domenica 30 dicembre 2018

Rudyard Kipling. “Rewards and Fairies”: “If” (Se). «Se saprai mantenere la testa quando tutti intorno a te la perdono, e te ne fanno colpa. Se saprai avere fiducia in te stesso quando tutti ne dubitano, tenendo però considerazione anche del loro dubbio. Se saprai aspettare senza stancarti di aspettare, O essendo calunniato, non rispondere con calunnia, O essendo odiato, non dare spazio all'odio, Senza tuttavia sembrare troppo buono, né parlare troppo saggio;

Le parole sono, naturalmente, la droga più potente usata dal genere umano.
Rudyard Kipling


Rudyard Kipling, “Rewards and Fairies”:
“If” (Se).
«Se saprai mantenere la testa quando tutti intorno a te
la perdono, e te ne fanno colpa.
Se saprai avere fiducia in te stesso quando tutti ne dubitano,
tenendo però considerazione anche del loro dubbio.
Se saprai aspettare senza stancarti di aspettare,
O essendo calunniato, non rispondere con calunnia,
O essendo odiato, non dare spazio all'odio,
Senza tuttavia sembrare troppo buono, né parlare troppo saggio;

Se saprai sognare, senza fare del sogno il tuo padrone;
Se saprai pensare, senza fare del pensiero il tuo scopo,
Se saprai confrontarti con Trionfo e Rovina
E trattare allo stesso modo questi due impostori.
Se riuscirai a sopportare di sentire le verità che hai detto
Distorte dai furfanti per abbindolare gli sciocchi,
O a guardare le cose per le quali hai dato la vita, distrutte,
E piegarti a ricostruirle con i tuoi logori arnesi.

Se saprai fare un solo mucchio di tutte le tue fortune
E rischiarlo in un unico lancio a testa e croce,
E perdere, e ricominciare di nuovo dal principio
senza mai far parola della tua perdita.
Se saprai serrare il tuo cuore, tendini e nervi
nel servire il tuo scopo quando sono da tempo sfiniti,
E a tenere duro quando in te non c'è più nulla
Se non la Volontà che dice loro: "Tenete duro!"

Se saprai parlare alle folle senza perdere la tua virtù,
O passeggiare con i Re, rimanendo te stesso,
Se né i nemici né gli amici più cari potranno ferirti,
Se per te ogni persona conterà, ma nessuno troppo.
Se saprai riempire ogni inesorabile minuto
Dando valore ad ognuno dei sessanta secondi,
Tua sarà la Terra e tutto ciò che è in essa,
E — quel che più conta — sarai un Uomo, figlio mio!»

(Ill. Kereon lighthouse, Brittany, France)

Leonardo da Vinci. Chi non punisce il male, comanda che si faccia

«Fu tanto raro e universale, che dalla natura per suo miracolo esser produtto dire si puote: la quale non solo della bellezza del corpo, che molto bene gli concedette, volse dotarlo, ma di molte rare virtù volse anchora farlo maestro. Assai valse in matematica et in prospettiva non meno, et operò di scultura, et in disegno passò di gran lunga tutti li altri. Hebbe bellissime inventioni, ma non colorì molte cose, perché si dice mai a sé medesimo avere satisfatto, et però sono tante rare le opere sue. Fu nel parlare eloquentissimo et raro sonatore di lira [...] et fu valentissimo in tirari et in edifizi d'acque, et altri ghiribizzi, né mai co l'animo suo si quietava, ma sempre con l'ingegno fabricava cose nuove.»
(Anonimo Gaddiano, 1542)



L'8 aprile 1476 venne presentata una denuncia anonima agli Ufficiali di notte e de' monasteri contro diverse persone, tra le quali Leonardo, per sodomia consumata verso il diciassettenne Jacopo Saltarelli, residente in via Vacchereccia (accanto a piazza della Signoria). Anche se nella Firenze dell'epoca c'era una certa tolleranza verso l'omosessualità, la pena prevista in questi casi era severissima: l'evirazione per i sodomiti adulti e la mutilazione di un piede o della mano per i giovani.[24]
https://it.wikipedia.org/wiki/Leonardo_da_Vinci


«Io credo che invece che definire che cosa sia l'anima, che è una cosa che non si può vedere, molto meglio è studiare quelle cose che si possono conoscere con l'esperienza, poiché solo l'esperienza non falla. E laddove non si può applicare una delle scienze matematiche, non si può avere la certezza.»
Leonardo da Vinci, Codice Atlantico a 119

Acquista cosa nella tua gioventù che ristori il danno della tua vecchiezza. E se tu intendi la vecchiezza aver per suo cibo la sapienza, adoprati in tal modo in gioventù, che a tal vecchiezza non manchi il nutrimento.
Leonardo da Vinci, Codice Atlantico, f.310r


Una volta qualcuno chiese a Leonardo perché, dal momento che creava figure così belle sui suoi quadri, i suoi figli erano così brutti; lui rispose che il motivo era perché faceva i suoi quadri alla luce del giorno, mentre i suoi bambini li aveva fatti di notte.
Leonardo da Vinci


Leonardo da Vinci, La favola con la morale
Poiché il cane dormiva sopra una pelle di pecora, una delle sue pulci, sentendo l’odore della lana, pensò che quello fosse un luogo migliore dove vivere e, senza pensarci, abbandonò il cane. Entrata nella folta lana la pulce cominciò con grande fatica ad avvicinarsi alla pelle, ma inutilmente, perché i peli erano talmente spessi che quasi si toccavano e non c’era spazio per arrivare alla pelle.

Per cui, cominciò a voler ritornare dal suo cane, ma poiché questo si era già allontanato, fu costretta, pentita e piena di lacrime, a morire di fame.



 Leonardo scrisse una famosa "lettera d'impiego" di nove paragrafi,




9 luglio 1504: muore Piero da Vinci.
Notaio, padre di altri 12 figli oltre a Leonardo, fu uomo di grande cultura, tanto che, intuendo le potenzialità del figlio, lo mandò alla bottega del Verrocchio.

Il rapporto col figlio però non fu grandioso. Alla sua morte, Leonardo annota semplicemente: "A dì 9 di luglio 1504, mercoledì a ore 7 morì Ser Piero da Vinci, notaio di Palazzo del Podestà, mio padre a ore 7..."



L’uomo passa la prima metà della sua vita a rovinarsi la salute e la seconda metà alla ricerca di guarire.
Leonardo Da Vinci


Riprendi l’amico in segreto e lodalo in palese.
Leonardo Da Vinci


La semplicità è la massima raffinatezza.
Leonardo Da Vinci


Chi non condanna il male, comanda che si faccia.
Leonardo Da Vinci


La funzione dei muscoli è di tirare non di spingere, eccetto nel caso dei genitali e della lingua.
Leonardo Da Vinci



Quelli che si innamorano della pratica senza scientia sono come nocchieri che entrano in naviglio senza timone o bussola, che mai hanno certezza dove si vadano. Sempre la pratica deve essere edificata sopra la buona teoria, della quale la prospettiva è guida e porta e senza questa nulla si fa bene
Leonardo da Vinci



La pittura serve a piú degno senso che la poesia, e fa con piú verità le figure delle opere di natura che il poeta, e sono molto piú degne le opere di natura che le parole, che sono opere dell'uomo; perché tal proporzione è dalle opere degli uomini a quelle della natura, qual è quella ch'è dall'uomo a Dio. Adunque è piú degna cosa l'imitar le cose di natura, che sono le vere similitudini in fatto, che con parole imitare i fatti e le parole degli uomini.
Leonardo da Vinci
Vinci, 15 aprile 1452 – Amboise, 2 maggio 1519



Sì come il ferro s'arruginisce sanza esercizio e l'acqua si putrefà o nel freddo s'addiaccia, così lo 'ngegno sanza esercizio si guasta.
Leonardo da Vinci, Codice Atlantico, 1478-1518


O tempo, consumatore delle cose, e, o invidiosa antichità, tu distruggi tutte le cose, e consumate tutte le cose dai duri denti della vecchiezza, a poco a poco, con lenta morte. Elena, quando si specchiava, vedendo le vizze grinze del suo viso fatte per la vecchiezza, piagne, e pensa seco perché fu rapita du’ volte. L’età che vola discorre nascostamente e inganna altrui, e niuna cosa è più veloce che gli anni, e chi semina virtù fama raccoglie.
Leonardo da Vinci


L'uomo ha grande discorso, del quale la più parte è vano e falso.
Li animali l'hanno piccolo, ma è utile e vero, e meglio è la piccola certezza che la gran bugia.
Leonardo da Vinci, Codice F, 1492-1516


Amor ogni cosa vince
Leonardo da Vinci

Il moto è causa d’ogni vita.
Leonardo da Vinci


Acquista cosa nella tua gioventù, che ristori il danno della tua vecchiezza. E se tu intendi la vecchiezza aver per suo cibo la sapienza, adoprati in tal modo in gioventù, che a tal vecchiezza non manchi il nutrimento.
Leonardo da Vinci


Chi non punisce il male, comanda che si facci
Leonardo da Vinci


Di tanto in tanto allontanati, prenditi un pò di riposo,
perchè quando tornerai al lavoro sarai in grado di giudicarlo meglio.
Lavorare senza soste riduce la capacità di giudizio: se ti allontani un po',
il lavoro ti apparirà in prospettiva, potrai abbracciarne di più con un
solo sguardo e individuerai prima le disarmonie e le sproporzioni.
Leonardo da Vinci.


