al fondo. E così è di Siddharta, quando ha una meta, un proposito. Siddharta non fa nulla. Siddharta pensa, aspetta, digiuna, ma passa attraverso le cose del mondo come la pietra attraverso l'acqua, senza far nulla, senza agitarsi: viene scagliato, ed egli si lascia cadere. La sua meta lo tira a se, poiché egli non conserva nulla nell'anima propria, che potrebbe contrastare a questa meta. Questo è ciò che Siddharta ha imparato dai Samana. Questo è ciò che gli stolti chiamano magia, credendo che sia opera dei demoni. Ognuno può compiere opera di magia, ognuno può raggiungere i propri fini, se sa pensare, se sa aspettare, se sa digiunare ». Kamala lo ascoltava. Amava la sua voce, amava lo sguardo dei suoi occhi. « Forse è così» , disse piano «così come tu dici, amico.». Un modo d'essere che per noi occidentali é difficile, non solo comprendere, ma soprattutto tradurre in comportamento.
Herman Hesse, Siddharta
Ma il suo occhio liberato s'indugiava al di qua,vedeva e riconosceva le cose visibili, cercava la sua patria in questo mondo. Non cercava la "Realtà", nè aspirava ad alcun al di là. Bello era il mondo a considerarlo così: senza indagine, così semplicemente, in una disposizione di spirito infantile. Belli la luna e gli astri, belli il ruscello e le sue sponde, il bosco e la roccia, la capra e il maggiolino, fiori e farfalle. Bello e piacevole andar così per il mondo e sentirsi così bambino, così risvegliato, così aperto all'immediatezza delle cose, così fiducioso.
Hermann Hesse, Siddharta
«[…] Posso amare una pietra, Govinda, e anche un albero o un pezzo di corteccia.
Queste son cose, e le cose si possono amare. Ma le parole non le posso amare. […]
Forse è questo ciò che impedisce di trovar la pace: le troppe parole.
Poiché anche liberazione e virtù, anche samsara e nirvana sono mere parole, Govinda.
Non c’è nessuna cosa che sia il nirvana, esiste solo la parola nirvana».
Hermann Hesse, Siddharta
IL ROMANZO
Siddharta è un romanzo ambientato in India e pubblicato per la prima volta nel lontano 1922.
E’ una tra le opere più famose di Hermann Hesse.
Narra la vita del giovane indiano Siddharta, figlio di un ricco bramino, alla ricerca della sua strada nei modi più disparati.
STORIA E DIFFUSIONE DELL'OPERA
Siddharta è senz′altro l′opera di Hesse più universalmente nota.
Questo breve romanzo di ambiente indiano, pubblicato per la prima volta nel 1922, ha avuto infatti in questi ultimi anni una strepitosa fortuna.
Prima in America, poi in ogni parte del mondo, i giovani lo hanno riscoperto come un loro testo, dove non trovavano solo un grande scrittore moderno ma un sottile e delicato saggio, capace di dare, attraverso questa parabola romanzesca, un insegnamento sulla vita che evidentemente i suoi lettori non incontravano altrove.
E’ un libro adatto a chi si pone tante domande, a chi cerca risposte, a chi è alla ricerca di se stesso ed a chi vuole trovare la propria essenza e i propri valori.
Che possa piacere o no… che possa essere condiviso o no… il pensiero di Hesse che si esprime attraverso il libro è certamente un geniale e sublime tentativo di vedere oltre l’apparenza materiale delle cose… e può rappresentare una grande lezione di vita.
ALCUNI SIGNIFICATIVI ESTRATTI
“Povero io sono” disse Siddharta: “non possiedo niente, se è questo che intendi dire.
Certamente sono povero, ma lo sono volontariamente, quindi non sono in miseria”.
Se vuoi conoscere il tuo passato, sapere che cosa ti ha causato, allora osservati nel presente, che è l'effetto del passato. Se vuoi conoscere il tuo futuro, sapere che cosa ti porterà, allora osservati nel presente, che è la causa del futuro.
Tu sei un sapiente Siddharta; ebbene, impara anche questo: “L’amore si può mendicare, comprare, regalare, si può trovarlo per caso sulla strada, ma non si può estorcere”.
“Dimmi, amico: tu non educhi tuo figlio? non lo costringi? non lo picchi? non lo castighi?”
