Lettera di Karl Marx a S. Meyer e A. Vogt, 9/04/1870
"Ogni centro industriale e commerciale in Inghilterra possiede ora una classe operaia divisa in due campi ostili, i proletari inglesi e i proletari irlandesi.
L'operaio inglese medio odia l'operaio irlandese come un concorrente che abbassa il suo livello di vita. Rispetto al lavoratore irlandese egli si sente un membro della nazione dominante, e così si costituisce in uno strumento degli aristocratici e dei capitalisti del suo paese contro l'Irlanda, rafforzando in questo modo il loro dominio su lui stesso. Si nutre di pregiudizi religiosi, sociali nazionali contro il lavoratore irlandese. La sua attitudine verso di lui è molto simile a quella dei poveri "bianchi" verso i "negri" degli antichi stati schiavisti degli Stati Uniti d'America.
L'irlandese gli rende la pariglia, e con gli interessi. Egli vede nell'operaio inglese nello stesso tempo il complice e lo strumento stupido del dominio inglese sull'Irlanda.
Questo antagonismo è artificialmente mantenuto e intensificato dalla stampa, dagli oratori, dalle caricature, in breve da tutti i mezzi di cui dispongono le classi dominanti.
Questo antagonismo è il segreto dell'impotenza della classe operaia inglese, a dispetto della sua organizzazione. E' il segreto grazia al quale la classe capitalista mantiene il suo potere.
E questa classe ne è perfettamente cosciente".
KARL MARX (5 maggio 1818 - 14 marzo 1883)
Il 5 maggio 1818, ossia 196 anni fa, nasceva Karl Marx. Il suo genio ha spiegato con scientifica perfezione quali erano e quali sarebbero stati i processi economico-sociali sotto il capitalismo. [...]
La sua attualità è ancora tale da apparire sconcertante, contro le finte soluzioni offerte da populismi vari, restyling reazionari più o meno estremistici, rifugi nazionalistici e derive moderato-progressiste.
"Una strana follia si è impadronita delle classi lavoratrici nelle nazioni ove regna la civiltà capitalistica... Questa follia è l'amore per il lavoro, la moribonda passione per il lavoro spinta fino all'esaurimento delle forze vitali dell'individuo e della sua progenie..."
Tratto da: "Il Diritto alla Pigrizia", celeberrimo testo "maledetto" scritto dal genero di Marx, Paul Lafargue.
Un filosofo produce idee, un poeta poesie, un pastore prediche, un professore manuali ecc. Un delinquente produce delitti. Se si esamina più da vicino la connessione che esiste tra quest’ultima branca di produzione e l’insieme della società, ci si ravvede da tanti pregiudizi. Il delinquente non produce soltanto delitti, ma anche il diritto criminale, e con ciò anche il professore che tiene lezioni sul delitto criminale, e inoltre l’inevitabile manuale, in cui questo stesso professore getta i suoi discorsi in quanto “merce” sul mercato generale. Con ciò si verifica un aumento della ricchezza nazionale, senza contare il piacere personale, come [afferma] un testimonio competente, il professor Roscher, che la composizione del manuale procura al suo stesso autore. Il delinquente produce inoltre tutta la polizia e la giustizia criminale, gli sbirri, i giudici, i boia, i giurati ecc.; e tutte queste differenti branche di attività, che formano altrettante categorie della divisione sociale del lavoro, sviluppano differenti facoltà dello spirito umano, creano nuovi bisogni e nuovi modi di soddisfarli. La sola tortura ha dato occasione alle più ingegnose invenzioni meccaniche e ha impiegato, nella produzione dei suoi strumenti, una massa di onesti artefici. Il delinquente produce un’impressione, sia morale sia tragica, a seconda dei casi, e rende così un “servizio” al moto dei sentimenti morali ed estetici del pubblico. Egli non produce soltanto manuali di diritto criminale, non produce soltanto codici penali, ma anche arte, bella letteratura, romanzi e perfino tragedia, come dimostrano non solo La colpa del Müllner e I masnadieri dello Schiller, ma anche l’Edipo [di Sofocle] e il Riccardo III [di Shakespeare].
Il delinquente rompe la monotonia e la banale sicurezza della vita borghese. Egli preserva cosi questa vita dalla stagnazione e suscita quell’inquieta tensione e quella mobilità, senza la quale anche lo stimolo della concorrenza si smorzerebbe. Egli sprona così le forze produttive. Mentre il delitto sottrae una parte della popolazione in soprannumero al mercato del lavoro, diminuendo in questo modo la concorrenza tra gli operai e impedendo, in una certa misura, la diminuzione del salario al di sotto del minimo indispensabile, la lotta contro il delitto assorbe un’altra parte della stessa popolazione […]. Le influenze del delinquente sullo sviluppo della forza produttiva possono essere indicate fino nei dettagli. Le serrature sarebbero mai giunte alla loro perfezione attuale se non vi fossero stati ladri? La fabbricazione delle banconote sarebbe mai giunta alla perfezione odierna se non vi fossero stati falsari? Il microscopio avrebbe mai trovato impiego nelle comuni sfere commerciali (vedi il Babbage) senza la frode nel commercio? La chimica pratica non deve forse altrettanto alla falsificazione delle merci e allo sforzo di scoprirla quanto all’onesta sollecitudine per il progresso della produzione? Il delitto, con i mezzi sempre nuovi con cui dà l’assalto alla proprietà, chiama in vita sempre nuovi modi di difesa e così esercita un’influenza altrettanto produttiva quanto quella degli scioperi (‘strikes’) sull’invenzione delle macchine. E abbandoniamo la sfera del delitto privato: senza delitti nazionali sarebbe mai sorto il mercato mondiale? O anche solo le nazioni? E dal tempo di Adamo l’albero del peccato non è forse in pari tempo l’albero della conoscenza? Il Mandeville, nella sua Fable of the Bees (1705), aveva già mostrato la produttività di tutte le possibili occupazioni ecc., e soprattutto la tendenza di tutta questa argomentazione: “Ciò che in questo mondo chiamiamo il male, tanto quello morale quanto quello naturale, è il grande principio che fa di noi degli esseri sociali, è la solida base, la vita e il sostegno di tutti i mestieri e di tutte le occupazioni senza eccezione […]; è in esso che dobbiamo cercare la vera origine di tutte le arti e di tutte le scienze; e […] nel momento in cui il male venisse a mancare, la società sarebbe necessariamente devastata se non interamente dissolta”. Sennonché il Mandeville era, naturalmente, infinitamente più audace e più onesto degli apologeti filistei della società borghese.
Karl Marx, Elogio del crimine.
"Prendi, per esempio, l’Italia. Ha avuto secoli di guerre, morti, sangue, rovine, assassinii, e cosa ne è venuto fuori? Il Rinascimento. Prendi la Svizzera. Secoli di pace, tranquillità, serenità, armonia…E cosa ne è venuto fuori? L’orologio a cucù".
(dalla prefazione di Andrea Camilleri)
Marx era mantenuto da Engels che invece era ricco di famiglia. Engels gli diceva:
"Credo che nessuno abbia mai scritto di soldi avendone così pochi".
SULLA TOMBA DI KARL MARX (ENGELS)
Di seguito il discorso pronunciato da Friedrich Engels sul suo grande amico e compagno Karl Marx durante il funerale avvenuto il 17 marzo 1883:
"Il 14 marzo, alle due e quarantacinque pomeridiane, ha cessato di pensare la più grande mente dell'epoca nostra. L'avevamo lasciato solo da appena due minuti e al nostro ritorno l'abbiamo trovato tranquillamente addormentato nella sua poltrona, ma addormentato per sempre.
Non è possibile misurare la gravità della perdita che questa morte rappresenta per il proletariato militante d'Europa e d'America, nonché per la scienza storica. Non si tarderà a sentire il vuoto lasciato dalla scomparsa di questo titano.
Così come Darwin ha scoperto la legge dello sviluppo della natura organica, Marx ha scoperto la legge dello sviluppo della storia umana cioè il fatto elementare, sinora nascosto sotto l'orpello ideologico, che gli uomini devono innanzi tutto mangiare, bere, avere un tetto e vestirsi, prima di occuparsi di politica, di scienza, d'arte, di religione, ecc.; e che, per conseguenza, la produzione dei mezzi materiali immediati di esistenza e, con essa, il grado di sviluppo economico di un popolo e di un'epoca in ogni momento determinato costituiscono la base dalla quale si sviluppano le istituzioni statali, le concezioni giuridiche, l'arte e anche le idee religiose degli uomini, e partendo dalla quale esse devono venir spiegate, e non inversamente, come si era fatto finora.
Ma non è tutto. Marx ha anche scoperto la legge peculiare dello sviluppo del moderno modo di produzione capitalistico e della società borghese da esso generata. La scoperta del plusvalore ha subitamente gettato un fascio di luce nell'oscurità in cui brancolavano prima, in tutte le loro ricerche, tanto gli economisti classici che i critici socialisti.
Due scoperte simili sarebbero più che sufficienti a riempire una vita. Fortunato chi avesse avuto la sorte di farne anche una sola. Ma in ognuno dei campi in cui ha svolto le sue ricerche — e questi campi furono molti e nessuno fu toccato da lui in modo superficiale — in ognuno di questi campi, compreso quello delle matematiche, egli ha fatto delle scoperte originali.
Tale era lo scienziato. Ma lo scienziato non era neppure la metà di Marx. Per lui la scienza era una forza motrice della storia, una forza rivoluzionaria. Per quanto grande fosse la gioia che gli dava ogni scoperta in una qualunque disciplina teorica, e di cui non si vedeva forse ancora l'applicazione pratica, una gioia ben diversa gli dava ogni innovazione che determinasse un cambiamento rivoluzionario immediato nell'industria e, in generale, nello sviluppo storico. Così egli seguiva in tutti i particolari le scoperte nel campo dell'elettricità e, ancora in questi ultimi tempi, quelle di Marcel Deprez.
Perché Marx era prima di tutto un rivoluzionario. Contribuire in un modo o nell'altro all'abbattimento della società capitalistica e delle istituzioni statali che essa ha creato, contribuire all'emancipazione del proletariato moderno al quale egli, per primo, aveva dato la coscienza delle condizioni della propria situazione e dei propri bisogni, la coscienza delle condizioni della propria liberazione: questa era la sua reale vocazione.
La lotta era il suo elemento. Ed ha combattuto con una passione, con una tenacia e con un successo come pochi hanno combattuto. La prima "Rheinische Zeitung " nel 1842, il "Vorwärts!" di Parigi nel 1844, la "Deutsche Brüsseler Zeitung" nel 1847, la "Neue Rheinische Zeitung" nel 1848-49, la "New York Tribune" dal 1852 al 1861 e, inoltre, i numerosi opuscoli di propaganda, il lavoro a Parigi, a Bruxelles, a Londra, il tutto coronato dalla grande Associazione internazionale degli operai, ecco un altro risultato di cui colui che lo ha raggiunto potrebbe esser fiero anche se non avesse fatto nient'altro.
Marx era perciò l'uomo più odiato e calunniato del suo tempo. I governi, assoluti e repubblicani, lo espulsero, i borghesi, conservatori e democratici radicali, lo coprirono a gara di calunnie. Egli sdegnò tutte queste miserie, non prestò loro nessuna attenzione, e non rispose se non in caso di estrema necessità. E' morto venerato, amato, rimpianto da milioni di compagni di lavoro rivoluzionari in Europa e in America, dalle miniere siberiane sino alla California. E posso aggiungere, senza timore: poteva avere molti avversari, ma nessun nemico personale.
Il suo nome vivrà nei secoli, e così la sua opera!"
«Siamo arrivati al punto che l’uomo si sente libero solo nelle sue funzioni animali (mangiare, bere, fare sesso), tutt'al più nell'avere una casa, nella cura del suo corpo ecc.; e che nelle sue funzioni propriamente umane - come il lavoro - si sente soltanto una bestia. Il bestiale diventa l'umano e l'umano il bestiale. Il lavoro alienato aliena all'uomo la natura; aliena all'uomo se stesso, la sua funzione più attiva, la sua attività vitale e creativa, aliena così all'uomo il genere. Il lavoro alienato fa dunque della specifica essenza dell'uomo, tanto della natura che dello spirituale potere di genere, un'essenza a lui estranea, il mezzo della sua esistenza individuale; estrania all'uomo il suo proprio corpo, il suo essere spirituale, la sua essenza umana. E la conseguenza del fatto che l'uomo è estraniato dal prodotto del suo lavoro, dalla sua attività vitale, dalla sua specifica essenza, è lo straniarsi dell'uomo dall'altro uomo».
Karl Marx, dai Manoscritti economico-filosofici del 1844)
"secondo la dottrina di Marx i programmi non escono dai cervelli, ma scaturiscono dalla vita. Quando la vita si è profondamente trasformata, anche il programma non può rimanere immutato. Le pellicce si portano d’inverno. D’estate soltanto un pazzo porterebbe una pelliccia. Lo stesso vale per la politica. È stato proprio Carlo Marx ad insegnarci di osservare le condizioni storiche contingenti e di agire in corrispondenza. Da ciò non consegue che dobbiamo cambiare le nostre convinzioni come una signora i suoi guanti. L’obiettivo principale della classe operaia è la realizzazione dell’ordine sociale comunista. Questo è l’obiettivo costante e immutabile della classe operaia. Ma si intende che a seconda della distanza in cui essa si trova da questa meta varieranno anche le sue rivendicazioni immediate."
Nikolaj Ivanovič Bucharin, da "ABC del Comunismo"
«Il risultato generale al quale arrivai e che, una volta acquisito, mi servì da filo conduttore nei miei studi, può essere brevemente formulato così: nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma al contrario è il loro essere sociale che determina la loro coscienza. A un certo punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) entro i quali tali forze in precedenza si erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. Allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale. E con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura».
Karl Marx, introduzione a "Per la critica dell'economia politica".
