martedì 2 gennaio 2018

Lucio Cornelio Silla

Nel Foro, una sola voce, sarcastica e tagliente, si alzò in quei giorni per fargli sapere quanto il suo gioco fosse scoperto: era del giovane cittadino Giulio Cesare. Alle parole di Silla, che minacciava di poter usare la sua autorità di pretore per colpirlo, Cesare - racconta la leggenda - rispose:
"Hai ben ragione di considerare tua proprietà la carica che ricopri: hai pagato, per averla". [...]

In Asia, infatti, l'ex alleato di Roma Mitridate era stato spinto alla ribellione dalla stupefacente esosità e avidità degli esattori e dei commissari romani: questi avevano spinto il re di Bitinia Nicomede IV, creditore di Roma ed evidentemente a casse vuote, a cercare bottino contro il vicino Mitridate. Preso letteralmente per i capelli, il re del Ponto reagì: e la leggenda racconta che, per dare un chiaro esempio dell'avidità di Roma, imprigionato il capo della commissione tributaria romana, Manio Aquino, abbia ordinato di versargli nella gola dell'oro fuso.

 [...] A Roma l'aria si era fatta irrespirabile: i nobili odiavano Sulpicio Rufo, che girava per la città con una scorta impressionante di 600 uomini armati di tutto punto.
Le strade di Roma si trasformarono in un inferno: guerre tra bande, morti lasciati imputridire all'aperto. In uno di questi scontri, Silla se la vide davvero brutta: a Roma lo iustitium aveva sospeso ogni attività pubblica e il futuro dittatore si vide costretto a fuggire da sicari, paradossalmente, nella casa di Mario. Nessuno sa cosa avvenne in quelle ore, né cosa i due rivali acerrimi si dissero: certo è che Silla uscì da quella casa abdicando alla propria candidatura per la guerra mitridatica.
Silla poté uscire vivo dall'abitazione di Mario: errore imperdonabile compiuto dal vecchio condottiero. Silla raggiunse fuori Roma il proprio esercito, fedele a lui dalle guerre combattute precedentemente, e accampato a Nola e Capua. Si trattava di sei legioni che, dietro a Silla, cominciarono a marciare su Roma. [...] Molti ufficiali, però si rifiutarono di violare le mura interne di Roma, il cosiddetto pomerium. Lungo la Via Latina, diverse delegazioni vennero incontro a Silla e Pompeo per cercare di dissuaderli, ma Silla annunciava che avrebbe raggiunto Roma per liberarla dalla tirannide. La marcia continuò e Silla pose l'assedio alle porte dell'Urbe, varcò la porta Esquilina con le insegne spiegate e al suono terrificante e minaccioso delle trombe: il rito era quello della marcia in territorio nemico. Un chiaro segnale che prometteva lutti: Silla non avrebbe fatto prigionieri. Per il futuro dittatore, quelle erano le ore decisive: vincere o morire. "Si ebbe così - scrive Plutarco - un vero e proprio combattimento fra nemici, il primo in Roma, non più con l'aspetto di una sedizione, ma propriamente con trombe e insegne secondo le regole di guerra". [...] l'ordine stava per essere instaurato in Roma, e sarebbe stato un ordine nato dal terrore. [...] All'oligarchia senatoria tornava l'assoluto potere legislativo, Mario e Sulpicio vennero definiti "nemici pubblici" e si dettero alla fuga. Il secondo venne ucciso e decapitato, la sua testa esposta nel Foro. Così come era stato gettato dalla Rupe Tarpea il servo di Sulpicio che aveva tradito il padrone e lo aveva venduto ai sillani: nella logica aristocratica di Silla un servo traditore poteva quindi servire, dopodiché non meritava di vivere. [...]

Mario poté fuggire, con qualche presumibile complicità, e raggiungere Ischia, da dove salpò verso l'Africa. A Djerba, Mario cominciò a leccarsi le ferite e a preparare la rivincita: questa volta a mettere sotto assedio Roma sarebbe stato lui. Al comando di un esercito copioso, Mario cominciò a colpire tutti gli approvvigionamenti per l'Urbe, da Ostia e per via fluviale: conquistò ostia e ne ordinò il saccheggio. Alle porte di Roma, presso il Gianicolo, le truppe mariane tentarono di irrompere grazie alla collaborazione di un tribuno di nome Appio Claudio, ma l'operazione non riuscì. L'assedio si prolungò per tutto l'anno 87, provocò pestilenze inaudite in Roma, tra le quali anche l'alleato di Silla e console Pompeo Strabone. I soldati assediati morirono di fame e pestilenze nel numero di diciassettemila uomini. Roma doveva arrendersi: Mario e il fido Cinna entrarono nell'Urbe abbandonando le proprie truppe al saccheggio e alla strage: tutti gli avversari di Mario vennero giustiziati sul posto, indotti al suicidio, asfissiati, gettati dalla Rupe Tarpea. "Il senatore Quinto Ancario - scrive Andrea Frediani nel suo "I grandi generali di Roma antica" - recatosi dal condottiero mentre questi era impegnato in un sacrificio sul Campidoglio, finì sotto un nugolo di spade solo perché Mario non aveva risposto al suo saluto. Da allora, chiunque incontrasse il generale doveva augurarsi che questi gli rispondesse, se non voleva fare la stessa fine".  [...]
Mentre Mario moriva, Silla assediava Atene in mano al nemico.
Far cadere la città gli richiese quasi due anni e, il primo marzo dell'86, finalmente i romani poterono varcare le mura della città, in un'orgia di massacri e saccheggi. La popolazione denutrita non poteva opporre resistenza e se mai vi fu una rappresentazione dell'inferno in terra quello fu nell'Atene sotto le daghe dei sillani: il sangue scorreva letteralmente a fiumi per le strade, inondando i sobborghi. Dopo quell'iniziale massacro, il dominio di Silla si fece addirittura opposto, lungimirante e quasi clemente, tanto che Atene finì per dedicare al condottiero una statua in città. Atene venne spogliata di tutte le sue ricchezze, i pochi cittadini maschi privati del diritto di voto per un'intera generazione. [...]