“No, Vasudeva, non faccio nulla di tutto questo”.
“Lo sapevo. Tu non lo costringi, non lo picchi, non gli dai ordini, perchè sai che c’è più forza nel molle che nel duro, sai che l’acqua è più forte della pietra, che l’amore è più forte della violenza….”
”… A lui, che in amore era ancora un ragazzo, e perciò incline a precipitarsi ciecamente e insaziabilmente nel piacere come in un abisso, ella insegnò a fondo la dottrina che non si ottiene piacere senza dare piacere, e che ogni gesto, ogni carezza, ogni contatto, ogni sguardo, ogni minima posizione del corpo ha il suo segreto, la cui scoperta avvia alla consapevole felicità. Gli insegnò che, dopo una festa d’amore, gli amanti non debbono separarsi se non compresi di reciproca ammirazione, se non vinti e vincitori a un tempo, cosicchè in nessuno dei due insorgano sazietà e squallore e il sentimento cattivo d’avere abusato o d’aver subìto un abuso. ..”
“La realtà dell'esistenza personale e del mondo esteriore è dolore, consistente nell'invarianza delle sue condizioni:
nascita, malattia, morte, mancanza di ciò che si desidera, unione con ciò che dispiace, separazione da ciò che si ama;
l'origine del dolore è il desiderio di esistere, il bisogno del piacere e anche il suo rifiuto.
La retta via sta nel mezzo.
Il segreto della felicità sta nell'accettarsi così come si è, rinunciando ai desideri, la cui consapevolezza rende infelici non meno della loro realizzazione.
Infatti ogni desiderio soddisfatto porta a maturarne un altro ancora più grande.”
TONY KOSPAN
https://tonykospan21.wordpress.com/2015/12/19/siddharta-uno-dei-libri-piu-famosi-del-mondo-storia-trama-ed-estratti/
Il 2 luglio del 1877 nasceva lo scrittore svizzero di origine tedesca Hermann Hesse, celebre autore di opere mistiche e spirituali sulla ricerca di se stessi; di queste opere la più nota è senza dubbio “Siddharta”. Contrariamente a quanto potrebbe far pensare il titolo, non si tratta di un libro sul Budda. Il protagonista è invece un personaggio di fantasia che rappresenta, nelle parole dell’autore, «uno dei tanti Budda potenziali».
Questo libro venne accolto in modo abbastanza tiepido alla sua pubblicazione nel 1922, ma fu riscoperto negli anni sessanta e settanta diventando un autentico best seller, il libro più venduto del mondo e senza dubbio uno dei più rubati in quel periodo. Andava appunto a ruba.
Mia madre mi ha confermato che per la sua generazione “Siddharta” era una sorta di Vangelo: era obbligatorio tenerne una copia sul comodino. Anzi, non sul comodino, visto che i giovani fricchettoni di quell’epoca di solito dormivano su un materasso appoggiato al pavimento e tenevano i libri in spartanissime scaffalature fatte con le cassette della frutta.
In molti casi il libro veniva lasciato lì intonso come un grazioso soprammobile e non veniva letto veramente, come d’altra parte capita anche al Vangelo vero e proprio. Essere molto venduto e essere molto letto non è esattamente la stessa cosa.
Il libro di Hesse ebbe comunque un ruolo fondamentale, paragonabile quasi a quello dei Beatles, nel diffondere tra i giovani di quegli anni il mito dell’India e nello spingere molti di loro a recarsi in pellegrinaggio in quella terra mistica e spirituale per trovare se stessi e il senso dell’esistenza lontano dalla decadente e materialista civiltà occidentale.
La cosa curiosa è che invece Hesse in India… non ci mise mai piede! Fu una specie di Emilio Salgari (più colto e spirituale) che viaggiò con la fantasia, e fece viaggiare molti altri con lui, in luoghi che non aveva mai visto di persona.
Il suo unico viaggio in Oriente lo fece nel 1911 insieme a un amico per allontanarsi dalla prima moglie, con cui non aveva un buon rapporto, seguendo le orme dei suoi genitori missionari pietisti.
In un itinerario molto salgariano, appunto, e conradiano, visitarono Singapore, Malesia e Indonesia. L’India avrebbe dovuto essere il clou del viaggio ma non poterono andarci.
Il motivo?
