Sei ancor viva, vecchiarella mia?
Anch'io son vivo. Salve a te, salve!
Fluisca ancora sulla tua casetta
Quella indicibile luce serale.
Mi scrivono che tu, celando l'angoscia,
Troppo ti rattristi per me,
Che spesso t'affacci sulla strada
Nella tua vecchia giubba fuori moda.
E che nel buio azzurro della sera
Ti si presenta spesso una visione:
Vedi qualcuno in una rissa di bettola
Cacciarmi in cuore un coltello finnico.
Ma non è nulla, cara! Sta' tranquilla.
É soltanto un penoso delirio.
Non sono ancora un ubriacone ancora sì incallito
Da morire senza rivederti.
Ti voglio bene ancora come un tempo
E il mio sogno è solo di tornare,
Vinta la mia indomita tristezza,
In quella nostra misera casetta.
Tornerò quando il bianco giardino
Aprirà i suoi rami a primavera.
Solo tu non mi svegliare all'alba
Come facevi otto anni fa.
Non ridestare un sogno svanito,
Non turbare ciò che non s'è avverato;
Troppo precoci perdite e stanchezza
M'è toccato provare nella vita.
E non insegnarmi a pregare.
Non occorre! Non si può ritornare al passato.
Sei tu sola il mio aiuto e il mio conforto,
Tu sola la mia luce ineffabile.
Dimentica dunque la tua angoscia.
Non rattristarti troppo per me.
Non andare così spesso sulla strada
Nella tua vecchia giubba fuori moda...
Lettera alla madre... Dal poeta russo, Sergej Esenin, 1924
Si toglierà la pelliccia, si toglierà lo scialle,
Si metterà seduta con me vicino al fuoco.
E con tranquilla dolcezza
dirà che il bambino assomiglia a me.
Sergej Esenin
Vai, vola, non ti angosciare, per ogni cosa c'è un tempo e una sponda.
Le canzoni recano un vento che risuonerà nei secoli.
Sergej Esenin
CONFESSIONI DI UN TEPPISTA
Non tutti son capaci di cantare
E non a tutti è dato di cadere
Come una mela, verso i piedi altrui.
È questa la più grande confessione
Che mai teppista possa confidarvi.
Io porto di mia voglia spettinata la testa,
Lume a petrolio sopra le mie spalle.
Mi piace nella tenebra schiarire
Lo spoglio autunno delle anime vostre;
E piace a me che mi volino contro
I sassi dell'ingiuria,
Grandine di eruttante temporale.
Solo più forte stringo fra le mani
L'ondulata mia bolla dei capelli.
È benefico allora ricordare
Il rauco ontano e l'erbeggiante stagno,
E che mi vivono da qualche parte
Padre e madre, infischiandosi del tutto
Dei miei versi, e che loro son caro
Come il campo e la carne, e quella pioggia fina
Che a primavera fa morbido il grano verde.
Per ogni grido che voi mi scagliate
Coi forconi verrebbero a scannarvi.
Poveri, poveri miei contadini!
Certo non siete diventati belli,
E Iddio temete e degli acquitrini le viscere.
Capiste almeno
Che vostro figlio in Russia
È fra i poeti il più grande!
Non si gelava il cuore a voi per lui,
Scalzo nelle pozzanghere d'autunno?
Adesso va girando egli in cilindro
E portando le scarpe di vernice.
Ma vive in lui la primigenia impronta
Del monello campagnolo.
Ad ogni mucca effigiata
Sopra le insegne di macelleria
Si inchina da lontano.
Ed incontrando in piazza i vetturini
Ricorda l'odore del letame sui campi,
Pronto, come uno strascico nuziale,
A reggere la coda dei cavalli.
Amo la patria. Amo molto la patria!
Pur con la sua tristezza di rugginoso salice.
Mi son gradevoli i grugni insudiciati dei porci,
E nel silenzio notturno l'argentina voce dei rospi.
Teneramente malato di memorie infantili
Sogno la nebbia e l'umido delle sere d'aprile.
Come a scaldarsi al rogo dell'aurora
S'è accoccolato l'acero nostro.
Ah, salendone i rami quante uova
Ho rubato dai nidi alle cornacchie!
È sempre uguale, con la verde cima?
È come un tempo forte la corteccia?
E tu, diletto,
Fedele cane pezzato!
Stridulo e cieco t'hanno fatto gli anni,
E trascinando vai per il cortile la coda penzolante,
Col fiuto immemore di porte e stalla.