(Il materialismo storico e dialettico e la teoria rivoluzionaria riassunti in poche righe)
«Noi siamo partiti dai presupposti dell’economia. Abbiamo accettato la sua lingua e le sue leggi. Partendo dall’economia, ed avvalendoci delle sue stesse parole, abbiamo dimostrato che l’operaio è degradato a merce, alla più misera delle merci; che la miseria dell'operaio sta in rapporto inverso con la ricchezza della sua produzione; che il risultato necessario della concorrenza è l’accumulazione del capitale in poche mani e quindi la più terribile ricostituzione del monopolio; e che l’intera società deve scindersi nelle due classi dei proprietari e dei lavoratori senza proprietà».
Karl Marx
"Venne infine un tempo in cui tutto ciò che gli uomini avevano considerato come inalienabile divenne oggetto di scambio, di traffico, e poteva essere alienato; il tempo in cui quelle stesse cose che fino allora erano state comunicate ma mai barattate, donate ma mai vendute, acquisite ma mai acquistate – virtù, amore, opinione, scienza, coscienza, ecc. – tutto divenne commercio. È il tempo della corruzione generale, della venalità universale, o, per parlare in termini di economia politica, il tempo in cui ogni realtà, morale e fisica, divenuta valore venale, viene portata al mercato per essere apprezzata al suo giusto valore".
Karl Marx, "Miseria della filosofia"
"Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi s’erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale."
Karl Marx, Per la critica dell’economia politica
«Un sistema sociale non muore finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco perché l’umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose da vicino, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già, o almeno sono in via di formazione».
«L'operaio diventa tanto più povero quanto maggiore è la ricchezza che produce, quanto più la sua produzione cresce di potenza e di estensione. L'operaio diventa una merce tanto più vile quanto più grande è la quantità di merce che produce. La svalorizzazione del mondo umano cresce in rapporto diretto con la valorizzazione del mondo delle cose. Il lavoro non produce soltanto merci; produce l'operaio come una merce».
"Ogni cosa oggi sembra portare in sé la sua contraddizione. Macchine, dotate del meraviglioso potere di ridurre e potenziare il lavoro umano, fanno morire l'uomo di fame e lo ammazzano di lavoro. Un misterioso e fatale incantesimo trasforma le nuove sorgenti della ricchezza in fonti di miseria. Le conquiste della tecnica sembrano ottenute a prezzo della loro stessa natura. Sembra che l'uomo nella misura in cui assoggetta la natura, si assoggetti ad altri uomini o alla propria abiezione. Perfino la pura luce della scienza sembra poter risplendere solo sullo sfondo tenebroso dell'ignoranza. Tutte le nostre scoperte e i nostri progressi sembrano infondere una vita spirituale alle forze materiali e al tempo stesso istupidire la vita umana, riducendola a una forza materiale. Questo antagonismo fra l'industria moderna e la scienza da un lato e la miseria moderna e lo sfacelo dall'altro; questo antagonismo fra le forze produttive e i rapporti sociali della nostra epoca è un fatto tangibile, macroscopico e incontrovertibile. Qualcuno può deplorarlo; altri possono desiderare di disfarsi delle tecniche moderne per sbarazzarsi dei conflitti moderni o possono pensare che un così grande progresso nell'industria esiga di essere integrato da un regresso altrettanto grande nella politica. Da parte nostra non disconosciamo lo spirito malizioso che si manifesta in tutte queste contraddizioni. Nei segni che confondono la borghesia e i meschini profeti del regresso riconosciamo la mano del nostro valente amico, Robin Goodfellow, la vecchia talpa che scava tanto rapidamente, il grande minatore: la rivoluzione. La storia è il giudice e il proletariato il suo esecutore."
Karl Marx, Discorso per l'anniversario del People's Paper, aprile 1856
ANNULLAMENTO, ASSERVIMENTO, ESTRANIAZIONE DEI LAVORATORI (MARX)
"Dobbiamo comprendere la connessione essenziale che corre tra la proprietà privata, l’avidità di denaro, la separazione tra lavoro, capitale e proprietà fondiaria, tra scambio e concorrenza, tra valorizzazione e svalorizzazione dell’uomo, tra monopolio e concorrenza, ecc., la connessione di tutto questo processo di estraniazione col sistema monetario.
Non trasferiamoci, come fa l’economista quando vuol dare una spiegazione, in uno stato originario fantastico.
Un tale stato originario non spiega nulla. Non fa che rinviare il problema in una lontananza grigia e nebulosa. Presuppone in forma di fatto, di accadimento, ciò che deve dedurre, cioè il rapporto necessario tra due fatti, per esempio tra la divisione del lavoro e lo scambio. Allo stesso modo la teologia spiega l’origine del male col peccato originale, cioè presuppone come un fatto, in forma storica, ciò che deve spiegare.
Noi partiamo da un fatto dell’economia politica, da un fatto presente.
L’operaio diventa tanto piú povero quanto maggiore è la ricchezza che produce, quanto piú la sua produzione cresce di potenza e di estensione. L’operaio diventa una merce tanto piú vile quanto piú grande è la quantità di merce che produce. La svalorizzazione del mondo umano cresce in rapporto diretto con la valorizzazione del mondo delle cose. Il lavoro non produce soltanto merci; produce se stesso e l’operaio come una merce, e proprio nella stessa proporzione in cui produce in generale le merci.
Questo fatto non esprime altro che questo: l’oggetto che il lavoro produce, il prodotto del lavoro, si contrappone ad esso come un essere estraneo, come una potenza indipendente da colui che lo produce. Il prodotto del lavoro è il lavoro che si è fissato in un oggetto, è diventato una cosa, è l’oggettivazione del denaro. La realizzazione del lavoro è la sua oggettivazione. Questa realizzazione del lavoro appare nello stadio dell’economia privata come un annullamento dell’operaio, l’oggettivazione appare come perdita e asservimento dell’oggetto, l’appropriazione come estraniazione, come alienazione. [...]
Tutte queste conseguenze sono implicite nella determinazione che l’operaio si viene a trovare rispetto al prodotto del suo lavoro come rispetto ad un oggetto estraneo. Infatti, partendo da questo presupposto è chiaro che: quanto piú l’operaio si consuma nel lavoro, tanto piú potente diventa il mondo estraneo, oggettivo, che egli si crea dinanzi, tanto piú povero diventa egli stesso, e tanto meno il suo mondo interno gli appartiene. Lo stesso accade nella religione. Quante piú cose l’uomo trasferisce in Dio, tanto meno egli ne ritiene in se stesso.
L’operaio ripone la sua vita nell’oggetto; ma d’ora in poi la sua vita non appartiene piú a lui, ma all’oggetto. Quanto piú grande è dunque questa attività, tanto piú l’operaio è privo di oggetto. Quello che è il prodotto del suo lavoro, non è egli stesso. Quanto piú grande è dunque questo prodotto, tanto piú piccolo è egli stesso. L’alienazione dell’operaio nel suo prodotto significa non solo che il suo lavoro diventa un oggetto, qualcosa che esiste all’esterno, ma che esso esiste fuori di lui, indipendente da lui, a lui estraneo, e diventa di fronte a lui una potenza per se stante; significa che la vita che egli ha dato all’oggetto, gli si contrappone ostile ed estranea."
Karl Marx, dai "Manoscritti economico-filosofici" del 1844
«Nella sua prima forma, il comunismo è soltanto la generalizzazione della proprietà privata.
Il dominio della proprietà appare così grande ai suoi occhi che esso vuole annientare tutto ciò che non può essere posseduto da tutti come proprietà privata, prescindendo quindi violentemente dal talento individuale, ecc. Il possesso è per esso l’unico scopo della vita; il lavoro operaio non viene soppresso ma esteso a tutti gli uomini; l’essenza della proprietà privata rimane nel rapporto della comunità col mondo delle cose. Tale movimento, che consiste nell'opporre la proprietà privata generale alla proprietà privata individuale, si esprime in forma animale come la seguente: al matrimonio (che è una forma di proprietà privata esclusiva) si contrappone la comunanza delle donne, dove la donna diventa proprietà della comunità. Si può dire che questa idea della comunanza delle donne è il mistero rivelato di questo comunismo rozzo e materiale: allo stesso modo che la donna passa dal matrimonio alla prostituzione generale, così l'intero mondo della ricchezza, cioè dell'essenza oggettiva dell'uomo, passa dal rapporto di matrimonio esclusivo col proprietario privato al rapporto di prostituzione generale con la comunità. Questo comunismo, in quanto nega la personalità dell'uomo, non è altro che l'espressione conseguente della proprietà privata, che è questa negazione».
Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici
"Nella società capitalistica si produce tempo libero per una classe mediante la trasformazione in tempo di lavoro di tutto il tempo di vita delle masse."
Karl Marx, dal Capitolo XV del Capitale
«Secondo Adam Smith non può essere felice una società in cui la maggioranza soffre, e siccome lo stadio di maggior ricchezza della società conduce a questa sofferenza della maggioranza e il capitalismo conduce a questo stadio di maggiore ricchezza, bisogna concludere che l'infelicità della società è lo scopo del capitalismo».
Karl Marx
«Gli individui non possono abolire la divisione del lavoro senza la comunità.
Solo insieme agli altri ciascun individuo ha i mezzi per sviluppare in tutti i sensi le sue disposizioni; solo nella comunità diventa dunque possibile la libertà personale».
Karl Marx, Ideologia tedesca
[Che] Non è possibile attuare una liberazione reale se non nel mondo reale e con mezzi reali, [che] la schiavitù non si può abolire senza la macchina a vapore e la Mule-Jenny, né la servirtù della gleba senza un'agricoltura migliorata, [che] in generale non si possono liberare gli uomini finché essi non sono in grado di procurarsi cibo e bevanda, abitazione e vestiario in qualità e quantità completa. La «liberazione» è un atto storico, non un atto ideale.
Karl Marx, L'ideologia tedesca: I, Feuerbach
Una spiegazione della crisi attuali in una considerazione di 150 anni fa:
“Il processo di produzione appare soltanto come termine medio inevitabile, come male necessario per far denaro. Tutte le Nazioni a produzione capitalistica vengono colte perciò periodicamente da una vertigine, nella quale vogliono fare denaro senza la mediazione del processo di produzione”.
Carl Marx
«L’obbiettivo finale della rivoluzione comunista non è il potere di una nuova classe al posto della vecchia, ma la soppressione di tutte le classi e la costruzione di una società senza classi».
Karl Marx
LA FUNZIONE "PROGRESSISTA" DELLA BORGHESIA (MARX, ENGELS)
"La borghesia ha avuto nella storia una parte sommamente rivoluzionaria.
Dove ha raggiunto il dominio, la borghesia ha distrutto tutte le condizioni di vita feudali, patriarcali, idilliache. Ha lacerato spietatamente tutti i variopinti vincoli feudali che legavano l'uomo al suo superiore naturale, e non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, il freddo "pagamento in contanti". Ha affogato nell'acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell'esaltazione devota, dell'entusiasmo cavalleresco, della malinconia filistea. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto delle innumerevoli libertà patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di commercio priva di scrupoli. In una parola: ha messo lo sfruttamento aperto, spudorato, diretto e arido al posto dello sfruttamento mascherato d'illusioni religiose e politiche."
Karl Marx & Friedrich Engels, da "Il Manifesto del Partito Comunista"
Giovanissimo, Karl Marx scrive al padre:
« Kant e Fichte vagavano fra nuvole
lassù cercando un paese lontano.
Io cerco d'afferrare con destrezza
solo quanto ho trovato sulla strada »
"TUTTO DEVE CAMBIARE PERCHÈ TUTTO RESTI COME PRIMA" -
MARX E IL GATTOPARDISMO
"Innata casistica dell'uomo, quella di cambiare le cose mutandone i nomi!
E di trovare un sotterfugio per infrangere la tradizione rimanendo nella tradizione, laddove un interesse diretto abbia dato la spinta sufficiente."
Karl Marx, Citato in Friedrich Engels, L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato
LA FUNZIONE "PROGRESSISTA" DELLA BORGHESIA (MARX, ENGELS)
"La borghesia ha avuto nella storia una parte sommamente rivoluzionaria.
Dove ha raggiunto il dominio, la borghesia ha distrutto tutte le condizioni di vita feudali, patriarcali, idilliache. Ha lacerato spietatamente tutti i variopinti vincoli feudali che legavano l'uomo al suo superiore naturale, e non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, il freddo "pagamento in contanti". Ha affogato nell'acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell'esaltazione devota, dell'entusiasmo cavalleresco, della malinconia filistea. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto delle innumerevoli libertà patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di commercio priva di scrupoli. In una parola: ha messo lo sfruttamento aperto, spudorato, diretto e arido al posto dello sfruttamento mascherato d'illusioni religiose e politiche."
Karl Marx & Friedrich Engels, da "Il Manifesto del Partito Comunista"
"La borghesia non è in grado di rimanere ancora più a lungo la classe dominante della società e di imporre alla società le condizioni di vita della propria classe come legge regolatrice. Non è capace di dominare, perché non è capace di garantire l'esistenza al proprio schiavo neppure entro la schiavitù, perché è costretta a lasciarlo sprofondare in una situazione nella quale, invece di esser da lui nutrita, essa è costretta a nutrirlo. La società non può vivere più sotto la classe borghese, vale a dire la esistenza della classe borghese non è più compatibile con la società."
Karl Marx
«Il pensiero libero dei Greci replica con Prometeo ai servi scocchi degli dèi:
“io, t’assicuro, non cambierei la mia misera sorte con la vostra servitù.
Molto meglio star qui ligio a questa rupe io stimo, che fedel servo esser di Giove”».
Karl Marx, Tesi di laurea, 1841
La maggior parte dei sudditi crede di essere tale perché il re è il Re,
non si rende conto che in realtà è il re che è Re perché essi sono sudditi
Karl Marx
L'emancipazione della classe lavoratrice deve essere opera della classe lavoratrice stessa.
Karl Marx
Tratto da: "Il Diritto alla Pigrizia", celeberrimo testo "maledetto" scritto dal genero di Marx, Paul Lafargue.
