L'horror prima dell'horror, dieci quadri da paura
Halloween è alle porte e se è vero che per molti è solo una festività scimmiottata dall’America (che peraltro a sua volta l’ha ereditata dall’Europa) è altrettanto vero che può offrire stimoli per intraprendere percorsi alternativi nell’infinito universo della storia dell’arte. Abbiamo creato una speciale galleria dei quadri più macabri e spaventosi che ci hanno emozionato, spaventato e affascinato, ve la proponiamo qui di seguito:
In realtà la prima immagine che vi proponiamo non è quella di un quadro, ma di unaminiatura del XV secolo tratta da un manoscritto della Historia di Guglielmo di Tiro e rappresenta la morte di Rinaldo di Chatillon. La bellezza della miniatura è pari alla truculenza della storia che racconta. Nemico numero uno dell’Islam ai tempi delle crociate, fu il peggiore degli incubi per i mussulmani caduti nelle sue mani. Era bello, forte e coraggioso, ma anche arrogante, temerario, crudele, insofferente ad ogni autorità e soprattutto molto ambizioso. Usò la sua avvenenza per sedurre donne di potere, la sua astuzia per affrontare avversari come i più grandi capi carismatici dell’Islam, Nur ed Din eSalah ed Din, la sua intelligenza per studiare il pensiero islamico in modo da essere perfettamente preparato contro il nemico. L’arroganza gli fu fatale: cercò di trafugare la salma del Profeta Maometto per esigere una tassa ad ogni fedele islamico che volesse visitarla. La sua missione fallì, venne catturato e, al cospetto di Salah ed Din, ebbe un atteggiamento talmente sfrontato che indusse il sultano a colpirlo con la scimitarra, tra la spalla e il collo, che infine diede l'ordine di decapitarlo. La testa fu trascinata per tutti i suoi territori ed esposta a Damasco.
Questa scena terrificante è un particolare del l'Inferno, un affresco del 1410 di Giovanni da Modena che si può ammirare nella Basilica di San Petronio a Bologna. Si trova nella cappella Bolognini e rappresenta in assoluto uno dei complessi pittorici più importanti che siano sopravvissuti dell'età tardogotica.
Il Trionfo della Morte è un affresco staccato (600x642 cm) conservato nella Galleria regionale di Palazzo Abatellis a Palermo. Oltre ad essere uno dei migliori dipinti su questo tema, è l'opera più rappresentativa della stagione "internazionale" in Sicilia, culminata durante i regni di Ferdinando I (1412) e di Alfonso d'Aragona (che nel 1416 fece di Palermo la sua base per la conquista del Regno di Napoli). Non si conosce il nome dell'autore (indicato come un generico Maestro del Trionfo della Morte) e viene datato al 1446 circa. Il tema del trionfo della Morte si era già diffuso nel Trecento, ma qui viene rappresentato con una particolare insistenza ossessiva sui temi macabri e grotteschi di crudele espressività, una caratteristica rara in Italia che ha fatto pensare alla mano di un maestro transalpino. Tra i nomi proposti c'è quello del borgognone Guillaume Spicre.
Molte opere di Hieronymus Bosch sono estremamente inquietanti. Questo è un particolare de Il Giardino delle delizie, un trittico a olio su tavola, databile 1480-1490 circa e conservato nel Museo del Prado di Madrid. Le tre scene del trittico aperto sono probabilmente da analizzare in ordine cronologico da sinistra verso destra, per quanto non vi sia la certezza di questa lettura. Il pannello di sinistra rappresenta Dio quale perno dell'incontro tra Adamo ed Eva; quello centrale è una vasta veduta fantastica di figure nude, animali immaginari, frutti di grandi dimensioni e formazioni rocciose; quello di destra, a cui appartiene il particolare che vi proponiamo, è invece una visione dell'Inferno e rappresenta i tormenti della dannazione. Sullo sfondo si vede una città assediata, mentre in primo piano un mondo dominato dalle tenebre si rivela preda di demoni ed altre strane creature intente a tormentare e torturare gli esseri umani, spesso a causa dei loro vizi (sono identificabili una superba, un avaro, un goloso e dei lascivi) e spesso tramite strumenti musicali. L’opera è oggi conservata al Museo del Prado di Madrid.
Un altro Trionfo della morte. Questo è uno dei capolavori di Pieter Bruegel il Vecchio, capostipite di una famiglia di celebri e importanti pittori fiamminghi. Conservato al Prado è ispirato all'omonimo affresco che Bruegel aveva visto a Palermo a cui però si aggiunge il tema della danza macabra, nato in nord Europa per esorcizzare la paura delle epidemie. Nella sua opera, datata 1562, è raffigurata una città devastata dall’arrivo dell’armata della morte, composta da scheletri con falce che mietono vittime tra la popolazione di tutti gli strati sociali, in maniera fantasiosamente macabra.
