Francesco Lorenzoni
RENATO CARTESIO (1596-1650) 1
Renato Cartesio, in francese René Descartes, nasce a La Haye in Francia.
Oltre alla filosofia, si è dedicato allo studio della fisica ed è stato altresì un grande matematico. Inventa il sistema cartesiano col quale unifica geometria e algebra. Partecipa in parte alla "Guerra dei trent'anni". Dopo aver soggiornato a Parigi, nel 1628 si stabilisce in Olanda per godere della libertà filosofica e religiosa propria di quel paese. Compie viaggi in tutta Europa. Nel 1649, su invito della regina Cristina di Svezia, si stabilisce presso la sua corte a Stoccolma, dove muore nel 1650.
Opere principali: Discorso sul metodo; Principi della filosofia; Le passioni dell'anima.
Vivendo per gran parte durante la Guerra dei trent'anni, che fu guerra di conquista ma anche guerra di religione, mentre è in vita, per evitare accuse di eresia, pubblica solamente, l'opera "Discorso sul metodo"; le sue altre opere escono postume.
Galileo fonda il metodo scientifico; Bacone celebra il potere della scienza e della tecnica; Cartesio è il fondatore del nuovo metodo filosofico e del razionalismo.
Due ne sono i fondamentali indirizzi:
1. egli per primo sposta l'interesse prevalente della filosofia dall'ontologia alla gnoseologia, inaugurando così la filosofia moderna;
2. definisce il nuovo metodo della filosofia moderna, il quale non si fonda più sul principio d'autorità, sul pensiero dei più autorevoli filosofi antichi, che anzi, nelle sue opere, nemmeno sono citati; si basa invece sulle idee della nuova società derivanti dalla rivoluzione scientifica.
Il nuovo metodo
Al termine dei suoi studi Cartesio critica il sapere tradizionale giudicandolo non fondato su criteri sicuri per distinguere il vero dal falso. Solo la matematica gli appare degna di fiducia. Si propone pertanto di costruire un nuovo metodo filosofico prendendo per modello il metodo deduttivo della matematica, in particolare della geometria. Il nuovo metodo intende partire da postulati o idee generali di immediata evidenza, tali da non necessitare di dimostrazione, ma da cui, per deduzione, si possano poi spiegare e dimostrare i casi, i fenomeni e le realtà particolari. Dimostrazioni però, avverte, che sono da ritenersi valide soltanto se le idee generali di partenza sono immediatamente intuitive, ovvero così chiare e distinte da non lasciare dubbio alcuno.
A tal fine, prescindendo da qualsiasi principio di autorità e da riferimenti a pensatori del passato, Cartesio dà avvio al suo metodo secondo le quattro principali regole seguenti:
1. La regola dell'evidenza: non accettare mai per vera nessuna cosa che non si presenti alla mente con assoluta evidenza, ovvero in maniera chiara e distinta, il che implica l’inaffidabilità di ogni pensiero su cui sia possibile il dubbio.
2. La regola dell'analisi: scomporre un problema complesso nelle sue parti semplici, da considerare separatamente.
3. La regola della sintesi: passare gradatamente da conoscenze semplici ad una loro sintetica unificazione in conoscenze più complesse.
4. La regola della enumerazione e della revisione: enumerare tutti i casi in cui un fenomeno può manifestarsi per essere sicuri di non aver dimenticato nulla e, quindi, controllare di nuovo (revisione) tutte le procedure di analisi e di sintesi seguite.
L'applicazione dell'analisi e della sintesi è il metodo della matematica, fondato su postulati considerati evidenti, metodo che Cartesio ritiene di estendere a tutte le scienze sulla base di una concezione della realtà strutturata matematicamente, secondo una serie necessaria di cause ed effetti quantificabili e misurabili.
Il dubbio sistematico o metodico.
Come passo successivo Cartesio applica le regole del suo metodo ai vari tipi di conoscenza quali definiti dal sapere tradizionale: la conoscenza sensibile, la conoscenza logico-razionale, la conoscenza matematica.
Per quanto riguarda la conoscenza sensibile, sembra che i sensi ci diano una conoscenza indubitabile, ma essi ci possono ingannare; ci fanno conoscere solo l'apparenza (i fenomeni) delle cose, non la loro realtà.
Per quanto riguarda la conoscenza logico-razionale, essa non deriva dai sensi, ma si fonda su principi della ragione e della logica (principio di identità; principio di non contraddizione, ecc.) che risultano certi. Però potrei anche sbagliare nel ragionare, oppure potrei stare sognando e la distinzione tra veglia e sonno non è sempre chiara. Quindi anche la conoscenza logico-razionale non è indubitabile.