Un filosofo produce idee, un poeta poesie, un pastore prediche, un professore manuali ecc. Un delinquente produce delitti. Se si esamina più da vicino la connessione che esiste tra quest’ultima branca di produzione e l’insieme della società, ci si ravvede da tanti pregiudizi. Il delinquente non produce soltanto delitti, ma anche il diritto criminale, e con ciò anche il professore che tiene lezioni sul delitto criminale, e inoltre l’inevitabile manuale, in cui questo stesso professore getta i suoi discorsi in quanto “merce” sul mercato generale. Con ciò si verifica un aumento della ricchezza nazionale, senza contare il piacere personale, come [afferma] un testimonio competente, il professor Roscher, che la composizione del manuale procura al suo stesso autore. Il delinquente produce inoltre tutta la polizia e la giustizia criminale, gli sbirri, i giudici, i boia, i giurati ecc.; e tutte queste differenti branche di attività, che formano altrettante categorie della divisione sociale del lavoro, sviluppano differenti facoltà dello spirito umano, creano nuovi bisogni e nuovi modi di soddisfarli. La sola tortura ha dato occasione alle più ingegnose invenzioni meccaniche e ha impiegato, nella produzione dei suoi strumenti, una massa di onesti artefici. Il delinquente produce un’impressione, sia morale sia tragica, a seconda dei casi, e rende così un “servizio” al moto dei sentimenti morali ed estetici del pubblico. Egli non produce soltanto manuali di diritto criminale, non produce soltanto codici penali, ma anche arte, bella letteratura, romanzi e perfino tragedia, come dimostrano non solo La colpa del Müllner e I masnadieri dello Schiller, ma anche l’Edipo [di Sofocle] e il Riccardo III [di Shakespeare].
Il delinquente rompe la monotonia e la banale sicurezza della vita borghese. Egli preserva cosi questa vita dalla stagnazione e suscita quell’inquieta tensione e quella mobilità, senza la quale anche lo stimolo della concorrenza si smorzerebbe. Egli sprona così le forze produttive. Mentre il delitto sottrae una parte della popolazione in soprannumero al mercato del lavoro, diminuendo in questo modo la concorrenza tra gli operai e impedendo, in una certa misura, la diminuzione del salario al di sotto del minimo indispensabile, la lotta contro il delitto assorbe un’altra parte della stessa popolazione […]. Le influenze del delinquente sullo sviluppo della forza produttiva possono essere indicate fino nei dettagli. Le serrature sarebbero mai giunte alla loro perfezione attuale se non vi fossero stati ladri? La fabbricazione delle banconote sarebbe mai giunta alla perfezione odierna se non vi fossero stati falsari? Il microscopio avrebbe mai trovato impiego nelle comuni sfere commerciali (vedi il Babbage) senza la frode nel commercio? La chimica pratica non deve forse altrettanto alla falsificazione delle merci e allo sforzo di scoprirla quanto all’onesta sollecitudine per il progresso della produzione? Il delitto, con i mezzi sempre nuovi con cui dà l’assalto alla proprietà, chiama in vita sempre nuovi modi di difesa e così esercita un’influenza altrettanto produttiva quanto quella degli scioperi (‘strikes’) sull’invenzione delle macchine. E abbandoniamo la sfera del delitto privato: senza delitti nazionali sarebbe mai sorto il mercato mondiale? O anche solo le nazioni? E dal tempo di Adamo l’albero del peccato non è forse in pari tempo l’albero della conoscenza? Il Mandeville, nella sua Fable of the Bees (1705), aveva già mostrato la produttività di tutte le possibili occupazioni ecc., e soprattutto la tendenza di tutta questa argomentazione: “Ciò che in questo mondo chiamiamo il male, tanto quello morale quanto quello naturale, è il grande principio che fa di noi degli esseri sociali, è la solida base, la vita e il sostegno di tutti i mestieri e di tutte le occupazioni senza eccezione […]; è in esso che dobbiamo cercare la vera origine di tutte le arti e di tutte le scienze; e […] nel momento in cui il male venisse a mancare, la società sarebbe necessariamente devastata se non interamente dissolta”. Sennonché il Mandeville era, naturalmente, infinitamente più audace e più onesto degli apologeti filistei della società borghese.
Karl Marx, Elogio del crimine.
"Prendi, per esempio, l’Italia. Ha avuto secoli di guerre, morti, sangue, rovine, assassinii, e cosa ne è venuto fuori? Il Rinascimento. Prendi la Svizzera. Secoli di pace, tranquillità, serenità, armonia…E cosa ne è venuto fuori? L’orologio a cucù".
(dalla prefazione di Andrea Camilleri)
Marx era mantenuto da Engels che invece era ricco di famiglia. Engels gli diceva:
"Credo che nessuno abbia mai scritto di soldi avendone così pochi".
SULLA TOMBA DI KARL MARX (ENGELS)
Di seguito il discorso pronunciato da Friedrich Engels sul suo grande amico e compagno Karl Marx durante il funerale avvenuto il 17 marzo 1883:
"Il 14 marzo, alle due e quarantacinque pomeridiane, ha cessato di pensare la più grande mente dell'epoca nostra. L'avevamo lasciato solo da appena due minuti e al nostro ritorno l'abbiamo trovato tranquillamente addormentato nella sua poltrona, ma addormentato per sempre.
Non è possibile misurare la gravità della perdita che questa morte rappresenta per il proletariato militante d'Europa e d'America, nonché per la scienza storica. Non si tarderà a sentire il vuoto lasciato dalla scomparsa di questo titano.
Così come Darwin ha scoperto la legge dello sviluppo della natura organica, Marx ha scoperto la legge dello sviluppo della storia umana cioè il fatto elementare, sinora nascosto sotto l'orpello ideologico, che gli uomini devono innanzi tutto mangiare, bere, avere un tetto e vestirsi, prima di occuparsi di politica, di scienza, d'arte, di religione, ecc.; e che, per conseguenza, la produzione dei mezzi materiali immediati di esistenza e, con essa, il grado di sviluppo economico di un popolo e di un'epoca in ogni momento determinato costituiscono la base dalla quale si sviluppano le istituzioni statali, le concezioni giuridiche, l'arte e anche le idee religiose degli uomini, e partendo dalla quale esse devono venir spiegate, e non inversamente, come si era fatto finora.
Ma non è tutto. Marx ha anche scoperto la legge peculiare dello sviluppo del moderno modo di produzione capitalistico e della società borghese da esso generata. La scoperta del plusvalore ha subitamente gettato un fascio di luce nell'oscurità in cui brancolavano prima, in tutte le loro ricerche, tanto gli economisti classici che i critici socialisti.
Due scoperte simili sarebbero più che sufficienti a riempire una vita. Fortunato chi avesse avuto la sorte di farne anche una sola. Ma in ognuno dei campi in cui ha svolto le sue ricerche — e questi campi furono molti e nessuno fu toccato da lui in modo superficiale — in ognuno di questi campi, compreso quello delle matematiche, egli ha fatto delle scoperte originali.
Tale era lo scienziato. Ma lo scienziato non era neppure la metà di Marx. Per lui la scienza era una forza motrice della storia, una forza rivoluzionaria. Per quanto grande fosse la gioia che gli dava ogni scoperta in una qualunque disciplina teorica, e di cui non si vedeva forse ancora l'applicazione pratica, una gioia ben diversa gli dava ogni innovazione che determinasse un cambiamento rivoluzionario immediato nell'industria e, in generale, nello sviluppo storico. Così egli seguiva in tutti i particolari le scoperte nel campo dell'elettricità e, ancora in questi ultimi tempi, quelle di Marcel Deprez.
Perché Marx era prima di tutto un rivoluzionario. Contribuire in un modo o nell'altro all'abbattimento della società capitalistica e delle istituzioni statali che essa ha creato, contribuire all'emancipazione del proletariato moderno al quale egli, per primo, aveva dato la coscienza delle condizioni della propria situazione e dei propri bisogni, la coscienza delle condizioni della propria liberazione: questa era la sua reale vocazione.
La lotta era il suo elemento. Ed ha combattuto con una passione, con una tenacia e con un successo come pochi hanno combattuto. La prima "Rheinische Zeitung " nel 1842, il "Vorwärts!" di Parigi nel 1844, la "Deutsche Brüsseler Zeitung" nel 1847, la "Neue Rheinische Zeitung" nel 1848-49, la "New York Tribune" dal 1852 al 1861 e, inoltre, i numerosi opuscoli di propaganda, il lavoro a Parigi, a Bruxelles, a Londra, il tutto coronato dalla grande Associazione internazionale degli operai, ecco un altro risultato di cui colui che lo ha raggiunto potrebbe esser fiero anche se non avesse fatto nient'altro.
Marx era perciò l'uomo più odiato e calunniato del suo tempo. I governi, assoluti e repubblicani, lo espulsero, i borghesi, conservatori e democratici radicali, lo coprirono a gara di calunnie. Egli sdegnò tutte queste miserie, non prestò loro nessuna attenzione, e non rispose se non in caso di estrema necessità. E' morto venerato, amato, rimpianto da milioni di compagni di lavoro rivoluzionari in Europa e in America, dalle miniere siberiane sino alla California. E posso aggiungere, senza timore: poteva avere molti avversari, ma nessun nemico personale.
Il suo nome vivrà nei secoli, e così la sua opera!"
«Siamo arrivati al punto che l’uomo si sente libero solo nelle sue funzioni animali (mangiare, bere, fare sesso), tutt'al più nell'avere una casa, nella cura del suo corpo ecc.; e che nelle sue funzioni propriamente umane - come il lavoro - si sente soltanto una bestia. Il bestiale diventa l'umano e l'umano il bestiale. Il lavoro alienato aliena all'uomo la natura; aliena all'uomo se stesso, la sua funzione più attiva, la sua attività vitale e creativa, aliena così all'uomo il genere. Il lavoro alienato fa dunque della specifica essenza dell'uomo, tanto della natura che dello spirituale potere di genere, un'essenza a lui estranea, il mezzo della sua esistenza individuale; estrania all'uomo il suo proprio corpo, il suo essere spirituale, la sua essenza umana. E la conseguenza del fatto che l'uomo è estraniato dal prodotto del suo lavoro, dalla sua attività vitale, dalla sua specifica essenza, è lo straniarsi dell'uomo dall'altro uomo».
Karl Marx, dai Manoscritti economico-filosofici del 1844)
"secondo la dottrina di Marx i programmi non escono dai cervelli, ma scaturiscono dalla vita. Quando la vita si è profondamente trasformata, anche il programma non può rimanere immutato. Le pellicce si portano d’inverno. D’estate soltanto un pazzo porterebbe una pelliccia. Lo stesso vale per la politica. È stato proprio Carlo Marx ad insegnarci di osservare le condizioni storiche contingenti e di agire in corrispondenza. Da ciò non consegue che dobbiamo cambiare le nostre convinzioni come una signora i suoi guanti. L’obiettivo principale della classe operaia è la realizzazione dell’ordine sociale comunista. Questo è l’obiettivo costante e immutabile della classe operaia. Ma si intende che a seconda della distanza in cui essa si trova da questa meta varieranno anche le sue rivendicazioni immediate."
Nikolaj Ivanovič Bucharin, da "ABC del Comunismo"
«Il risultato generale al quale arrivai e che, una volta acquisito, mi servì da filo conduttore nei miei studi, può essere brevemente formulato così: nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma al contrario è il loro essere sociale che determina la loro coscienza. A un certo punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) entro i quali tali forze in precedenza si erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. Allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale. E con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura».
Karl Marx, introduzione a "Per la critica dell'economia politica".
(Il materialismo storico e dialettico e la teoria rivoluzionaria riassunti in poche righe)
«Noi siamo partiti dai presupposti dell’economia. Abbiamo accettato la sua lingua e le sue leggi. Partendo dall’economia, ed avvalendoci delle sue stesse parole, abbiamo dimostrato che l’operaio è degradato a merce, alla più misera delle merci; che la miseria dell'operaio sta in rapporto inverso con la ricchezza della sua produzione; che il risultato necessario della concorrenza è l’accumulazione del capitale in poche mani e quindi la più terribile ricostituzione del monopolio; e che l’intera società deve scindersi nelle due classi dei proprietari e dei lavoratori senza proprietà».
Karl Marx
La proprietà privata ci ha fatti talmente ottusi e unilaterali che un oggetto è nostro solo quando lo abbiamo, quando esiste per noi come capitale o è immediatamente posseduto, usato, consumato. Tutti i sensi fisici e spirituali sono stati sostituiti dalla loro alienazione, cioè dal senso dell’avere.
Karl Marx
Karl Marx
"Venne infine un tempo in cui tutto ciò che gli uomini avevano considerato come inalienabile divenne oggetto di scambio, di traffico, e poteva essere alienato; il tempo in cui quelle stesse cose che fino allora erano state comunicate ma mai barattate, donate ma mai vendute, acquisite ma mai acquistate – virtù, amore, opinione, scienza, coscienza, ecc. – tutto divenne commercio. È il tempo della corruzione generale, della venalità universale, o, per parlare in termini di economia politica, il tempo in cui ogni realtà, morale e fisica, divenuta valore venale, viene portata al mercato per essere apprezzata al suo giusto valore".
Karl Marx, "Miseria della filosofia"
"Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi s’erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale."
Karl Marx, Per la critica dell’economia politica
«Un sistema sociale non muore finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco perché l’umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose da vicino, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già, o almeno sono in via di formazione».
«L'operaio diventa tanto più povero quanto maggiore è la ricchezza che produce, quanto più la sua produzione cresce di potenza e di estensione. L'operaio diventa una merce tanto più vile quanto più grande è la quantità di merce che produce. La svalorizzazione del mondo umano cresce in rapporto diretto con la valorizzazione del mondo delle cose. Il lavoro non produce soltanto merci; produce l'operaio come una merce».