Nella primavera edell'83 Silla salpò dal Pireo dopo aver reclutato mercenari in macedonia e Tessaglia. Con 1200 navi e 40.000 soldati si preparava alla vendetta. Silla giunse a Roma attraverso la Via Appia, in un tripudio generale: tra coloro che sorridevano, anche il giovane Cneo Pompeo. In Puglia i primi scontri, ma dopo la vittoria di Preneste (20000 nemici uccisi, 8000 prigionieri) tutto fu chiaro: Silla andava a riprendersi Roma. 
[...] la carneficina fu indiscriminata, persino peggiore di quella realizzata da Mario.
Di Mario vennero distrutte tutte le statue e le immagini in città, squartati i suoi parenti., centinaia di teste di mariani sfilarono appese a pali davanti alla casa di Silla. Il terrore e il massacro fu tale che i più coraggiosi tra i senatori e i cittadini romani chiesero al dittatore di compilare un elenco di nemici di abbattere, dopo i quali sarebbe tornata la pace. Nacquero così le liste di proscrizione. Uccisioni legalizzate: elenchi terrificanti venivano appesi nel Foro, e chi vi fosse incluso perdeva ogni diritto pubblico e privato, poteva persino essere sgozzato in mezzo alla strada che il carnefice non avrebbe pagato alcunché. Le proscrizioni durarono sei mesi, fino al giugno 81: morirono 90 senatori, 15 ex consoli, 2600 cavalieri. Tra il 27 e il 28 gennaio 81 un clamoroso trionfo impose l'immagine di Silla alla vetta più alta.
Dopo la vendetta, Silla impose il suo ordine.
Formalmente, un ritorno al passato aristocratico, sostanzialmente una dittatura.
Il Senato fu allargato da 150 a 600 membri, indebolito e suddiviso in fazioni, il tribunato della plebe diveniva una carica insulsa, dopo la quale nessun'altra carica poteva seguire. E quindi certo non allettante per i cittadini romani. Qualsiasi forma di opposizione finì. Un plebiscitum conferì a Silla la magistratura straordinaria del potere assoluto: comandante in guerra, potere legislativo, facoltà di ricorrere in tutta libertà al demanio dello Stato, potere di creare e sciogliere provincie, nominare proconsoli. Tutti i poteri, costituente, legislativo, esecutivo, giudiziario finivano nelle mani del dittatore. Si trattava di una sorte di "monarchia orientale", che Roma non aveva più veduto dai tempi di Tarquinio il Superbo. Divenne, infine, "Felix", titolo che lo avvicinò agli dei: "Infatti - scrive il Carcopino - il vero fondatore del culto imperiale non fu Augusto, che lo regolò, e neppure cesare […] ma Silla, che per primo nella storia romana innalzò il proprio potere al di sopra delle contingenze umane, ponendolo sul piano delle cose eterne".
Silla seppe ricorrere con cinismo ad un uso sistematico di auspici e profezie, in modo di avvalersi della religione per consolidare il proprio potere. Una di queste "mosse", però, costituì la base del suo declino: abbandonando al suo destino la moglie Cecilia Metella, gravemente ammalata (un "dio" non poteva essere toccato dalla disgrazia, tanto più se "felix"), Silla cominciò ad alienarsi i Metelli e la nobiltà in genere. La quale cominciò a far leva in Senato contro di lui, per quanto poteva. [...]


Contemporaneamente, in città, un processo pubblico - nel quale avrebbe fatto da oratore difensore Cicerone - vedeva il cittadino Sesto Roscio Amerino contrapposto a Crisogono, un liberto avido dipendente da Silla, che si era distinto per una vita di ostentazione di ricchezze usurpate. Crisogno inserì, dopo la fine delle proscrizioni, il nome di Amerino nelle liste maledette, semplicemente per impossessarsi dei suoi terreni.

L'aristocrazia - nel biennio 82 e 81 a.C. - si schierò con Cicerone e Amerino, contro Crisogono.
Silla, clamorosamente preferì non reagire. Lo stesso fece quando, nelle elezioni dell'anno 79, il dittatore si vide imporre lo sgradito console Lepido.

Sono giorni in cui Silla ha il potere di scatenare nuovamente i propri soldati per Roma, e nel sangue ristabilire l'ordine, il suo ordine. Eppure, non si muove., Sceglie un volontario esilio in Campania dove, protetto da un esercito intero, avrebbe condotto il suo tramonto. Dopo la nomina di Lepido, Silla si recò nel Foro e abdicò ai propri poteri, nel silenzio e nello stupore generale. Si dice che mentre Silla stesse tornando a casa "circondato dal rispetto timoroso dei passanti" un giovane lo seguì "insultandolo": Silla non si degnò nemmeno di voltarsi, e si limitò a predire ai presenti che il prossimo dittatore non avrebbe mai abdicato, come aveva fatto lui. [...]

http://win.storiain.net/arret/num193/artic7.asp

Quando si ritirò a vita privata, pare che attraversando la folla sbigottita uno dei passanti si mise a ingiuriarlo. Silla, si limitò a rispondergli beffardo: "Avresti avuto lo stesso coraggio a dirmi queste cose quando ero al potere?". E alla fine, personaggio dall'indole spietata e ironica allo stesso tempo, confidò, di se stesso, ad uno dei suoi amici:

« Imbecille! Dopo questo gesto, non ci sarà più alcun dittatore al mondo disposto ad abbandonare il potere ».

Si narra che fosse circondato da una variopinta corte di attori, ballerini e prostitute, fra cui un certo Metrobio, famoso attore conosciuto in gioventù. Nel suo ultimo appassionato discorso indirizzato al Senato, Silla dichiarò che costui era stato suo amante per tutta la vita, lasciando così l'assemblea scandalizzata e sgomenta. In compagnia di questa allegra brigata, Sulla Felix fino all'ultimo respiro, morì nel 78 a.C., probabilmente di cancro. Com'era allora d'uso presso i potenti di Roma, lui stesso dettò l'epitaffio che aveva voluto s'incidesse sul suo monumento funebre:

« Nessun amico mi ha reso servigio, nessun nemico mi ha recato offesa, che io non abbia ripagati in pieno ».