Per quanto riguarda la conoscenza matematica, Cartesio osserva che, si sia svegli o si si sogni, le regole della matematica non cambiano (2 + 3 = sempre 5). Sembra quindi che la matematica possa essere ritenuta il fondamento certo della conoscenza umana. Tuttavia bisogna dubitare anche della matematica perché potrebbe esistere un "genio maligno" che vuole ingannarci, facendoci ritenere vera la matematica mentre invece è un suo imbroglio.
Per tali motivazioni applica metodicamente e sistematicamente il dubbio ad ogni tipo di conoscenza; da ciò il nome di dubbio sistematico, o metodico, da lui coltivato non per scetticismo ma per verificare se è possibile trovare un fondamento che sia assolutamente indubitabile. Il dubbio cartesiano è volutamente universale, iperbolico, non perché Cartesio non creda possibile trovare una certezza ma proprio perché vuole trovarla in modo più che sicuro.
RENATO CARTESIO (1596-1650) 2
Il "cogito, ergo sum"
Proprio quando il dubbio sembra non finire mai, Cartesio trova l'ispirazione e scopre quel principio assolutamente indubitabile che diventerà il fondamento del nuovo sapere. E gli osserva che, mentre si pensa di poter dubitare di tutto, non si può tuttavia dubitare del fatto che si stia pensando, ossia che vi è ed esiste un qualche cosa, un soggetto, che pensa. Da qui la celebre affermazione "cogito, ergo sum" (penso, quindi sono, esisto). Questa verità non può essere messa in dubbio neppure dal genio maligno. Magari io come corpo non esisto perché posso essere un'illusione provocata proprio dal genio maligno; altrettanto possono non essere reali le cose pensate e sentite, ma nessuno, neppure il genio maligno, può farmi dubitare che, se come corpo posso anche non esistere, esisto almeno come soggetto pensante, come "cosa che pensa", come, detta in latino, “res cogitans”.
La scoperta che quantomeno il soggetto pensante esiste, ossia che esiste la coscienza, l’"io", il pensiero, seppur i contenuti del pensiero potrebbero essere un'illusione, non è il risultato di una dimostrazione, ma è espressamente il frutto di quella intuizione immediata, del tutto evidente, chiara e distinta, che Cartesio cercava come punto di partenza certa del nuovo sapere. La scoperta del "cogito", della “res cogitans”, ha un significato epocale perché segna lo spartiacque tra la filosofia antica, impostata sulla metafisica dell'oggetto o dell'essere, cioè sull'ontologia, e la filosofia moderna, fondata da Cartesio, impostata sulla metafisica del soggetto conoscente, cioè sulla gnoseologia. La filosofia moderna non è più scienza dell'essere, rivolta a cercare l'essenza delle cose e della realtà, ma diventa soprattutto dottrina della conoscenza. La metafisica antica trascurava il ruolo del pensiero, del soggetto pensante, per concentrare l'indagine intorno all'essere, alla realtà. La nuova metafisica invece, quella moderna, riconosce che la realtà si costituisce in primo luogo nel pensiero: la realtà è quella pensata. Il pensiero non coincide con la realtà esterna ma solo nel pensiero essa può essere rappresentata e conosciuta. Il primato passa dall'oggetto conosciuto al soggetto conoscente. Viene affermata l'autonomia della coscienza rispetto all'essere, riconosciuta nella sua capacità di formulare idee chiare e distinte.
L'umanesimo qui si compie totalmente: l'uomo come soggetto pensante è veramente al centro del mondo ed egli è certo solo di ciò che si mostra in modo chiaro e distinto alla sua mente. Vi è un riconoscimento ed una valorizzazione pieni della soggettività umana. L'evidenza, che diviene la regola della ricerca, non è più fondata sull'essere (le idee platoniche, la sostanza aristotelica, l'Uno neoplatonico o l'essere divino, Dio, della filosofia scolastica). Neppure è fondata sui principi logici generali di identità e di non contraddizione ma sull'intuizione, l’intuizione dell'esistenza del nostro io, della nostra coscienza, come realtà pensante che si presenta con caratteri chiari e distinti. Il pensiero moderno abbandona il dogmatismo del principio di autorità per dare credito solo a ciò che nella mente si presenta in modo evidente. Per filosofare, asserisce Cartesio, non è affatto necessario ricorrere ai filosofi del passato.
