Le persone sensibili sono parecchio vulnerabili; e più sei vulnerabile, più verrai brutalizzato, e che ti coprirai di cicatrici. Rischi di non evolvere mai, di non permetterti di sentire più nulla, perchè hai sempre sentito troppo.
Marlon Brandon intervistato da Truman Capote, 1957 Kyoto, Giappone.
«Ogni volta che cambiamo marca di sigarette, traslochiamo in una nuova casa, ci abboniamo a un altro giornale, ci innamoriamo e ci disinnamoriamo, in realtà non facciamo che protestare in modo più o meno frivolo contro l’insormontabile noia della vita quotidiana. Purtroppo però tutti gli specchi sono bugiardi, e a un certo punto, ci rimandano la solita faccia vuota e insoddisfatta: perciò mentre si domandava cosa aveva fatto, in realtà Grady si domandava cosa stava facendo, come al solito».
Truman Capote, “Incontro d’estate”
Incipit.
Quando ho sentito parlare per la prima volta dell’arpa d’erba?
Molto tempo prima di quell’autunno in cui andammo ad abitare sul sicomoro. In un autunno molto remoto, dunque; e certo fu Dolly a parlarmene, perché nessun altro avrebbe pensato a quel nome: arpa d’erba. Se, uscendo dalla città, imboccate la strada della chiesa, rasenterete di lì a poco una abbagliante collina di pietre candide come ossa e di scuri fiori riarsi: è il cimitero Battista. Vi sono sepolti i membri della nostra famiglia, i Talbo, i Fenwick. Mia madre riposa accanto a mio padre e le tombe dei parenti e degli affini, venti o più, sono disposte intorno a loro come radici prone di un albero di pietra. Sotto la collina si stende un campo di alta saggina, che muta di colore ad ogni stagione; andate a vederlo in autunno, nel tardo settembre, quando diventa rosso come il tramonto, mentre riflessi scarlatti simili a falò ondeggiano su di esso e i venti dell’autunno battono sulle foglie secche evocando il sospiro di una musica umana, di un’arpa di voci. Al di là del campo le tenebre del Bosco del Fiume. Fu certo in una giornata di settembre, mentre raccoglievano radici nel bosco, che Dolly disse: “Senti? E’ l’arpa d’erba, che racconta qualche storia. Conosce la storia di tutta la gente della collina, di tutta la gente che è vissuta, e quando saremo morti racconterà anche la nostra”.
Truman Capote, L’arpa d’erba. Incipit.
Fu certo in una giornata di settembre, mentre raccoglievamo radici nel bosco, che Dolly disse: “Senti? E’ l’arpa d’erba, che racconta qualche storia. Conosce la storia di tutta la gente della collina, di tutta la gente che è vissuta, e quando saremo morti racconterà anche la nostra.
Truman Capote, L’arpa d’erba, pag. 1
Voglio ammetterlo: credo che sia un sogno, Miss Verena.
Ma un uomo che non sogna è come un uomo che non suda:
accumula in sé riserve di veleno.
Truman Capote, L’arpa d’erba, pag. 98
Ho mai avuto una possibilità di scelta? Ecco che cosa voglio: scegliere.
Sapere che avrei potuto avere un’altra vita, imperniata su decisioni prese esclusivamente da me.
Questo mi rappacificherebbe, davvero.
Truman Capote, L’arpa d’erba
ma forse, quando si può dire ogni cosa, non c'è più nulla da dire.
Truman Capote, L’arpa d’erba.
Non è necessario essere morti. A casa, in cucina, c’è un geranio che fiorisce di continuo.
Ma ci sono piante che fioriscono una volta sola, se pure fioriscono, e poi più nulla accade loro. Vivono, ma hanno avuto la loro vita.
Truman Capote, L’arpa d’erba.
se un mago volesse farmi un dono,
dovrebbe darmi una bottiglia piena delle voci di quella cucina:
i nostri "ah, ah, ah" e i crepitii del fuoco.
Truman Capote, L’arpa d’erba.
"(...) -Si direbbe, in un certo qual modo,
che io non possa tirare avanti senza un'altra vita che mi scalci sotto il cuore:
mi sento terribilmente apatica altrimenti.
Truman Capote, L’arpa d’erba.
"Mi sento sempre attratto dai posti dove sono vissuto, le case e i loro dintorni.