[...] Da Silla in poi la vita politica e civile dello Stato sarà condizionata dall'elemento militare: disporre di un esercito da usare contro gli avversari, e se il caso contro le istituzioni, divenne l'obiettivo principale dei più ambiziosi capi politici che aspiravano al potere. Il sistema costituzionale romano uscì distrutto dalla guerra civile. E l'esempio di Silla trovò presto un imitatore d'eccezione proprio in un uomo che aveva idee opposte alle sue: Giulio Cesare [...].

"In principio ci fu Silla. E` noto che egli fu modello a Cesare per tanti aspetti del suo agire, dall’uso spregiudicato di un esercito ormai politicizzato alla marcia su Roma, dalla dittatura (sia pure a tempo indeterminato, e non perpetua) al mantenimento dell’immissione dei neocittadini italici in tutte le tribù; così, anche in campo storiografico è difficile concepire la genesi dei commentarii di Cesare senza il precedente sillano": 
Zecchini Giuseppe, Cesare: commentarii, historiae, vitae, Aevum: rassegna di scienze storiche, linguistiche e filologiche: LXXXV, 1, 2011 , p. 25 (Milano: Vita e Pensiero, 2011).



Guerre mitridatiche.
«Seguì ad Atene un grande e spietata strage. Gli abitanti erano troppo deboli per scappare, per mancanza di nutrimento. Silla ordinò un massacro indiscriminato, non risparmiando donne o bambini. Era adirato per il fatto che si erano così improvvisamente uniti ai barbari [mitridatici] senza causa, ed avevano mostrato una tale animosità verso lo stesso [comandante romano]. La maggior parte degli Ateniesi, quando sentirono l'ordine dato, si scagliarono contro le spade dei loro aggressori volontariamente. Alcuni presero la via che sale per l'Acropoli, tra i quali lo stesso tiranno Aristione, il quale aveva bruciato l'Odeon, in modo che Silla non potesse avere il legname a portata di mano per bruciare l'Acropoli.»
Appiano, Guerre mitridatiche, 38.

Battaglia di Cheronea (86 A.C.)
« E Silla, che si doleva e fremeva ad assistere alla distruzione delle città sotto i suoi occhi, non lasciò che i suoi legionari rimanessero inattivi, al contrario li condusse fuori [dall'accampamento] e li costrinse a scavare fossati e a deviare il fiume Cephisus dal suo "letto", non lasciando tregua ad alcuno, e mostrando essere un inesorabile castigatore di coloro che risultavano rallentare il ritmo, in modo che tutti portassero a termine i loro compiti e, indotti dalle difficoltà del lavoro, accogliessero il rischio della battaglia. E così ciò accadde. Dopo il terzo giorno di fatica, mentre lo stesso Silla passava in rassegna ai lavori, i soldati pregarono a gran voce di essere condotti contro il nemico. Ma Silla rispose che le loro parole non sembravano dimostrare di avere una reale volontà di combattere, ma che si trattava solo di non essere più disposti a faticare; se, invece, erano veramente disposti a combattere, comandò loro di prendere le armi e andare subito in un posto che gli mostrò: si trattava di ciò che era stata l'acropoli di Parapotamii. In quel momento, la città risultava ormai in rovina, rimaneva solo una ripida cresta rocciosa. Il corso del fiume Assus la divideva dal monte Hedylium per quanto è largo, e [questo fiume] poi si gettava nel Cephisus, proprio alla base di quel monte, diventando impetuoso nel suo scorrere dopo la confluenza, e rendendo la cittadella un luogo sicuro per l'accampamento. Per questo motivo, e perché aveva notato che i Chalcaspides, o "scudi di bronzo" del nemico, si facevano strada verso quel posto [l'acropoli di Parapotamii], Silla era intenzionato ad occupare per primo quel posto, e vi riuscì, ora che trovò i suoi soldati desiderosi di azione. »
Plutarco, Vita di Silla, 16, 5-7.


[...] Archelao, che si trovava nei pressi delle rocce ed era da queste coperto, non poteva, per di più, dispiegare l'intero suo esercito in battaglia in quella posizione, a causa del terreno a lui non favorevole, tanto che un'eventuale fuga sarebbe risultata negativa ed ostacolata proprio dalle rocce. Per questo motivo, Silla ritenne che l'avanzata improvvisa sarebbe risultata a lui più favorevole a combattere, non permettendo alla superiorità numerica del nemico di approfittarne. E così il proconsole romano sferrò l'attacco con grande rapidità, mentre le truppe nemiche erano in disordine ed in parte ancora all'interno del grande accampamento. [...]


« Archelao che non immaginava di combattere in quel momento, ragione per cui era stato negligente nella scelta del luogo del suo accampamento. Ora che i Romani stavano avanzando, si accorse tristemente e troppo tardi della sua posizione estremamente negativa, e mandò avanti un distaccamento di cavalleria per impedire il movimento [romano]. Il distaccamento fu però messo in fuga e distrutto tra le rocce. Egli quindi mandò 60 carri falcati, sperando di spezzare la formazione delle legioni romane e farle a pezzi per l'urto [del suo attacco]. I Romani aprirono i loro ranghi ed i carri si incunearono tra le file con il loro slancio fino alla parte posteriore [dello schieramento], ma prima che potessero tornare indietro, furono circondati e distrutti dai giavellotti della retroguardia. »
Appiano, Guerre mitridatiche, 42.

« [Silla] colmò velocemente l'intervallo che divideva i due schieramenti ed in tal modo tolse efficacia alla carica dei carri falcati, che raggiungono la loro massima forza d'urto solo dopo una lunga "carica", dando loro velocità e impeto necessario alla rottura attraverso la linea avversaria. Se la carica inizia da breve distanza risultano inefficaci e deboli [...]. I primi carri partirono così debolmente e lentamente, che i Romani li respinsero, per poi batter loro le mani, scoppiando a ridere e chiedendo un "bis", come sono soliti fare alle corse nel circo. Intervennero quindi le forze di fanteria. I barbari protesero in avanti le loro lunghe aste, e tentarono di serrare i loro scudi insieme, per mantenere la loro linea di battaglia unita e compatta, mentre i Romani lanciarono i giavellotti, e quindi impugnarono le spade, cercando di colpire le aste nemiche lateralmente, per poter venire ad un "corpo a corpo" il più velocemente possibile, nello stato di furore in cui si trovavano. »
Plutarco, Vita di Silla, 18, 2-4.