Il principio metodologico cartesiano del dubbio si ritrova anche in Agostino d’Ippona: "si fallor, sum" (se sbaglio, sono). Ma il dubbio di Agostino è una forma di pensiero ancora di tipo metafisico-ontologico: il pensiero sussiste solo dopo l'essere e per virtù dell'Essere supremo che è Dio; prima di poter pensare, cioè, devo esistere ed esistere come creatura di Dio poiché, secondo Agostino, solo Dio infonde la verità nella mia coscienza, nella mia anima, illuminandola. Il cogito di Cartesio ha invece un fondamento gnoseologico, non ontologico: rivela che io esisto come coscienza pensante ma non necessariamente anche come realtà, come corpo esistente. Anche Campanella era giunto alla scoperta del principio della coscienza ed autocoscienza, però l’autocoscienza di Campanella non è pensiero ma sensibilità e come tale è propria non solo dell'uomo ma di tutti gli esseri animati della natura. Quello di Campanella è il concetto di "anima senziente" in quanto coscienza delle proprie modificazioni a seguito degli stimoli ricevuti dai sensi al contatto con le cose. Il cogito, l'autocoscienza di Cartesio, è invece la scoperta dell'esistenza, chiara ed evidente, della "res cogitans" quale autonoma capacità di pensare.
Le obiezioni al "cogito" dei contemporanei di Cartesio
La scoperta del cogito ha comportato il sorgere di ampie dispute ed obiezioni già fin dai contemporanei di Cartesio.
Taluni affermano che la dottrina del cogito è un circolo vizioso: Cartesio accetta il principio del cogito perché evidente, ma fonda a sua volta il principio dell'evidenza sul cogito. Cartesio risponde che non è vero che il cogito risulta evidente perché conforme alla regola dell'evidenza in quanto il cogito è la prima autocoscienza intuitiva, la prima consapevolezza che il soggetto ha di se stesso; pertanto il criterio dell'evidenza non è affatto anteriore al cogito.
Per Gassendi, filosofo francese di orientamento empiristico-scettico, il cogito è una forma di sillogismo abbreviato del tipo: "Tutto ciò che pensa esiste. Io penso, dunque esisto", ma allora, obietta Gassendi, il ragionamento è infondato perché la premessa "Tutto ciò che pensa esiste" cade sotto il dubbio del genio maligno. Cartesio risponde che il cogito non è un ragionamento, ma un'intuizione immediata della mente.
Più insidiosa è l'obiezione di Hobbes, secondo il quale Cartesio ha ragione nel dire che l'io, in quanto pensa, esiste, ma sbaglia nel definirlo, puro pensiero, spirito, perché la coscienza, l’io, potrebbe benissimo derivare dal corpo, dal cervello o da qualcosa di materiale, per cui il principio di Cartesio sarebbe simile a quello che dice: "io sto passeggiando, quindi sono una passeggiata", saltando con ciò, indebitamente, da uno stato corporeo ad un concetto mentale, passando illecitamente dal piano reale a quello del pensiero. Cartesio risponde che l'uomo non passeggia costantemente, però pensa sempre. Inoltre, il termine pensiero indica talora l'atto del pensiero, talvolta la facoltà del pensare e talaltra il contenuto del pensiero, per cui il cogito non è sempre e necessariamente un pensato, il contenuto di un concetto. Legittimamente perciò può essere concepito come pura sostanza pensante, come pura essenza ideale, spirituale, senza implicazioni di indebiti passaggi al piano reale.
RENATO CARTESIO (1596-1650) 3
La natura fenomenica della conoscenza
La filosofia antica non dubitava della possibilità di conoscere e cogliere direttamente la realtà esterna alla coscienza e di spiegarla sulla base di un principio primo o comunque di principi metafisici. La filosofia moderna viceversa, e con essa Cartesio, si rende conto che non abbiamo conoscenza diretta delle cose ma solo di come esse appaiono e sono percepite dalla nostra mente. Conosciamo solo i fenomeni, cioè le rappresentazioni mentali delle cose, che Cartesio chiama "idee". La scoperta del cogito, della res cogitans, mi rende sicuro della mia esistenza soltanto come soggetto pensante, che ha idee. Sono sicuro che tali idee esistono nel mio pensiero perché esse, come atti del mio pensiero, fanno parte di me come soggetto che pensa, ma non sono per niente sicuro se a queste idee corrispondono realtà effettive fuori di me e se esse davvero sono come mi si presentano. Addirittura non sono nemmeno sicuro se io stesso esisto come corpo.