Erano assai intelligentemente rimasti a corto di soldi, proprio come è accaduto in seguito ai loro seguaci hippie. Anche mia mamma, a venti anni, ha dovuto farsi rimpatriare dall’ambasciata dopo essere rimasta senza il becco di un quattrino e aver quasi rischiato di morire di fame.
Ma tornando a Hesse la cosa più vicina all’India che vide fu l’isola di Ceylon (l’attuale Sri Lanka). Leggendo il suo diario non pare che sia stata un’esperienza particolarmente illuminante o mistica:
«Una passeggiata si trasforma in una corsa faticosa e irritante sotto le forche caudine dell'industria turistica, come capita anche in Europa solo nelle località beneficate dal denaro inglese. Alla fine si è ben contenti di rifugiarsi presso il coolie ghignante che per venti volte ti ha sbarrato la strada con la stanga del suo risciò e che per venti volte hai scacciato; aveva ragione lui, sapeva benissimo che lui e i suoi colleghi riescono sempre a indurre uno straniero appena arrivato a buttarsi in una carrozzella. Del resto, ci si abitua a tutto. Me l'ero vista con il caldo terribile di Singapore e di Colombo, con le zanzare della foresta vergine, con i pasti indiani, con la diarrea e le coliche, e ce l'avrei fatta anche in questo caso. Imparai a evitare lo sguardo delle bellissime ragazzine dai neri occhi tristi quando mendicavano, imparai a respingere gelidamente i vecchi dai capelli bianchissimi che sembravano immagini di santi, mi abituai a un fedele codazzo di prezzolati d'ogni tipo riuscendo a tenerli a freno con gesti da sergente e rudi comandi. Imparai persino a prendermi gioco dell' India e dovetti mandar giù l'orribile scoperta che lo sguardo carico di interiorità, orante e anelante della maggior parte degli indiani non invoca gli dei e la redenzione, ma semplicemente il denaro». Lo sguardo orante dell’India? Ma non era a Ceylon?
Beh dai facciamo di tutte le erbe un fascio, chissenefrega.
Ecco perché avevano finito i soldi! Direi che la sua storia fa il paio con quella di Gustav von Aschenbach (il protagonista di “Morte a Venezia” di Thomas Mann) che viene miseramente buggerato da un gondoliere.
Ah! Questi poveri tedeschi e il loro idealismo romantico che deve sempre puntualmente scontrarsi con il prosaico realismo degli abitanti dei paesi caldi!
La desolante conclusione di Hesse fu «È da tempo ormai che abbiamo perso il paradiso, e il paradiso nuovo che sogniamo, o che vogliamo costruire, non si troverà sull'Equatore né sulle rive dei mari caldi d'Oriente».
Ma col tempo il nostro Hermann avrebbe cambiato idea; la tragedia della prima guerra mondiale gli fece perdere ogni fiducia nella civiltà occidentale e le sue speranze di redenzione e rinnovamento per l’umanità si volsero all’Est, a quell’oriente che adesso, trasfigurato nei ricordi, si trasformò per lui nella classica «terra mistica e spirituale dove ritrovare sè stessi e il senso dell’esistenza».
Così scriveva nel 1917: «Non potremo mai, noi figli invecchiati dell' Occidente, ritornare all'umanità arcaica e all'innocenza paradisiaca dei popoli primitivi [Ah, sì? Ma non avevi detto che vogliono solo scucirti i soldi?]. Ma quel che ci attira nello spirito dell' Oriente, e si esprime ancora oggi nei gesti degli asiatici, è il ritorno alle sorgenti e il rinnovamento fecondo. L' Oriente non è solo un luogo geografico, è anzitutto la patria della giovinezza delle anime, è ovunque ed è introvabile, nell'unificazione di tutti i tempi». Mah, se lo dici tu, vecchio mio, ti crediamo sulla parola.
Nel 1923, un anno dopo la pubblicazione di Siddharta, Hesse aggiungeva: «L'indù è geniale per il sentimento religioso come lo è nel pensiero astratto. La religione induista accoglie tranquillamente dentro di sé, in una confusione paradisiaca, i contrasti più prodigiosi, le formule più contraddittorie, i dogmi, i riti, i miti, i culti più incompatibili che si possano immaginare, il delicato e il rude, la spiritualità insieme a una volgare sensualità, la bontà suprema e una selvaggia crudeltà».
La conoscenza dell’Oriente per Hesse non avvenne con l’esperienza diretta ma attraverso la lettura: fin dalla prima giovinezza nutrì una grande ammirazione per il Budda e lesse con passione la letteratura indiana, in seguito si avvicinò a Lao Tse e agli altri pensatori cinesi, ma non considerò mai le religioni orientali intrinsecamente superiori al cristianesimo e scrisse saggiamente:
«Penso che una religione sia buona come un’altra. Non ce n'è nessuna attraverso cui non si potrebbe diventare un saggio, e nessuna che non si potrebbe praticare come la più sciocca idolatria».
La sua idea fondamentale è così espressa in “Siddharta”: «L’amore mi sembra di tutte la cosa più importante. Penetrare il mondo, spiegarlo, disprezzarlo, può essere opera di filosofi. A me importa solo di poterlo amare; a me importa solo di poter considerare me, tutti gli esseri e il mondo con amore, ammirazione e rispetto».
In poche parole: “All you need is love”.
Hermann Hesse è stato proprio il nonno putativo degli hippie che però a differenza sua in India in molti casi ci sono andati davvero e ci si sono anche fermati un bel po’.
Questo libro venne accolto in modo abbastanza tiepido alla sua pubblicazione nel 1922, ma fu riscoperto negli anni sessanta e settanta diventando un autentico best seller, il libro più venduto del mondo e senza dubbio uno dei più rubati in quel periodo. Andava appunto a ruba.
Mia madre mi ha confermato che per la sua generazione “Siddharta” era una sorta di Vangelo: era obbligatorio tenerne una copia sul comodino. Anzi, non sul comodino, visto che i giovani fricchettoni di quell’epoca di solito dormivano su un materasso appoggiato al pavimento e tenevano i libri in spartanissime scaffalature fatte con le cassette della frutta.
In molti casi il libro veniva lasciato lì intonso come un grazioso soprammobile e non veniva letto veramente, come d’altra parte capita anche al Vangelo vero e proprio. Essere molto venduto e essere molto letto non è esattamente la stessa cosa.
Il libro di Hesse ebbe comunque un ruolo fondamentale, paragonabile quasi a quello dei Beatles, nel diffondere tra i giovani di quegli anni il mito dell’India e nello spingere molti di loro a recarsi in pellegrinaggio in quella terra mistica e spirituale per trovare se stessi e il senso dell’esistenza lontano dalla decadente e materialista civiltà occidentale.
La cosa curiosa è che invece Hesse in India… non ci mise mai piede! Fu una specie di Emilio Salgari (più colto e spirituale) che viaggiò con la fantasia, e fece viaggiare molti altri con lui, in luoghi che non aveva mai visto di persona.
Il suo unico viaggio in Oriente lo fece nel 1911 insieme a un amico per allontanarsi dalla prima moglie, con cui non aveva un buon rapporto, seguendo le orme dei suoi genitori missionari pietisti.
In un itinerario molto salgariano, appunto, e conradiano, visitarono Singapore, Malesia e Indonesia. L’India avrebbe dovuto essere il clou del viaggio ma non poterono andarci.
Il motivo?
Erano assai intelligentemente rimasti a corto di soldi, proprio come è accaduto in seguito ai loro seguaci hippie. Anche mia mamma, a venti anni, ha dovuto farsi rimpatriare dall’ambasciata dopo essere rimasta senza il becco di un quattrino e aver quasi rischiato di morire di fame.
Ma tornando a Hesse la cosa più vicina all’India che vide fu l’isola di Ceylon (l’attuale Sri Lanka). Leggendo il suo diario non pare che sia stata un’esperienza particolarmente illuminante o mistica:
«Una passeggiata si trasforma in una corsa faticosa e irritante sotto le forche caudine dell'industria turistica, come capita anche in Europa solo nelle località beneficate dal denaro inglese. Alla fine si è ben contenti di rifugiarsi presso il coolie ghignante che per venti volte ti ha sbarrato la strada con la stanga del suo risciò e che per venti volte hai scacciato; aveva ragione lui, sapeva benissimo che lui e i suoi colleghi riescono sempre a indurre uno straniero appena arrivato a buttarsi in una carrozzella. Del resto, ci si abitua a tutto. Me l'ero vista con il caldo terribile di Singapore e di Colombo, con le zanzare della foresta vergine, con i pasti indiani, con la diarrea e le coliche, e ce l'avrei fatta anche in questo caso. Imparai a evitare lo sguardo delle bellissime ragazzine dai neri occhi tristi quando mendicavano, imparai a respingere gelidamente i vecchi dai capelli bianchissimi che sembravano immagini di santi, mi abituai a un fedele codazzo di prezzolati d'ogni tipo riuscendo a tenerli a freno con gesti da sergente e rudi comandi. Imparai persino a prendermi gioco dell' India e dovetti mandar giù l'orribile scoperta che lo sguardo carico di interiorità, orante e anelante della maggior parte degli indiani non invoca gli dei e la redenzione, ma semplicemente il denaro». Lo sguardo orante dell’India? Ma non era a Ceylon?
Beh dai facciamo di tutte le erbe un fascio, chissenefrega.
Ecco perché avevano finito i soldi! Direi che la sua storia fa il paio con quella di Gustav von Aschenbach (il protagonista di “Morte a Venezia” di Thomas Mann) che viene miseramente buggerato da un gondoliere.
Ah! Questi poveri tedeschi e il loro idealismo romantico che deve sempre puntualmente scontrarsi con il prosaico realismo degli abitanti dei paesi caldi!
La desolante conclusione di Hesse fu «È da tempo ormai che abbiamo perso il paradiso, e il paradiso nuovo che sogniamo, o che vogliamo costruire, non si troverà sull'Equatore né sulle rive dei mari caldi d'Oriente».
Ma col tempo il nostro Hermann avrebbe cambiato idea; la tragedia della prima guerra mondiale gli fece perdere ogni fiducia nella civiltà occidentale e le sue speranze di redenzione e rinnovamento per l’umanità si volsero all’Est, a quell’oriente che adesso, trasfigurato nei ricordi, si trasformò per lui nella classica «terra mistica e spirituale dove ritrovare sè stessi e il senso dell’esistenza».
Così scriveva nel 1917: «Non potremo mai, noi figli invecchiati dell' Occidente, ritornare all'umanità arcaica e all'innocenza paradisiaca dei popoli primitivi [Ah, sì? Ma non avevi detto che vogliono solo scucirti i soldi?]. Ma quel che ci attira nello spirito dell' Oriente, e si esprime ancora oggi nei gesti degli asiatici, è il ritorno alle sorgenti e il rinnovamento fecondo. L' Oriente non è solo un luogo geografico, è anzitutto la patria della giovinezza delle anime, è ovunque ed è introvabile, nell'unificazione di tutti i tempi». Mah, se lo dici tu, vecchio mio, ti crediamo sulla parola.
Nel 1923, un anno dopo la pubblicazione di Siddharta, Hesse aggiungeva: «L'indù è geniale per il sentimento religioso come lo è nel pensiero astratto. La religione induista accoglie tranquillamente dentro di sé, in una confusione paradisiaca, i contrasti più prodigiosi, le formule più contraddittorie, i dogmi, i riti, i miti, i culti più incompatibili che si possano immaginare, il delicato e il rude, la spiritualità insieme a una volgare sensualità, la bontà suprema e una selvaggia crudeltà».
La conoscenza dell’Oriente per Hesse non avvenne con l’esperienza diretta ma attraverso la lettura: fin dalla prima giovinezza nutrì una grande ammirazione per il Budda e lesse con passione la letteratura indiana, in seguito si avvicinò a Lao Tse e agli altri pensatori cinesi, ma non considerò mai le religioni orientali intrinsecamente superiori al cristianesimo e scrisse saggiamente:
«Penso che una religione sia buona come un’altra. Non ce n'è nessuna attraverso cui non si potrebbe diventare un saggio, e nessuna che non si potrebbe praticare come la più sciocca idolatria».
La sua idea fondamentale è così espressa in “Siddharta”: «L’amore mi sembra di tutte la cosa più importante. Penetrare il mondo, spiegarlo, disprezzarlo, può essere opera di filosofi. A me importa solo di poterlo amare; a me importa solo di poter considerare me, tutti gli esseri e il mondo con amore, ammirazione e rispetto».
In poche parole: “All you need is love”.
Hermann Hesse è stato proprio il nonno putativo degli hippie che però a differenza sua in India in molti casi ci sono andati davvero e ci si sono anche fermati un bel po’.
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