"Ogni cosa oggi sembra portare in sé la sua contraddizione. Macchine, dotate del meraviglioso potere di ridurre e potenziare il lavoro umano, fanno morire l'uomo di fame e lo ammazzano di lavoro. Un misterioso e fatale incantesimo trasforma le nuove sorgenti della ricchezza in fonti di miseria. Le conquiste della tecnica sembrano ottenute a prezzo della loro stessa natura. Sembra che l'uomo nella misura in cui assoggetta la natura, si assoggetti ad altri uomini o alla propria abiezione. Perfino la pura luce della scienza sembra poter risplendere solo sullo sfondo tenebroso dell'ignoranza. Tutte le nostre scoperte e i nostri progressi sembrano infondere una vita spirituale alle forze materiali e al tempo stesso istupidire la vita umana, riducendola a una forza materiale. Questo antagonismo fra l'industria moderna e la scienza da un lato e la miseria moderna e lo sfacelo dall'altro; questo antagonismo fra le forze produttive e i rapporti sociali della nostra epoca è un fatto tangibile, macroscopico e incontrovertibile. Qualcuno può deplorarlo; altri possono desiderare di disfarsi delle tecniche moderne per sbarazzarsi dei conflitti moderni o possono pensare che un così grande progresso nell'industria esiga di essere integrato da un regresso altrettanto grande nella politica. Da parte nostra non disconosciamo lo spirito malizioso che si manifesta in tutte queste contraddizioni. Nei segni che confondono la borghesia e i meschini profeti del regresso riconosciamo la mano del nostro valente amico, Robin Goodfellow, la vecchia talpa che scava tanto rapidamente, il grande minatore: la rivoluzione. La storia è il giudice e il proletariato il suo esecutore."
Karl Marx, Discorso per l'anniversario del People's Paper, aprile 1856
ANNULLAMENTO, ASSERVIMENTO, ESTRANIAZIONE DEI LAVORATORI (MARX)
"Dobbiamo comprendere la connessione essenziale che corre tra la proprietà privata, l’avidità di denaro, la separazione tra lavoro, capitale e proprietà fondiaria, tra scambio e concorrenza, tra valorizzazione e svalorizzazione dell’uomo, tra monopolio e concorrenza, ecc., la connessione di tutto questo processo di estraniazione col sistema monetario.
Non trasferiamoci, come fa l’economista quando vuol dare una spiegazione, in uno stato originario fantastico.
Un tale stato originario non spiega nulla. Non fa che rinviare il problema in una lontananza grigia e nebulosa. Presuppone in forma di fatto, di accadimento, ciò che deve dedurre, cioè il rapporto necessario tra due fatti, per esempio tra la divisione del lavoro e lo scambio. Allo stesso modo la teologia spiega l’origine del male col peccato originale, cioè presuppone come un fatto, in forma storica, ciò che deve spiegare.
Noi partiamo da un fatto dell’economia politica, da un fatto presente.
L’operaio diventa tanto piú povero quanto maggiore è la ricchezza che produce, quanto piú la sua produzione cresce di potenza e di estensione. L’operaio diventa una merce tanto piú vile quanto piú grande è la quantità di merce che produce. La svalorizzazione del mondo umano cresce in rapporto diretto con la valorizzazione del mondo delle cose. Il lavoro non produce soltanto merci; produce se stesso e l’operaio come una merce, e proprio nella stessa proporzione in cui produce in generale le merci.
Questo fatto non esprime altro che questo: l’oggetto che il lavoro produce, il prodotto del lavoro, si contrappone ad esso come un essere estraneo, come una potenza indipendente da colui che lo produce. Il prodotto del lavoro è il lavoro che si è fissato in un oggetto, è diventato una cosa, è l’oggettivazione del denaro. La realizzazione del lavoro è la sua oggettivazione. Questa realizzazione del lavoro appare nello stadio dell’economia privata come un annullamento dell’operaio, l’oggettivazione appare come perdita e asservimento dell’oggetto, l’appropriazione come estraniazione, come alienazione. [...]
Tutte queste conseguenze sono implicite nella determinazione che l’operaio si viene a trovare rispetto al prodotto del suo lavoro come rispetto ad un oggetto estraneo. Infatti, partendo da questo presupposto è chiaro che: quanto piú l’operaio si consuma nel lavoro, tanto piú potente diventa il mondo estraneo, oggettivo, che egli si crea dinanzi, tanto piú povero diventa egli stesso, e tanto meno il suo mondo interno gli appartiene. Lo stesso accade nella religione. Quante piú cose l’uomo trasferisce in Dio, tanto meno egli ne ritiene in se stesso.
L’operaio ripone la sua vita nell’oggetto; ma d’ora in poi la sua vita non appartiene piú a lui, ma all’oggetto. Quanto piú grande è dunque questa attività, tanto piú l’operaio è privo di oggetto. Quello che è il prodotto del suo lavoro, non è egli stesso. Quanto piú grande è dunque questo prodotto, tanto piú piccolo è egli stesso. L’alienazione dell’operaio nel suo prodotto significa non solo che il suo lavoro diventa un oggetto, qualcosa che esiste all’esterno, ma che esso esiste fuori di lui, indipendente da lui, a lui estraneo, e diventa di fronte a lui una potenza per se stante; significa che la vita che egli ha dato all’oggetto, gli si contrappone ostile ed estranea."
Karl Marx, dai "Manoscritti economico-filosofici" del 1844
«Nella sua prima forma, il comunismo è soltanto la generalizzazione della proprietà privata.
Il dominio della proprietà appare così grande ai suoi occhi che esso vuole annientare tutto ciò che non può essere posseduto da tutti come proprietà privata, prescindendo quindi violentemente dal talento individuale, ecc. Il possesso è per esso l’unico scopo della vita; il lavoro operaio non viene soppresso ma esteso a tutti gli uomini; l’essenza della proprietà privata rimane nel rapporto della comunità col mondo delle cose. Tale movimento, che consiste nell'opporre la proprietà privata generale alla proprietà privata individuale, si esprime in forma animale come la seguente: al matrimonio (che è una forma di proprietà privata esclusiva) si contrappone la comunanza delle donne, dove la donna diventa proprietà della comunità. Si può dire che questa idea della comunanza delle donne è il mistero rivelato di questo comunismo rozzo e materiale: allo stesso modo che la donna passa dal matrimonio alla prostituzione generale, così l'intero mondo della ricchezza, cioè dell'essenza oggettiva dell'uomo, passa dal rapporto di matrimonio esclusivo col proprietario privato al rapporto di prostituzione generale con la comunità. Questo comunismo, in quanto nega la personalità dell'uomo, non è altro che l'espressione conseguente della proprietà privata, che è questa negazione».
Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici
"Nella società capitalistica si produce tempo libero per una classe mediante la trasformazione in tempo di lavoro di tutto il tempo di vita delle masse."
Karl Marx, dal Capitolo XV del Capitale
«Secondo Adam Smith non può essere felice una società in cui la maggioranza soffre, e siccome lo stadio di maggior ricchezza della società conduce a questa sofferenza della maggioranza e il capitalismo conduce a questo stadio di maggiore ricchezza, bisogna concludere che l'infelicità della società è lo scopo del capitalismo».
Karl Marx
Solo insieme agli altri ciascun individuo ha i mezzi per sviluppare in tutti i sensi le sue disposizioni; solo nella comunità diventa dunque possibile la libertà personale».
Karl Marx, Ideologia tedesca
[Che] Non è possibile attuare una liberazione reale se non nel mondo reale e con mezzi reali, [che] la schiavitù non si può abolire senza la macchina a vapore e la Mule-Jenny, né la servirtù della gleba senza un'agricoltura migliorata, [che] in generale non si possono liberare gli uomini finché essi non sono in grado di procurarsi cibo e bevanda, abitazione e vestiario in qualità e quantità completa. La «liberazione» è un atto storico, non un atto ideale.
Karl Marx, L'ideologia tedesca: I, Feuerbach
Una spiegazione della crisi attuali in una considerazione di 150 anni fa:
“Il processo di produzione appare soltanto come termine medio inevitabile, come male necessario per far denaro. Tutte le Nazioni a produzione capitalistica vengono colte perciò periodicamente da una vertigine, nella quale vogliono fare denaro senza la mediazione del processo di produzione”.
Carl Marx
«L’obbiettivo finale della rivoluzione comunista non è il potere di una nuova classe al posto della vecchia, ma la soppressione di tutte le classi e la costruzione di una società senza classi».
Karl Marx
LA FUNZIONE "PROGRESSISTA" DELLA BORGHESIA (MARX, ENGELS)
"La borghesia ha avuto nella storia una parte sommamente rivoluzionaria.
Dove ha raggiunto il dominio, la borghesia ha distrutto tutte le condizioni di vita feudali, patriarcali, idilliache. Ha lacerato spietatamente tutti i variopinti vincoli feudali che legavano l'uomo al suo superiore naturale, e non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, il freddo "pagamento in contanti". Ha affogato nell'acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell'esaltazione devota, dell'entusiasmo cavalleresco, della malinconia filistea. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto delle innumerevoli libertà patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di commercio priva di scrupoli. In una parola: ha messo lo sfruttamento aperto, spudorato, diretto e arido al posto dello sfruttamento mascherato d'illusioni religiose e politiche."
Karl Marx & Friedrich Engels, da "Il Manifesto del Partito Comunista"
Giovanissimo, Karl Marx scrive al padre:
« Kant e Fichte vagavano fra nuvole
lassù cercando un paese lontano.
Io cerco d'afferrare con destrezza
solo quanto ho trovato sulla strada »
"TUTTO DEVE CAMBIARE PERCHÈ TUTTO RESTI COME PRIMA" -
MARX E IL GATTOPARDISMO
"Innata casistica dell'uomo, quella di cambiare le cose mutandone i nomi!
E di trovare un sotterfugio per infrangere la tradizione rimanendo nella tradizione, laddove un interesse diretto abbia dato la spinta sufficiente."
Karl Marx, Citato in Friedrich Engels, L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato
LA FUNZIONE "PROGRESSISTA" DELLA BORGHESIA (MARX, ENGELS)
"La borghesia ha avuto nella storia una parte sommamente rivoluzionaria.
Dove ha raggiunto il dominio, la borghesia ha distrutto tutte le condizioni di vita feudali, patriarcali, idilliache. Ha lacerato spietatamente tutti i variopinti vincoli feudali che legavano l'uomo al suo superiore naturale, e non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, il freddo "pagamento in contanti". Ha affogato nell'acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell'esaltazione devota, dell'entusiasmo cavalleresco, della malinconia filistea. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto delle innumerevoli libertà patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di commercio priva di scrupoli. In una parola: ha messo lo sfruttamento aperto, spudorato, diretto e arido al posto dello sfruttamento mascherato d'illusioni religiose e politiche."
Karl Marx & Friedrich Engels, da "Il Manifesto del Partito Comunista"
"La borghesia non è in grado di rimanere ancora più a lungo la classe dominante della società e di imporre alla società le condizioni di vita della propria classe come legge regolatrice. Non è capace di dominare, perché non è capace di garantire l'esistenza al proprio schiavo neppure entro la schiavitù, perché è costretta a lasciarlo sprofondare in una situazione nella quale, invece di esser da lui nutrita, essa è costretta a nutrirlo. La società non può vivere più sotto la classe borghese, vale a dire la esistenza della classe borghese non è più compatibile con la società."
Karl Marx
«Il pensiero libero dei Greci replica con Prometeo ai servi scocchi degli dèi:
“io, t’assicuro, non cambierei la mia misera sorte con la vostra servitù.
Molto meglio star qui ligio a questa rupe io stimo, che fedel servo esser di Giove”».
Karl Marx, Tesi di laurea, 1841
La maggior parte dei sudditi crede di essere tale perché il re è il Re,
non si rende conto che in realtà è il re che è Re perché essi sono sudditi
Karl Marx
L'emancipazione della classe lavoratrice deve essere opera della classe lavoratrice stessa.
Karl Marx
Le riforme sociali non sono mai portate a termine a causa della debolezza dei forti,
esse sono sempre il risultato della potenza dei deboli.
Karl Marx
Le idee dominanti non sono altro che l'espressione materiale dei rapporti materiai dominanti.
Karl Marx
«Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè, la classe che è la potenza materiale dominante è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale».
Karl Marx
«Nello stato, la libertà personale esiste soltanto per gli individui che si sono sviluppati nella condizione della classe dominante, e solo in quanto sono individui di questa classe. La comunità apparente nella quale finora si sono uniti gli individui si è sempre resa autonoma di contro a loro e allo stesso tempo, essendo l’unione di una classe contro un’altra, per la classe dominata non era solo una comunità del tutto illusoria, ma anche una nuova catena. Nella comunità reale, invece, gli individui acquisteranno la loro libertà nell’associazione e per mezzo di essa».
Karl Marx
da ognuno secondo le proprie capacità,
a ognuno secondo i propri bisogni
Karl Marx
Eppure, tutta la storia dell'industria moderna mostra che il capitale, se non gli vengono posti dei freni, lavora senza scrupoli e senza misericordia per precipitare tutta la classe operaia a questo livello della più profonda degradazione.
Karl Marx
Le idee non possono realizzare nulla. Per realizzare le idee, c'è bisogno degli uomini, che mettono in gioco una forza pratica.
Karl Marx
esse sono sempre il risultato della potenza dei deboli.
Karl Marx
Le idee dominanti non sono altro che l'espressione materiale dei rapporti materiai dominanti.
Karl Marx
«Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè, la classe che è la potenza materiale dominante è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale».
Karl Marx
«Nello stato, la libertà personale esiste soltanto per gli individui che si sono sviluppati nella condizione della classe dominante, e solo in quanto sono individui di questa classe. La comunità apparente nella quale finora si sono uniti gli individui si è sempre resa autonoma di contro a loro e allo stesso tempo, essendo l’unione di una classe contro un’altra, per la classe dominata non era solo una comunità del tutto illusoria, ma anche una nuova catena. Nella comunità reale, invece, gli individui acquisteranno la loro libertà nell’associazione e per mezzo di essa».
Karl Marx
da ognuno secondo le proprie capacità,
a ognuno secondo i propri bisogni
Karl Marx
Eppure, tutta la storia dell'industria moderna mostra che il capitale, se non gli vengono posti dei freni, lavora senza scrupoli e senza misericordia per precipitare tutta la classe operaia a questo livello della più profonda degradazione.
Karl Marx
Le idee non possono realizzare nulla. Per realizzare le idee, c'è bisogno degli uomini, che mettono in gioco una forza pratica.