Per esempio, nella Settantesima Est c'è un edificio di pietra grigia dove, al principio della guerra, ho avuto il mio primo appartamento newyorchese.
Era una stanza sola affollata di mobili di scarto, un divano e alcune poltrone paffute, ricoperte di quel particolare velluto rosso e pruriginoso che ricolleghiamo alle giornate d'afa in treno. Le pareti erano a stucco, di un colore che ricordava uno sputo tabaccoso. Dappertutto, perfino in bagno, c'erano stampe di rovine romane, molto vecchie e tempestate di puntolini scuri.
L'unica finestra dava sulla scala di sicurezza. Ma, anche così, mi si rialzava il morale ogni volta che mi sentivo in tasca la chiave del mio appartamento; per triste che fosse, era un posto mio, il primo, e lì c'erano i miei libri, i barattoli pieni di matite da temperare, tutto quello che mi occorreva (o così almeno pensavo) per diventare lo scrittore che volevo diventare."
[Incipit di 'Colazione da Tiffany' di Truman Capote, nato il 30 settembre 1924]
Abitavo nella casa da circa una settimana quando notai che la casella dell’appartamento numero due era contrassegnata da un bigliettino perlomeno strano. Stampato con una certa eleganza formale, il biglietto diceva: Signorina Holiday Golightly, e sotto, in un angolo: in transito. Cominciò a perseguitarmi come una canzonetta: Signorina Holiday Golightly, in transito.
La signorina aveva un gatto, e suonava la chitarra.
Nei giorni in cui il sole picchiava forte si lavava i capelli, poi, assieme al gatto, un maschio rosso tigrato, si metteva a sedere sulla scala di soccorso a pizzicare la chitarra mentre i capelli asciugavano. Ogni volta che sentivo la musica, andavo a mettermi in silenzio accanto alla finestra. Suonava molto bene, e qualche volta cantava. Cantava con il timbro rauco, incerto di un adolescente. Conosceva tutti i grandi successi, Cole Porter e Kurt Weill; le piacevano soprattutto le arie di Oklahoma! che erano nuove quell’estate e che si sentivano dappertutto. Ma c’erano momenti in cui cantava cose che vi facevano domandare dove poteva averle imparate, o da dove mai potevano venire. Strane arie dolci-amare con parole che sapevano di pini e di prateria. Una diceva: Don’t wanna sleep, Don’t wanna die, Just wanna go atravelin’ trough the pastures of the sky; e questa sembrava piacerle più delle altre, perché continuava a ripeterla anche quando i capelli erano già asciutti, anche quando il sole era tramontato e le finestre si illuminavano nel crepuscolo.
Colazione da Tiffany
Osservando il cestino dei rifiuti davanti alla sua porta, scoprii che le sue normali letture consistevano in giornali scandalistici, volantini di viaggio e oroscopi, che fumava strane sigarette di nome Picayune, che si nutriva a base di ricotta e melba toast; che i suoi capelli multicolori avevano, in un certo senso, un'origine volontaria. La stessa fonte m'informò che la signorina riceveva lettere di militari a sacchi. Erano sempre strappate a strisce, come segnalibri. Qualche volta, mentre passavo, prelevavo un segnalibro. Ricordo, la tua mancanza, pioggia, ti prego di scrivere, accidenti e maledizione erano le parole che ricorrevano più di frequente, insieme a solitario e amore.
Truman Capote, Colazione da Tiffany
Perché non passiamo la giornata a fare cose mai fatte prima?
Colazione da Tiffany
In qualunque parte del mondo tu cerchi di fuggire,
finirai sempre per imbatterti in te stesso.
Colazione da Tiffany
-Non graffia?
-Macchè! Lui è buono, vero, Gatto? Su, vieni qua, povero amore, povero amore senza nome… ma io penso che non ho il diritto di dargli un nome… perché in fondo noi due non ci apparteniamo, è stato un incontro casuale. E poi non voglio possedere niente, finché non avrò trovato un posto che mi vada a genio… non so ancora dove sarà, ma so com’è. È come Tiffany!
-Tiffany? Tiffany il gioielliere?
-Appunto. Io vado pazza per Tiffany… specie in quei giorni in cui mi prendono le paturnie.
-Vuol dire quando è triste?
No, uno è triste perché si accorge che sta ingrassando o perché piove, ma è diverso. No, le paturnie sono orribili, è come un’ improvvisa paura di non si sa che. È mai capitato a lei?
-Beh, certo.