«Quando le due ali dello schieramento di Archelao cominciarono a cedere, anche il centro non riuscì più a mantenere la posizione e si diede alla fuga in modo disordinato. Poi tutto quello che Silla aveva previsto, capitò al nemico. Non avendo spazio per girarsi o un campo aperto per fuggire, molti si rifugiarono tra le rocce inseguiti [dai Romani]. Alcuni di loro caddero nelle mani dei Romani. Altri con più saggezza fuggirono verso il loro accampamento. Archelao si mise allora di fronte a loro sbarrandone l'ingresso, ed ordinò loro di girarsi ad affrontare il nemico, poiché così dimostravano la più grande inesperienza all'esigenza di combattere. Le truppe allora gli obbedirono con grande prontezza, ma non avevano più né i generali, né altri comandanti ad allinearli, o dare ordini che li ponessero nel reparto a cui appartenevano, ma erano sparsi in totale confusione, poiché inseguiti erano andati a trovarsi in un posto troppo stretto per fuggire o per combattere, furono quindi uccisi senza alcuna resistenza da parte loro, non potendo reagire; altri invece furono calpestati dai loro stessi amici nella confusione generale. E così molti tentarono, ancora una volta, la fuga verso le porte del campo, attorno alle quali si sono ammassati. [...] Infine Archelao, avendo lasciato trascorrere troppo tempo rispetto a quello necessario, aprì le porte dell'accampamento ricevendo i fuggiaschi in modo disordinato. Quando i Romani videro ciò, per loro fu una manna, poiché fecero irruzione nell'accampamento insieme ai fuggitivi, ed ottennero una vittoria completa. »
Appiano, Guerre mitridatiche, 44.

[...] nel corso di questa battaglia che lo storico Giovanni Brizzi ricorda l'istituzione della "riserva" tattica nelle file dell'esercito romano, grazie a Lucio Cornelio Silla. Si racconta infatti che l'ala sinistra dello schieramento romano, comandato da Lucio Licinio Murena, fu salvato grazie all'intervento di questa "riserva" comandata dai legati Quinto Ortensio Ortalo e Galba.
In alternativa l'esito finale della battaglia poteva essere ben diverso. [...]

Battaglia di Orcomeno.
« Allora Silla scese da cavallo, afferrò un'insegna e si aprì un varco attraverso i fuggitivi in direzione del nemico, gridando: "Possa avere io, o Romani, una morte onorevole qui, ma voi, quando vi chiederanno dove avete abbandonato il vostro comandante ricordatevi di dire loro: a Orcomeno". Queste parole fecero sì che i fuggitivi tornassero sui loro passi, mentre due coorti si radunarono sull'ala destra per venirgli in aiuto: Silla allora le condusse contro il nemico e lo mise in fuga. Poi retrocedette un poco, e dopo aver saziato i suoi soldati con del cibo, ancora una volta riprese lo scavo della fossa, che doveva servire ad isolare il nemico. Ma i barbari lo attaccarono di nuovo con maggior ordine di prima, Diogene, figliastro di Archelao, che combatté valorosamente lungo la loro "ala destra", cadde gloriosamente, mentre i loro arcieri, erano talmente pressati dai Romani, da non avere lo spazio per scaricare i loro archi e da prendere le loro frecce a piene mani, per colpire [i Romani] come fossero delle spade a distanza ravvicinata. Alla fine furono però rinchiusi nel loro accampamento e vi trascorsero la notte in modo assai triste per il grande numero dei loro morti e feriti. »
Plutarco, Vita di Silla, 21.2-3.

[...] Silla fece avanzare la sua armata fin sotto le fortificazioni nemiche, procedendo con i lavori di scavo tutt'intorno all'accampamento nemico (ad una distanza inferiore ai 600 piedi) per evitare che ancora una volta Archelao potesse fuggire in Calcide. [...]


Silla allora dettò le sue condizioni di pace:
« “Se Mitridate consegna a noi tutta la flotta in vostro possesso, se ci consegnerà tutti i nostri generali, gli ambasciatori, i prigionieri, i disertori e gli schiavi fuggitivi; se restituirà le loro case agli abitanti di Chio ed a tutti gli altri che egli ha condotto nel Ponto; se rimuoverà i suoi presidi da tutti i luoghi, ad eccezione di quelli dove era già presente dello scoppio delle ostilità; se vorrà pagare il costo della guerra sostenuta per causa sua, e rimanere contento dei domini che aveva in precedenza, io spero di convincere i Romani a dimenticare le ferite che ha fatto loro.” »
Appiano, Guerre mitridatiche, 55.

« Una volta passato in Asia, Silla trovò Mitridate supplicante e disposto a fare ciò che voleva. Gli impose il pagamento di una somma di denaro e la consegna di una parte delle sue navi. Lo costrinse quindi a ritirarsi dall'Asia e dalle altre province che aveva occupato. Riprese i prigionieri, punì coloro che avevano disertato ed i colpevoli. Ordinò infine a Mitridate di rimanere dentro i confini del regno paterno, del Ponto. »
Velleio Patercolo, Historiae Romanae ad M. Vinicium libri duo, II, 23.6.


« [Silla] passato in Asia, annientò lo stesso sovrano. E lo avrebbe debellato se non avesse preferito riportare su Mitridate un trionfo rapido più che effettivo. Allora Silla diede il seguente ordinamento all'Asia: fu siglato un trattato con i Pontici, Nicomede recuperò dal re la Bitinia, Ariobarzane la Cappadocia, e l'Asia fu di nuovo romana come prima. Mitridate era stato quindi respinto. »
Floro, Compendio di Tito Livio, I, 40.11-12.


L'incontro di Dardano tra Silla e Mitridate.
« Mitridate disse di sì, che accettava. Solo allora Silla lo salutò, abbracciandolo e baciandolo.
Fece entrare anche i re Ariobarzane e Nicomede, e li riconciliò con lui. »
Plutarco, Vita di Silla, 24.3.