Karl Marx
Marx lo spiega meglio di ogni altro: “Voi inorridite perché noi vogliamo eliminare la proprietà privata. Ma nella vostra società esistente la proprietà privata è abolita per i nove decimi dei suoi membri; anzi, essa esiste proprio in quanto non esiste per quei nove decimi. Voi ci rimproverate dunque di voler abolire una proprietà che ha per condizione necessaria la mancanza di proprietà per la stragrande maggioranza della società.” Se considerate che oggi l'85% della ricchezza mondiale è nelle mani del 10% della popolazione (cioè sostanzialmente l'Occidente) capirete come le ragioni del comunismo siano sempre validissime.
E' sempre stato così e sempre sarà così: ci sono due classi contrapposte che si oppongono: chi ha e chi non ha. L'obiettivo del comunismo non è fare in modo che tutti abbiano in parti uguali, ma che ognuno possa sviluppare liberamente la propria individualità senza dover essere sfruttato, tramite rapporti di lavoro salariato, da chi ha potuto accumulare ingiustamente eccessive ricchezze. Per fare questo è necessario che gli sfruttati acquisiscano il controllo di quelli che Marx chiamava i “mezzi di produzione”. L'obiettivo è quindi l'abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione.
Venne infine un tempo, in cui, tutto ciò che gli uomini avevano considerato inalienabile divenne oggetto di scambio, di traffico, e poteva essere alienato; il tempo in cui quelle stesse cose che fino allora erano state comunicate ma mai barattate, donate ma mai vendute, acquisite ma mai acquistate – virtù, amore, opinione, scienza, coscienza, ecc. – tutto divenne commercio. È il tempo della corruzione generale, della venalità universale, o, per parlare in termini di economia politica, il tempo in cui ogni realtà, morale e fisica, divenuta valore venale, viene portata al mercato per essere apprezzata al suo giusto valore”.
Karl Marx. Miseria della filosofia
la proprietà ci ha reso così stupidi da considerare nostro solo quello che possediamo
Karl Marx
«I proletari, per realizzarsi sul piano personale, devono abolire la loro propria condizione di esistenza quale è stata fino ad oggi, che in pari tempo è la condizione di esistenza di tutta la società: il lavoro salariato. Essi si trovano quindi anche in antagonismo diretto con la forma nella quale gli individui della società si sono dati finora un’espressione collettiva, lo Stato, e devono rovesciare lo Stato per affermare la loro personalità».
Karl Marx
"Quanto meno mangi, bevi, compri libri, vai a teatro, al ballo e all'osteria, quanto meno pensi, ami, fai teorie, canti, dipingi, verseggi, ecc., tanto più risparmi, tanto più grande diventa il tuo tesoro, il tuo capitale. Quanto meno tu sei, quanto meno realizzi la tua vita, tanto più hai; quanto più grande è la tua vita alienata, tanto più accumuli del tuo essere estraniato."
Karl Marx
Il comunismo, per noi, non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà debba conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti.
Karl Marx.
"Come riesce, la borghesia, a superare le crisi? Per un verso tramite la distruzione forzata di una grande quantità di forze produttive; e per un altro verso tramite la conquista di nuovi mercati e il più intenso sfruttamento di quelli già esistenti. Come, dunque? Preparando nuove, più estese e formidabili crisi e diminuendo i mezzi per ovviare alle crisi future."
Karl Marx
LO SCOPO DEGLI ECONOMISTI È RENDERCI INFELICI (MARX)
"In un paese, che avesse raggiunto l'ultimo grado possibile della sua ricchezza, tanto il salario quanto l'interesse del capitale sarebbero entrambi assai bassi. Tra gli operai la concorrenza per avere un'occupazione sarebbe così grande che i salari sarebbero ridotti a ciò che basta per mantenere lo stesso numero di operai, e dal momento che il paese sarebbe già abbastanza popolato, questo numero non potrebbe aumentare. Il di più dovrebbe morire. Così in una situazione sociale regressiva, la miseria dell'operaio è progressiva, in una situazione progressiva la miseria è complessa, in una situazione stabile la miseria è stazionaria. Ma siccome una società, secondo Smith, non è felice dove la maggioranza soffre, e siccome lo stadio di maggior ricchezza della società conduce a questa sofferenza della maggioranza e l'economia politica (in generale la società fondata sull'interesse privato) conduce a questo stadio di maggiore ricchezza, bisogna concludere che l'infelicità della società è lo scopo dell'economia politica. [...]
L'economista ci dice che originariamente e teoricamente l'intero prodotto del lavoro appartiene all'operaio. Ma ci dice nello stesso tempo che di fatto giunge all'operaio la parte più piccola e assolutamente più indispensabile del prodotto; solo quel tanto che è necessario affinché l'operaio viva non come uomo ma come operaio, e propaghi non l'umanità, ma quella classe di schiavi, che è la classe degli operai. L'economista ci dice che col lavoro ogni cosa si può comprare e che il capitale non è altro che lavoro accumulato; ma ci dice nello stesso tempo che l'operaio, ben lungi dal poter comprare ogni cosa, deve vendere se stesso e la sua umanità. Mentre la rendita fondiaria dei possidente ozioso ammonta il più delle volte alla terza parte del prodotto della terra e il profitto del capitalista intraprendente persino al doppio dell'interesse del denaro, il massimo che l'operaio guadagna nel caso più fortunato ammonta a tanto che su quattro figli due devono morirgli di fame. Mentre, secondo l'economista, il lavoro è l'unico mezzo con cui l'uomo ingrandisce il valore dei prodotti naturali, mentre il lavoro è la proprietà attiva dell'uomo, il proprietario fondiario e il capitalista, i quali in quanto proprietario fondiario e in quanto capitalista sono semplicemente divinità privilegiate ed oziose, hanno dappertutto, secondo la stessa economia politica, la preminenza sull'operaio e gli prescrivono leggi.
Mentre il lavoro è, secondo l'economista, l'unico prezzo delle cose che non subisce mutamenti, nulla vi è di più accidentale che il prezzo del lavoro, nulla che sia esposto alle maggiori oscillazioni. Mentre la divisione del lavoro aumenta la forza produttiva del lavoro, la ricchezza e il raffinamento della società, impoverisce l'operaio sino a ridurlo ad una macchina. Mentre il lavoro provoca l'accumulazione dei capitali e con esso il benessere crescente della società, rende l'operaio sempre più dipendente dal capitalista, lo espone ad una concorrenza maggiore, lo spinge nella caccia senza quartiere della superproduzione, a cui segue un rilassamento altrettanto grande. Mentre l'interesse dell'operaio non è mai in contrasto, secondo l'economista, con l'interesse della società, la società sta sempre e necessariamente in contrasto con l'interesse dell'operaio. [...]
S'intende da sé che l'economia politica considera il proletario, cioè colui che senza capitale e senza rendita fondiaria vive unicamente del lavoro, di un lavoro unilaterale ed astratto, soltanto come lavoratore. Essa può quindi sostenere il principio che egli, al pari di un cavallo, deve guadagnare tanto che gli basti per poter lavorare. Essa non lo considera come uomo nelle ore non dedicate al lavoro, ma affida questa considerazione alla giustizia criminale, ai medici, alla religione, alle tabelle statistiche, alla politica e alla polizia."
Karl Marx, dal capitolo sul "salario" dei "Manoscritti Economico-Filosofici" del 1844
«Je ne suis pas marxiste».
Una volta Marx ha detto a Lafaurge: “ce qu’il y a de certain c’est que moi, je ne suis pas marxiste”. Quindi Marx prese le distanze dal marxismo “particolare” di alcuni esponenti del Partito operaio francese.
http://diciottobrumaio.blogspot.it/2011/01/je-ne-suis-pas-marxiste.html
L'ignoranza è la madre dell'industria come della superstizione, la riflessione e l'immaginazione possono incorrere in errori; ma l'abitudine di muovere la mano o il piede in una data maniera non dipende né dall'una né dall'altra di esse. Per questo le manifatture van più a gonfie vele laddove si adopera di meno il cervello, cosicché si può considerare l'officina alla guida d'una macchina che abbia uomini per parti. In effetti intorno alla metà del XVIII secolo in alcune manifatture s'impiegavano preferibilmente per certe operazioni semplici dei mezzi idioti, cosa che però costituiva un segreto di fabbrica.
Karl Marx
La proprietà privata ci ha fatti talmente ottusi e unilaterali che un oggetto è nostro solo quando lo abbiamo; quando, dunque, esiste per noi come capitale o è immediatamente posseduto, mangiato, bevuto, portato sul nostro corpo, abitato ecc., in breve utilizzato.Tutti i sensi, fisici e spirituali, sono stati sostituiti dalla semplice alienazione di tutti loro, dal senso dell’avere
Karl Marx
L'unica parte della cosiddetta ricchezza nazionale che entra realmente in possesso della collettività dei paesi moderni è il debito pubblico
Karl Marx
La proprietà privata ci ha fatti talmente ottusi e unilaterali che un oggetto è nostro solo quando lo abbiamo; quando, dunque, esiste per noi come capitale o è immediatamente posseduto, mangiato, bevuto, portato sul nostro corpo, abitato ecc., in breve utilizzato.Tutti i sensi, fisici e spirituali, sono stati sostituiti dalla semplice alienazione di tutti loro, dal senso dell’avere
Karl Marx
L'unica parte della cosiddetta ricchezza nazionale che entra realmente in possesso della collettività dei paesi moderni è il debito pubblico
Karl Marx
Il debito pubblico diventa una delle leve più energiche dell’accumulazione originaria: come con un colpo di bacchetta magica, esso conferisce al denaro, che è improduttivo, la facoltà di procreare, e così lo trasforma in capitale, senza che il denaro abbia bisogno di assoggettarsi alla fatica e al rischio inseparabili dall’investimento industriale e anche da quello usurario. In realtà i creditori dello Stato non danno niente, poichè la somma prestata viene trasformata in obbligazioni facilmente trasferibili, che in loro mano continuano a funzionare proprio come se fossero tanto denaro in contanti.
Karl Marx, 1867
"Il debito pubblico, cioè l'alienazione dello Stato - dispotico, costituzionale o repubblicano che sia - imprime il proprio suggello all'età capitalistica. L'unica parte della cosiddetta ricchezza nazionale che passi veramente in possesso collettivo dei popoli moderni è il loro debito pubblico. [...] Il debito pubblico ha dato vita alle società per azioni, al commercio di effetti negoziabili di ogni sorta, all'aggiotaggio; insomma al gioco in Borsa e alla moderna bancocrazia"
Karl Marx, "Il capitale", Libro I, cap. XXIV, n. 6
Karl Marx, 1867
"Il debito pubblico, cioè l'alienazione dello Stato - dispotico, costituzionale o repubblicano che sia - imprime il proprio suggello all'età capitalistica. L'unica parte della cosiddetta ricchezza nazionale che passi veramente in possesso collettivo dei popoli moderni è il loro debito pubblico. [...] Il debito pubblico ha dato vita alle società per azioni, al commercio di effetti negoziabili di ogni sorta, all'aggiotaggio; insomma al gioco in Borsa e alla moderna bancocrazia"
Karl Marx, "Il capitale", Libro I, cap. XXIV, n. 6
Il sistema creditizio che ha come centro le pretese banche nazionali e i potenti prestatori di denaro, e gli usurai che pullulano attorno ad essi, rappresenta un accentramento enorme e assicura a questa classe di parassiti una forza favolosa, tale non solo da decimare periodicamente i capitalisti industriali, ma anche da intervenire nel modo più pericoloso nella produzione effettiva – e questa banda non sa nulla della produzione e non ha nulla a che fare con essa (…) banditi ai quali si uniscono i finanzieri e gli speculatori.
Karl Marx. Il capitale
Venturino Giorgi:
Già in Marx, secondo Lenin, vi era la precisa convinzione che il comunismo non vincerà come un bel ideale da imporre dall’alto al mondo intero. Non bisogna convincere le masse della necessità storica del comunismo. Ma sarà la contraddizione principale del sistema capitalistico tra una produzione sempre più socializzata (globale) ed appropriazione del profitto (nelle mani di un centinaio di grandi trust mondiali) sempre più individuale, assieme alle crisi sempre più acute e violente, che porranno le condizioni per la presa di coscienza della necessità del passaggio a una forma “superiore”, finalmente razionale e razionalizzata di produzione sociale.
"I principi sociali del cristianesimo hanno avuto milleottocento anni di tempo per svilupparsi, e non hanno bisogno di essere ulteriormente sviluppati da consiglieri concistoriali prussiani. I principi sociali del cristianesimo hanno giustificato la schiavitù antica, esaltato la servitù della gleba medievale, e sei necessario si prestano anche difendere l'oppressione del proletariato, sia pure assumendo un’aria un pò lamentosa.
I principi sociali del cristianesimo predicano la necessità di una classe dominante e di una classe oppressa, e a favore di quest'ultima esprimono soltanto il pio desiderio che la prima voglia essere caritatevole.
I principi sociali del cristianesimo trasferiscono in cielo la compensazione di tutte le infamie, come la intendono i consiglieri concistoriali, e giustificano così la continuazione di queste infamie sulla terra.
I principi sociali del cristianesimo dichiarano che tutte le bassezze commesse dagli oppressori contro gli oppressi sono o giuste punizioni del peccato originale e di altri peccati, oppure prove che il Signore impone ai redenti nella sua infinita saggezza.
I principi sociali del cristianesimo predicano la viltà, il disprezzo di se stessi, la mortificazione, il servilismo, l'umiltà, insomma tutte le qualità della canaglia, e il proletariato, che non si vuol far trattare da canaglia, ha molto più bisogno del suo coraggio, del suo senso di sicurezza, del suo orgoglio e del suo spirito di indipendenza, che del suo pane. I principi sociali del cristianesimo sono ipocriti, e il proletariato è rivoluzionario."
Karl Marx, «Il comunismo del Rheinischer Beobachter»
"La religione è soltanto il sole illusorio che si muove attorno all’uomo, fino a che questi non si muove attorno a se stesso.