-In questi casi mi resta solo una cosa da fare: prendere un taxi e correre da Tiffany. È un posto che mi calma subito. Quel silenzio e quell’aria solenne. Li non può accaderti niente di brutto. Se io trovassi un posto a questo mondo che mi facesse sentire come da Tiffany… comprerei i mobili e darei al gatto un nome!
Audrey Hepburn - Colazione da Tiffany
“Lui è buono, vero, Gatto? Su, vieni qua, povero amore, povero amore senza nome…
ma io penso che non ho il diritto di dargli un nome… perché in fondo noi due non ci apparteniamo, è stato un incontro casuale. E poi non voglio possedere niente, finché non avrò trovato un posto che mi vada a genio… non so ancora dove sarà, ma so com'è”
Colazione da Tiffany
“Ecco perché mi piace venire da Tiffany per l'atmosfera tranquilla e serena che si respira non per i gioielli, sinceramente a me non piacciono i gioielli, ma solo i diamanti!”
-Io vado pazza per Tiffany: specie in quei giorni in cui mi prendono le paturnie.
-Vuoi dire quando è triste?
-No… Uno è triste perché si accorge che sta ingrassando, o perché piove. Ma è diverso.
No, le paturnie sono orribili: è come un'improvvisa paura di non si sa che. È mai capitato a Lei?
Colazione da Tiffany
« (…) Non voglio possedere niente finché non avrò trovato un posto dove io e le cose faremo un tutto unico. Non so ancora precisamente dove sarà. Ma so com’è.» Sorrise e lasciò cadere il gatto sul pavimento. «È come da Tiffany,» disse. «Non che me ne freghi niente dei gioielli. I brillanti, sì. Ma è cafone portare brillanti prima dei quaranta, ed è anche pericoloso. (…) Ma non è per questo che vado pazza per Tiffany. Sapete quei giorni, quando vi prendono le paturnie?» (…)
« (…) le paturnie sono orribili. Si ha paura, si suda maledettamente, ma non si sa di cosa si ha paura. Ma che cosa fate, voi, in questi casi?” (…)
“Be’, un bicchierino aiuta”
“Ci ho provato. Ho provato anche l'aspirina.
Secondo Rusty, dovrei fumare marijuana, e l'ho fumata per un po’, ma mi fa soltanto ridacchiare.
(…) Mi sono accorta che per sentirmi meglio mi basta prendere un taxi e farmi portare da Tiffany. È una cosa che mi calma subito, quel silenzio e quell’aria superba: non ci può capitare niente di brutto là dentro, non con quei cortesi signori vestiti così bene, con quel simpatico odore d’argento e di portafogli di coccodrillo. Se riuscissi a trovare un posto vero e concreto dove abitare che mi desse le medesime sensazioni di Tiffany, allora comprerei un po’ di mobili e darei un nome al gatto.»
Truman Capote, Colazione da Tiffany
Quello che è certo è che avevo sbagliato nel classificarlo.
Pensavo che fosse un verme. Invece è un super verme, ecco.
Un super verme, sotto spoglie di verme.
Colazione da Tiffany
Non sono capace di leggere un messaggio triste senza prima mettermi il rossetto.
Colazione da Tiffany
“Non amate mai una creatura selvatica, signor Bell”, lo ammonì Holly.
“È stato questo lo sbaglio di Doc. Si portava sempre a casa qualche bestiola selvatica.
Un falco con un’ala spezzata. E una volta un gatto con una zampa rotta.
Ma non si può dare il proprio cuore a una creatura selvatica;
più le si vuole bene più diventa ribelle.
Finché diventa abbastanza forte da scappare nei boschi. O da volare su un albero.
Poi su un albero più alto. Poi in cielo.
E sarà questa la vostra fine, signor Bell,
se vi concederete il lusso di amare una creatura selvatica.
Finirete per guardare il cielo”.
Colazione da Tiffany
Perché non importa dove corri,
finirai sempre per imbatterti in te stessa.
Colazione da Tiffany
Sono una randagia che non appartiene a nessuno e a cui nessuno appartiene… [...]
Non lo so chi sono. Io e il mio gatto siamo due randagi senza nome,
che non appartengono a nessuno e a cui nessuno appartiene: ecco qual è la verità.
Audrey Hepburn, Colazione da Tiffany
— Sono innamorato di te.
— E poi?
— Come? E poi basta.