Lucio Cornelio Silla sbarcò con il suo esercito a Brindisi nella primavera dell'83 a.C.; il condottiero disponeva delle cinque legioni di veterani con le quali aveva condotto la vittoriosa campagna contro Mitridate. Si trattava di un esercito relativamente limitato di circa 40.000 uomini, ma costituito da legionari esperti, fortemente legati al loro comandante, disciplinati e pronti a battersi sotto la guida di Silla contro l'autorità legale di Roma. I soldati prestarono un formale giuramento di fedeltà e parteciparono anche con un piccolo contributo alle spese di guerra. Silla aveva piena fiducia nei suoi uomini ma era tuttavia consapevole delle difficoltà della guerra civile di fronte alla netta superiorità iniziale delle forze della fazione democratica.

Secondo Plutarco, vi erano ad attenderlo 15 generali nemici e 450 coorti; Theodor Mommsen ritiene che almeno 100.000 soldati fossero immediatamente pronti ad affrontare l'esercito sillano e che il loro numero fosse in rapido aumento. Inoltre Silla doveva attendersi l'opposizione alla sua restaurazione oligarchica anche da parte della maggioranza delle popolazioni italiche che, dopo la guerra sociale, avevano finalmente ottenuto la cittadinanza romana e che temevano la perdita di questo diritto sotto la spinta della fazione aristocratica rappresentata da Silla, che era famoso per la sua spietata condotta durante la rivolta degli italici e per le devastazioni perpetrate dalle sue truppe in particolare in Campania e nel Sannio.

In realtà le forze militari democratiche erano molto numerose ma inesperte, eterogenee, scarsamente organizzate e prive di comandanti veramente capaci. [...]

Il Senato si affrettò a dichiarare Cornelio Silla "nemico pubblico" e la "patria in pericolo" e conferì poteri illimitati ai due consoli per affrontare la minaccia, ma nel frattempo il condottiero oligarchico poté occupare senza difficoltà Brindisi, che si arrese senza combattere [...]

Quinto Cecilio Metello Pio.
Al ritorno di Silla a Roma nell'83 a.C., venne ricompensato con il titolo di pontifex maximus. 
Questo fu l'unico caso nell'intera storia della Roma repubblicana in cui il titolo venne assegnato senza votazione, poiché Silla si era nominato dictator. Il fatto suscitò notevoli critiche in quanto pare che Metello Pio fosse affetto da balbuzie e che per questo motivo doveva ripetere durante le formule religiose ogni qual volta commetteva un errore. Pare che Silla, oltre che per riconoscenza all'amico, lo nominò anche per il suo spirito profondamente ironico. [...]

Eletto console nell'80 a.C., venne poi mandato in Spagna come proconsole, per reprimere la rivolta di Quinto Sertorio, parente di Gaio Mario nonché esperto generale, che dopo la disfatta dei populares aveva fondato una repubblica autonoma nella Spagna Ulteriore. Qui Metello Pio rivelò doti strategiche inaspettate tenendo una guerra di logoramento contro lo stesso Sertorio e salvando più volte la reputazione al giovane Gneo Pompeo Magno, affiancatosi a lui nella guerra per ordine del Senato nel 77 a.C. La guerra terminò nel 72 a.C. con l'assassinio di Quinto Sertorio da parte di un suo sottoposto. Tornato a Roma Metello Pio ottenne il trionfo nel 71 a.C., e morì nel 64 a.C. o 63 a.C. per cause naturali. Gli successe al pontificato Gaio Giulio Cesare, tornato a Roma dopo la morte di Silla. [...]
L'aiuto più importante per Silla giunse soprattutto dal giovane Gneo Pompeo che, recatosi nella sua regione natale del Piceno, reclutò tra i veterani del padre Gneo Pompeo Strabone tre ottime legioni che mise a disposizione della fazione aristocratica. [...]

Le truppe sillane erano frazionate in due raggruppamenti, mentre Metello Pio e Gneo Pompeo dal Piceno avrebbero marciato a nord per entrare nella Gallia Cisalpina, Silla avrebbe guidato personalmente le legioni contro Roma avanzando da sud lungo la via Latina partendo dalla Campania. [...]

Sconfitti i nemici mariani, Silla iniziò le proscrizioni di tutti gli avversari politici; assunse il titolo di dittatore a vita, e cercò con una serie di riforme di ristabilire il regime oligarchico. Una vittima delle sue proscrizioni con una morte particolarmente violenta e crudele fu Marco Mario Gratidiano, che si racconta fosse stato torturato e smembrato in un modo che evoca il sacrificio umano da suo cognato Catilina.  [...]

Con l'avvento della dittatura di Silla la sorte di Gratidiano era ormai segnata. 
Della sua morte sono giunti a noi diversi resoconti. Cicerone ha dato la sua versione dei fatti in un discorso sulla sua candidatura per il consolato nel 64 a.C., quasi due decenni dopo il fatto a cui, appena ventenne, aveva forse assistito come testimone oculare. [...] Nel suo discorso Cicerone vuole denigrare i suoi nemici politici accusando soprattutto Catilina del terribile delitto riferendo come questi avesse tagliato la testa a Gratidiano sul Gianicolo e che correndo, mentre il sangue gli scorreva tra le dita, l'avesse consegnata a Silla ancora palpitante di vita

In un frammento delle Storie, Sallustio non menziona Catilina nel descrivere la morte: a Gratidiano, dice, «la vita era sfuggita da lui pezzo per pezzo: le gambe e le braccia gli sono state spezzate e gli occhi cavati

La circostanza che l'uccisione avvenisse presso la tomba di Catulo ha fatto pensare gli storici che si trattasse non di una semplice crudele vendetta ma di un vero e proprio sacrificio umano rituale per pacificare un antenato morto, riprendendo l'uso di sacrifici umani a Roma, documentati in tempi storici quando «la loro ferocia era strettamente connessa con la religione»

I sacrifici umani erano stati vietati per legge soltanto quindici anni prima della morte di Gratidianus durante il consolato di Licinio Crasso e Cornelio Lentulo nel 97 a.C.