È dunque compito della storia, una volta scomparso l’al di là della verità, di ristabilire la verità dell’al di qua. È innanzi tutto compito della filosofia, operante al servizio della storia, di smascherare l’autoalienazione dell’uomo nelle sue forme profane, dopo che la forma sacra dell’autoalienazione umana è stata scoperta. La critica del cielo si trasforma cosí in critica della terra, la critica della religione nella critica del diritto, la critica della teologia nella critica della politica."
Karl Marx
L'uomo fa la religione, e non la religione l'uomo... La miseria religiosa è insieme l'espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale.
La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore.
E' l'oppio del popolo.
Karl Marx, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel
"La soppressione della religione in quanto felicità illusoria del popolo è il presupposto della sua vera felicità. La necessità di rinunciare alle illusioni sulla propria condizione, è la necessità di rinunciare a una condizione che ha bisogno di illusioni. La critica della religione è quindi, in germe, la critica della valle di lacrime, di cui la religione è l’aureola.
La critica non ha strappato i fiori immaginari dalla catena perché l’uomo continui a trascinarla triste e spoglia, ma perché la getti via e colga il fiore vivo. La critica della religione disinganna l’uomo, affinché egli consideri, plasmi e raffiguri la sua realtà come un uomo disincantato, divenuto ragionevole, perché egli si muova intorno a se stesso e quindi al suo vero sole. La religione è soltanto il sole illusorio che si muove attorno all’uomo, fino a che questi non si muove attorno a se stesso.
È dunque compito della storia, una volta scomparso l’al di là della verità, di ristabilire la verità dell’al di qua. È innanzi tutto compito della filosofia, operante al servizio della storia, di smascherare l’autoalienazione dell’uomo nelle sue forme profane, dopo che la forma sacra dell’autoalienazione umana è stata scoperta. La critica del cielo si trasforma cosí in critica della terra, la critica della religione nella critica del diritto, la critica della teologia nella critica della politica."
Karl Marx, "Critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione"
La borghesia dà, storicamente, alla famiglia il carattere della famiglia borghese,
dove l'elemento connettivo è la noia e il denaro.
Karl Marx e Friedrich Engels, L'ideologia tedesca, 1845/46
Venturino Giorgi:
Già in Marx, secondo Lenin, vi era la precisa convinzione che il comunismo non vincerà come un bel ideale da imporre dall’alto al mondo intero. Non bisogna convincere le masse della necessità storica del comunismo. Ma sarà la contraddizione principale del sistema capitalistico tra una produzione sempre più socializzata (globale) ed appropriazione del profitto (nelle mani di un centinaio di grandi trust mondiali) sempre più individuale, assieme alle crisi sempre più acute e violente, che porranno le condizioni per la presa di coscienza della necessità del passaggio a una forma “superiore”, finalmente razionale e razionalizzata di produzione sociale.
"I principi sociali del cristianesimo hanno avuto milleottocento anni di tempo per svilupparsi, e non hanno bisogno di essere ulteriormente sviluppati da consiglieri concistoriali prussiani. I principi sociali del cristianesimo hanno giustificato la schiavitù antica, esaltato la servitù della gleba medievale, e sei necessario si prestano anche difendere l'oppressione del proletariato, sia pure assumendo un’aria un pò lamentosa.
I principi sociali del cristianesimo predicano la necessità di una classe dominante e di una classe oppressa, e a favore di quest'ultima esprimono soltanto il pio desiderio che la prima voglia essere caritatevole.
I principi sociali del cristianesimo trasferiscono in cielo la compensazione di tutte le infamie, come la intendono i consiglieri concistoriali, e giustificano così la continuazione di queste infamie sulla terra.
I principi sociali del cristianesimo dichiarano che tutte le bassezze commesse dagli oppressori contro gli oppressi sono o giuste punizioni del peccato originale e di altri peccati, oppure prove che il Signore impone ai redenti nella sua infinita saggezza.
I principi sociali del cristianesimo predicano la viltà, il disprezzo di se stessi, la mortificazione, il servilismo, l'umiltà, insomma tutte le qualità della canaglia, e il proletariato, che non si vuol far trattare da canaglia, ha molto più bisogno del suo coraggio, del suo senso di sicurezza, del suo orgoglio e del suo spirito di indipendenza, che del suo pane. I principi sociali del cristianesimo sono ipocriti, e il proletariato è rivoluzionario."
Karl Marx, «Il comunismo del Rheinischer Beobachter»
"La religione è soltanto il sole illusorio che si muove attorno all’uomo, fino a che questi non si muove attorno a se stesso.
È dunque compito della storia, una volta scomparso l’al di là della verità, di ristabilire la verità dell’al di qua. È innanzi tutto compito della filosofia, operante al servizio della storia, di smascherare l’autoalienazione dell’uomo nelle sue forme profane, dopo che la forma sacra dell’autoalienazione umana è stata scoperta. La critica del cielo si trasforma cosí in critica della terra, la critica della religione nella critica del diritto, la critica della teologia nella critica della politica."
Karl Marx
L'uomo fa la religione, e non la religione l'uomo... La miseria religiosa è insieme l'espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale.
La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore.
E' l'oppio del popolo.
Karl Marx, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel
"La soppressione della religione in quanto felicità illusoria del popolo è il presupposto della sua vera felicità. La necessità di rinunciare alle illusioni sulla propria condizione, è la necessità di rinunciare a una condizione che ha bisogno di illusioni. La critica della religione è quindi, in germe, la critica della valle di lacrime, di cui la religione è l’aureola.
La critica non ha strappato i fiori immaginari dalla catena perché l’uomo continui a trascinarla triste e spoglia, ma perché la getti via e colga il fiore vivo. La critica della religione disinganna l’uomo, affinché egli consideri, plasmi e raffiguri la sua realtà come un uomo disincantato, divenuto ragionevole, perché egli si muova intorno a se stesso e quindi al suo vero sole. La religione è soltanto il sole illusorio che si muove attorno all’uomo, fino a che questi non si muove attorno a se stesso.
È dunque compito della storia, una volta scomparso l’al di là della verità, di ristabilire la verità dell’al di qua. È innanzi tutto compito della filosofia, operante al servizio della storia, di smascherare l’autoalienazione dell’uomo nelle sue forme profane, dopo che la forma sacra dell’autoalienazione umana è stata scoperta. La critica del cielo si trasforma cosí in critica della terra, la critica della religione nella critica del diritto, la critica della teologia nella critica della politica."
Karl Marx, "Critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione"
La borghesia dà, storicamente, alla famiglia il carattere della famiglia borghese,
dove l'elemento connettivo è la noia e il denaro.
Karl Marx e Friedrich Engels, L'ideologia tedesca, 1845/46
Gli uomini si sono sempre fatti idee false intorno a sé stessi, intorno a ciò che essi sono o devono essere. In base alle loro idee di Dio, dell'uomo normale, ecc. essi hanno regolato i loro rapporti. I parti della loro testa sono diventati più forti di loro. Essi, i creatori, si sono inchinati di fronte alle loro creature.
Karl Marx e Friedrich Engels, L'ideologia tedesca
La filosofia, fintanto che una goccia di sangue ancora pulserà nel suo cuore assolutamente libero, dominatore dell’universo, griderà sempre agli avversari con Epicuro: «empio non è colui che nega gli dèi del volgo, ma colui che attribuisce agli dèi i sentimenti del volgo». La filosofia non fa mistero di ciò. La confessione di Prometeo: «a dirti in breve, io tutti aborro i numi», è la sua propria confessione, la sentenza sua propria contro tutte le divinità celesti e terrestri che non riconoscono come suprema divinità l’autocoscienza umana. Nessuno può starle a fianco. Alle tristi lepri marzoline, che gioiscono dell'apparentemente peggiorata condizione civile della filosofia, essa replica quanto Prometeo replica al servo degli dèi Ermete: «…io, t’assecura, / non cangerei la mia misera sorte con la tua servitù. / Meglio d’assai lo star qui ligio a questa rupe io stimo, / che fedel messaggero esser di Giove». Prometeo è il più grande santo e martire del calendario filosofico.
Karl Marx: Differenza tra le filosofie della natura di Democrito e di Epicuro
Dio vuole impedire il male ma non ne è capace?
Allora non è onnipotente.
Egli ne e capace, ma non vuole? Allora è malevolo.
Eglii ne è capace e vuole? Allora da dove proviene il male?
Non ne è capace e non vuole? Allora perché chiamarlo Dio?
Epicuro
FRA EGUALI DIRITTI DECIDE LA FORZA - NOZIONI DI ECONOMIA POLITICA (MARX)
"Dunque il capitalista invoca la legge dello scambio delle merci. Come ogni altro compratore, cerca di spremere dal valore d’uso della sua merce la maggiore utilità possibile. Ma all’improvviso s’alza la voce dell’operaio, che era ammutolita nell’incalzare e nel tumulto del processo di produzione:
«La merce che ti ho venduto si distingue dal volgo delle altre merci per il fatto che il suo uso crea valore, e valore maggiore di quanto essa costi. E per questa ragione tu l’hai comprata. Quel che dalla tua parte appare come valorizzazione del capitale, dalla mia parte è dispendio eccedente di forza-lavoro. Tu ed io, sul mercato, conosciamo soltanto una legge, quella dello scambio di merci. E il consumo della merce non appartiene al venditore che la aliena, ma al compratore che l’acquista. A te dunque appartiene l’uso della mia forza-lavoro quotidiana. Ma, col suo prezzo di vendita quotidiano, io debbo, quotidianamente, poterla riprodurre, per poterla tornare a vendere. A parte il logorio naturale per l’età ecc., io debbo essere in grado di lavorare domani nelle stesse condizioni normali di forza, salute e freschezza di oggi. Tu mi predichi continuamente il vangelo della «parsimonia» e della «astinenza». Ebbene: voglio amministrare il mio unico patrimonio, la forza-lavoro, come un ragionevole e parsimonioso economo e voglio astenermi da ogni folle sperpero di essa. Ne voglio render disponibile quotidianamente, mettendolo in moto e convertendolo in lavoro, soltanto quel tanto che è compatibile con la sua durata normale e col suo sano sviluppo. Tu puoi mettere a tua disposizione, in un solo giorno, con uno smoderato prolungamento della giornata lavorativa, una quantità della mia forza-lavoro maggiore di quanta io ne possa ristabilire in tre giorni. Quel che tu guadagni così in lavoro, io lo perdo in sostanza lavorativa. L’uso della mia forza lavorativa e il depredamento di essa sono cose del tutto differenti. Se il periodo medio nel quale un operaio medio può vivere, data una misura ragionevole di lavoro, ammonta a trent’anni, il valore della mia forza-lavoro, che tu mi paghi di giorno in giorno, è [1 : (365 x 30)] cioè, 1 : 10.950 del suo valore complessivo. Ma se tu la consumi in 10 anni, tu mi paghi quotidianamente 1/10.950 del suo valore complessivo, invece di 1/3.650: cioè mi paghi soltanto un terzo del suo valore giornaliero, e mi rubi quindi quotidianamente due terzi del valore della mia merce. Tu mi paghi la forza-lavoro di un giorno, mentre consumi quella di tre giorni. Questo è contro il nostro contratto e contro la legge dello scambio delle merci. Io esigo quindi una giornata lavorativa di lunghezza normale, e lo esigo senza fare appello al tuo cuore, perchè in questioni di denaro non si tratta più di sentimento. Tu puoi essere un cittadino modello, forse membro della Lega per l’abolizione della crudeltà verso gli animali, per giunta puoi anche essere in odore di santità, ma la cosa che tu rappresenti di fronte a me non ha cuore che le batta in petto. Quel che sembra che vi palpiti, è il battito del mio proprio cuore. Esigo la giornata lavorativa normale, perchè esigo il valore della mia merce, come ogni altro venditore.»
È evidente: astrazione fatta da limiti del tutto elastici, dalla natura dello scambio delle merci, così com’è, non risulta nessun limite della giornata lavorativa, quindi nessun limite del pluslavoro. Il capitalista, cercando di rendere più lunga possibile la giornata lavorativa e, quando è possibile, cercando di farne di una due, sostiene il suo diritto di compratore. Dall’altra parte, la natura specifica della merce venduta implica un limite del suo consumo da parte del compratore, mentre l’operaio, volendo limitare la giornata lavorativa ad una grandezza normale determinata, sostiene il suo diritto di venditore. Qui ha dunque luogo una antinomia: diritto contro diritto, entrambi consacrati dalla legge dello scambio delle merci.
Fra diritti eguali decide la forza.
Così nella storia della produzione capitalistica la regolazione della giornata lavorativa si presenta come lotta per i limiti della giornata lavorativa — lotta fra il capitalista collettivo, cioè la classe dei capitalisti, e l’operaio collettivo, cioè la classe operaia."