Colazione da Tiffany
— Io ti amo e tu mi appartieni.
— Oh no, nessuno appartiene a un altro.
Colazione da Tiffany
«E, a un tratto, accadde.
Mentre guardavo i colori sfumati dei capelli di Holly
balenare nella luce rosso-gialla delle foglie,
l’amai abbastanza da dimenticare me stesso,
le mie disperazioni egoistiche e da essere contento
perché stava per succedere qualcosa
che lei pensava felice»
Truman Capote, “Colazione da Tiffany”
Marlon Brandon intervistato da Truman Capote, 1957 Kyoto, Giappone.
«Ogni volta che cambiamo marca di sigarette, traslochiamo in una nuova casa, ci abboniamo a un altro giornale, ci innamoriamo e ci disinnamoriamo, in realtà non facciamo che protestare in modo più o meno frivolo contro l’insormontabile noia della vita quotidiana. Purtroppo però tutti gli specchi sono bugiardi, e a un certo punto, ci rimandano la solita faccia vuota e insoddisfatta: perciò mentre si domandava cosa aveva fatto, in realtà Grady si domandava cosa stava facendo, come al solito».
Truman Capote, “Incontro d’estate”
Incipit.
Quando ho sentito parlare per la prima volta dell’arpa d’erba?
Molto tempo prima di quell’autunno in cui andammo ad abitare sul sicomoro. In un autunno molto remoto, dunque; e certo fu Dolly a parlarmene, perché nessun altro avrebbe pensato a quel nome: arpa d’erba. Se, uscendo dalla città, imboccate la strada della chiesa, rasenterete di lì a poco una abbagliante collina di pietre candide come ossa e di scuri fiori riarsi: è il cimitero Battista. Vi sono sepolti i membri della nostra famiglia, i Talbo, i Fenwick. Mia madre riposa accanto a mio padre e le tombe dei parenti e degli affini, venti o più, sono disposte intorno a loro come radici prone di un albero di pietra. Sotto la collina si stende un campo di alta saggina, che muta di colore ad ogni stagione; andate a vederlo in autunno, nel tardo settembre, quando diventa rosso come il tramonto, mentre riflessi scarlatti simili a falò ondeggiano su di esso e i venti dell’autunno battono sulle foglie secche evocando il sospiro di una musica umana, di un’arpa di voci. Al di là del campo le tenebre del Bosco del Fiume. Fu certo in una giornata di settembre, mentre raccoglievano radici nel bosco, che Dolly disse: “Senti? E’ l’arpa d’erba, che racconta qualche storia. Conosce la storia di tutta la gente della collina, di tutta la gente che è vissuta, e quando saremo morti racconterà anche la nostra”.
Truman Capote, L’arpa d’erba. Incipit.
Stiamo parlando di amore. Una foglia, una foglia, una manciata di semi...comincia con queste cose, impara che cosa sia amare. Prima una foglia o uno scroscio di pioggia...poi qualcuno per ricevere ciò che una foglia ti ha insegnato, ciò che uno scroscio di pioggia ha fatto maturare. Non è un processo facile, intendimi; potrebbe richiedere un'intera vita, come è accaduto a me. E pure non sono mai riuscito a padroneggiarlo. So soltanto questo: che l'amore è una catena di amore, come la natura è una catena di vita.
Truman Capote, L’arpa d’erba.
Charlie ha detto che l'amore è una catena di amore.
Spero che tu l'abbia ascoltato e compreso.
Perchè quando tu ami una cosa, tu puoi amarne un'altra, e questo è possedere,
questo è qualcosa per cui vale la pena di vivere
Truman Capote, L’arpa d’erba.
Lei era per lui quel che nessuno è stato per me:
l'unica persona al mondo alla quale nulla si cela (...).
Intendo una persona a cui si può dire tutto.
Oh, quanta energia consumiamo per nasconderci gli uni agli altri,
timorosi come siamo di essere identificati
Truman Capote, L’arpa d’erba, p.47
"In tutti questi anni, né vi ho conosciuta né ho ravvisato,
come è avvenuto oggi, la vostra vera natura. Voi siete uno spirito, una pagana..."
"Una pagana? chiese Dolly, allarmata ma interessata.
"Uno spirito allora, una creatura che non può essere giudicata con i soli occhi.
Gli spiriti accettano la vita così com'è, ne ammettono le discriminazioni
e di conseguenza sono sempre nei guai.