Proscrizioni.
[...] chi avesse ucciso un proscritto non soltanto non sarebbe stato accusato di omicidio, ma riportandone la testa, avrebbe ricevuto la ricompensa di due talenti d'argento, pari a 48.000 sesterzi. Una ricompensa minore era riservata a chi avesse denunciato un proscritto o avesse contribuito alla sua cattura. Qualora fosse stato uno schiavo, sarebbe stato affrancato

I beni dei proscritti erano destinati alla confisca come i beni di tutti i parenti maschi del proscritto, che erano inoltre sottoposti all'esclusione in perpetuo dalla vita pubblica. Se il proscritto apparteneva al rango senatorio i suoi parenti dovevano comunque concorrere per la loro parte agli oneri imposti ai senatori.

Alle prescrizioni seguiva poi la prima lista, in cui comparivano 80 nomi di esponenti del ceto senatorio di parte mariana, magistrati o ex magistrati. A questa lista seguirono altre due liste per un totale di 440 nomi; la seconda lista, affissa il 5 novembre dell'82 a.C., conteneva 220 nomi, mentre la terza lista, affissa il 6 novembre dell'82 a.C riportava gli ultimi 220 nomi di senatori e cavalieri.

I personaggi figuravano nelle liste in ordine di importanza. [...] 

Le conseguenze dell'editto.
Benché nell'editto non si faccia esplicitamente riferimento alla condanna a morte, ma venga piuttosto elencata una serie di misure volte a privare i proscritti dello status di cittadini romani, la morte del proscritto appare inevitabile per le successive imposizioni.
I proscritti erano condannati perché limitati dalla serie di divieti che negavano loro il diritto di asilo, perché nessuno, pena la morte, avrebbe potuto accogliere un proscritto, nasconderlo o aiutarlo nella fuga, ed inoltre erano ricercati in vista di importanti ricompense in denaro per la loro uccisione o denuncia. Inoltre, in caso di esecuzione non immediata, la condanna risultava valida in ogni tempo e in ogni luogo. Per il proscritto si verificava quindi l'impossibilità giuridica di sfuggire alla morte con l'esilio, con la conseguenza che quasi tutti coloro che scamparono inizialmente alla morte dandosi alla fuga, furono in seguito catturati e uccisi oppure costretti al suicidio.

È questo il caso del console Gaio Norbano, che si era imbarcato su una nave che aveva come destinazione Rodi, perché avendo esercitato pochi anni prima la questura in Oriente, vi aveva dei sostenitori. L'isola di Rodi era da sempre un luogo sicuro di esilio, ma Silla mandò degli emissari agli abitanti, reclamando la testa del console. Gli abitanti dell'isola si trovarono quindi combattuti tra il loro vincolo di obbedienza a Silla, al cui fianco si erano risolutamente schierati durante la guerra contro Mitridate, e il desiderio di conservare la reputazione dell'isola come luogo di rifugio sicuro. Mentre gli abitanti di Rodi deliberavano in assemblea riguardo alla richiesta dell'estradizione avanzata da Silla, Gaio Norbano si suicidò pubblicamente nell'agorà.

Con la prospettiva di ricompense considerevoli, rafforzata inoltre dalla rassicurazione che il cittadino il cui nome non era riportato in nessuna delle tre liste poteva considerarsi al sicuro, e che quindi era opportuno dare immediata prova di adesione al nuovo regime, si scatenò una caccia all'uomo di notevoli proporzioni non soltanto ad opera dei partigiani di Silla ma anche da parte dell'intera collettività.

La proscrizione come procedura straordinaria nel sistema giuridico romano.
La prima proscrizione si configura come una procedura straordinaria, perché prima di questa il mondo romano risolveva il caso degli oppositori facendo prevalentemente ricorso all'esilio. [...] 

Tuttavia, dopo l'82 a.C., accanto alla possibilità di evitare la morte scegliendo l'esilio e (in molti casi) senza perdere la cittadinanza romana, compare il fenomeno della proscrizione che ha la duplice caratteristica di legittimare di fatto uccisioni palesi ma soprattutto di impedire ai proscritti la scelta dell'esilio, formalmente ancora possibile.

Il numero delle vittime. [...] 
Secondo Appiano, che pure durante la narrazione si sofferma sulla morte di 58 senatori contro due sole uccisioni di cavalieri e 27 personaggi di cui non viene precisato la classe sociale, sarebbero stati uccisi 60 senatori e 1600 tra cavalieri ed altri personaggi di cui non è esplicitato il ceto. Valerio Massimo, che è meno preciso di Appiano, perché non fa distinzioni di censo, in totale stima 4700 morti; per Floro i morti sarebbero stati 2000, mentre per Orosio che fa il calcolo più alto, i morti sarebbero stati 9000.

Le esecuzioni.
Benché l'editto del proconsole non si esprimesse sulla modalità di esecuzione, il sistema di ricompensa richiedeva necessariamente la decapitazione. Il pagamento era infatti effettuato in presenza della testa mozzata, come testimoniano le Tavole di Eraclea.

Tuttavia, a differenza delle proscrizioni del 43 a.C., quando le esecuzioni eseguite dai soldati avvenivano comunemente in strada o dovunque si trovasse il proscritto, la prima proscrizione vide uccisioni realizzate in modo solenne, che avevano una notevole somiglianza con le esecuzioni militari. Generalmente le esecuzioni avvenivano infatti all'esterno del pomerium, con l'eccezione dei prigionieri di guerra giustiziati dopo un trionfo, che venivano uccisi nel Foro.

Quindi il proscritto, una volta arrestato, veniva condotto nel Campo Marzio dove avveniva l'esecuzione. Il condannato era privato delle vesti, e con le mani legate dietro la schiena subiva prima la fustigazione con verghe e infine veniva fatto sdraiare al suolo per ricevere il colpo dell'ascia. 
La morte avveniva quindi per decapitazione con l'ascia oppure per sgozzamento, al punto che il verbo iugulare viene spesso usato come sinonimo di proscribere. L'esecuzione mediante il taglio della testa assimila ulteriormente i proscritti a nemici catturati in guerra, ed è quindi un atto infamante. L'esecuzione era eseguita davanti al magistrato, in questo caso Silla, che assisteva con la testa velata da un lembo della toga, in segno di lutto. La testa troncata del proscritto veniva poi portata nei luoghi più visibili della città, dove già Mario, al suo ritorno a Roma nell'87 a.C., aveva esposto le teste dei suoi avversari. Questi luoghi erano il Foro, dove le teste erano esposte sui rostri, le tribune utilizzate per le arringhe, oppure alla fontana del lacus Servilius, là dove la via Jugaria immetteva nel Foro, e dove furono eseguite anche alcune condanne, secondo la testimonianza di Cicerone e di Seneca. Le teste rimanevano esposte finché la decomposizione non aveva cancellato i tratti del volto. Nel frattempo il corpo veniva straziato e mutilato sistematicamente dal carnifex con un uncino, con cui veniva poi trascinato fino al pons Aemilius e da qui gettato nel Tevere, secondo la stessa procedura utilizzata per i condannati che morivano in prigione.

Sia la decapitazione che l'accanimento sul corpo delle vittime rispondono al desiderio di annientare l'integrità del corpo, che il mondo antico riteneva requisito imprescindibile per ottenere una sepoltura rituale e un conseguente statuto onorevole nel mondo dei morti. La mutilazione si inserisce quindi nel processo di degradazione e umiliazione del condannato, già iniziato con l'utilizzo del termine proscriptio e che porterà Cicerone a definire il proscritto come qualcuno che "non è soltanto bandito dal numero dei vivi, ma è addirittura relegato, se è possibile questa condizione, anche più in basso dei morti".

Esecuzioni particolari.
Si verificarono anche alcuni casi particolari in cui la mutilazione solitamente riservata ai cadaveri fu inflitta a uomini ancora vivi, e in cui il carnefice evitò di sferrare subito il colpo mortale, strappando gli occhi della vittima al termine dell'esecuzione, in modo che potesse assistere all'intera tortura. Sono questi i casi di Marco Bebio, di Marco Pletorio, di un non bene identificato Venuleio e di Marco Mario Gratidiano.

Il caso di M. Bebio è particolare per il fatto che le fonti antiche univano le vicende di due diversi personaggi, entrambe appartenenti alla gens Baebia, che furono giustiziati in circostanze simili. 
Il primo M. Baebius fu ucciso nell'87 a.C. al ritorno di Mario, dopo essere stato trascinato con uncino e tagliato a pezzi dagli schiavi Bardei di Mario, mentre il secondo M. Bebio, forse figlio del precedente, al ritorno di Silla, fu smembrato dalla folla mentre era ancora vivo, nel corso di una vera esecuzione di massa. [...] 

La tradizione riporta che Marco Mario Gratidiano fu catturato da Catilina, quando in seguito alla disfatta di Porta Collina, aveva trovato rifugio in un ovile. Fu poi giustiziato in modo spettacolare sul Gianicolo, sulla tomba dei Catuli, per mano di numerosi carnefici tra cui lo stesso Catilina. Gratidiano fu prima privato dei suoi abiti, e in catene fu trascinato per la città, colpito dalle verghe e umiliato dal corteo che lo seguiva. In seguito fu mutilato sistematicamente in tutte le parti del corpo (l'ordine delle mutilazioni è riportato dalle fonti in modo diverso) ed infine fu decapitato da Catilina. La sua esecuzione ebbe particolare rilievo perché si trattava di un nipote di Mario, figlio di una sorella, adottato da un fratello più giovane affinché diventasse un Mario. Si trattava di un personaggio estremamente popolare perché nell'85 a.C., quando ricoprì la carica della pretura, fece pubblicare soltanto a suo nome un editto che era stato preparato congiuntamente dai pretori e dai tribuni della plebe. Questo editto, che aveva eliminato le monete coniate da M. Livio Druso e che riguardava più in generale il controllo della monetazione da parte dello Stato, produceva inoltre una notevole diminuzione dei debiti privati. L'essersi attribuito tutti i meriti di un procedimento collettivo gli procurò uno straordinario favore da parte del popolo di Roma. Gli furono concessi onori quasi divini, perché furono costruite statue che lo rappresentavano, davanti alle quali venivano bruciati ceri e incenso.

Nell'82 a.C., per un fatto straordinario, Marco Gratidiano era inoltre pretore per la seconda volta, benché avesse aspirato al consolato, per cui venne nominato suo cugino Gaio Mario il Giovane. Gratidiano era dunque il magistrato più importante che i sillani erano riusciti a catturare, essendo pretore, perché i due consoli erano al momento irraggiungibili: Mario il giovane era assediato a Preneste e Gneo Papirio Carbone era fuggito in Africa. La sua esecuzione si riveste di elementi altamente simbolici non soltanto per le modalità con cui fu effettuata, ma anche per il luogo; la tomba di Quinto Lutazio Catulo, che Gratidiano aveva costretto al suicidio dopo avergli intentato un processo per alto tradimento (era stato infatti console con Mario nel 102 a.C. e con lui vincitore dei Cimbri e dei Teutoni), era un luogo politicamente importante per i sillani vincitori sulla parte mariana.

La confisca dei beni.
I beni dei proscritti come quelli appartenenti a chi era morto in guerra dalla parte mariana venivano requisiti e devoluti allo Stato. Si tratta di una procedura che assimila i proscritti, non a caso definiti hostes publici, a un qualunque nemico di Roma, dal momento che avevano preso le armi contro la repubblica, come appunto un nemico. Per questo motivo i loro beni erano considerati praeda, bottino di guerra, spettante di diritto ai Romani vittoriosi. L'equivalenza beni dei proscritti/bottino era stata dichiarata dallo stesso Silla, alla cui presenza, con una lancia conficcata simbolicamente a terra, i beni erano posti all'asta. Queste aste erano pubbliche, ma date le circostanza i beni furono venduti a prezzi irrisori rispetto al loro valore, a vantaggio di Silla stesso, dei suoi familiari, la moglie Metella e la figlia, e dei suoi alleati e collaboratori nelle persecuzioni, ovvero Publio Licinio Crasso, M. Emilio Lepido, Bellieno, Lucio Sergio Catilina e il liberto di Silla Lucio Cornelio Chrysogono. È possibile avere una qualche nozione del volume del passaggio delle proprietà causato dalla prima proscrizione grazie ad un passo della Periocha LXXXIX di Livio, dove è scritto che Silla “vendette i loro beni, dai quali sottrasse moltissime delle cose più belle. È stato redatto che questi beni avessero un valore di trecentocinquanta milioni di sesterzi”.