Il giudizio di un nemico è spesso più giusto e più proficuo di quello di un amico, perché negli uomini l'odio è quasi sempre più profondo dell’amore. Lo sguardo di colui che ti odia è sempre più chiaroveggente di colui che ti ama. Un sincero amico tuo è un altro te stesso, mentre il tuo nemico non ti somiglia per nulla, e in ciò sta la sua forza. L’odio illumina molte cose che nell’amore rimangono in ombra. Ricordati di ciò e non disprezzare i nemici.
Leonardo Da Vinci
Leonardo da Vinci.
[...] La sua fantasia si sbizzarrì e si dichiarò pronto alla progettazione d'innumerevoli artiglierie, ponti mobili, risanamenti di paludi, carri d'assalto, gallerie subacquee, strumenti vari ecc,  [...].
Era un insegnate generoso e diceva: "Tristo è quel discepolo, che non avanza il suo maestro", ma era anche estremamente critico con se stesso e non consegnava mai un'opera che non considerasse perfettamente terminata, perciò la riprendeva, ritoccava, correggeva così come farà poi con alcune delle opere che porterà sempre con se nei viaggi e per lunghi anni: una per tutte, la Gioconda. [...] il periodo passato a Firenze fu esacerbato da quello che venne chiamato "lo sdegno grandissimo" che corse tra Leonardo e Michelangelo: l'animosità da parte di Michelangelo era forte, lo considerava un edonista ed in più appartenevano a due generazioni diverse cresciute in una città socialmente molto cambiata nel frattempo; l'animosità tra loro si accese ancora di più a causa del marmo che sarebbe poi servito a fare il David.
Il grande masso di calcare era abbandonato nel cortile dell'Opera del Duomo da molto tempo: doveva servire a realizzare un profeta da posizionare in alto, all'esterno della cupola di santa Maria del Fiore; era stato commissionato a Agostino di Duccio che lo aveva progettato e fatto sbozzare dal Baccellino, poi non se n'era fatto più nulla, in seguito era stato proposto a Donatello che l'aveva rifiutato e dopo di lui nessuno l'aveva più voluto.
Era stato offerto a Leonardo quando era tornato a Firenze: non l'aveva rifiutato ma poi era partito con il Borgia ed il blocco era stato chiesto dal Sansovino: si era interposto a quel punto Michelangelo, tornato a Firenze dai successi romani alla corte papale, che aveva iniziato a scolpire il magnifico David e Leonardo se ne offese.
La divergenza tra i due era palese: Leonardo era un fiorentino che apparteneva al '400, al periodo d'oro del rinascimento e della civiltà medicea ed era stato nutrito a estetismo, intellettualismo e anche ad una sorta di indifferenza religiosa; Michelangelo all'opposto apparteneva alla generazione di appassionati e corrucciati del mondo plasmato dal Savonarola, pieno di colpe da espiare.
Li divideva anche lo stile di vita: il Vinci elegante, prodigo, amante del lusso e della bella vita, il Buonarroti trascurato nel vestire, non propriamente bello, legato al denaro al punto di risparmiare tutto vivendo quasi da povero e anche guadagnando molto, assai più di Leonardo.
Due personalità così contrastanti non potevano certo andare d'accordo ma vero è che Michelangelo con i suoi modi bruschi, la parola pungente e la rude imposizione della propria superiorità dimostrata già da ragazzo godeva certo d'ammirazione per la sua arte, ma non di molte simpatie.

Intanto che lavorava al cartone e all'affresco della Battaglia d'Anghiari Leonardo continuava i suoi studi, soprattutto quelli indirizzati al volo degli uccelli, cercando di realizzare anche il suo sogno di far solcare il cielo all'uomo: nel "Codice sul volo degli uccelli" enunciò il principio della reciprocità aerodinamica, base del volo moderno, disegnò il primo paracadute, capì e descrisse le funzioni da timone della coda degli uccelli e delle ali a seconda delle varie pressioni o senso del vento, disegnò il prototipo dell'elicottero, costruì le prime ali da adattare all'uomo, sperimentandole.
Dovranno passare 4 secoli prima che le sue idee sul volo vengano riprese ed approfondite.

In questo periodo Leonardo cominciò quello che divenne poi un'icona nei secoli seguenti, la misteriosa "Cortigiana velata" o "Gioconda".
Il suo nome vero rimane un mistero: chi dice che sia una certa Lisa, figlia di Anton Maria di Noldo Gherardini, nata nel 1479 e che portava il velo da lutto per la morte di una sua piccina nel 1499, chi dice che fosse una donna fiorentina amata da Giuliano de' Medici che ne chiese il ritratto a Leonardo, salvo poi restituirglielo quando convolò a nozze con Filiberta di Savoia, altri l'hanno detta Costanza d'Avalos ma nessuna certezza ancora oggi abbiamo del suo nome.
Forse anche Leonardo subì il sorriso, lo sguardo che seppe dare a questo volto di donna, perché lo portò sempre con se nei suoi viaggi e sembra che lo riprendesse, di tanto in tanto, perfezionandolo sempre più nel tempo; a Firenze la vita di Leonardo era abbastanza amara in quei primi anni del nuovo secolo: problemi di pagamenti non corrisposti, litigi con i numerosi fratellastri a proposito dell'eredità paterna, il fallimento della tecnica della Battaglia d'Anghiari, incomprensioni con il Soderini ma nel 1506 arrivò una ventata d'aria nuova per lui, la chiamata a Milano da parte dei francesi che l'ammiravano tanto, così fece di nuovo i bagagli e pieno di nuove speranze partì. [...]

Via da Milano, parte per Roma. [...]
l 24 settembre del 1513 partì con i suoi amici Francesco e Salaì ed i fedeli servitori Lorenzo e Fanfoja alla volta dello Stato Pontificio [...]. Nella città il Vinci si vidde escluso dalle grandi opere del tempo come i progetti per il nuovo San Pietro e la decorazione del Vaticano, perché in effetti non godeva della simpatia del papa,  [...]non era ben compreso dalla corte, venne ostacolato nelle sue ricerche di anatomia ed era chiamato stregone dal popolino per le sue ricerche sul corpo umano; se ne mormorava tanto che il papa gli proibì di recarsi nell'ospedale dove compiva i suoi studi sui cadaveri; continuò a occuparsi di studi matematici e scientifici ed errando nei dintorni di Roma trovò tracce di conchiglie fossili (in quella che attualmente è la zona di Monte Mario) che confermarono i suoi studi geologici sulla formazione della crosta terrestre e l'innalzamento delle terre, precorrendo con le sue intuizioni di tre secoli le scoperte della paleontologia. [...]
Leonardo a Roma aveva visti ed ammirato gli affreschi di Raffaello nelle Stanze Vaticane, aveva ritrovato Luca Pacioli, il Bramante, Giuliano da Sangallo e anche Michelangelo che era inviso al nuovo papa, non aveva nessuna mansione e si dedicava, isolato, a lavorare alle statue della tomba di Giulio II. [...] infine il papa incontrava il re a Bologna e tra il suo seguito, ammiratissimo dai francesi, si trovava Leonardo che ricevette proprio da Francesco I l'invito ad andare in Francia con suo seguito. [...]
Con se durante i suoi viaggi aveva, assieme agli altri dipinti non "perfezionati", il suo capolavoro al quale pare continuasse a lavorare lentamente da anni, la bellissima e iconica "Gioconda": nel 1515 già esistevano dipinti degli allievi di Leonardo che erano rifacimenti della Monna Lisa, ma si dice che lui continuasse ad aggiungere al ritratto uno sfondo dipinto ad intervalli di tempo lunghissimi, attraverso velature infinite. [...]
La casa che l'accolse in Francia era degna di un principe perché il maniero di Cloux apparteneva al cognato del re e Francesco I, che frequentemente raggiungeva Leonardo per discutere d'arte, filosofia, scienza, dirà a Benvenuto Cellini di non conoscere artista o filosofo più grande di lui, gli faceva corrispondere un assegno principesco ed in più gli pagava profumatamente ogni opera che compiva.
Il suo stile d'abbigliarsi con corte mantelle e di portare i capelli lunghi era ammirato ed imitato a corte, era adorato per le sue storie, fiabe, motti, tutti quelli che andavano alla corte francese passavano prima o dopo da lui, per omaggiarlo: Leonardo alla fine della sua vita raccoglieva il miele del massimo dell'ammirazione, della stima e dell'affetto che riusciva a suscitare negli uomini.
Non gli mancava il lavoro: doveva organizzare feste e parate, disegnare costumi e in un'occasione mandò in visibilio la corte e gli ospiti creando il famoso leone mobile il cui petto, percosso dal re con una verga, si aprì rivelando e facendo uscire i gigli simbolo della corona.
Fu colpito da una paralisi al braccio destro nel 1517, ma continuò a lavorare, ancora più lentamente ed aiutato dal Melzi: finì il faunesco, androgino "San Giovanni Battista" quell'anno, progettò la bonifica della Sologna (realizzata poi sotto il re Enrico IV), ma arrivò la primavera del 1519 e sentì arrivare la sua fine, allora il Sabato Santo fece testamento, lasciando ad amici e servi quasi tutto, molti denari ai poveri, parecchi anche agli ingrati fratellastri, decidendo dove voleva essere sepolto.
Il 2 Maggio del 1519 rivolto al Melzi (che come sempre gli era accanto) pronunciò forse queste parole:"Si come una giornata bene spesa dà lieto dormire, così una vita bene usata dà lieto morire".
Si dice che il re di Francia pianse a lungo, quando gli comunicarono la notizia della sua morte.
Fine.





Di raffinata stesura, si parla della Lettera dei 10 punti di Leonardo da VInci come del primo curriculum vitae della storia.

Leonardo da Vinci a Ludovico il Moro, 1482
Avendo, signor mio Illustrissimo, visto et considerato ormai ad sufficienzia le prove di tutti quelli che si reputano maestri et compositori de instrumenti bellici, et che le invenzione e operazione di dicti instumenti non sono niente alieni dal comune uso, mi exforzerò, non derogando a nessuno altro, farmi intender da V. Excellentia, aprendo a quella li secreti miei, et appresso offrendoli ad omni suo piacimento in tempi opportuni, operare cum effecto circa tutte quelle cose che sub brevità in parte saranno qui sotto notate (et anchora in molte più secondo le occurrentie de’ diversi casi etcetera):

1. Ho modi de ponti leggerissimi et forti, et atti a portare facilissimamente, et cum quelli seguire, & alcuna volta fuggire li inimici, et altri securi et inoffensivi da foco et battaglia, facili e commodi da levare et ponere. Et modi de arder et disfare quelli de l’inimico.

2. So in la obsidione de una terra toglier via l’acqua de’ fossi, et fare infiniti ponti, ghatti et scale et altri instrumenti pertinenti ad dicta expedizione.