Truman Capote, L’arpa d’erba.
Vergogna.
Come potete esservi allontanata da Dio
al punto di sedere su un albero come una qualsiasi..."
"Sgualdrina", suggerì la signora Macy Wheeler [...]
"Riflettete un istante, signora Buster,
e vi renderete conto che noi siamo più vicini a Dio di voi. Di diversi metri.
Truman Capote, L’arpa d’erba.
Come potete esservi allontanata da Dio
al punto di sedere su un albero come una qualsiasi..."
"Sgualdrina", suggerì la signora Macy Wheeler [...]
"Riflettete un istante, signora Buster,
e vi renderete conto che noi siamo più vicini a Dio di voi. Di diversi metri.
Truman Capote, L’arpa d’erba.
Fu certo in una giornata di settembre, mentre raccoglievamo radici nel bosco, che Dolly disse: “Senti? E’ l’arpa d’erba, che racconta qualche storia. Conosce la storia di tutta la gente della collina, di tutta la gente che è vissuta, e quando saremo morti racconterà anche la nostra.
Truman Capote, L’arpa d’erba, pag. 1
Voglio ammetterlo: credo che sia un sogno, Miss Verena.
Ma un uomo che non sogna è come un uomo che non suda:
accumula in sé riserve di veleno.
Truman Capote, L’arpa d’erba, pag. 98
Sapere che avrei potuto avere un’altra vita, imperniata su decisioni prese esclusivamente da me.
Questo mi rappacificherebbe, davvero.
Truman Capote, L’arpa d’erba
ma forse, quando si può dire ogni cosa, non c'è più nulla da dire.
Truman Capote, L’arpa d’erba.
Non è necessario essere morti. A casa, in cucina, c’è un geranio che fiorisce di continuo.
Ma ci sono piante che fioriscono una volta sola, se pure fioriscono, e poi più nulla accade loro. Vivono, ma hanno avuto la loro vita.
Truman Capote, L’arpa d’erba.
se un mago volesse farmi un dono,
dovrebbe darmi una bottiglia piena delle voci di quella cucina:
i nostri "ah, ah, ah" e i crepitii del fuoco.
Truman Capote, L’arpa d’erba.
"(...) -Si direbbe, in un certo qual modo,
che io non possa tirare avanti senza un'altra vita che mi scalci sotto il cuore:
mi sento terribilmente apatica altrimenti.
Truman Capote, L’arpa d’erba.
Ho letto che il passato e il futuro sono una spirale, ogni giro della quale contiene il seguente e ne annuncia il tema. Forse è così: ma la mia vita mi è sembrata più che altro una serie di circoli chiusi, di anelli che non si svolgono con la libertà di una spirale: per me passare dall'uno all'altro ha sempre comportato un salto, non una transizione inavvertita. Soprattutto mi turba quell'attimo di quiete in cui non si sa ancora dove il salto ci condurrà.
Truman Capote, L’arpa d’erba, pag. 112
I suoi occhi, simili ghiande, scrutavano le foglie bordate di cielo, mosse dalla brezza:
«Può darsi che non ci sia posto per nessuno di noi.
Ma noi sappiamo che un posto c'è, in qualche luogo;
e se lo lo trovassimo, se potessimo viverci solo un momento,
potremmo sentirci dei privilegiati.
Truman Capote, L’arpa d’erba.
"Mi sento sempre attratto dai posti dove sono vissuto, le case e i loro dintorni.
Per esempio, nella Settantesima Est c'è un edificio di pietra grigia dove, al principio della guerra, ho avuto il mio primo appartamento newyorchese.
Era una stanza sola affollata di mobili di scarto, un divano e alcune poltrone paffute, ricoperte di quel particolare velluto rosso e pruriginoso che ricolleghiamo alle giornate d'afa in treno. Le pareti erano a stucco, di un colore che ricordava uno sputo tabaccoso. Dappertutto, perfino in bagno, c'erano stampe di rovine romane, molto vecchie e tempestate di puntolini scuri.
L'unica finestra dava sulla scala di sicurezza. Ma, anche così, mi si rialzava il morale ogni volta che mi sentivo in tasca la chiave del mio appartamento; per triste che fosse, era un posto mio, il primo, e lì c'erano i miei libri, i barattoli pieni di matite da temperare, tutto quello che mi occorreva (o così almeno pensavo) per diventare lo scrittore che volevo diventare."