Come grata ritorna quella birichinata:
Quando il tozzo di pane rubacchiato
Alla mia mamma, mordevamo a turno
Senza ribrezzo alcuno l'un dell'altro.
Sono rimasto lo stesso, con tutto il cuore.
Fioriscono gli occhi in viso
Simili a fiordalisi fra la segala.
Stuoie d'oro di versi srotolando,
Vorrei parlare a voi teneramente.
Buona notte! buona notte a voi tutti!
La falce dell'aurora ha già tinnito
Fra l'erba del crepuscolo.
Voglio stanotte pisciare a dirotto
Dalla finestra mia sopra la luna!
Azzurra luce, luce così azzurra!
In tanto azzurro anche morir non duole.
E non mi importa di sembrare un cinico
Con la lanterna attaccata al sedere!
Mio vecchio, buono ed estenuato Pégaso,
Mi serve proprio il tuo morbido trotto?
Io, severo maestro, son venuto
A celebrare i topi ed a cantarli.
L'agosto del mio capo si versa quale vino
Di capelli in tempesta.
Ho voglia d'essere la vela gialla
Verso il paese cui per mare andiamo.
"Confessioni di un Teppista" di Sergej Esenin - Trad. Giuseppe Paolo Samonà
CONFESSIONI DI UN MALANDRINO
Mi piace spettinato camminare
col capo sulle spalle come un lume
così mi diverto a rischiarare
il vostro autunno senza piume.
Mi piace che mi grandini sul viso
la fitta sassaiola dell'ingiuria,
l'agguanto solo per sentirmi vivo
al guscio della mia capigliatura.
Ed in mente mi torna quello stagno
che le canne e il muschio hanno sommerso
ed i miei che non sanno di avere
un figlio che compone versi
ma mi vogliono bene come ai campi,
alla pelle ed alla pioggia di stagione
raro sarà che chi mi offende scampi
dalle punte del forcone.
Poveri genitori contadini
certo siete invecchiati, ancor temete
il signore del cielo e gli acquitrini
genitor che mai non capirete
che oggi il vostro figliuolo è diventato
il primo fra i poeti del paese
ed ora con le scarpe verniciate
e col cilindro in testa egli cammina.
Ma sopravvive in lui la frenesia
di un vecchio mariuolo di campagna
e ad ogni insegna di macelleria
alla vacca s'inchina sua compagna.
E quando incontra un vetturino
gli torna in mente il suo concio natale
e vorrebbe la coda del ronzino
regger come strascico nuziale.
Voglio bene alla patria benché
afflitta di tronchi rugginosi
mi è caro il grugno sporco dei suini
e i rospi all'ombra sospirosi
son malato d'infanzia e di ricordi
e di freschi crepuscoli d'aprile.
Sembra quasi che l'acero si curvi
per riscaldarsi e poi dormire.
Dal nido di quell'albero le uova
per rubare salivo fino in cima
ma sarà la sua chioma sempre nuova
e dura la sua scorza come prima.
E tu mio caro amico vecchio cane
fioco e cieco ti ha reso la vecchiaia
e giri a coda bassa nel cortile
ignaro delle porte dei granai.
Mi sono cari i miei furti di monello
quando rubavo in casa un po' di pane
e si mangiava come due fratelli
una briciola, all'uomo ed una al cane
io non sono cambiato,
il cuore ed i pensieri son gli stessi
sul tappeto magnifico dei versi
voglio dirvi qualcosa che vi tocchi.
Buonanotte, la falce della luna
si cheta mentre l'aria si fa bruna
dalla finestra mia voglio gridare
contro il disco della luna.
La notte è così tersa
qui forse anche morire non fa male
che importa se il mio spirito è perverso
e dal mio dorso penzola un fanale.
O pegaso decrepito e bonario
il tuo galoppo è ora senza scopo
e giunsi come un maestro solitario
e non canto e non celebro che i topi.
Dalla mia testa come uva matura
gocciola il folle vino delle chiome
voglio essere una gialla velatura
gonfia verso un paese senza nome.
Branduardi,
Versi di Sergej A. Esenin. Una versione di questa canzone-capolavoro incisa nel 1972, quando Angelo non era ancora famoso. Le immagini sono tratte dal colossal "Esenin" girato nel 2005 per la TV russa. La somiglianza dell'attore, che impersona Esenin, con il giovane Angelo è impressionante, e tale somiglianza è testimoniata da una foto autentica di Branduardi inserita nel video (3.58 - 4.03)
A mio parere l'arrangiamento con archi e clavicembalo ben si addice al personaggio "bohemienne" di Esenin.
https://youtu.be/E3GI_ysk4MA
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