Dio come garante della verità delle nostre conoscenze
Se non c’è garanzia di corrispondenza tra idee e realtà si pone allora il fondamentale problema: chi ci assicura che alle nostre idee corrisponda una realtà esterna e che essa sia proprio come ci appare? Cartesio individua nell'esistenza di un Dio buono, che non ci inganna, il fondamento di questa garanzia.
Si tratta quindi di dimostrare l'esistenza di Dio. Cartesio ci arriva partendo dall'analisi delle idee, che distingue in tre categorie:
1. Le idee avventizie, che provengono dall'esperienza sensibile, dalla percezione delle cose esterne a noi e colte come fenomeni.
2. Le idee fattizie, prodotte dalla nostra immaginazione e fantasia.
3. Le idee innate, presenti fin dalla nascita nella nostra mente, che sono a priori, vengono prima dell'esperienza sensibile e sono indipendenti da essa.
Ebbene, le idee avventizie non assicurano una conoscenza certa ed evidente perché derivano dai sensi che ci possono ingannare e, comunque, si fermano ai soli aspetti esteriori delle cose. Tanto meno sono certe le idee fattizie perché sono frutto di fantasie. Non resta allora che prendere in esame le idee innate come possibile fondamento della validità delle conoscenze. Cartesio osserva che tra le idee innate possedute vi è anche l'idea di perfezione assoluta come pure l'idea di infinito. Se tali idee sono in noi non possono però provenire da noi perché siamo imperfetti e finiti. Pertanto devono avere come loro causa solo un essere davvero perfetto ed infinito: questo essere altri non è che Dio. In tal modo Cartesio, in maniera simile alla prova ontologica di Anselmo d’Aosta, dimostra l'esistenza di Dio. Allora, prosegue, se Dio esiste ed è perfetto, deve per forza essere anche buono e quindi non può ingannarci come potrebbe fare invece un genio maligno: la perfezione non si concilia con la malignità. E poiché Dio ci ha dato la ragione, di conseguenza tutto ciò che alla nostra ragione si presenta in modo chiaro e distinto non può che essere senz'altro vero. Perciò sono vere le nostre idee innate e vera è anche l’idea della realtà esterna che la ragione ricava dall’esperienza sensibile. Vi è dunque corrispondenza fra le nostre idee avventizie e le cose, così come vera è anche l'esistenza del nostro corpo, giacché Dio è il garante della verità delle nostre conoscenze. In quanto tale, si può notare, la concezione cartesiana di Dio è essenzialmente strumentale e funzionale ai fini della conoscenza ed ha ben poco di religioso; quello di Cartesio è un Dio filosofico. Egli è semplicemente lo strumento che assicura la verità delle conoscenze umane. Religione e ragione sono autonome. Non è compito della filosofia la rivelazione di Dio; piuttosto è demandato alla religione il porla come oggetto di fede.
Ma se Dio è colui che garantisce la verità delle nostre conoscenze sorge un problema: come mai noi talvolta sbagliamo? come mai è possibile l'errore? Per Cartesio l'errore non è imputabile a Dio, che è essere perfetto, né è imputabile alla nostra ragione, che ci è stata donata da Dio. L'errore è invece imputabile alla nostra volontà, che ci può rendere impazienti e frettolosi e, quindi, indurci a ritenere chiare e distinte idee che, per contro, sono ancora confuse ed oscure. L'intelletto umano è limitato ma la volontà umana è libera. Essa consiste nella possibilità di fare o non fare, di affermare o negare e, quindi, di affermare come vero anche ciò che all'intelletto risulta confuso ed oscuro.
RENATO CARTESIO (1596-1650) 4
La fisica cartesiana. Il mondo è una macchina
Se dunque la verità delle idee avventizie è garantita da Dio, possiamo pertanto essere certi dell'esistenza non solo dei nostri pensieri ma altresì della realtà fisico-naturale esterna, ovvero delle cose corporee, materiali. Esse sono tutte diverse fra loro e si trasformano continuamente. Vi è però un aspetto comune, identico, in tutti i corpi materiali: l'estensione, cioè la proprietà di occupare spazio. Per quanto diverso da qualsiasi altro, ogni corpo materiale occupa spazio. L'estensione è chiamata da Cartesio "res extensa", ovvero cosa, sostanza, estesa. Oltre che dall'estensione, i corpi materiali sono caratterizzati anche dal movimento, ossia dal loro continuo divenire e trasformarsi. Causa prima del movimento è Dio, che ha impresso al mondo fisico il moto iniziale e ha quindi stabilito le leggi naturali del movimento dei corpi, che sono cause seconde.