[Incipit di 'Colazione da Tiffany' di Truman Capote, nato il 30 settembre 1924]
Abitavo nella casa da circa una settimana quando notai che la casella dell’appartamento numero due era contrassegnata da un bigliettino perlomeno strano. Stampato con una certa eleganza formale, il biglietto diceva: Signorina Holiday Golightly, e sotto, in un angolo: in transito. Cominciò a perseguitarmi come una canzonetta: Signorina Holiday Golightly, in transito.
La signorina aveva un gatto, e suonava la chitarra.
Nei giorni in cui il sole picchiava forte si lavava i capelli, poi, assieme al gatto, un maschio rosso tigrato, si metteva a sedere sulla scala di soccorso a pizzicare la chitarra mentre i capelli asciugavano. Ogni volta che sentivo la musica, andavo a mettermi in silenzio accanto alla finestra. Suonava molto bene, e qualche volta cantava. Cantava con il timbro rauco, incerto di un adolescente. Conosceva tutti i grandi successi, Cole Porter e Kurt Weill; le piacevano soprattutto le arie di Oklahoma! che erano nuove quell’estate e che si sentivano dappertutto. Ma c’erano momenti in cui cantava cose che vi facevano domandare dove poteva averle imparate, o da dove mai potevano venire. Strane arie dolci-amare con parole che sapevano di pini e di prateria. Una diceva: Don’t wanna sleep, Don’t wanna die, Just wanna go atravelin’ trough the pastures of the sky; e questa sembrava piacerle più delle altre, perché continuava a ripeterla anche quando i capelli erano già asciutti, anche quando il sole era tramontato e le finestre si illuminavano nel crepuscolo.
Colazione da Tiffany
Osservando il cestino dei rifiuti davanti alla sua porta, scoprii che le sue normali letture consistevano in giornali scandalistici, volantini di viaggio e oroscopi, che fumava strane sigarette di nome Picayune, che si nutriva a base di ricotta e melba toast; che i suoi capelli multicolori avevano, in un certo senso, un'origine volontaria. La stessa fonte m'informò che la signorina riceveva lettere di militari a sacchi. Erano sempre strappate a strisce, come segnalibri. Qualche volta, mentre passavo, prelevavo un segnalibro. Ricordo, la tua mancanza, pioggia, ti prego di scrivere, accidenti e maledizione erano le parole che ricorrevano più di frequente, insieme a solitario e amore.
Truman Capote, Colazione da Tiffany
Perché non passiamo la giornata a fare cose mai fatte prima?
Colazione da Tiffany
In qualunque parte del mondo tu cerchi di fuggire,
finirai sempre per imbatterti in te stesso.
Colazione da Tiffany
-Non graffia?
-Macchè! Lui è buono, vero, Gatto? Su, vieni qua, povero amore, povero amore senza nome… ma io penso che non ho il diritto di dargli un nome… perché in fondo noi due non ci apparteniamo, è stato un incontro casuale. E poi non voglio possedere niente, finché non avrò trovato un posto che mi vada a genio… non so ancora dove sarà, ma so com’è. È come Tiffany!
-Tiffany? Tiffany il gioielliere?
-Appunto. Io vado pazza per Tiffany… specie in quei giorni in cui mi prendono le paturnie.
-Vuol dire quando è triste?
No, uno è triste perché si accorge che sta ingrassando o perché piove, ma è diverso. No, le paturnie sono orribili, è come un’ improvvisa paura di non si sa che. È mai capitato a lei?
-Beh, certo.
-In questi casi mi resta solo una cosa da fare: prendere un taxi e correre da Tiffany. È un posto che mi calma subito. Quel silenzio e quell’aria solenne. Li non può accaderti niente di brutto. Se io trovassi un posto a questo mondo che mi facesse sentire come da Tiffany… comprerei i mobili e darei al gatto un nome!
Audrey Hepburn - Colazione da Tiffany
“Lui è buono, vero, Gatto? Su, vieni qua, povero amore, povero amore senza nome…
ma io penso che non ho il diritto di dargli un nome… perché in fondo noi due non ci apparteniamo, è stato un incontro casuale. E poi non voglio possedere niente, finché non avrò trovato un posto che mi vada a genio… non so ancora dove sarà, ma so com'è”
Colazione da Tiffany
“Ecco perché mi piace venire da Tiffany per l'atmosfera tranquilla e serena che si respira non per i gioielli, sinceramente a me non piacciono i gioielli, ma solo i diamanti!”