Non ha bisogno di grandi spiegazioni l'opera di Caravaggio, Giuditta e Oloferne, realizzata nel 1599 e conservato nella Galleria nazionale di arte antica di Roma. Il dipinto fu commissionato dal banchiere Ottavio Costa, che lo raccomandò caldamente ai suoi eredi nel suo testamento. In questo quadro Caravaggio rappresenta l'episodio biblico della decapitazione del condottiero assiro Oloferne da parte della vedova ebrea Giuditta, che voleva salvare il proprio popolo dalla dominazione straniera. Giuditta è raffigurata intenta a decapitare Oloferne con una scimitarra, mentre alla scena assiste una vecchia serva che sorregge con le mani il drappo contenente il cesto nel quale va conservata la testa. Si dice che Caravaggio abbia dipinto il quadro pensando alla storia di Beatrice Cenci, che, insieme alla matrigna e al fratello, uccisero il padre, dopo averlo addormentato con l'oppio.
L'artista francese Jean-Louis André Théodore Géricault nel suo Teste di giustiziati studiò i cadaveri e le teste mozzate dei giustiziati per la realizzazione della sua famosa Zattera della Medusa (1818). Fortemente influenzati dal luminismo di Caravaggio e dalla monumentalità dei corpi di Michelangelo, i lavori di Gericault si concentrano sulla rappresentazione di temi sociali scomodi, trasfigurati attraverso il medium della mitologia o ritratti in tutta la loro crudezza realistica. Gli studi fisiognomici sull'espressione dei malati mentali e quelli anatomici sulle teste mozzate dei condannati a morte offrono allo spettatore immagini di una sconcertante modernità. Il pittore si procurava i "modelli" grazie all'amicizia di infermieri e medici dell'ospedale di Bicetre, che gli fornivano tali resti macabri.
Saturno che divora i suoi figli è un dipinto del pittore spagnolo Francisco Goya, realizzato negli anni tra il 1819 e il 1823, conservato nel museo del Prado a Madrid. Rappresenta un tema mitologico: il dio Saturno (romano, o Crono presso i Greci), essendogli stato profetizzato che uno dei suoi figli lo avrebbe soppiantato, era solito divorarli al momento stesso della loro nascita. L'opera fa parte della serie detta delle "Pitture nere", serie di tredici dipinti realizzati da Goya sulle pareti della propria casa ("Quinta del Sordo", o "Villa del sordo"), a Manzanares, presso Madrid, dove abitò negli anni tra il 1819 e il 1823. È realizzata con pittura a olio su intonaco.
Volto della guerra, dipinto da Salvador Dalì tra il 1940 e il 1941, è la rappresentazione dell'angoscia generata dal conflitto che imperversava in Europa. Dipinto quando l'artista era già al sicuro negli Stati Uniti trasmette tutta l'angoscia e la paura dell'autore. Nel dipinto, in primo piano, su un paesaggio desertico, vuoto fino all'orizzonte, è rappresentata la maschera della morte; la sole presenze vive sono i vermi-rettili che fuoriescono minacciosi, ma che non trovano nulla su cui avventarsi. Le orbite e la bocca sono occupati da teschi, i quali contengono altri teschi, che ci lasciano intuire che quella che vediamo sia solo una delle infinite facce della guerra. I colori predominanti sono il giallo e il marrone. In basso a destra della tela c'è l' impronta della mano di Dalì. La prospettiva angosciosa della figura, indica la moltiplicazione all' infinito del male totale causato dalla guerra, portatrice di morte e distruzione. Nel 1941 Dalì sviluppò lo stesso soggetto durante l' ideazione di alcune sequenze di incubo nel film "Moontide", ma le scene inventate furono rifiutate dai tecnici per gli accessori orribili che avrebbero richiesto.
Francis Bacon, pittore irlandese morto nel 1992, è riuscito però in varie sue opere a mettere insieme il nuovo angosciato senso dell’esistenza a una rappresentazione che fa emergere ancora, anche se in forma diversa, il senso del macabro e dell’orrore: il suo quadro in questo senso più rappresentativo è forse lo Studio del ritratto di Innocenzo X, una riproposizione con modifiche di un celebre quadro di Diego Velázquez di tre secoli prima. Mentre il ritratto originale celebrava la potenza del romano Giovanni Battista Pamphilj, anche fautore del giubileo del 1650 e della sistemazione di Piazza Navona, la versione di Bacon (conservata a Des Moines, in Iowa) mostra un papa lugubre e urlante, perfino grottesco, in cui al rosso papale si sostituiscono il viola e il nero.
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