Tutte le fonti che parlano della prima proscrizione, oltre alla distruzione fisica dei proscritti, sottolineano con insistenza l'importanza dell'elemento economico, legato per di più alla dissoluzione del concetto di proprietà inalienabile, espresso dalla formula "dominum ex iure Quiritium". 

Con la prima proscrizione, attraverso l'epurazione controllata dei capi della sconfitta fazione rivale, il nuovo regime ricerca l'appoggio delle masse proletarie con l'incitamento all'eliminazione indiscriminata dei possidenti e la possibilità di una facile acquisizione delle loro ricchezze. L'intero processo è bene esplicitato da Sallustio che scrive "chi desiderava la casa o la villa, e anche soltanto un oggetto di arredamento, un vestito, che apparteneva a qualcuno, si adoperava per farlo iscrivere nella lista dei proscritti"[...] 

I discendenti maschi dei proscritti.
Secondo una prassi comune nel mondo antico i figli e i discendenti maschi dei proscritti erano colpiti con l'esilio e non potevano ereditare le proprietà paterne, perché la mentalità corrente faceva ricadere sui figli la colpa del padre.

Con questa prassi si risolvevano due problemi distinti: in primo luogo, i figli, non potendo ereditare i beni paterni, confiscati dallo stato, decadevano necessariamente di censo, e quindi non potevano aspirare a cariche pubbliche, cosa che avrebbe permesso loro di diventare pericolosi oppositori politici. In secondo luogo, in una società in cui erano fondamentali i legami familiari, e che includeva nel "mos maiorum" il concetto di "pietas", intesa anche come dovere di vendetta del figlio nei confronti del padre, il nemico del padre diventava necessariamente quello del figlio, con conseguenze non solo politiche ma anche sociali e personali di lotta tra famiglie.

Di conseguenza l'impossibilità che avevano i figli dei proscritti di vendicare i loro familiari, o almeno di riabilitare la loro memoria, evitava che si innescasse una spirale di violenze e vendette in ambito pubblico come in ambito privato. [...] 

La vendetta di Silla si rivolse ovviamente anche contro Mario, il suo avversario principale, che però era già morto nell'86 a.C., quindi più di quattro anni prima. Impossibilitato ad ucciderlo, Silla si accanì contro la sua memoria pubblica, rovesciando i trofei e i monumenti che commemoravano le vittorie di Mario sugli Africani e sui Teutoni, cancellando i suoi atti, ed infine rompendo la sua tomba e disperdendo le ceneri nel fiume Aniene.


La regolarizzazione della proscrizione.
Per confermare la validità del suo editto di proscrizione, visto che l'editto di un magistrato romano aveva valore soltanto per la durata della sua magistratura, negli ultimi giorni del dicembre dell'82 a.C., Silla fece approvare la Lex Cornelia.

Questa legge era corredata da due liste, ed andava a colpire tutti i nemici dello Stato, formalizzando le procedure della proscrizione. Nella prima lista comparivano sia i proscritti che i loro figli maschi, mentre nella seconda lista erano nominati tutti coloro che erano morti nel corso dei combattimenti della guerra civile. La Lex Cornelia metteva esplicitamente al riparo dall'accusa di omicidio tutti coloro che avessero ucciso un proscritto, stabiliva la proibizione del lutto da parte delle famiglie dei proscritti uccisi, per evitare disordini impedendo cerimonie funebri che avrebbero avuto risonanza politica, ed inoltre stabiliva per il proscritto la damnatio memoriae, ovvero la distruzione dei ritratti e delle statue del personaggio, anche privati, insieme alla cancellazione del suo nome da tutte le iscrizioni in cui compariva.

Le ragioni della prima proscrizione. [...] 
Silla assunse dunque il compito di regolarizzare la repressione, assumendo il titolo di Ultor, il Vendicatore. Procedette così rapidamente che appena due giorni dopo la vittoria di Porta Collina a Roma si sapeva già che l'epurazione dei sostenitori della parte avversa sarebbe stata contenuta e limitata da una procedura regolarizzata, e tre giorni dopo Porta Collina, con la comparsa dell'ultima lista di proscrizione, si conoscevano con precisione i nomi di tutti coloro che erano stati colpiti dal procedimento.

La prima proscrizione viene quindi istituita per cercare di arrivare ad un'epurazione controllata in un clima di massacri, e costituisce quindi un notevole progresso per aver regolato per la prima volta a Roma l'eliminazione degli oppositori politici attraverso una procedura giudiziaria.

L'obiettivo di Silla.
Lo scopo principale della prima proscrizione, benché nascosto sotto il più evidente obbiettivo dell'immediata eliminazione fisica dei nemici, si rivela nella sua interezza nella volontà di evitare la nascita di nuovi avversari politici, attraverso il ricorso ad una serie di misure che annientano non soltanto il proscritto ma tutta la sua gens.

La proscrizione, e la conseguente damnatio memoriae, hanno avuto infatti un impatto tale da cancellare dai documenti storici non soltanto moltissimi nomi, ma anche la testimonianza dell'esistenza di intere gentes. È inoltre elemento degno di considerazione il fatto che siano stati tramandati soltanto 75 nomi su un totale di 520 proscritti, con l'ulteriore conseguenza che questo 15% dei proscritti non costituisce una minoranza rappresentativa, ma sia soltanto il risultato casuale di ciò che è stato fortuitamente tramandato.

Gli antecedenti.
[...] Le fonti ricordano poi che Silla aveva fatto approvare dal Senato una legge che dichiarava hostes publici i suoi avversari personali, vietando loro la permanenza nello stato romano, lasciandoli all'arbitrio di chiunque, che avrebbe potuto anche ucciderli, e ponendo il loro patrimonio sotto il sequestro dei questori.

[...]  Busto di Cesare che, al contrario di Silla, fece scelta diametralmente opposta di clementia.
Nonostante l'indubbio valore della prima proscrizione, un'epurazione legalizzata rivolta verso un numero limitato di cittadini, in cui trova sfogo la violenza collettiva, per la prima volta canalizzata in un'unica e ben determinata direzione, l'immagine del fenomeno che è stata tramandata è quella di un periodo di terrore scatenato da un tiranno senza pietà per nessuno. [...] 

https://it.wikipedia.org/wiki/Proscrizione_sillana

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