Colazione da Tiffany
-Vuoi dire quando è triste?
-No… Uno è triste perché si accorge che sta ingrassando, o perché piove. Ma è diverso.
No, le paturnie sono orribili: è come un'improvvisa paura di non si sa che. È mai capitato a Lei?
Colazione da Tiffany
« (…) Non voglio possedere niente finché non avrò trovato un posto dove io e le cose faremo un tutto unico. Non so ancora precisamente dove sarà. Ma so com’è.» Sorrise e lasciò cadere il gatto sul pavimento. «È come da Tiffany,» disse. «Non che me ne freghi niente dei gioielli. I brillanti, sì. Ma è cafone portare brillanti prima dei quaranta, ed è anche pericoloso. (…) Ma non è per questo che vado pazza per Tiffany. Sapete quei giorni, quando vi prendono le paturnie?» (…)
« (…) le paturnie sono orribili. Si ha paura, si suda maledettamente, ma non si sa di cosa si ha paura. Ma che cosa fate, voi, in questi casi?” (…)
“Be’, un bicchierino aiuta”
“Ci ho provato. Ho provato anche l'aspirina.
Secondo Rusty, dovrei fumare marijuana, e l'ho fumata per un po’, ma mi fa soltanto ridacchiare.
(…) Mi sono accorta che per sentirmi meglio mi basta prendere un taxi e farmi portare da Tiffany. È una cosa che mi calma subito, quel silenzio e quell’aria superba: non ci può capitare niente di brutto là dentro, non con quei cortesi signori vestiti così bene, con quel simpatico odore d’argento e di portafogli di coccodrillo. Se riuscissi a trovare un posto vero e concreto dove abitare che mi desse le medesime sensazioni di Tiffany, allora comprerei un po’ di mobili e darei un nome al gatto.»
Truman Capote, Colazione da Tiffany
Quello che è certo è che avevo sbagliato nel classificarlo.
Pensavo che fosse un verme. Invece è un super verme, ecco.
Un super verme, sotto spoglie di verme.
Colazione da Tiffany
Non sono capace di leggere un messaggio triste senza prima mettermi il rossetto.
Colazione da Tiffany
“È stato questo lo sbaglio di Doc. Si portava sempre a casa qualche bestiola selvatica.
Un falco con un’ala spezzata. E una volta un gatto con una zampa rotta.
Ma non si può dare il proprio cuore a una creatura selvatica;
più le si vuole bene più diventa ribelle.
Finché diventa abbastanza forte da scappare nei boschi. O da volare su un albero.
Poi su un albero più alto. Poi in cielo.
E sarà questa la vostra fine, signor Bell,
se vi concederete il lusso di amare una creatura selvatica.
Finirete per guardare il cielo”.
Colazione da Tiffany
Perché non importa dove corri,
finirai sempre per imbatterti in te stessa.
Colazione da Tiffany
Non lo so chi sono. Io e il mio gatto siamo due randagi senza nome,
che non appartengono a nessuno e a cui nessuno appartiene: ecco qual è la verità.
Audrey Hepburn, Colazione da Tiffany
— Sono innamorato di te.
— E poi?
— Come? E poi basta.
Colazione da Tiffany
— Io ti amo e tu mi appartieni.
— Oh no, nessuno appartiene a un altro.
Colazione da Tiffany
«E, a un tratto, accadde.
Mentre guardavo i colori sfumati dei capelli di Holly
balenare nella luce rosso-gialla delle foglie,
l’amai abbastanza da dimenticare me stesso,
le mie disperazioni egoistiche e da essere contento
perché stava per succedere qualcosa
che lei pensava felice»
Truman Capote, “Colazione da Tiffany”
− Non permetterò a nessuno di mettermi in gabbia.
− Non voglio metterti in gabbia, io voglio amarti.
− È la stessa cosa.
Audrey Hepburn e George Peppard . Colazione da Tiffany, 1961
Vuoi sapere qual è la verità sul tuo conto?
Sei una fifona, non hai un briciolo di coraggio, neanche quello semplice e istintivo di riconoscere che a questo mondo ci si innamora, che si deve appartenere a qualcuno, perché questa è la sola maniera di poter essere felici. Tu ti consideri uno spirito libero, un essere selvaggio e temi che qualcuno voglia rinchiuderti in una gabbia. E sai che ti dico? Che la gabbia te la sei già costruita con le tue mani ed è una gabbia dalla quale non uscirai, in qualunque parte del mondo tu cerchi di fuggire, perché non importa dove tu corra, finirai sempre per imbatterti in te stessa!