Karl Marx, da "Il capitale", libro I
FRA EGUALI DIRITTI DECIDE LA FORZA - NOZIONI DI ECONOMIA POLITICA (MARX)
"Dunque il capitalista invoca la legge dello scambio delle merci. Come ogni altro compratore, cerca di spremere dal valore d’uso della sua merce la maggiore utilità possibile. Ma all’improvviso s’alza la voce dell’operaio, che era ammutolita nell’incalzare e nel tumulto del processo di produzione:
«La merce che ti ho venduto si distingue dal volgo delle altre merci per il fatto che il suo uso crea valore, e valore maggiore di quanto essa costi. E per questa ragione tu l’hai comprata. Quel che dalla tua parte appare come valorizzazione del capitale, dalla mia parte è dispendio eccedente di forza-lavoro. Tu ed io, sul mercato, conosciamo soltanto una legge, quella dello scambio di merci. E il consumo della merce non appartiene al venditore che la aliena, ma al compratore che l’acquista. A te dunque appartiene l’uso della mia forza-lavoro quotidiana. Ma, col suo prezzo di vendita quotidiano, io debbo, quotidianamente, poterla riprodurre, per poterla tornare a vendere. A parte il logorio naturale per l’età ecc., io debbo essere in grado di lavorare domani nelle stesse condizioni normali di forza, salute e freschezza di oggi. Tu mi predichi continuamente il vangelo della «parsimonia» e della «astinenza». Ebbene: voglio amministrare il mio unico patrimonio, la forza-lavoro, come un ragionevole e parsimonioso economo e voglio astenermi da ogni folle sperpero di essa. Ne voglio render disponibile quotidianamente, mettendolo in moto e convertendolo in lavoro, soltanto quel tanto che è compatibile con la sua durata normale e col suo sano sviluppo. Tu puoi mettere a tua disposizione, in un solo giorno, con uno smoderato prolungamento della giornata lavorativa, una quantità della mia forza-lavoro maggiore di quanta io ne possa ristabilire in tre giorni. Quel che tu guadagni così in lavoro, io lo perdo in sostanza lavorativa. L’uso della mia forza lavorativa e il depredamento di essa sono cose del tutto differenti. Se il periodo medio nel quale un operaio medio può vivere, data una misura ragionevole di lavoro, ammonta a trent’anni, il valore della mia forza-lavoro, che tu mi paghi di giorno in giorno, è [1 : (365 x 30)] cioè, 1 : 10.950 del suo valore complessivo. Ma se tu la consumi in 10 anni, tu mi paghi quotidianamente 1/10.950 del suo valore complessivo, invece di 1/3.650: cioè mi paghi soltanto un terzo del suo valore giornaliero, e mi rubi quindi quotidianamente due terzi del valore della mia merce. Tu mi paghi la forza-lavoro di un giorno, mentre consumi quella di tre giorni. Questo è contro il nostro contratto e contro la legge dello scambio delle merci. Io esigo quindi una giornata lavorativa di lunghezza normale, e lo esigo senza fare appello al tuo cuore, perchè in questioni di denaro non si tratta più di sentimento. Tu puoi essere un cittadino modello, forse membro della Lega per l’abolizione della crudeltà verso gli animali, per giunta puoi anche essere in odore di santità, ma la cosa che tu rappresenti di fronte a me non ha cuore che le batta in petto. Quel che sembra che vi palpiti, è il battito del mio proprio cuore. Esigo la giornata lavorativa normale, perchè esigo il valore della mia merce, come ogni altro venditore.»
È evidente: astrazione fatta da limiti del tutto elastici, dalla natura dello scambio delle merci, così com’è, non risulta nessun limite della giornata lavorativa, quindi nessun limite del pluslavoro. Il capitalista, cercando di rendere più lunga possibile la giornata lavorativa e, quando è possibile, cercando di farne di una due, sostiene il suo diritto di compratore. Dall’altra parte, la natura specifica della merce venduta implica un limite del suo consumo da parte del compratore, mentre l’operaio, volendo limitare la giornata lavorativa ad una grandezza normale determinata, sostiene il suo diritto di venditore. Qui ha dunque luogo una antinomia: diritto contro diritto, entrambi consacrati dalla legge dello scambio delle merci.
Fra diritti eguali decide la forza.
Così nella storia della produzione capitalistica la regolazione della giornata lavorativa si presenta come lotta per i limiti della giornata lavorativa — lotta fra il capitalista collettivo, cioè la classe dei capitalisti, e l’operaio collettivo, cioè la classe operaia."
Karl Marx, da "Il capitale", libro I
Karl Marx. L’uomo socialista. Emancipazione e restaurazione.
“PER L’UOMO SOCIALISTA, TUTTA LA ‘COSIDDETTA STORIA UNIVERSALE’ ALTRO NON È CHE LA GENERAZIONE DELL’UOMO MEDIANTE IL LAVORO UMANO, come il divenire della natura per l’uomo, così esso ha la prova intuitiva, irrefragabile, della SUA ‘NASCITA’ MEDIANTE SE STESSO, del suo ‘processo di origine’. In quanto L’ ‘ESSENZIALITÀ’ DELL’UOMO E DELLA NATURA È DIVENUTA PRATICAMENTE SENSIBILE E VISIBILE, ed È DIVENUTO PRATICAMENTE SENSIBILE E VISIBILE L’UOMO PER L’UOMO COME ESISTENZA NATURALE E LA NATURA PER L’UOMO COME ESISTENZA UMANA, è divenuta anche praticamente impossibile la questione di un’essenza estranea, di un’essenza che sta al di sopra della natura e dell’uomo – una questione che implica l’AMMISSIONE DELL’INESSENZIALITÀ DELLA NATURA E DELL’UOMO. L’ ‘ATEISMO’, come negazione di questa inessenzialità, non ha più senso, perché ESSO È UNA NEGAZIONE DI DIO E PONE L’ ‘ESISTENZA’ DELL’UOMO MEDIANTE QUESTA NEGAZIONE. Ma IL SOCIALISMO COME TALE NON HA BISOGNO PIÙ DI QUESTA MEDIAZIONE: esso parte dalla ‘COSCIENZA SENSIBILE TEORETICA E PRATICA’ DELL’UOMO E DELLA NATURA COME DELL’ESSENZA. Esso è ‘l’AUTOCOSCIENZA POSITIVA’ DELL’UOMO NON PIÙ MEDIATA DALLA SOPPRESSIONE DELLA RELIGIONE, come la vita ‘effettiva’ non è più mediata dalla soppressione della proprietà privata, dal ‘comunismo’. Il comunismo è la posizione come negazione della negazione, e quindi il momento ‘reale’ necessario per il prossimo sviluppo storico dell’emancipazione e restaurazione dell’uomo. Il ‘comunismo’ è la figura necessaria e il principio energetico del prossimo avvenire; ma esso non è come tale il termine di sviluppo dell’umanità umana, - la forma della società umana.”
KARL MARX (1818 - 1883), “Proprietà privata e comunismo”, in FEUERBAC, MARX – ENGELS, “Materalismo dialettico e materialismo storico”, introd., trad. e note a cura di Cornelio Fabro, La Scuola, Brescia (I ed. 1962) 1977, pp. 122 – 123.
«Je ne suis pas marxiste»
Non c’è quasi aspetto della vita e degli scritti di Marx e di Engels che non sia stato sottoposto a un sistematico lavorìo di “fraintendimento”, ovvero a una oculata manipolazione e scientifica falsificazione. [...]
Prendiamo un esempio molto semplice, banale, innocuo: “la religione è l’oppio dei popoli”. La frase in sé esprime già un senso compiuto, una sua ragione; si tratta però di un concetto che non va oltre una dichiarazione di blando e innocuo ateismo; detta così può sembrare una boutade. Marx invece era un pensatore potente e solo nel suo contesto la metafora marxiana acquista valore autentico di critica religiosa e sociale insieme:
«La miseria religiosa è insieme l'espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale. La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l'oppio del popolo. Eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo vuol dire esigerne la felicità reale».
Ci sono però frasi attribuite a Marx il cui spaccio, sic et simpliciter, perde la sua innocuità per assumere la rilevanza della proditoria falsificazione, come nella notissima sentenza: «io non sono marxista». Privata del suo contesto esplicativo, il giochino di attribuire alla frasetta un significato assai diverso da quello che essa in realtà allude nell’ambito storico in cui è stata pronunciata e poi riferita, diventa facile e non c’è nulla di più adatto a favorire il successo del pettegolezzo di una calunnia verosimile.
La frase venne riferita da Engels. In quale contesto e con quale autentico significato? I leader del movimento rivoluzionario francese, cioè Malon e Brusse (possibilisti), da un lato, Guesde e Lafargue (collettivisti), dall'altro, tendevano verso strategie politiche che Marx ed Engels non condividevano appieno, specie per quanto riguarda certe "teorizzazioni".
Marx si espresse, esasperato, polemicamente contro tale strategia del partito operaio francese.
Di tale esasperazione e contrarietà si fece testimone Engels in una lettera a Eduard Bernstein, datata 2-3 novembre 1882, nella quale dice testualmente:
«Riguardo alla Sua reiterata affermazione che il “marxismo” in Francia soffrirebbe di notevole discredito, Lei non ha altra fonte che un Malon di seconda mano [sottolineatura di Engels; per un resoconto sulle falsificazioni di Malon, cfr. lettera di E. del 28 nov. 1882]. Ora, ciò che in Francia va sotto il nome di “marxismo” è in effetti un prodotto del tutto particolare, tanto che una volta Marx ha detto a Lafaurge: “ce qu’il y a de certain c’est que moi, je ne suis pas marxiste”.
Quindi Marx prese le distanze dal marxismo “particolare” di alcuni esponenti del Partito operaio francese. Ma attenzione, contro Malon e Brusse piuttosto che contro Guesde e Lafargue (anche se a questi ultimi rimprovera certe "stupidaggini"). Il 15 febbraio di quello stesso anno Marx aveva avuto un lungo colloquio a Parigi con Guesde e altri sulle questioni relative al movimento operaio francese. Poi lo rincontra nell’estate, così come avrà in quel periodo diversi colloqui con Lafarurge su quei temi. Insomma, Marx ed Engels erano dalla parte di Geusde e Lafargue, anche se non ne condividevano spesso le "stupidaggini bakuniniste" (la corrispondenza 1880-1883 ne è testimoniaza copiosa). In particolare per quanto riguarda il "terrorismo del futuro" di Guesde, "che durerà finché l'inchiostro della stampa non avrà ghigliottinato anche l'ultimo oppressore borghese", scriveva Marx ironicamente nella lettera alla figlia Laura del 13 aprile 1882.
Inoltre, ciò posto, la ribalderia dei falsificatori del marxismo si guarda bene di prendere nota anche di quanto dice Engels in una lettera allo stesso Bernestein il 25 ottobre dell’anno prima:
«Le sono molto grato di avermi scritto […] ciò mi dà l’occasione di spiegarLe la posizione di Marx e quindi, in seconda battuta, anche la mia riguardo al movimento operaio francese […] se a Parigi Guesde e Lafargue vogliono per forza crearsi la fama di tueurs de journaux, noi non possiamo certo impedirlo, ma neanche faremo di più. […] Il fatto, che i nostri amici francesi che vogliono fondare il Parti ouvrier, tutti senza eccezione, da 12-15 mesi non fanno che prendere una cantonata dopo l’altra […].
Sono quelli del Prolétaire a sostenere che Guesde e Lafargue sarebbero il portavoce di Marx […] È vero, tuttavia, che Guesde è venuto qua da noi quando si è posto il problema di redigere una bozza di programma per il Partito operaio francese. […] sono stati poi discussi gli altri contenuti del programma; abbiamo aggiunto qualcosa e qualcos’altro abbiamo tolto, ma, riguardo all’essere Guesde il portavoce di Marx, quanto poco ciò corrisponda al vero, risulta evidente dal fatto che egli abbia insistito per includere quella sua stupidaggine sul minimum du salaire e, non essendo noi i responsabili della cosa, bensì i francesi alla fine glielo abbiamo concesso, sebbene anch’egli ne abbia ammesso l’assurdità teorica.
[…] L’atteggiamento di Marx, e dunque anche il mio, nei confronti dei francesi è lo stesso che verso gli altri movimenti nazionali. Siamo continuamente in contatto con loro, fin quando ne vale la pena e ce n’è l’occasione, ma ogni tentativo di influenzare la volontà di queste persone ci danneggerebbe soltanto e distruggerebbe l’antica fiducia del periodo dell’Internazionale. E, inoltre, abbiamo troppa esperienza in revolutionaribus rebus per farlo.
Pertanto, l’atteggiamento di Marx e di Engels verso i “marxismi” nazionali è sì quello della collaborazione, ma anche della non interferenza, secondo il richiamato spirito dell’Internazionale. Nella specie, se il “marxismo” dei francesi è quello del compromesso di Malon e Brusse, ma anche delle “cantonate” e delle “stupidaggini” di Guesde e Lafargue, essi non se ne faranno carico, e in tal senso, come scrive Engels nella prima lettera, non sono responsabili e non si sentono coinvolti in quel genere “particolare” di "marxismo".
Il seguito si può leggere cliccando qui:
Nel suo libro, Bentornato Marx (1), Diego Fusaro, nel quarto capitolo della prima parte, a pagina 30, inserisce in esergo questa citazione: «Tutto quello che so è di non essere marxista» (Karl Marx). Nessuna indicazione bibliografica. Poi, invece, nel tentativo di dimostrare che Marx «non è affatto il fondatore della dottrina storicamente rubricata sotto la voce “marxismo”», a pagina 39 scrive:
«Pochi anni dopo [Marx], di fronte alle vicende del movimento che a lui si richiamava (benché egli si occupasse ormai più di studi antropologici ed etnologici che di attivismo politico), ebbe modo di pronunciare un’altra frase rivelatrice della sua distanza da ogni orizzonte teorico e pratico improntato a una visione dogmatica: “tutto quello che so è di non essere marxista” (“Alles, was ich weiß, ist, dass ich kein Marxist bin”)».
Le "TESI SU FEUERBACH" di MARX del 1845.
Da sapere a memoria:
I.
Il difetto principale di ogni materialismo fino ad oggi, compreso quello di Feuerbach, è che l'oggetto, il reale, il sensibile è concepito solo sotto la forma di oggetto o di intuizione; ma non come attività umana sensibile, come attività pratica, non soggettivamente. E' accaduto quindi che il lato attivo è stato sviluppato dall'idealismo in contrasto col materialismo, ma solo in modo astratto, poiché naturalmente l'idealismo ignora l'attività reale, sensibile come tale. Feuerbach vuole oggetti sensibili realmente distinti dagli oggetti del pensiero; ma egli non concepisce l'attività umana stessa come attività oggettiva. Perciò nell'Essenza del cristianesimo egli considera come schiettamente umano solo il modo di procedere teorico, mentre la pratica è concepita e fissata da lui soltanto nella sua raffigurazione sordidamente giudaica. Pertanto egli non concepisce l'importanza dell'attività "rivoluzionaria", dell'attività pratico-critica.
II.
La questione se al pensiero umano appartenga una verità oggettiva non è una questione teorica, ma pratica. E' nell'attività pratica che l'uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere terreno del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non-realtà di un pensiero che si isoli dalla pratica è una questione puramente scolastica.
III.