3. Item, se per altezza de argine, o per fortezza de loco et de sito non si potesse in la obsidione de una terra usare l’officio de le bombarde, ho modi de ruinare omni rocca o altra fortezza, se già nun fusse fondata in su el saxo.

4. Ho anchora modi de bombarde commodissime et facili da portare, et cum quelle buttare minuti (saxi a similitudine) di tempesta; cum el fumo di quella dando grande spavento all’inimico, cum grave suo danno et confusione.

5. Item, ho modi, per cave et vie secrete et distorte, facte senza alcuno strepito, per venire ad uno certo et disegnato lo[co], ancora che bisogniasse passare sotto fossi o alcuno fiume.

6. Item, farò carri coperti, securi et inoffensibili, i quali entrando intra li inimica cum sue artiglierie, non è si grande multitudine di gente d’arme che non rompessino. Et dietro a questi poteranno sequire fanterie assai, illesi e senza alcun impedimento.

7. Item, occurrendo di bisogno, farò bombarde, mortari et passavolanti di bellissime et utile forme, fora del comune uso.

8. Dove mancassi le operazione de le bombarde, componerò briccole, manghani, trabuchi et altri instrumenti di mirabile efficacia, et fora del usato; et insomma, secondo la varietà de’ casi, componerò varie et infinite cose da offender et di[fendere].

9. Et quando accadesse essere in mare, ho modi de molti instrumenti actissimi da offender et defender, et navili che faranno resistenzia al trarre de omni grossissima bombarda et polver et fumi.

10. In tempo di pace credo satisfare benissimo a paragone de omni altro in architectura, in composizione di edificii publici et privati, et in conducer acqua da uno loco ad uno altro. Item, conducerò in scultura di marmore, di bronzo et di terra, similiter in pictura, ciò che si possa fare ad paragone de omni altro, et sia chi vole. Item si poterà dare opera al cavallo di bronzo, che sarà gloria immortale et aeterno onore de la felice memoria del Signore vostro patre et de la inclita casa Sforzesca.
Et se alchuna de le sopra dicte cose a alchuno paressino impossibile et infactibile, me offero paratissimo ad farne experimento in el parco vostro, o in quel loco piacerà a Vostra Excellentia, ad la quale humilmente quanto più posso me recomando.




Il mecenate di Leonardo da Vinci, Bernardo Belliconi, compose un sonetto sul ritratto della
Dama con ermellino”. La donna, identificata con Cecilia Gallerani, amante di Ludovico il Moro è celebrata dal poeta come impossibile da ritrarre, essendo più luminosa del sole.

Di che ti adiri? A chi invidia hai Natura
Al Vinci che ha ritratto una tua stella:
Cecilia! sì bellissima oggi è quella
Che a suoi begli occhi el sol par ombra oscura.
L'onore è tuo, sebben con sua pittura
La fa che par che ascolti e non favella:
Pensa quanto sarà più viva e bella,
Più a te fia gloria in ogni età futura.
Ringraziar dunque Ludovico or puoi
E l'ingegno e la man di Leonardo,
Che a' posteri di te voglia far parte.
Chi lei vedrà così, benché sia tardo, -
Vederla viva, dirà: Basti a noi
Comprender or quel eh' è natura et arte.
(1493)

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Autoritratti: Leonardo da Vinci.
Noto come “L’autoritratto di Acerenza”, nome del luogo originario della famiglia che lo possedeva, è rimasto per secoli in un piccolo paese della Lucania ed è stato ritrovato nel 2008 a Salerno da uno studioso medievalista.
E’ dipinto a tempera grassa su tavola di pioppo, grande 44 X 59 cm: sottoposto a studi internazionali è risultato essere un originale dell’epoca tra gli ultimi anni del 1400 ed i primi del 1500, sottoposto al radiocarbonio il legno appartiene alla fine del 1400, da esperti grafologi per la scritta sulla parte posteriore affiorata durante il restauro risulta che la calligrafia che dice “Pinxit mea” scritta al contrario, è identica a quella del Maestro, l’impronta digitale trovata sulla penna bianca e sottoposta all’esame del reparto specializzato dell’Arma dei carabinieri risulta essere la stessa di quella trovata sul ritratto della “Dama dell’ermellino” ed infine l’inchiostro usato per la scritta posteriore risulta essere composto di ossido di ferro gallico, inchiostro usato in quei secoli. 
Un’università statunitense ha inoltre esaminato il dipinto stabilendo che il pittore teneva lo specchio nel quale si rifletteva il suo volto alla distanza di 15, 20 cm circa: è stato esaminato anche lo stato del craquelé che si forma nel tempo sulle pittura ed è stato stabilito che si sia formato naturalmente per effetti atmosferici e non per l’uso di sostanze chimiche.
Mi piacerebbe saperne di più oltre al fatto che è stato esibito in pubblico l’ultima volta nel Gennaio 2010 ad una mostra: che fine ha fatto? L’attribuzione è stata confermata da altri studiosi vinciani? Ho cercato su internet ma non se ne trovano notizie, chissà se lo stanno ancora studiando o si è scoperto che è un ottimo falso?





Leonardo ed il Cenacolo, II parte.
Antonio de Beatis incontrerà Leonardo nel suo rifugio in Francia, ad Amboise, poi vedrà il Cenacolo che già comincia a deteriorarsi nel 1517 e riporta quello che Leonardo gli ha detto a proposito dei personaggi: ”Li personaggi di quello son de naturale i retracti de più persone de la Corte et de Milanesi di quel tempo di vera statura”. Quindi una conferma del disegno dal vero dei personaggi, che arriva anche dai “Ricordi” di Sabba de Castiglione nei quale scrive che Leonardo era reputato “primo inventore delle figure grandi tolte dalle ombre delle lucerne”.
Leonardo lavora in modo discontinuo all’affresco, talvolta arriva e dipinge tutto il giorno dimenticando di mangiare, altri giorni non và per nulla, altre volte arriva, guarda a lungo in cerca di ispirazione, e và via dopo appena due pennellate. Il Priore dei Domenicani se ne lamenta più volte con Ludovico il Moro, finchè il Duca non chiama il pittore e gli riferisce le proteste: Leonardo spiega che l’artista lavora anche quando sembra che ozia, lui ancora stà cercando il volto per il Gesù e per Giuda, ma stia tranquillo il Moro, se non lo trova, al volto del Giuda darà i lineamenti del Priore. Il 29 Giugno 1497 però il Moro stesso ordina ad un suo fidato di far firmare a Leonardo un documento nel quale si impegna a finire il lavoro entro una certa data.
La versione di Leonardo dell’Ultima Cena coglie l’attimo seguente alla frase di denuncia: 
Gesù ancora non ha chiuse le labbra dopo aver parlato e il suo gesto è quasi di rassegnazione, ogni discepolo reagisce con un moto proprio alla frase, chi esprime il dubbio, chi lo stupore o l’incredulità o l’indignazioneGiuda per la prima volta nella storia delle rappresentazioni non è isolato, anzi, è vicino a Gesù ma volge lo sguardo verso di lui girando le spalle all’osservatore tenendo il volto in ombra e per la prima volta nessuno ha l’aureola.
Leonardo ha rappresentato il pathos, la reazione emotiva istantanea all’annuncio del tradimento: tutti stanno fremendo, tutti meno il personaggio principale che con le palpebre abbassate già sà e non vuole quasi guardare, come dissimulando con rassegnazione le lacrime.

L’opera sarà consegnata ai primi di Febbraio del 1498, Ludovico e la corte, tutti i milanesi faranno a gara per vederlo, sarà copiatissimo fin dall’inizio e l’Oggiono divenne uno specialista nelle copie: tutti, da Raffaello all’Holbein ne rimasero influenzati, ma il capolavoro cominciò presto a deteriorarsi, subì gli affronti dell’ampliamento della porta che tagliò le gambe a Cristo, fu preso a bersaglio da cocci e sassi dai francesi nel ‘700, subì allagamenti e pessimi restauri oltre l’umidità del muro, ed è stato riconsegnato allo sguardo del pubblico da poco tempo dopo 20 anni di restauro.


Leonardo di ser Piero da Vinci (Vinci, 15 aprile 1452 – Amboise, 2 maggio 1519) era figlio illegittimo di Piero, rispettato notaio ben introdotto negli ambienti fiorentini (poteva annoverare anche i Medici tra i suoi clienti). La madre era, secondo alcuni, originaria dell’Oriente. Il nome Caterina era infatti comune tra le schiave convertite al cattolicesimo. Inoltre, le impronte digitali di Leonardo rilevate sul San Gerolamo mostrerebbero somiglianze con un tipo diffuso tra gli arabi.
Ad ogni modo, fu il padre, intorno al 1470, ad accompagnare quel suo figlio illegittimo, ancora adolescente, in una delle botteghe più importanti del tempo, quella di Andrea Verrocchio. [...]
COMPRESE A CHE COSA SERVE IL CUORE 
Ai tempi di Leonardo si credeva ancora che il cuore servisse per scaldare il sangue circolante. 
Fu lui il primo a intuirne invece la funzione di pompa. Per questo alcune strutture anatomiche cardiache hanno in seguito preso il suo nome. Per esempio il “fascio moderatore di Leonardo da Vinci” o anche la “trabecola arcuata di Leonardo”.
ERA UN VEGETARIANO CONVINTO 
Leonardo aveva uno sviscerato amore per gli animali. 
Andava addirittura nei mercati a liberare dalle gabbie gli uccelli pronti per essere venduti. 
Un contemporaneo, il navigatore toscano Andrea Corsali, disse di lui che “non si ciba di cosa alcuna che tenga sangue”. A lui è attribuita la frase «Verrà il giorno che sarà giudicato delitto uccidere un animale come ora uccidere un uomo».









Leonardo Da Vinci : un cervellone in fuga.
[...] Francesco I voleva fare di Romorantin la capitale della Francia: era centrale, politicamente affidabile (al contrario di Parigi che, all’epoca, pare non lo fosse) e poteva contare su una rete fluviale eccezionale (la Loira ma anche lo Cher, la Sauldre, …). Il Re stava un po’ stretto nel castello di Amboise e lontano dall’amministrazione, situata a Tours. Facendo una residenza degna di un grande sovrano, per di più usando innovazioni architettoniche “à l’italienne”, il suo rivale Carlo V si sarebbe mangiato il cappello! 

Su invito del Re, Leonardo parte da Milano, a cavallo di un mulo e accompagnato da uno dei suoi allievi, Francesco Melzi, il suo servitore (forse anche amante) Salai e la governante. Ha 65 anni, un’età in cui oggi si va in pensione e si ricomincia la vita da senior, ma che allora raggiungevano in pochi. Un vecchio, insomma, che si è fatto quasi 900 chilometri a dorso di mulo con tre tele nella saccoccia : la Gioconda, Sant’Anna e Bacco/San Giovanni Battista. “Qui sarai libero di pensare, sognare e lavorare”, così lo accoglie Francesco I, frase che qualsiasi artista o ricercatore sogna di sentirsi dire.

Era piuttosto fiero, probabilmente: lui, figlio illeggittimo di un notaio, disereditato dai fratelli, “omo sanza lettere” perché non aveva potuto studiare, riconosciuto in Italia ma soprattutto come artista, diventa “primo pittore, ingegnere e architetto del Re”. Oltre al maniero del Clos Lucé, in cui abiterà fino alla sua morte, nel 1519, è pagato 1000 scudi, equivalenti alla paga di 10 ufficiali dell’esercito reale. Insomma, il cervellone del Rinascimento trova finalmente all’estero un riconoscimento (anche pecunario).

Il progetto dimenticato.
Leonardo si mette all’opera, fare una capitale non è che capiti tutti i giorni, anche se aveva già disegnato una città ideale (anch’essa mai realizzata) per Ludovico il Moro. Comincia dal palazzo reale: situato su una sorta d’isola cui si accede attraverso due ponti, è un palazzo a tre piani, circondati da portici, con una grande scalinata che porta al giardino probabilmente destinata ad accogliere i sudditi durante le feste. 

Accanto ai disegni e ai plastici, le “istruzioni per l’uso” dell’architetto che spiega, per esempio, che è meglio mettere i saloni in cui si salta e si balla al piano terra, per evitare il crollo del pavimento come ha già potuto vedere diverse volte oppure di prevedere per i bagni delle aerazioni da inserire nei muri, così che i cattivi odori potessero andare verso l’alto (era ossessionato dall’igiene, anche perché le epidemie potevano decimare le popolazioni). 

Ma questo è niente rispetto a quello che aveva previsto per il resto della città e della regione: uno dei suoi progetti, se fosse stato realizzato, avrebbe permesso le comunicazioni tra Lione e Tours passando per Monrichard, Romorantin, Blois e Amboise. Voleva in questo modo dare impulso all’economia fluviale creando una rete idrografica che univa la Loira, la Saona e il Rodano. Questa grande opera di urbanismo avrebbe tra l’altro permesso di bonificare una regione colpita da malattie, di ripulirla da detriti e di usare l’energia dell’acqua (un’altra delle fissazioni di Leonardo). “Leonardo pensava tutto in termini di flusso” dice Pascal Brioist, co-curatore della mostra, “flussi di uomini canalizzati gerarchicamente sotto i portici dei piani nobili e quelli di strada, flusso di mercanzie e provviste, di rifiuti ed odori”.

Leonardo ingegniere ed inventore.
La seconda mostra, all’espace Matra, espone delle ricostruzioni in modello ridotto o in grandezza reale delle famose invenzioni di Leonardo : la pompa a vite, una sorta di enorme vite inserita in un tubo che serve per pompare acqua o per spostare pesanti quantità di grano o di sabbia, la biella, degli ingranaggi a velocità differenziata, antenati del cambio per le automobili, i cuscinetti a sfera, le famose macchine da guerra - carri armati, cannoni. 

Modellini funzionanti che stupiscono per le applicazioni moderne, che tanto lontane dalle intuizioni e dalla ricerche di Leonardo poi non sono. 
E’ innanzitutto come ingegnere militare e civile che l’autodidatta di Vinci vuole essere riconosciuto. Lo dimostra la lettera di assunzione a Ludovico il Moro del 1482 in cui Leonardo, trentenne e già affermato come pittore, vanta le sue competenze di natura militare ma aggiunge che in tempo di pace crede di «satisfare benissimo a paragone de omni altro in architectura, in composizione di edifici pubblici e privati, et in conducer acqua de uno loco ad un altro». 

La lettera, in traduzione francese, campeggia all’entrata del Parco Leonardo a Clos Lucé, in cui si trovano, in scala reale, una quarantina delle macchine e delle costruzioni di Leonardo. Ma - ed è questo il senso della lettera affissa all’entrata - se l’isola della guerra (il carro armato, la splendida mitragliatrice che spara fumo girando una manovella) ha il suo posto nel giardino, l’animo dello scienziato era tutt’altro che guerriero tanto che definì più volte la guerra come “pazzia bestialissima”

Il resto del giardino si concentra piuttosto sulle altre invenzioni tecnologiche di Leonardo: dalla vite aerea al mulino, alla ruota a pale, al ponte mobile o girevole, ai poliedri, passando per l’ornitottero (antenato dell’elicottero) e le macchine volanti. [...]

Il lato frivolo del genio.
A vedere il famoso scalone ad elica di Chambord, fatto di due scale a chiocciola rotanti nello stesso senso che non si incrociano mai, viene da sospettare che Leonardo da Vinci avesse oltre ad un grandissimo cervello, anche un bel po’ di humour. Come non immaginare le dichiarazioni d’amore o le liti domestico-reali in cui ci si litigava per finestra interposta senza potersi scambiare né baci né sberle? 

Probabilmente anche Francesco I aveva capito questo suo lato leggiadro. Ad Amboise, Leonardo si è occupato anche delle coreografie di feste e di balli, dai costumi agli “effetti speciali”, come li definisce François Saint Bris, proprietario del Clos Lucé. 

Noto il leone meccanico a grandezza naturale costruito per una festa ad Argentan: non solo era capace di muoversi ma quando veniva colpito sul fianco con una frusta lasciava cadere dal ventre una pioggia di gigli (il leone, nella riproduzione di Leonardo Boaretto si trova nella mostra “Leonardo e la Francia” nella Hall Eiffel del Clos Lucé, insieme a schizzi, disegni e altri riproduzioni della vena festaiola dell’artista). 

L’anno dopo, per il matrimonio di Lorenzo di Piero de’ Medici e Madeleine de la Tour d’Auvergne, celebrato insieme al battesimo del Delfino (il futuro Enrico II) fa costruire un arco del trionfo con una salamandra gigante e un delfino, gigli e fiori. 

Senza parlare del ballo del Clos Lucé, per la nascita del delfino: Leonardo mette in scena “La festa del Paradiso” (del poeta Bernardo Bellincioni) in cui fa stendere una tela blu di 120m x 60m con stelle e costellazioni e aveva fatto istallare 400 candelabri che dovevano accendersi simultaneamente per dissipare la notte. 


www.focus-in.info/Leonardo-Da-Vinci-un-cervellone-in





martedì 25 dicembre 2018

Ito Ogawam. Il ristorante dell'amore ritrovato.Ci sono cose che non possono assolutamente tornare. Ma che al tempo stesso, pur non potendo tornare, restano eternamente presenti. E ci sono moltissime cose, dormienti da qualche parte in questo mondo, che basta cercarle pazientemente per trovarle.

Ci sono cose che non possono assolutamente tornare. Ma che al tempo stesso, pur non potendo tornare, restano eternamente presenti. E ci sono moltissime cose, dormienti da qualche parte in questo mondo, che basta cercarle pazientemente per trovarle. 
 Ito Ogawam, Il ristorante dell'amore ritrovato




«E venne finalmente il giorno dell’inaugurazione….
alzai il viso e mi lasciai investire dalla pioggia, felice come una vera lumaca».
Ito Ogawam, Il ristorante dell'amore ritrovato


“L’autobus notturno partì poco dopo, con a bordo me,
il nukadoko della nonna e la mia borsa di paglia.
Ito Ogawam, Il ristorante dell'amore ritrovato


Le luci della città scorrevano veloci oltre il finestrino.
Addio.
Ito Ogawam, Il ristorante dell'amore ritrovato


Immaginavo di salutare in silenzio, agitando piano piano la mano. Poi chiusi gli occhi, e gli eventi della mia vita passata presero a danzarmi nella mente come foglie secche al vento.
Ito Ogawam, Il ristorante dell'amore ritrovato


Numerose immagini si sovrapponevano nella pentola in cui cuoceva la zuppa, divenendo a poco a poco una sola. Mi sentivo un po’ come un pittore che aveva scelto i suoi colori rimettendosi all’istinto. Quella pietanza era il risultato della pura improvvisazione, il frutto dell’intuito e non della ragione.
Ito Ogawam, Il ristorante dell'amore ritrovato


Mentre riflettevo intensamente sulla parola “responsabilità”, mi strinsi il coniglio al petto e m’infilai sotto le coperte. Il passo gelido dell’inverno era ormai molto vicino e, una volta spenta la stufa, l’aria all’interno del ristorante si fece di colpo fredda. Non ero certo tanto ingenua da credere di conquistarmi la fiducia del coniglio così, in quattro e quattr’otto, ma pensavo fosse  molto importante offrirgli l’affetto e il calore che con ogni probabilità gli erano stati offerti dai membri della famiglia che lo aveva allevato. Se fossi stata al suo posto, avrei desiderato prima di tutto l’abbraccio dolce e silenzioso di qualcuno.
Ito Ogawam, Il ristorante dell'amore ritrovato












sabato 22 dicembre 2018

Aleksandr Solženicyn. Lo scopo della vita è la maturazione dell'anima. Non rincorrere quello che è illusorio, come la proprietà o la posizione. Tutte cose che vengono ottenute a spese dei nervi, decennio dopo decennio, e sono confiscate nella notte della caduta.

Lo scopo della vita è la maturazione dell'anima. Non rincorrere quello che è illusorio, come la proprietà o la posizione. Tutte cose che vengono ottenute a spese dei nervi, decennio dopo decennio, e sono confiscate nella notte della caduta. 
A. I. Solzhenitsyn


«“Tutto non morirò, non morirò tutto”
“Certe volte sento con assoluta chiarezza che
io non sono tutto dentro me stesso.
C’è qualcosa d’altro di indistruttibile, di altissimo!
Una specie di scheggia dello Spirito Universale.
Lei non lo sente?"»
Aleksandr Solženicyn, Reparto C


“Si può avere potere sulle persone finché non gli si porta via qualcosa. Ma quando si è rubato tutto ad uomo, questi non sarà più soggetto ad alcun potere: sarà libero di nuovo”
Aleksandr Solzhenitsyn


Se solo fosse così semplice! Se solo da qualche parte ci fossero dei malvagi che stessero compiendo azioni cattive, e bastasse isolarli dal resto di noi e distruggerli!
Ma la linea di confine tra il male e il bene passa attraverso il cuore di ogni essere umano. 
E chi desidera distruggere un pezzo del proprio cuore?
Aleksandr Solzenicyn da “Arcipelago Gulag”


Quando ancora
ero un bambino,
gli anziani spiegavano
i disastri che avevano
devastato la Russia
dicendo:
"gli uomini
hanno dimenticato Dio,
perciò tutto questo è accaduto"
Da quel giorno ho passato cinquanta anni a studiare
la storia della rivoluzione
che ha inghiottito
sessanta milioni di russi.
Ma non saprei spiegarla
in maniera migliore
che ripetendo:
"gli uomini
hanno dimenticato Dio,
perciò tutto questo è accaduto"
Aleksandr Solženicyn





DISUMANIZZAZIONE
Di Aleksandr Solzenicyn
"Stiamo ormai per toccare il fondo, su tutti noi incombe la più completa rovina fisica e spirituale, e noi continuiamo a farfugliare con un pavido sorriso: "Come potremmo impedirlo? Non ne abbiamo la forza". Siamo a tal punto disumanizzati, che per la modesta zuppa di oggi siamo disposti a sacrificare qualunque principio, la nostra anima, tutti gli sforzi di chi ci ha preceduto, ogni possibilità per i posteri, pur di non disturbare la nostra grama esistenza. Non abbiamo più nessun orgoglio, nessuna fermezza, nessun ardore nel cuore. Davvero non c'è alcuna via d'uscita? E non ci resta se non attendere inerti che qualcosa accada da sé? Ciò che ci sta addosso non si staccherà mai da sé se continueremo tutti ogni giorno ad accettarlo, ossequiarlo, consolidarlo, se non respingeremo almeno la cosa a cui più è sensibile. Se non respingeremo la menzogna. Ed è proprio qui che si trova la chiave della nostra liberazione, una chiave che abbiamo trascurato e che pure è tanto semplice e accessibile: il rifiuto di partecipare personalmente alla menzogna. Anche se la menzogna ricopre ogni cosa, anche se domina dappertutto, su un punto siamo inflessibili: che non domini per opera mia! Ognuno di noi dunque, superando la pusillanimità, faccia la propria scelta: o rimanere servo cosciente della menzogna (certo non per inclinazione, ma per sfamare la famiglia, per educare i figli nello spirito della menzogna!), o convincersi che è venuto il momento di scuotersi, di diventare una persona onesta, degna del rispetto tanto dei figli quanto dei contemporanei."



«E [Stalin] si era fidato d'un uomo solo, di un unico uomo in tutta la sua esistenza piena di sfiducia [...] ... aveva avuto fiducia in lui!
Quest'uomo era Adolf Hitler»
Aleksandr Isaevič Solženicyn, Il primo cerchio, Mondadori 1968, p.141


«Per fare le camere a gas, ci mancava il gas.»
Aleksandr Solženicyn


Per noi in Russia, il comunismo è un cane morto, mentre, per molte persone in occidente è ancora un leone vivente.
Aleksandr Solženicyn



«Finché non sono venuto io stesso in occidente e ho passato due anni guardandomi intorno, non avevo mai immaginato come un estremo degrado in occidente abbia fatto un mondo senza volontà, un mondo gradualmente pietrificato di fronte al pericolo che deve affrontare... Tutti noi stiamo sull'orlo di un grande cataclisma storico, un'inondazione che ingoierà le civiltà e cambierà le epoche.»
Aleksandr Solženicyn, Discorso alla BBC del 26 marzo 1979


La fretta e la superficialità sono le malattie psichiche del ventesimo secolo, e più di ogni altro posto si riflettono nella stampa.
Aleksandr Solženicyn


Per un paese, avere grandi scrittori è come avere un altro governo. Questo è il motivo per il quale nessun governo ha mai amato i grandi scrittori, ma solo quelli minori.
Aleksandr Solženicyn


Un uomo d'ingegno sa di possedere sempre molto, e non si rammarica di doverlo dividere con altri.
Aleksandr Solženicyn


Gli uomini hanno finito per convincersi, partendo dalle loro stesse disgrazie, del fatto che le rivoluzioni distruggono il carattere organico della società; che danneggiano il corso naturale della vita; che annientano i migliori elementi della popolazione dando campo libero ai peggiori; che nessuna rivoluzione può arricchire un Paese.
Aleksandr Solženicyn


L'anno millenovecentoquarantanove ci capitò sotto gli occhi, a me e alcuni amici, una curiosa nota nella rivista «Natura» dell'Accademia delle Scienze. Vi si diceva, in minuti caratteri, che in riva al fiume Kolyma, durante gli scavi, era stato trovato uno strato sotterraneo di ghiaccio, antico torrente gelato, e racchiusi in esso esemplari pure congelati di fauna fossile (di qualche decina di millenni fa). Fossero pesci o tritoni si erano conservati tanto freschi, comunicava il dotto corrispondente, che i presenti, spaccato il ghiaccio, li mangiarono sul posto, VOLENTIERI.
Aleksandr Solženicyn









sabato 1 dicembre 2018

Renato Cartesio, in francese René Descartes, nasce a La Haye in Francia.

Francesco Lorenzoni

RENATO CARTESIO (1596-1650) 1

Renato Cartesio, in francese René Descartes, nasce a La Haye in Francia. 
Oltre alla filosofia, si è dedicato allo studio della fisica ed è stato altresì un grande matematico. Inventa il sistema cartesiano col quale unifica geometria e algebra. Partecipa in parte alla "Guerra dei trent'anni". Dopo aver soggiornato a Parigi, nel 1628 si stabilisce in Olanda per godere della libertà filosofica e religiosa propria di quel paese. Compie viaggi in tutta Europa. Nel 1649, su invito della regina Cristina di Svezia, si stabilisce presso la sua corte a Stoccolma, dove muore nel 1650.

Opere principali: Discorso sul metodo; Principi della filosofia; Le passioni dell'anima.

Vivendo per gran parte durante la Guerra dei trent'anni, che fu guerra di conquista ma anche guerra di religione, mentre è in vita, per evitare accuse di eresia, pubblica solamente, l'opera "Discorso sul metodo"; le sue altre opere escono postume.
Galileo fonda il metodo scientifico; Bacone celebra il potere della scienza e della tecnica; Cartesio è il fondatore del nuovo metodo filosofico e del razionalismo.

Due ne sono i fondamentali indirizzi:
1. egli per primo sposta l'interesse prevalente della filosofia dall'ontologia alla gnoseologia, inaugurando così la filosofia moderna;
2. definisce il nuovo metodo della filosofia moderna, il quale non si fonda più sul principio d'autorità, sul pensiero dei più autorevoli filosofi antichi, che anzi, nelle sue opere, nemmeno sono citati; si basa invece sulle idee della nuova società derivanti dalla rivoluzione scientifica.

Il nuovo metodo
Al termine dei suoi studi Cartesio critica il sapere tradizionale giudicandolo non fondato su criteri sicuri per distinguere il vero dal falso. Solo la matematica gli appare degna di fiducia. Si propone pertanto di costruire un nuovo metodo filosofico prendendo per modello il metodo deduttivo della matematica, in particolare della geometria. Il nuovo metodo intende partire da postulati o idee generali di immediata evidenza, tali da non necessitare di dimostrazione, ma da cui, per deduzione, si possano poi spiegare e dimostrare i casi, i fenomeni e le realtà particolari. Dimostrazioni però, avverte, che sono da ritenersi valide soltanto se le idee generali di partenza sono immediatamente intuitive, ovvero così chiare e distinte da non lasciare dubbio alcuno.

A tal fine, prescindendo da qualsiasi principio di autorità e da riferimenti a pensatori del passato, Cartesio dà avvio al suo metodo secondo le quattro principali regole seguenti:

1. La regola dell'evidenza: non accettare mai per vera nessuna cosa che non si presenti alla mente con assoluta evidenza, ovvero in maniera chiara e distinta, il che implica l’inaffidabilità di ogni pensiero su cui sia possibile il dubbio.

2. La regola dell'analisi: scomporre un problema complesso nelle sue parti semplici, da considerare separatamente.

3. La regola della sintesi: passare gradatamente da conoscenze semplici ad una loro sintetica unificazione in conoscenze più complesse.

4. La regola della enumerazione e della revisione: enumerare tutti i casi in cui un fenomeno può manifestarsi per essere sicuri di non aver dimenticato nulla e, quindi, controllare di nuovo (revisione) tutte le procedure di analisi e di sintesi seguite. 

L'applicazione dell'analisi e della sintesi è il metodo della matematica, fondato su postulati considerati evidenti, metodo che Cartesio ritiene di estendere a tutte le scienze sulla base di una concezione della realtà strutturata matematicamente, secondo una serie necessaria di cause ed effetti quantificabili e misurabili.

Il dubbio sistematico o metodico.
Come passo successivo Cartesio applica le regole del suo metodo ai vari tipi di conoscenza quali definiti dal sapere tradizionale: la conoscenza sensibile, la conoscenza logico-razionale, la conoscenza matematica.

Per quanto riguarda la conoscenza sensibile, sembra che i sensi ci diano una conoscenza indubitabile, ma essi ci possono ingannare; ci fanno conoscere solo l'apparenza (i fenomeni) delle cose, non la loro realtà.

Per quanto riguarda la conoscenza logico-razionale, essa non deriva dai sensi, ma si fonda su principi della ragione e della logica (principio di identità; principio di non contraddizione, ecc.) che risultano certi. Però potrei anche sbagliare nel ragionare, oppure potrei stare sognando e la distinzione tra veglia e sonno non è sempre chiara. Quindi anche la conoscenza logico-razionale non è indubitabile.
Per quanto riguarda la conoscenza matematica, Cartesio osserva che, si sia svegli o si si sogni, le regole della matematica non cambiano (2 + 3 = sempre 5). Sembra quindi che la matematica possa essere ritenuta il fondamento certo della conoscenza umana. Tuttavia bisogna dubitare anche della matematica perché potrebbe esistere un "genio maligno" che vuole ingannarci, facendoci ritenere vera la matematica mentre invece è un suo imbroglio.

Per tali motivazioni applica metodicamente e sistematicamente il dubbio ad ogni tipo di conoscenza; da ciò il nome di dubbio sistematico, o metodico, da lui coltivato non per scetticismo ma per verificare se è possibile trovare un fondamento che sia assolutamente indubitabile. Il dubbio cartesiano è volutamente universale, iperbolico, non perché Cartesio non creda possibile trovare una certezza ma proprio perché vuole trovarla in modo più che sicuro.




RENATO CARTESIO (1596-1650) 2

Il "cogito, ergo sum"
Proprio quando il dubbio sembra non finire mai, Cartesio trova l'ispirazione e scopre quel principio assolutamente indubitabile che diventerà il fondamento del nuovo sapere. E gli osserva che, mentre si pensa di poter dubitare di tutto, non si può tuttavia dubitare del fatto che si stia pensando, ossia che vi è ed esiste un qualche cosa, un soggetto, che pensa. Da qui la celebre affermazione "cogito, ergo sum" (penso, quindi sono, esisto). Questa verità non può essere messa in dubbio neppure dal genio maligno. Magari io come corpo non esisto perché posso essere un'illusione provocata proprio dal genio maligno; altrettanto possono non essere reali le cose pensate e sentite, ma nessuno, neppure il genio maligno, può farmi dubitare che, se come corpo posso anche non esistere, esisto almeno come soggetto pensante, come "cosa che pensa", come, detta in latino, “res cogitans”.
La scoperta che quantomeno il soggetto pensante esiste, ossia che esiste la coscienza, l’"io", il pensiero, seppur i contenuti del pensiero potrebbero essere un'illusione, non è il risultato di una dimostrazione, ma è espressamente il frutto di quella intuizione immediata, del tutto evidente, chiara e distinta, che Cartesio cercava come punto di partenza certa del nuovo sapere. La scoperta del "cogito", della “res cogitans”, ha un significato epocale perché segna lo spartiacque tra la filosofia antica, impostata sulla metafisica dell'oggetto o dell'essere, cioè sull'ontologia, e la filosofia moderna, fondata da Cartesio, impostata sulla metafisica del soggetto conoscente, cioè sulla gnoseologia. La filosofia moderna non è più scienza dell'essere, rivolta a cercare l'essenza delle cose e della realtà, ma diventa soprattutto dottrina della conoscenza. La metafisica antica trascurava il ruolo del pensiero, del soggetto pensante, per concentrare l'indagine intorno all'essere, alla realtà. La nuova metafisica invece, quella moderna, riconosce che la realtà si costituisce in primo luogo nel pensiero: la realtà è quella pensata. Il pensiero non coincide con la realtà esterna ma solo nel pensiero essa può essere rappresentata e conosciuta. Il primato passa dall'oggetto conosciuto al soggetto conoscente. Viene affermata l'autonomia della coscienza rispetto all'essere, riconosciuta nella sua capacità di formulare idee chiare e distinte.
L'umanesimo qui si compie totalmente: l'uomo come soggetto pensante è veramente al centro del mondo ed egli è certo solo di ciò che si mostra in modo chiaro e distinto alla sua mente. Vi è un riconoscimento ed una valorizzazione pieni della soggettività umana. L'evidenza, che diviene la regola della ricerca, non è più fondata sull'essere (le idee platoniche, la sostanza aristotelica, l'Uno neoplatonico o l'essere divino, Dio, della filosofia scolastica). Neppure è fondata sui principi logici generali di identità e di non contraddizione ma sull'intuizione, l’intuizione dell'esistenza del nostro io, della nostra coscienza, come realtà pensante che si presenta con caratteri chiari e distinti. Il pensiero moderno abbandona il dogmatismo del principio di autorità per dare credito solo a ciò che nella mente si presenta in modo evidente. Per filosofare, asserisce Cartesio, non è affatto necessario ricorrere ai filosofi del passato.
Il principio metodologico cartesiano del dubbio si ritrova anche in Agostino d’Ippona: "si fallor, sum" (se sbaglio, sono). Ma il dubbio di Agostino è una forma di pensiero ancora di tipo metafisico-ontologico: il pensiero sussiste solo dopo l'essere e per virtù dell'Essere supremo che è Dio; prima di poter pensare, cioè, devo esistere ed esistere come creatura di Dio poiché, secondo Agostino, solo Dio infonde la verità nella mia coscienza, nella mia anima, illuminandola. Il cogito di Cartesio ha invece un fondamento gnoseologico, non ontologico: rivela che io esisto come coscienza pensante ma non necessariamente anche come realtà, come corpo esistente. Anche Campanella era giunto alla scoperta del principio della coscienza ed autocoscienza, però l’autocoscienza di Campanella non è pensiero ma sensibilità e come tale è propria non solo dell'uomo ma di tutti gli esseri animati della natura. Quello di Campanella è il concetto di "anima senziente" in quanto coscienza delle proprie modificazioni a seguito degli stimoli ricevuti dai sensi al contatto con le cose. Il cogito, l'autocoscienza di Cartesio, è invece la scoperta dell'esistenza, chiara ed evidente, della "res cogitans" quale autonoma capacità di pensare.

Le obiezioni al "cogito" dei contemporanei di Cartesio
La scoperta del cogito ha comportato il sorgere di ampie dispute ed obiezioni già fin dai contemporanei di Cartesio.
Taluni affermano che la dottrina del cogito è un circolo vizioso: Cartesio accetta il principio del cogito perché evidente, ma fonda a sua volta il principio dell'evidenza sul cogito. Cartesio risponde che non è vero che il cogito risulta evidente perché conforme alla regola dell'evidenza in quanto il cogito è la prima autocoscienza intuitiva, la prima consapevolezza che il soggetto ha di se stesso; pertanto il criterio dell'evidenza non è affatto anteriore al cogito.
Per Gassendi, filosofo francese di orientamento empiristico-scettico, il cogito è una forma di sillogismo abbreviato del tipo: "Tutto ciò che pensa esiste. Io penso, dunque esisto", ma allora, obietta Gassendi, il ragionamento è infondato perché la premessa "Tutto ciò che pensa esiste" cade sotto il dubbio del genio maligno. Cartesio risponde che il cogito non è un ragionamento, ma un'intuizione immediata della mente.
Più insidiosa è l'obiezione di Hobbes, secondo il quale Cartesio ha ragione nel dire che l'io, in quanto pensa, esiste, ma sbaglia nel definirlo, puro pensiero, spirito, perché la coscienza, l’io, potrebbe benissimo derivare dal corpo, dal cervello o da qualcosa di materiale, per cui il principio di Cartesio sarebbe simile a quello che dice: "io sto passeggiando, quindi sono una passeggiata", saltando con ciò, indebitamente, da uno stato corporeo ad un concetto mentale, passando illecitamente dal piano reale a quello del pensiero. Cartesio risponde che l'uomo non passeggia costantemente, però pensa sempre. Inoltre, il termine pensiero indica talora l'atto del pensiero, talvolta la facoltà del pensare e talaltra il contenuto del pensiero, per cui il cogito non è sempre e necessariamente un pensato, il contenuto di un concetto. Legittimamente perciò può essere concepito come pura sostanza pensante, come pura essenza ideale, spirituale, senza implicazioni di indebiti passaggi al piano reale.



RENATO CARTESIO (1596-1650) 3

La natura fenomenica della conoscenza
La filosofia antica non dubitava della possibilità di conoscere e cogliere direttamente la realtà esterna alla coscienza e di spiegarla sulla base di un principio primo o comunque di principi metafisici. La filosofia moderna viceversa, e con essa Cartesio, si rende conto che non abbiamo conoscenza diretta delle cose ma solo di come esse appaiono e sono percepite dalla nostra mente. Conosciamo solo i fenomeni, cioè le rappresentazioni mentali delle cose, che Cartesio chiama "idee". La scoperta del cogito, della res cogitans, mi rende sicuro della mia esistenza soltanto come soggetto pensante, che ha idee. Sono sicuro che tali idee esistono nel mio pensiero perché esse, come atti del mio pensiero, fanno parte di me come soggetto che pensa, ma non sono per niente sicuro se a queste idee corrispondono realtà effettive fuori di me e se esse davvero sono come mi si presentano. Addirittura non sono nemmeno sicuro se io stesso esisto come corpo.

Dio come garante della verità delle nostre conoscenze
Se non c’è garanzia di corrispondenza tra idee e realtà si pone allora il fondamentale problema: chi ci assicura che alle nostre idee corrisponda una realtà esterna e che essa sia proprio come ci appare? Cartesio individua nell'esistenza di un Dio buono, che non ci inganna, il fondamento di questa garanzia.
Si tratta quindi di dimostrare l'esistenza di Dio. Cartesio ci arriva partendo dall'analisi delle idee, che distingue in tre categorie:
1. Le idee avventizie, che provengono dall'esperienza sensibile, dalla percezione delle cose esterne a noi e colte come fenomeni.
2. Le idee fattizie, prodotte dalla nostra immaginazione e fantasia.
3. Le idee innate, presenti fin dalla nascita nella nostra mente, che sono a priori, vengono prima dell'esperienza sensibile e sono indipendenti da essa.
Ebbene, le idee avventizie non assicurano una conoscenza certa ed evidente perché derivano dai sensi che ci possono ingannare e, comunque, si fermano ai soli aspetti esteriori delle cose. Tanto meno sono certe le idee fattizie perché sono frutto di fantasie. Non resta allora che prendere in esame le idee innate come possibile fondamento della validità delle conoscenze. Cartesio osserva che tra le idee innate possedute vi è anche l'idea di perfezione assoluta come pure l'idea di infinito. Se tali idee sono in noi non possono però provenire da noi perché siamo imperfetti e finiti. Pertanto devono avere come loro causa solo un essere davvero perfetto ed infinito: questo essere altri non è che Dio. In tal modo Cartesio, in maniera simile alla prova ontologica di Anselmo d’Aosta, dimostra l'esistenza di Dio. Allora, prosegue, se Dio esiste ed è perfetto, deve per forza essere anche buono e quindi non può ingannarci come potrebbe fare invece un genio maligno: la perfezione non si concilia con la malignità. E poiché Dio ci ha dato la ragione, di conseguenza tutto ciò che alla nostra ragione si presenta in modo chiaro e distinto non può che essere senz'altro vero. Perciò sono vere le nostre idee innate e vera è anche l’idea della realtà esterna che la ragione ricava dall’esperienza sensibile. Vi è dunque corrispondenza fra le nostre idee avventizie e le cose, così come vera è anche l'esistenza del nostro corpo, giacché Dio è il garante della verità delle nostre conoscenze. In quanto tale, si può notare, la concezione cartesiana di Dio è essenzialmente strumentale e funzionale ai fini della conoscenza ed ha ben poco di religioso; quello di Cartesio è un Dio filosofico. Egli è semplicemente lo strumento che assicura la verità delle conoscenze umane. Religione e ragione sono autonome. Non è compito della filosofia la rivelazione di Dio; piuttosto è demandato alla religione il porla come oggetto di fede.
Ma se Dio è colui che garantisce la verità delle nostre conoscenze sorge un problema: come mai noi talvolta sbagliamo? come mai è possibile l'errore? Per Cartesio l'errore non è imputabile a Dio, che è essere perfetto, né è imputabile alla nostra ragione, che ci è stata donata da Dio. L'errore è invece imputabile alla nostra volontà, che ci può rendere impazienti e frettolosi e, quindi, indurci a ritenere chiare e distinte idee che, per contro, sono ancora confuse ed oscure. L'intelletto umano è limitato ma la volontà umana è libera. Essa consiste nella possibilità di fare o non fare, di affermare o negare e, quindi, di affermare come vero anche ciò che all'intelletto risulta confuso ed oscuro.


RENATO CARTESIO (1596-1650) 4

La fisica cartesiana. Il mondo è una macchina
Se dunque la verità delle idee avventizie è garantita da Dio, possiamo pertanto essere certi dell'esistenza non solo dei nostri pensieri ma altresì della realtà fisico-naturale esterna, ovvero delle cose corporee, materiali. Esse sono tutte diverse fra loro e si trasformano continuamente. Vi è però un aspetto comune, identico, in tutti i corpi materiali: l'estensione, cioè la proprietà di occupare spazio. Per quanto diverso da qualsiasi altro, ogni corpo materiale occupa spazio. L'estensione è chiamata da Cartesio "res extensa", ovvero cosa, sostanza, estesa. Oltre che dall'estensione, i corpi materiali sono caratterizzati anche dal movimento, ossia dal loro continuo divenire e trasformarsi. Causa prima del movimento è Dio, che ha impresso al mondo fisico il moto iniziale e ha quindi stabilito le leggi naturali del movimento dei corpi, che sono cause seconde.
Poiché in Cartesio vale l'equivalenza: cose corporee=materia, materia= estensione, estensione=spazio, ciò significa, allora, che il vuoto non esiste poiché l'intero spazio, in quanto estensione, è integralmente occupato dalla materia, anche là dove i corpi ci appaiono spazialmente separati. Non esiste alcun vuoto tra un corpo e l'altro e ogni intervallo di spazio sussistente fra i corpi è considerato anch’esso composto di corpuscoli materiali, di frammenti piccolissimi ed invisibili di materia estesa. Tali corpuscoli, costituiti di materia sottile o etere, riempiono totalmente ciò che impropriamente viene chiamato il vuoto. Lo spazio inoltre, secondo la concezione euclidea, è infinito, sicché anche l'estensione, che è materia estesa in tutto lo spazio, è infinita e, in quanto infinita, l'estensione (i corpi) è infinitamente divisibile come lo spazio geometrico. Non vi sono quindi atomi, particelle indivisibili di materia, come sosteneva Democrito: tutto lo spazio è concepito come spazio matematico continuo.
Le cose del mondo fisico ed il loro trasformarsi traggono origine dall'urto meccanico, fra di essi, dei corpi o dei corpuscoli che, muovendosi continuamente, si scontrano aggregandosi o disaggregandosi; vengono a costituirsi in tal modo le cose corporee come anche la loro dissoluzione. Deriva una concezione meccanicistica del mondo. Il mondo fisico-naturale non è un sistema di forme o di essenze, come nella metafisica antica; non è neppure un organismo vivente, animistico-magico, come pensato dalla filosofia naturalistica rinascimentale; è invece una macchina ed è regolato da due leggi fondamentali di carattere dinamico e meccanico:
1. il principio di inerzia, che Cartesio formula per primo in maniera adeguata;
2. il principio di conservazione della quantità di moto o di energia, principio posto da Dio quale causa prima del movimento dei corpi, secondo cui, pur nel variare dei movimenti singoli e della loro intensità, si conserva costantemente nell'universo la medesima complessiva quantità di movimento.
Viene dunque negata da Cartesio, che in ciò sarà smentito da Newton, ogni forza, attrattiva o repulsiva capace di agire a distanza, come la gravitazione o le forze elettriche o magnetiche. Il movimento cartesianamente concepito, e con esso il sorgere o il perire delle cose, è prodotto solo dagli urti meccanici, dai contatti diretti tra le cose corporee o tra i corpuscoli.
Deriva altresì una concezione antifinalistica del mondo: i corpi non si muovono, non nascono, non si trasformano e non periscono in vista di un fine, ma soltanto in base a pure leggi meccaniche e necessarie, costanti e uniformi, di causa-effetto.
Non solo le cose inanimate ma anche il corpo sia degli animali che degli uomini è una macchina. L'anima non è negata ma per Cartesio essa è solo pensiero, solo res cogitans inestesa, separata dal mondo fisico. Non è l’anima che genera l’animazione dei corpi bensì l’universale spinta motoria. Anche la morte è provocata da cause fisiche, materiali, e non dalla separazione dell'anima dal corpo. Lo stesso corpo dell'uomo è una macchina di cui l'anima, la res cogitans, si serve come proprio strumento.
In linea con la filosofia razionalistica, non solo la metafisica ma anche la fisica di Cartesio è di tipo deduttivo, poiché intesa a spiegare l'infinita varietà dei fenomeni partendo da due soli principi, o idee generali, quello dell'estensione e del movimento. Entrambi hanno origine da Dio. Dio ha creato non solo la res extensa, cioè il mondo fisico, ma vi ha altresì impresso il movimento iniziale secondo una determinata quantità di moto che si conserva costantemente. Dopo aver ricevuto da Dio il moto primario, il mondo fisico procede in base alle sue proprie leggi naturali. Sicché è comprensibile il commento espresso al riguardo dal filosofo Pascal, secondo cui "al Dio di Cartesio basta aver dato il primo calcio al mondo, perché il resto va da sé". Da Cartesio infatti, oltre all'atto della creazione del mondo e del conferimento ad esso della spinta iniziale, non è richiesto a Dio nessun altro intervento, né finalistico né provvidenziale.
La concezione meccanicistica ed antifinalistica del mondo è conforme alla mentalità fisico-matematica risultante dalla rivoluzione scientifica: se tutti i movimenti delle cose corporee che compongono il mondo fisico sono di tipo meccanico, allora essi possono essere calcolati, previsti e studiati col metodo matematico.
Nel razionalismo di Cartesio peraltro, come pure negli altri filosofi razionalisti, prevale un'eccessiva fiducia nella deduzione logico-matematica di tutta la realtà da pochi principi innati, tale che induce a saltare, spesso in modo indebito, dall'ordine logico delle idee a quello ontologico della realtà a prescindere dalla verifica sperimentale. D’altro canto, la concezione cartesiana razionalistico-meccanica del mondo fisico agevola l'affermazione della tecnica ed il collegamento tra scienza teorica ed applicazione pratica.




Francesco Lorenzoni 
Cartesio definirà il mondo come una macchina, secondo una concezione meccanicistica ed antifinalistica piuttosto conforme alla mentalità fisico-matematica risultante dalla rivoluzione scientifica. Peraltro è un filosofo razionalista, non un empirista, e le sue conoscenze di fisica non erano certo all'altezza di Newton.


Carlo Tarsitani 
Cartesio non può dimostrare di non essere un cervello in una vasca, nutrito da una soluzione fisiologica e stimolato solo da un computer.


Francesco Lorenzoni 
Si, il cogito non può escluderlo finché Cartesio non ricorrerà strumentalmente al suo Dio filosofico per mostrare la verità delle idee avventizie.


Carlo Tarsitani 
L'illusione di Cartesio sta nella certezza dell'Io... Un esemplare della specie umana, se non fosse mai stato in relazione con altri esemplari, non scoprirebbe mai di essere un "Io" (in realtà non svilupperebbe mai né intelligenza, né pensiero, se non quelli degli eventuali animali che lo hanno nutrito e gli hanno consentito di sopravvivere...).

Francesco Lorenzoni 
E' vero, ma la scoperta del cogito è il punto di partenza di Cartesio, non di arrivo. Anch'egli si rende conto che se non c'è relazione non c'è identità.


Carlo Tarsitani 
Appunto dico. Il punto di partenza è sbagliato. Non esiste un pensiero che non sia pensiero di qualcosa.


Francesco Lorenzoni 
Hai visto come Cartesio risponde ad Hobbes? " Il termine pensiero indica talora l'atto del pensiero, talvolta la facoltà del pensare e talaltra il contenuto del pensiero, per cui il cogito non è sempre e necessariamente un pensato".


Domenico Cantore 
Ammetto di non aver capito come Descartes escluda l'ipotesi che anche l'osservatore di sé stesso, o il pensiero che riflette verso sé la sua azione (e quindi anche e soprattutto nel momento in cui scopre il dubbio), applichi, in verità, un'azione materiale. Il passaggio dall'inconfutabilità, nel dubbio, all'ascesi, nella res cogitans, mi sembra sia stata un po' eccessiva.


Francesco Lorenzoni 
Non a caso si parla, in proposito, di dualismo cartesiano. Ne tratterò in un prossimo post.


Piero Donato 
Quella di Cartesio è una delle più grandi intuizioni dell'Umanità: sul piano della Realtà è inossidabile. Sul fatto che il pensiero esista, credo che alcun filosofo potrà mai dubitare, altrimenti non si potrà definire tale


Roberto Cascone 
Il pensiero esiste, ma la coscienza portato del pensare (e al tempo stesso causa ed effetto del pensiero) è sempre in relazione ad altro, in sé e fuori del sé. Come qualche secolo dopo spiegheranno Husserl, con la sua fenomenologia, e Freud, individuando la relazione tra Io, Es e SuperIo, la coscienza è sempre coscienza "di qualcosa", relazione con l'oggetto intenzionato, non solo fatto mentale (e/o spirituale), ma anche fisico, insomma interazione di dati cinestesici, sensoriali, memoria, ecc. La cosa che straordinaria è che nonostante questo l'essere pensante possa comunque dubitare del proprio Io.


Piero Donato 
Certamente! (per quanto riguarda la prima affermazione). Per la seconda (ovvero straordinario che l'essere pensante possa dubitare del proprio io) non mi pare così straordinario: l'essere pensante, in quanto individuo singolo, è posto su un piano di continua evoluzione (cognitiva e di coscienza), quindi non è straordinario che possa dubitare di qualcosa che non conosce (ad esempio la propria coscienza in metamorfosi, in evoluzione: sino a quando la coscienza individuale non comprenderà che si sta evolvendo, potrà "naturalmente" avvenire che possa mettere in dubbio anche l'esistenza del proprio io - un po' come dire: la coscienza dell'io è uscita di strada, ora deve tornare indietro e "riagganciare" la strada dell'evoluzione, per poter tornare a prendere coscienza di sé). Saluti.


Roberto Cascone 
A proposito di creato e autocoscienza dello stesso, econdo Alan Watts, ne La via dello Zen, semplifico, il Buddhismo, che ha una componente speculativa molto vicina alla fenomenologia, un Io quasi freudiano, è una religione atea in cui lo spazio-tempo…Altro...


Piero Donato 
religione atea mi piace 😊"non potrebbe essere altrimenti" mi piace ancor più! siamo nel campo della teoria pura; d'altra parte, speculando sulle motivazioni dell'esistere anziché no, si entra per forza nella pura speculazione. Un'intuizione in sé e per sé esistente poiché postulata aprioristicamente senza basarsi su alcuna dimostrazione, non rientra nel campo della logica; l'esistenza della ricerca della verità non rientrante nel campo della logica, implica la possibilità di manifestarsi una serie di inferenze (quantitativamente tendenti all'infinito) che si basano su mere creazioni di un io totalmente immerso nell'antropocentrismo più assoluto (tendente al nulla, nella sua ragion d'essere). Non ci siamo proprio... notte... fonda :)


Franco Severini 
A mio fallibile avviso, separare il pensiero dal reale è l'anticipazione del pensiero idealistico che, con Hegel, condurrà allo Spirito Assoluto. 
Ritenere che il "cogito" possa esistere indipendentemente dal "sum", significa, implicitamente, considerare inutili le humeane matters of fact.


Gianluca Lubrano Cerebrum
infallibile lo siamo tutti nel momento in cui ci rapportiamo con i nostri limiti

Gianluca Lubrano Cerebrum 
Il "cogito ergo sum" di Cartesio può andare bel oltre

"ciò che non è, non può far niente, tantomeno sbagliare, il che è già far qualcosa; se dunque dubito, sono".
L'impianto di ""cogito ergo sum" " viene quindi ribaltato dallo stesso Cartesio


Francesco Lorenzoni 
Si, ma sono cosa? Un qualcosa che dubita? Una res dubitans? Ciò non può essere fondamento di conoscenza.


Franco Severini 
Può anche darsi che non abbia approfondito esaustivamente la problematica riguardante il "cogito". Sicuramente, è vero che il pensiero è il fondamento della conoscenza. Non potrebbe essere altrimenti. Quando Hegel scrive che "Das Wesen ist die Wahrheit…Altro...


Francesco Lorenzoni 
L'obiettivo di Cartesio, appunto, era di trovare un fondamento certo della conoscenza, non dell'essere.


Franco Severini 
Hegel la definirebbe "Wiederspiegelung". L'essere si rispecchia in chi lo pensa. Ma è proprio così?


Francesco Lorenzoni 
Finché si tratta di rispecchiamento ci può anche stare. L'idealismo, di cui Hegel è il maggior esponente, ha assunto invece veste di teoria discutibile quando colloca lo Spirito, il Pensiero, come produttore, generatore dell'essere.


Franco Severini 
Anche il mio gatto, quando sente qualche rumore inconsueto, rizza le orecchie e va a vedere. Chissà se anche esso si chiede il perché.

12Anna Maria Tocchetto e altri 11
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Fabrizio Viti
Fabrizio Viti Ciò che osserviamo non è la natura in se stessa, ma la natura esposta al nostro metodo d'indagine
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Fabio Siniscalco
Fabio Siniscalco Chiarissimo, semplice e scritto bene.
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Francesco Lorenzoni
Francesco Lorenzoni Grazie.
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Ivano Paolo Todde
Franco Severini
Franco Severini E se dovessimo trovarci in un profondo dubbio cartesiano e dio non risponde, cosa facciamo?
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Francesco Lorenzoni
Francesco Lorenzoni Da Cartesio Dio non è chiamato a rispondere. Basta che sussista come ente sommamente perfetto, buono, tale che non ci inganni e, quindi, come garante delle nostre conoscenze chiare e distinte.
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Carlo Guida
Carlo Guida "La prima regola era di non accettare mai nulla per vero, senza conoscerlo evidentemente come tale: cioè di evitare scrupolosamente la precipitazione e la prevenzione;"
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Franco Severini
Franco Severini Cartesianamente, ho qualche dubbio sulla natura della verità che ci viene proposta. Nel caso specifico, infatti, essa è posta in una dimensione sovrumana, se sovrumana è la garanzia di riferimento. Questa condizione rende inutile il processo di conoscenza.
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Tommaso Tosi
Tommaso Tosi Bella sintesi, ma dissento da un aspetto specifico del primo paragrafo: è corretto affermare che nella filosofia moderna (e proprio a partire da Cartesio, poi con Locke e infine con Kant, prima dell'idealismo tedesco) si pone il problema del metodo e della fondabilità della conoscenza primariamente in relazione al problema del soggetto, ma almeno in Cartesio l'evidenza non è specchio di una percezione fenomenica (analoga all'intuizione senza concetto kantiana), bensì un "vedere" intellettivo della necessità dell'idea di cui l'autoevidenza si predica (che lui riconosce nel cogito ponendolo come cominciamento, anche se Hegel mostrerà che cominciamento non può essere nulla di complesso - a livello strutturale - ma solo l'assolutamente semplice), dunque una conoscenza logico-trascendentale (direbbe e concorderebbe Husserl), non una conoscenza solamente fenomenica.

Tanto che, nell'aspetto fondamentale (fondativo e metodologico) si può riconoscere in Cartesio l'erede moderno della filosofia platonica: 

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Franco Severini
Franco Severini Cerco di spiegarmi, ammesso che ci riesca. La nostra conoscenza non può che essere fenomenica. Se, dietro il fenomeno, viene illegittimamente presupposto un “Ding an sich”, si traspone la conoscenza medesima su di un piano per noi irraggiungibile, oppure, inutile. Infatti, la cosa in sé, così come viene presupposta, risulta invariate rispetto alle nostre possibilità gnoseologiche. In tal modo, la sua presenza o la sua assenza si equivalgono. La garanzia divina, a mio fallibile avviso, non è dissimile dalla cosa in sé. Se la volontà umana, in quanto irrazionale, distorce, cartesianamente, l’attività del pensiero razionale, parimenti la distorce la fede in una garanzia divina che, al pari della cosa in sé, a mio parere, risulta essere semplicemente una ipostasi.
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Francesco Lorenzoni
Francesco Lorenzoni Tommaso, sono d'accordo anch'io, come andrò a dire nel prossimo, conclusivo, post su Cartesio. Nel post in questione mi riferivo eminentemente alla conoscenza delle idee avventizie.
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Tommaso Tosi
Tommaso Tosi Può essere che non avendo letto gli altri post manchi della necessaria contestualizzazione del tuo scritto. 
Ad ogni modo quello che intendevo sottolineare è che dissento dalla convinzione comune per la quale la filosofia moderna (almeno ai suoi albori, dall'umanesimo alla Rivoluzione scientifica passando per il Rinascimento) sia in contrasto con la filosofia greca (post-socratica) che ritrovava il fondamento della cosa nel suo elevamento e nella considerazione di essa al livello del pensiero (per dirla con Hegel): questo in Cartesio avviene nonostante la svolta soggettivistica (spesso sopravvalutata) e il realismo affermato successivamente alla "deduzione" del Dio garante della memoria, e sopravvive diversamente anche in Leibniz, entrambi ripresi da Husserl in tutta la tematizzazione dell'εἶδος come essenza ideale della cosa e della fenomenologia come scienza delle essenze.
È invece con lo scetticismo e con l'empirismo che questa identità viene a mancare.
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Francesco Lorenzoni
Francesco Lorenzoni In Leibniz senz'altro, ma in buona parte anche in Cartesio.
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Franco Severini
Franco Severini Essendo un convenzionalista, ritengo di poter abbandonare questa eccellente e colta conversazione essenzialista che non condivido in alcun modo, pur rispettandola.

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