Mi avevi inviato questo messaggio, ti ricordi?
Ero rimasta un po’ perplessa, e poi ti avevo scritto: “Scusa?”
“No, dico… sembra il tuo ritratto”
“Cosa vuoi farci, nessuno è perfetto”
“Il problema è che tu vuoi mettere dei limiti al nostro rapporto”
È passato un po’ di tempo da quei messaggi. E sai una cosa? Non mi pento affatto di averli messi. Forse hai ragione, forse in quella citazione c’è un po’ di me, che mantengo sempre le distanze.
Ma non è vero che non voglio appartenere a nessuno. Non voglio appartenere a te.
Truman Capote, Colazione da Tiffany
Non può continuare così per sempre,
a non sapere che cos'è tuo finché non lo butti via.
Colazione da Tiffany
Moon river - dal film "Colazione da Tiffany"
Mitico film del 1961 con Audrey Hepburn e George Peppard.
La canzone "Moon River" fu scritta appositamente per il film "Colazione da Tiffany" e per il timbro di voce di Audrey Hepburn. Vinse l'Oscar come miglior canzone nel 1962.
"E sai che ti dico? Che la gabbia te la sei già costruita con le tue mani ed è una gabbia dalla quale non uscirai, in qualunque parte del mondo tu cerchi di fuggire, perché non importa dove tu corra, finirai sempre per imbatterti in te stessa".
Colazione da Tiffany
Sei una fifona, non hai un briciolo di coraggio, neanche quello semplice e istintivo di riconoscere che a questo mondo ci si innamora, che si deve appartenere a qualcuno, perché questa è la sola maniera di poter essere felici. Tu ti consideri uno spirito libero, un essere selvaggio e temi che qualcuno voglia rinchiuderti in una gabbia. E sai che ti dico? Che la gabbia te la sei già costruita con le tue mani ed è una gabbia dalla quale non uscirai, in qualunque parte del mondo tu cerchi di fuggire, perché non importa dove tu corra, finirai sempre per imbatterti in te stessa!
Mi avevi inviato questo messaggio, ti ricordi?
Ero rimasta un po’ perplessa, e poi ti avevo scritto: “Scusa?”
“No, dico… sembra il tuo ritratto”
“Cosa vuoi farci, nessuno è perfetto”
“Il problema è che tu vuoi mettere dei limiti al nostro rapporto”
È passato un po’ di tempo da quei messaggi. E sai una cosa? Non mi pento affatto di averli messi. Forse hai ragione, forse in quella citazione c’è un po’ di me, che mantengo sempre le distanze.
Ma non è vero che non voglio appartenere a nessuno. Non voglio appartenere a te.
Truman Capote, Colazione da Tiffany
Non può continuare così per sempre,
a non sapere che cos'è tuo finché non lo butti via.
Colazione da Tiffany
«Oh, ci si abitua a tutto,» risposi, irritato con me stesso,
perché in realtà ero orgoglioso della mia sistemazione».
«Io no. Non mi abituo mai a niente, io.
Chi si abitua a tutto tanto vale che muoia».
Truman Capote, Colazione da Tiffany
Bisogna essere sesibili per apprezzarla, bisogna avere una vena di poeta.
Ma voglio dirvi la verità. Potete farvi a pezzi per lei, e lei vi servirà merda su un piatto.
Truman Capote-“Colzione da Tiffany”
perché in realtà ero orgoglioso della mia sistemazione».
«Io no. Non mi abituo mai a niente, io.
Chi si abitua a tutto tanto vale che muoia».
Truman Capote, Colazione da Tiffany
Bisogna essere sesibili per apprezzarla, bisogna avere una vena di poeta.
Ma voglio dirvi la verità. Potete farvi a pezzi per lei, e lei vi servirà merda su un piatto.
Truman Capote-“Colzione da Tiffany”
Mitico film del 1961 con Audrey Hepburn e George Peppard.
La canzone "Moon River" fu scritta appositamente per il film "Colazione da Tiffany" e per il timbro di voce di Audrey Hepburn. Vinse l'Oscar come miglior canzone nel 1962.
https://youtu.be/68q-kW1LAiE
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