Poiché in Cartesio vale l'equivalenza: cose corporee=materia, materia= estensione, estensione=spazio, ciò significa, allora, che il vuoto non esiste poiché l'intero spazio, in quanto estensione, è integralmente occupato dalla materia, anche là dove i corpi ci appaiono spazialmente separati. Non esiste alcun vuoto tra un corpo e l'altro e ogni intervallo di spazio sussistente fra i corpi è considerato anch’esso composto di corpuscoli materiali, di frammenti piccolissimi ed invisibili di materia estesa. Tali corpuscoli, costituiti di materia sottile o etere, riempiono totalmente ciò che impropriamente viene chiamato il vuoto. Lo spazio inoltre, secondo la concezione euclidea, è infinito, sicché anche l'estensione, che è materia estesa in tutto lo spazio, è infinita e, in quanto infinita, l'estensione (i corpi) è infinitamente divisibile come lo spazio geometrico. Non vi sono quindi atomi, particelle indivisibili di materia, come sosteneva Democrito: tutto lo spazio è concepito come spazio matematico continuo.
Le cose del mondo fisico ed il loro trasformarsi traggono origine dall'urto meccanico, fra di essi, dei corpi o dei corpuscoli che, muovendosi continuamente, si scontrano aggregandosi o disaggregandosi; vengono a costituirsi in tal modo le cose corporee come anche la loro dissoluzione. Deriva una concezione meccanicistica del mondo. Il mondo fisico-naturale non è un sistema di forme o di essenze, come nella metafisica antica; non è neppure un organismo vivente, animistico-magico, come pensato dalla filosofia naturalistica rinascimentale; è invece una macchina ed è regolato da due leggi fondamentali di carattere dinamico e meccanico:
1. il principio di inerzia, che Cartesio formula per primo in maniera adeguata;
2. il principio di conservazione della quantità di moto o di energia, principio posto da Dio quale causa prima del movimento dei corpi, secondo cui, pur nel variare dei movimenti singoli e della loro intensità, si conserva costantemente nell'universo la medesima complessiva quantità di movimento.
Viene dunque negata da Cartesio, che in ciò sarà smentito da Newton, ogni forza, attrattiva o repulsiva capace di agire a distanza, come la gravitazione o le forze elettriche o magnetiche. Il movimento cartesianamente concepito, e con esso il sorgere o il perire delle cose, è prodotto solo dagli urti meccanici, dai contatti diretti tra le cose corporee o tra i corpuscoli.
Deriva altresì una concezione antifinalistica del mondo: i corpi non si muovono, non nascono, non si trasformano e non periscono in vista di un fine, ma soltanto in base a pure leggi meccaniche e necessarie, costanti e uniformi, di causa-effetto.
Non solo le cose inanimate ma anche il corpo sia degli animali che degli uomini è una macchina. L'anima non è negata ma per Cartesio essa è solo pensiero, solo res cogitans inestesa, separata dal mondo fisico. Non è l’anima che genera l’animazione dei corpi bensì l’universale spinta motoria. Anche la morte è provocata da cause fisiche, materiali, e non dalla separazione dell'anima dal corpo. Lo stesso corpo dell'uomo è una macchina di cui l'anima, la res cogitans, si serve come proprio strumento.
In linea con la filosofia razionalistica, non solo la metafisica ma anche la fisica di Cartesio è di tipo deduttivo, poiché intesa a spiegare l'infinita varietà dei fenomeni partendo da due soli principi, o idee generali, quello dell'estensione e del movimento. Entrambi hanno origine da Dio. Dio ha creato non solo la res extensa, cioè il mondo fisico, ma vi ha altresì impresso il movimento iniziale secondo una determinata quantità di moto che si conserva costantemente. Dopo aver ricevuto da Dio il moto primario, il mondo fisico procede in base alle sue proprie leggi naturali. Sicché è comprensibile il commento espresso al riguardo dal filosofo Pascal, secondo cui "al Dio di Cartesio basta aver dato il primo calcio al mondo, perché il resto va da sé". Da Cartesio infatti, oltre all'atto della creazione del mondo e del conferimento ad esso della spinta iniziale, non è richiesto a Dio nessun altro intervento, né finalistico né provvidenziale.
La concezione meccanicistica ed antifinalistica del mondo è conforme alla mentalità fisico-matematica risultante dalla rivoluzione scientifica: se tutti i movimenti delle cose corporee che compongono il mondo fisico sono di tipo meccanico, allora essi possono essere calcolati, previsti e studiati col metodo matematico.
Nel razionalismo di Cartesio peraltro, come pure negli altri filosofi razionalisti, prevale un'eccessiva fiducia nella deduzione logico-matematica di tutta la realtà da pochi principi innati, tale che induce a saltare, spesso in modo indebito, dall'ordine logico delle idee a quello ontologico della realtà a prescindere dalla verifica sperimentale. D’altro canto, la concezione cartesiana razionalistico-meccanica del mondo fisico agevola l'affermazione della tecnica ed il collegamento tra scienza teorica ed applicazione pratica.
Francesco Lorenzoni
Cartesio definirà il mondo come una macchina, secondo una concezione meccanicistica ed antifinalistica piuttosto conforme alla mentalità fisico-matematica risultante dalla rivoluzione scientifica. Peraltro è un filosofo razionalista, non un empirista, e le sue conoscenze di fisica non erano certo all'altezza di Newton.
Carlo Tarsitani
Cartesio non può dimostrare di non essere un cervello in una vasca, nutrito da una soluzione fisiologica e stimolato solo da un computer.
Francesco Lorenzoni
Si, il cogito non può escluderlo finché Cartesio non ricorrerà strumentalmente al suo Dio filosofico per mostrare la verità delle idee avventizie.
Carlo Tarsitani
L'illusione di Cartesio sta nella certezza dell'Io... Un esemplare della specie umana, se non fosse mai stato in relazione con altri esemplari, non scoprirebbe mai di essere un "Io" (in realtà non svilupperebbe mai né intelligenza, né pensiero, se non quelli degli eventuali animali che lo hanno nutrito e gli hanno consentito di sopravvivere...).
Francesco Lorenzoni
E' vero, ma la scoperta del cogito è il punto di partenza di Cartesio, non di arrivo. Anch'egli si rende conto che se non c'è relazione non c'è identità.
Carlo Tarsitani
Appunto dico. Il punto di partenza è sbagliato. Non esiste un pensiero che non sia pensiero di qualcosa.
Francesco Lorenzoni
Hai visto come Cartesio risponde ad Hobbes? " Il termine pensiero indica talora l'atto del pensiero, talvolta la facoltà del pensare e talaltra il contenuto del pensiero, per cui il cogito non è sempre e necessariamente un pensato".
Domenico Cantore
Ammetto di non aver capito come Descartes escluda l'ipotesi che anche l'osservatore di sé stesso, o il pensiero che riflette verso sé la sua azione (e quindi anche e soprattutto nel momento in cui scopre il dubbio), applichi, in verità, un'azione materiale. Il passaggio dall'inconfutabilità, nel dubbio, all'ascesi, nella res cogitans, mi sembra sia stata un po' eccessiva.
Francesco Lorenzoni
Non a caso si parla, in proposito, di dualismo cartesiano. Ne tratterò in un prossimo post.
Piero Donato
Quella di Cartesio è una delle più grandi intuizioni dell'Umanità: sul piano della Realtà è inossidabile. Sul fatto che il pensiero esista, credo che alcun filosofo potrà mai dubitare, altrimenti non si potrà definire tale
Roberto Cascone
Il pensiero esiste, ma la coscienza portato del pensare (e al tempo stesso causa ed effetto del pensiero) è sempre in relazione ad altro, in sé e fuori del sé. Come qualche secolo dopo spiegheranno Husserl, con la sua fenomenologia, e Freud, individuando la relazione tra Io, Es e SuperIo, la coscienza è sempre coscienza "di qualcosa", relazione con l'oggetto intenzionato, non solo fatto mentale (e/o spirituale), ma anche fisico, insomma interazione di dati cinestesici, sensoriali, memoria, ecc. La cosa che straordinaria è che nonostante questo l'essere pensante possa comunque dubitare del proprio Io.
Piero Donato
Certamente! (per quanto riguarda la prima affermazione). Per la seconda (ovvero straordinario che l'essere pensante possa dubitare del proprio io) non mi pare così straordinario: l'essere pensante, in quanto individuo singolo, è posto su un piano di continua evoluzione (cognitiva e di coscienza), quindi non è straordinario che possa dubitare di qualcosa che non conosce (ad esempio la propria coscienza in metamorfosi, in evoluzione: sino a quando la coscienza individuale non comprenderà che si sta evolvendo, potrà "naturalmente" avvenire che possa mettere in dubbio anche l'esistenza del proprio io - un po' come dire: la coscienza dell'io è uscita di strada, ora deve tornare indietro e "riagganciare" la strada dell'evoluzione, per poter tornare a prendere coscienza di sé). Saluti.
Roberto Cascone
A proposito di creato e autocoscienza dello stesso, econdo Alan Watts, ne La via dello Zen, semplifico, il Buddhismo, che ha una componente speculativa molto vicina alla fenomenologia, un Io quasi freudiano, è una religione atea in cui lo spazio-tempo…Altro...
Piero Donato
religione atea mi piace 😊"non potrebbe essere altrimenti" mi piace ancor più! siamo nel campo della teoria pura; d'altra parte, speculando sulle motivazioni dell'esistere anziché no, si entra per forza nella pura speculazione. Un'intuizione in sé e per sé esistente poiché postulata aprioristicamente senza basarsi su alcuna dimostrazione, non rientra nel campo della logica; l'esistenza della ricerca della verità non rientrante nel campo della logica, implica la possibilità di manifestarsi una serie di inferenze (quantitativamente tendenti all'infinito) che si basano su mere creazioni di un io totalmente immerso nell'antropocentrismo più assoluto (tendente al nulla, nella sua ragion d'essere). Non ci siamo proprio... notte... fonda :)
Franco Severini
A mio fallibile avviso, separare il pensiero dal reale è l'anticipazione del pensiero idealistico che, con Hegel, condurrà allo Spirito Assoluto.
Ritenere che il "cogito" possa esistere indipendentemente dal "sum", significa, implicitamente, considerare inutili le humeane matters of fact.
Gianluca Lubrano Cerebrum
infallibile lo siamo tutti nel momento in cui ci rapportiamo con i nostri limiti
Gianluca Lubrano Cerebrum
Il "cogito ergo sum" di Cartesio può andare bel oltre
"ciò che non è, non può far niente, tantomeno sbagliare, il che è già far qualcosa; se dunque dubito, sono".
L'impianto di ""cogito ergo sum" " viene quindi ribaltato dallo stesso Cartesio
Francesco Lorenzoni
Si, ma sono cosa? Un qualcosa che dubita? Una res dubitans? Ciò non può essere fondamento di conoscenza.
Franco Severini
Può anche darsi che non abbia approfondito esaustivamente la problematica riguardante il "cogito". Sicuramente, è vero che il pensiero è il fondamento della conoscenza. Non potrebbe essere altrimenti. Quando Hegel scrive che "Das Wesen ist die Wahrheit…Altro...
Francesco Lorenzoni
L'obiettivo di Cartesio, appunto, era di trovare un fondamento certo della conoscenza, non dell'essere.
Franco Severini
Hegel la definirebbe "Wiederspiegelung". L'essere si rispecchia in chi lo pensa. Ma è proprio così?
Francesco Lorenzoni
Finché si tratta di rispecchiamento ci può anche stare. L'idealismo, di cui Hegel è il maggior esponente, ha assunto invece veste di teoria discutibile quando colloca lo Spirito, il Pensiero, come produttore, generatore dell'essere.
Franco Severini
Anche il mio gatto, quando sente qualche rumore inconsueto, rizza le orecchie e va a vedere. Chissà se anche esso si chiede il perché.
12Anna Maria Tocchetto e altri 11
Commenti: 13
Condivisioni: 1
Mi piace
Commenta
Condividi
Commenti
Fabrizio Viti
Fabrizio Viti Ciò che osserviamo non è la natura in se stessa, ma la natura esposta al nostro metodo d'indagine
1
Nascondi
Mi piaceMostra altre reazioni
· Rispondi · 1 a
Fabio Siniscalco
Fabio Siniscalco Chiarissimo, semplice e scritto bene.
Nascondi
Mi piace
· Rispondi · 1 a
Francesco Lorenzoni
Francesco Lorenzoni Grazie.
Nascondi
Mi piaceMostra altre reazioni
· Rispondi · 1 a
Ivano Paolo Todde
Franco Severini
Franco Severini E se dovessimo trovarci in un profondo dubbio cartesiano e dio non risponde, cosa facciamo?
Nascondi
Mi piaceMostra altre reazioni
· Rispondi · 1 a
Francesco Lorenzoni
Francesco Lorenzoni Da Cartesio Dio non è chiamato a rispondere. Basta che sussista come ente sommamente perfetto, buono, tale che non ci inganni e, quindi, come garante delle nostre conoscenze chiare e distinte.
2
Nascondi
Mi piaceMostra altre reazioni
· Rispondi · 1 a
Carlo Guida
Carlo Guida "La prima regola era di non accettare mai nulla per vero, senza conoscerlo evidentemente come tale: cioè di evitare scrupolosamente la precipitazione e la prevenzione;"
1
Nascondi
Mi piaceMostra altre reazioni
· Rispondi · 1 a · Modificato
Franco Severini
Franco Severini Cartesianamente, ho qualche dubbio sulla natura della verità che ci viene proposta. Nel caso specifico, infatti, essa è posta in una dimensione sovrumana, se sovrumana è la garanzia di riferimento. Questa condizione rende inutile il processo di conoscenza.
Nascondi
Mi piaceMostra altre reazioni
· Rispondi · 1 a
Tommaso Tosi
Tommaso Tosi Bella sintesi, ma dissento da un aspetto specifico del primo paragrafo: è corretto affermare che nella filosofia moderna (e proprio a partire da Cartesio, poi con Locke e infine con Kant, prima dell'idealismo tedesco) si pone il problema del metodo e della fondabilità della conoscenza primariamente in relazione al problema del soggetto, ma almeno in Cartesio l'evidenza non è specchio di una percezione fenomenica (analoga all'intuizione senza concetto kantiana), bensì un "vedere" intellettivo della necessità dell'idea di cui l'autoevidenza si predica (che lui riconosce nel cogito ponendolo come cominciamento, anche se Hegel mostrerà che cominciamento non può essere nulla di complesso - a livello strutturale - ma solo l'assolutamente semplice), dunque una conoscenza logico-trascendentale (direbbe e concorderebbe Husserl), non una conoscenza solamente fenomenica.
Tanto che, nell'aspetto fondamentale (fondativo e metodologico) si può riconoscere in Cartesio l'erede moderno della filosofia platonica:
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=1017311791721218&set=gm.946648088779731&type=3&theater&ifg=1
4
Nascondi
Mi piaceMostra altre reazioni
· Rispondi · 1 a · Modificato
Franco Severini
Franco Severini Cerco di spiegarmi, ammesso che ci riesca. La nostra conoscenza non può che essere fenomenica. Se, dietro il fenomeno, viene illegittimamente presupposto un “Ding an sich”, si traspone la conoscenza medesima su di un piano per noi irraggiungibile, oppure, inutile. Infatti, la cosa in sé, così come viene presupposta, risulta invariate rispetto alle nostre possibilità gnoseologiche. In tal modo, la sua presenza o la sua assenza si equivalgono. La garanzia divina, a mio fallibile avviso, non è dissimile dalla cosa in sé. Se la volontà umana, in quanto irrazionale, distorce, cartesianamente, l’attività del pensiero razionale, parimenti la distorce la fede in una garanzia divina che, al pari della cosa in sé, a mio parere, risulta essere semplicemente una ipostasi.
Nascondi
Mi piaceMostra altre reazioni
· Rispondi · 1 a
Francesco Lorenzoni
Francesco Lorenzoni Tommaso, sono d'accordo anch'io, come andrò a dire nel prossimo, conclusivo, post su Cartesio. Nel post in questione mi riferivo eminentemente alla conoscenza delle idee avventizie.
2
Nascondi
Mi piaceMostra altre reazioni
· Rispondi · 1 a
Tommaso Tosi
Tommaso Tosi Può essere che non avendo letto gli altri post manchi della necessaria contestualizzazione del tuo scritto.
Ad ogni modo quello che intendevo sottolineare è che dissento dalla convinzione comune per la quale la filosofia moderna (almeno ai suoi albori, dall'umanesimo alla Rivoluzione scientifica passando per il Rinascimento) sia in contrasto con la filosofia greca (post-socratica) che ritrovava il fondamento della cosa nel suo elevamento e nella considerazione di essa al livello del pensiero (per dirla con Hegel): questo in Cartesio avviene nonostante la svolta soggettivistica (spesso sopravvalutata) e il realismo affermato successivamente alla "deduzione" del Dio garante della memoria, e sopravvive diversamente anche in Leibniz, entrambi ripresi da Husserl in tutta la tematizzazione dell'εἶδος come essenza ideale della cosa e della fenomenologia come scienza delle essenze.
È invece con lo scetticismo e con l'empirismo che questa identità viene a mancare.
1
Nascondi
Mi piaceMostra altre reazioni
· Rispondi · 1 a · Modificato
Francesco Lorenzoni
Francesco Lorenzoni In Leibniz senz'altro, ma in buona parte anche in Cartesio.
1
Nascondi
Mi piaceMostra altre reazioni
· Rispondi · 1 a
Franco Severini
Franco Severini Essendo un convenzionalista, ritengo di poter abbandonare questa eccellente e colta conversazione essenzialista che non condivido in alcun modo, pur rispettandola.