La dottrina materialistica che gli uomini sono prodotti dell'ambiente e dell'educazione, e che pertanto uomini mutati sono prodotti di un altro ambiente e di una mutata educazione, dimentica che sono proprio gli uomini che modificano l'ambiente e che l'educatore stesso deve essere educato. Essa perciò giunge necessariamente a scindere la società in due parti, una delle quali sta al di sopra della società (per esempio in Roberto Owen).
La coincidenza nel variare dell'ambiente e dell'attività umana può solo essere concepita e compresa razionalmente come pratica rivoluzionaria.
IV.
Feuerbach prende le mosse dal fatto che la religione rende l'uomo estraneo a se stesso e sdoppia il mondo in un mondo religioso immaginario, e in un mondo reale. Il suo lavoro consiste nel dissolvere il mondo religioso nella sua base mondana. Egli non si accorge che, compiuto questo lavoro, la cosa principale rimane ancora da fare. Il fatto stesso che la base mondana si distacca da se stessa e si stabilisce nelle nuvole come regno indipendente non si può spiegare se non colla dissociazione interna e colla contraddizione di questa base mondana con se stessa. Questa deve pertanto essere compresa prima di tutto nella sua contraddizione e poi, attraverso la rimozione della contraddizione, rivoluzionata praticamente. Così, per esempio, dopo che si è scoperto che la famiglia terrena è il segreto della sacra famiglia, è la prima che deve essere criticata teoricamente e sovvertita nella pratica.
V.
Feuerbach, non contento del pensiero astratto, fa appello all'intuizione sensibile; ma egli non concepisce il sensibile come attività pratica, come attività sensibile umana.
VI.
Feuerbach risolve l'essere religioso nell'essere umano. Ma l'essere umano non è un'astrazione immanente all'individuo singolo. Nella sua realtà, esso è l'insieme dei rapporti sociali.
Feuerbach, che non s'addentra nella critica di questo essere reale, è perciò costretto:
a fare astrazione dal corso della storia, a fissare il sentimento religioso per sé e a presupporre un individuo umano astratto, isolato;
per lui perciò l'essere umano può essere concepito solo come "specie", come generalità interna, muta, che unisce in modo puramente naturale la molteplicità degli individui.
VII.
Perciò Feuerbach non vede che il "sentimento religioso" è anch'esso un prodotto sociale e che l'individuo astratto, che egli analizza, in realtà appartiene a una determinata forma sociale.
VIII.
La vita sociale è essenzialmente pratica. Tutti i misteri che sviano la teoria verso il misticismo trovano la loro soluzione razionale nella attività pratica umana e nella comprensione di questa attività pratica.
IX.
L'altezza massima a cui può arrivare il materialismo intuitivo, cioè il materialismo che non concepisce il mondo sensibile come attività pratica, è l'intuizione dei singoli individui nella "società borghese".
X.
Il punto di vista del vecchio materialismo è la società "borghese"; il punto di vista del nuovo materialismo è la società umana, o l'umanità socializzata.
XI.
I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo.
«Je ne suis pas marxiste»
Non c’è quasi aspetto della vita e degli scritti di Marx e di Engels che non sia stato sottoposto a un sistematico lavorìo di “fraintendimento”, ovvero a una oculata manipolazione e scientifica falsificazione. [...]
Prendiamo un esempio molto semplice, banale, innocuo: “la religione è l’oppio dei popoli”. La frase in sé esprime già un senso compiuto, una sua ragione; si tratta però di un concetto che non va oltre una dichiarazione di blando e innocuo ateismo; detta così può sembrare una boutade. Marx invece era un pensatore potente e solo nel suo contesto la metafora marxiana acquista valore autentico di critica religiosa e sociale insieme:
«La miseria religiosa è insieme l'espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale. La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l'oppio del popolo. Eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo vuol dire esigerne la felicità reale».
Ci sono però frasi attribuite a Marx il cui spaccio, sic et simpliciter, perde la sua innocuità per assumere la rilevanza della proditoria falsificazione, come nella notissima sentenza: «io non sono marxista». Privata del suo contesto esplicativo, il giochino di attribuire alla frasetta un significato assai diverso da quello che essa in realtà allude nell’ambito storico in cui è stata pronunciata e poi riferita, diventa facile e non c’è nulla di più adatto a favorire il successo del pettegolezzo di una calunnia verosimile.
La frase venne riferita da Engels. In quale contesto e con quale autentico significato? I leader del movimento rivoluzionario francese, cioè Malon e Brusse (possibilisti), da un lato, Guesde e Lafargue (collettivisti), dall'altro, tendevano verso strategie politiche che Marx ed Engels non condividevano appieno, specie per quanto riguarda certe "teorizzazioni".
Marx si espresse, esasperato, polemicamente contro tale strategia del partito operaio francese.
Di tale esasperazione e contrarietà si fece testimone Engels in una lettera a Eduard Bernstein, datata 2-3 novembre 1882, nella quale dice testualmente:
«Riguardo alla Sua reiterata affermazione che il “marxismo” in Francia soffrirebbe di notevole discredito, Lei non ha altra fonte che un Malon di seconda mano [sottolineatura di Engels; per un resoconto sulle falsificazioni di Malon, cfr. lettera di E. del 28 nov. 1882]. Ora, ciò che in Francia va sotto il nome di “marxismo” è in effetti un prodotto del tutto particolare, tanto che una volta Marx ha detto a Lafaurge: “ce qu’il y a de certain c’est que moi, je ne suis pas marxiste”.
Quindi Marx prese le distanze dal marxismo “particolare” di alcuni esponenti del Partito operaio francese. Ma attenzione, contro Malon e Brusse piuttosto che contro Guesde e Lafargue (anche se a questi ultimi rimprovera certe "stupidaggini"). Il 15 febbraio di quello stesso anno Marx aveva avuto un lungo colloquio a Parigi con Guesde e altri sulle questioni relative al movimento operaio francese. Poi lo rincontra nell’estate, così come avrà in quel periodo diversi colloqui con Lafarurge su quei temi. Insomma, Marx ed Engels erano dalla parte di Geusde e Lafargue, anche se non ne condividevano spesso le "stupidaggini bakuniniste" (la corrispondenza 1880-1883 ne è testimoniaza copiosa). In particolare per quanto riguarda il "terrorismo del futuro" di Guesde, "che durerà finché l'inchiostro della stampa non avrà ghigliottinato anche l'ultimo oppressore borghese", scriveva Marx ironicamente nella lettera alla figlia Laura del 13 aprile 1882.
Inoltre, ciò posto, la ribalderia dei falsificatori del marxismo si guarda bene di prendere nota anche di quanto dice Engels in una lettera allo stesso Bernestein il 25 ottobre dell’anno prima:
«Le sono molto grato di avermi scritto […] ciò mi dà l’occasione di spiegarLe la posizione di Marx e quindi, in seconda battuta, anche la mia riguardo al movimento operaio francese […] se a Parigi Guesde e Lafargue vogliono per forza crearsi la fama di tueurs de journaux, noi non possiamo certo impedirlo, ma neanche faremo di più. […] Il fatto, che i nostri amici francesi che vogliono fondare il Parti ouvrier, tutti senza eccezione, da 12-15 mesi non fanno che prendere una cantonata dopo l’altra […].
Sono quelli del Prolétaire a sostenere che Guesde e Lafargue sarebbero il portavoce di Marx […] È vero, tuttavia, che Guesde è venuto qua da noi quando si è posto il problema di redigere una bozza di programma per il Partito operaio francese. […] sono stati poi discussi gli altri contenuti del programma; abbiamo aggiunto qualcosa e qualcos’altro abbiamo tolto, ma, riguardo all’essere Guesde il portavoce di Marx, quanto poco ciò corrisponda al vero, risulta evidente dal fatto che egli abbia insistito per includere quella sua stupidaggine sul minimum du salaire e, non essendo noi i responsabili della cosa, bensì i francesi alla fine glielo abbiamo concesso, sebbene anch’egli ne abbia ammesso l’assurdità teorica.
[…] L’atteggiamento di Marx, e dunque anche il mio, nei confronti dei francesi è lo stesso che verso gli altri movimenti nazionali. Siamo continuamente in contatto con loro, fin quando ne vale la pena e ce n’è l’occasione, ma ogni tentativo di influenzare la volontà di queste persone ci danneggerebbe soltanto e distruggerebbe l’antica fiducia del periodo dell’Internazionale. E, inoltre, abbiamo troppa esperienza in revolutionaribus rebus per farlo.
Pertanto, l’atteggiamento di Marx e di Engels verso i “marxismi” nazionali è sì quello della collaborazione, ma anche della non interferenza, secondo il richiamato spirito dell’Internazionale. Nella specie, se il “marxismo” dei francesi è quello del compromesso di Malon e Brusse, ma anche delle “cantonate” e delle “stupidaggini” di Guesde e Lafargue, essi non se ne faranno carico, e in tal senso, come scrive Engels nella prima lettera, non sono responsabili e non si sentono coinvolti in quel genere “particolare” di "marxismo".
Il seguito si può leggere cliccando qui:
Nel suo libro, Bentornato Marx (1), Diego Fusaro, nel quarto capitolo della prima parte, a pagina 30, inserisce in esergo questa citazione: «Tutto quello che so è di non essere marxista» (Karl Marx). Nessuna indicazione bibliografica. Poi, invece, nel tentativo di dimostrare che Marx «non è affatto il fondatore della dottrina storicamente rubricata sotto la voce “marxismo”», a pagina 39 scrive:
«Pochi anni dopo [Marx], di fronte alle vicende del movimento che a lui si richiamava (benché egli si occupasse ormai più di studi antropologici ed etnologici che di attivismo politico), ebbe modo di pronunciare un’altra frase rivelatrice della sua distanza da ogni orizzonte teorico e pratico improntato a una visione dogmatica: “tutto quello che so è di non essere marxista” (“Alles, was ich weiß, ist, dass ich kein Marxist bin”)».
Le "TESI SU FEUERBACH" di MARX del 1845.
Da sapere a memoria:
I.
Il difetto principale di ogni materialismo fino ad oggi, compreso quello di Feuerbach, è che l'oggetto, il reale, il sensibile è concepito solo sotto la forma di oggetto o di intuizione; ma non come attività umana sensibile, come attività pratica, non soggettivamente. E' accaduto quindi che il lato attivo è stato sviluppato dall'idealismo in contrasto col materialismo, ma solo in modo astratto, poiché naturalmente l'idealismo ignora l'attività reale, sensibile come tale. Feuerbach vuole oggetti sensibili realmente distinti dagli oggetti del pensiero; ma egli non concepisce l'attività umana stessa come attività oggettiva. Perciò nell'Essenza del cristianesimo egli considera come schiettamente umano solo il modo di procedere teorico, mentre la pratica è concepita e fissata da lui soltanto nella sua raffigurazione sordidamente giudaica. Pertanto egli non concepisce l'importanza dell'attività "rivoluzionaria", dell'attività pratico-critica.
II.
La questione se al pensiero umano appartenga una verità oggettiva non è una questione teorica, ma pratica. E' nell'attività pratica che l'uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere terreno del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non-realtà di un pensiero che si isoli dalla pratica è una questione puramente scolastica.
III.
La dottrina materialistica che gli uomini sono prodotti dell'ambiente e dell'educazione, e che pertanto uomini mutati sono prodotti di un altro ambiente e di una mutata educazione, dimentica che sono proprio gli uomini che modificano l'ambiente e che l'educatore stesso deve essere educato. Essa perciò giunge necessariamente a scindere la società in due parti, una delle quali sta al di sopra della società (per esempio in Roberto Owen).
La coincidenza nel variare dell'ambiente e dell'attività umana può solo essere concepita e compresa razionalmente come pratica rivoluzionaria.
IV.
Feuerbach prende le mosse dal fatto che la religione rende l'uomo estraneo a se stesso e sdoppia il mondo in un mondo religioso immaginario, e in un mondo reale. Il suo lavoro consiste nel dissolvere il mondo religioso nella sua base mondana. Egli non si accorge che, compiuto questo lavoro, la cosa principale rimane ancora da fare. Il fatto stesso che la base mondana si distacca da se stessa e si stabilisce nelle nuvole come regno indipendente non si può spiegare se non colla dissociazione interna e colla contraddizione di questa base mondana con se stessa. Questa deve pertanto essere compresa prima di tutto nella sua contraddizione e poi, attraverso la rimozione della contraddizione, rivoluzionata praticamente. Così, per esempio, dopo che si è scoperto che la famiglia terrena è il segreto della sacra famiglia, è la prima che deve essere criticata teoricamente e sovvertita nella pratica.
V.
Feuerbach, non contento del pensiero astratto, fa appello all'intuizione sensibile; ma egli non concepisce il sensibile come attività pratica, come attività sensibile umana.
VI.
Feuerbach risolve l'essere religioso nell'essere umano. Ma l'essere umano non è un'astrazione immanente all'individuo singolo. Nella sua realtà, esso è l'insieme dei rapporti sociali.
Feuerbach, che non s'addentra nella critica di questo essere reale, è perciò costretto:
a fare astrazione dal corso della storia, a fissare il sentimento religioso per sé e a presupporre un individuo umano astratto, isolato;
per lui perciò l'essere umano può essere concepito solo come "specie", come generalità interna, muta, che unisce in modo puramente naturale la molteplicità degli individui.
VII.
Perciò Feuerbach non vede che il "sentimento religioso" è anch'esso un prodotto sociale e che l'individuo astratto, che egli analizza, in realtà appartiene a una determinata forma sociale.
VIII.
La vita sociale è essenzialmente pratica. Tutti i misteri che sviano la teoria verso il misticismo trovano la loro soluzione razionale nella attività pratica umana e nella comprensione di questa attività pratica.
IX.
L'altezza massima a cui può arrivare il materialismo intuitivo, cioè il materialismo che non concepisce il mondo sensibile come attività pratica, è l'intuizione dei singoli individui nella "società borghese".
X.
Il punto di vista del vecchio materialismo è la società "borghese"; il punto di vista del nuovo materialismo è la società umana, o l'umanità socializzata.
XI.
I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo.