Il Pd ha mancato di empatia verso gli ultimi.
Ora si riparta da un'opposizione umile.
Abbiamo subito una sconfitta storica.
Goffredo Bettini Dirigente nazionale Pd.
Infatti, se ragioniamo su un arco temporale ampio, balza agli occhi il rovesciamento di una anomalia italiana. Negli anni '70 l'anomalia consisteva nella forza elettorale di una sinistra comunista e socialista in grado di raggiungere quasi il 50% dei voti.
In Europa nessun paese presentava una situazione simile.
Oggi si è verificata una anomalia diversa e contraria.
In Italia è quasi scomparsa la rappresentanza politica della sinistra.
LeU ha ottenuto un risultato insignificante.
Il Pd è sprofondato al 18%, raggiunto anche con un elettorato, democratico, ma non di sinistra.
Al di là delle considerazioni contingenti, comunque utili, si impone, per noi, un tema strategico. La ricostruzione di un campo largo e solido progressista: del tutto nuovo nella lettura della realtà, nella cornice dei suoi valori e negli strumenti di rapporto con gli iscritti e i cittadini.
Molti affermano che ciò è del tutto inutile; perché la sinistra è un ferro vecchio, un residuo ostacolante l'innovazione e l'apertura alla società.
Ai tradizionali sostenitori di questa tesi si sono aggiunti, nell'ultimo periodo, anche i "macronisti" in salsa italiana.
Tale tesi è del tutto priva di fondamento.
La sinistra attuale, in tutte le sue forme, ha dimostrato di essere al capolinea. Ma la sinistra, in quanto desiderio insopprimibile nell'animo umano di un riequilibrio tra i forti e i deboli, è in natura, nelle cose.
Almeno, fin dalla rivolta di Spartacus, che non a caso ha dato il suo nome al movimento rivoluzionario più colto e coraggioso che l'Europa abbia mai avuto; quello tedesco:
gli "spartachisti" di Rosa Luxembourg.
Se si perde questo sentimento che spinge in varie forme ad accorciare le distanze tra chi sta sotto e chi sta sopra, non esiste più la sinistra.
Tale sentimento può essere declinato in modi diversi:
il moto rivoluzionario che tenta di conquistare il potere con la forza;
il riformismo gradualista; il compromesso socialdemocratico;
la collaborazione per il bene del proprio paese anche con gli avversari.
La questione, tuttavia, non riguarda la strada che si intende perseguire. Qualsiasi strada si scelga l'importanza è che essa sia vivamente alimentata da quella pressione interiore che non sopporta l'ingiustizia, l'offesa e la prevaricazione.
Mantenendo, sempre, uno sguardo storico, possiamo ben dire che negli ultimi 30 anni, nelle nostre file, questo sentimento si è drammaticamente affievolito.
Ci sono ragioni oggettive, esterne, di carattere mondiale.
Non c'è tempo per analizzarle qui, come si dovrebbe.
Basta constatare, tuttavia, che l'89, e il crollo del comunismo, non hanno lasciato sul campo una inedita ricerca di un punto di vista critico sul mondo. [...]
Gli anni che ci stanno alle spalle, rimarranno, infatti, segnati dallo sfondamento di Berlusconi sul piano del costume, del modo di pensare, della qualità dei rapporti tra le persone, della mancanza di ogni senso di comunità e istituzionale. La Repubblica è così cambiata in peggio alla radice. Il senso comune è degradato.
Ci siamo salvati, noi, da questa tempesta?
Penso di no. Al di là del fatto che per molto tempo siamo rimasti diversi e, secondo me, migliori rispetto all'andazzo corrente, progressivamente anche noi abbiamo subito una mutazione antropologica.
L'ansia per il mantenimento della propria posizione elettiva, la scomparsa diffusa di un impegno disinteressato nei gruppi dirigenti, lo stile di vita che essi prediligono, la volgarità di un certo nostro dibattito interno, persino il modo di vestire o di vivere la quotidianità, hanno perduto la sobrietà, la dedizione, la predisposizione ad accettare un sacrificio personale, tipici di una classe dirigente che vorrebbe e dovrebbe cambiare il mondo.
Così, rispetto agli "ultimi", a chi sta male, a chi, in modo anche transitorio, vive una difficoltà, a chi sperimenta la solitudine e la fragilità nell'affrontare la nostra modernità, noi siamo apparsi estranei.
Vale a dire, anche quando abbiamo professato programmi volti al miglioramento delle condizioni della parte più debole della società, è come se avessimo agito dall'esterno: senza vera empatia e condivisione; senza conquistare, dall'interno e sinceramente, lo sguardo di chi sta alla base della piramide. Tant'è che progressivamente nel nostro elettorato si sono drasticamente ridotti i consensi nelle borgate e tra gli operai, mentre si è consolidato quello dei ceti medi e dei garantiti.
Si è consolidata una lontananza.
Una incomunicabilità nelle pratiche sociali e nel linguaggio.
E tale lontananza si è aggiunta a quella lontananza tra gli esseri umani, di cui parlava già Heidegger, quando affermava che la velocità del progresso tecnico, (allora dei treni) pur accorciando le distanze fisiche non creava più vicinanza. Anzi gettava le persone, nel caos della vita, nello spaesamento e nella solitudine. Oggi dove tutto è velocissimo e le persone possono nello stesso tempo sapere tutto ed essere ovunque, tale lontananza disperdente si è fatta drammatica e se ad essa si aggiunge l'afasia della politica, il risultato è quello che abbiamo sotto gli occhi. Una rabbia distruttiva e autodistruttiva di una parte amplissima di cittadini italiani.
In questa condizione noi abbiamo svolto una campagna elettorale basata su un racconto positivo e ottimistico delle condizioni del paese.
Ci sono, è vero, punte di avanzata, di ripresa, di eccellenza.
Vanno valorizzate.
Ma contrapporre in modo radicale la rabbia alla speranza, è stato un errore di sostanza. La speranza per essere credibile, deve saper includere la rabbia; che c'è. La rabbia, come è nella tradizione della sinistra, rappresenta il carburante del cambiamento. Il tema è come saperla interpretare, volgere al positivo, trasformare in politica.
La sinistra italiana, durante il fascismo numericamente piccola cosa, è diventata grande innalzando i ceti popolari dal plebeismo alla strategia politica, alla consapevolezza civile, all'azione concreta di inveramento della costituzione in una Repubblica in continuo rinnovamento e in rapporto con l'azione delle masse.
Il massimo della lontananza si è raggiunto durante il lungo "termidoro" dei governi tecnici. Inevitabilmente, in quanto tecnici, concentrati nel rispetto delle compatibilità piuttosto che nell'affrontare l'effetto che la crisi del 2008 aveva avuto sui ceti deboli e del ceto medio italiani.
Con la beffa, per altro, del dover assistere alla moltiplicazione dei profitti dei ricchi e al peggioramento costante dei redditi del lavoro dipendente e operaio. Così la crisi ha messo insieme disagio materiale, mancanza di rappresentanza e solitudine esistenziale e sociale. E' il terreno, questo, più propizio per la demagogia, il pensiero violento, i rigurgiti xenofobi, razzisti e fascistoidi e per la crisi democratica.
[...] La rottamazione abbandonando l'ambizione di un generale rinnovamento repubblicano, è via via diventata un fatto domestico.
Nel Pd: via i vecchi che li sostituisco io!
Questa sensazione di resa dei conti interna, di fronte alle inevitabili prime difficoltà nel rapporto col paese dopo lo straordinario risultato delle europee, ha portato Renzi ad un solipsismo autoritario.
Ad una sordità rispetto ai conflitti e ai problemi reali.
Lo ha imprigionato in una corazza difensiva, impermeabile ad ogni confronto, dubbio, suggerimento.
E' venuto fuori, così, un modo sciatto e sbrigativo di gestire il potere e di rapportarsi con gli altri. Erroneamente il segretario ha pensato che fosse un'opposizione troppo pregiudiziale ad indebolire il Pd. C'è stato anche questo. Ma il dato fondamentale è che la sua stessa leadership andava via via assumendo un carattere scostante, malamente scanzonato, protetto da fedelissimi non di rado volgari e opportunisti. La vicenda così grave e allo stesso tempo capricciosa, della formazione delle liste per molti è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Come è stato evidente nella posizione critica e giusta assunta su questo tema da Andrea Orlando.
La soluzione è genericamente andare più a sinistra?
In che senso andare più a sinistra? Programmi più di "classe"?
Più radicali? Con un ritorno alle antiche parole di un tempo?
Se bastasse questo LeU non avrebbe preso solo il 3,5%.
Ho la sensazione che invocare un conflitto più duro sia persino controproducente quando non si sa bene dove sia il vero conflitto contemporaneo tra i deboli e i forti, dove sia la sofferenza delle persone.
Dobbiamo accettare il giudizio dell'elettorato.
L'elettorato che non ci piace perché non ci vota non possiamo abrogarlo. Dobbiamo saperlo riconquistare. La strada è lunga.
E per me si fonda su un processo complesso che intreccia nuovi luoghi della politica, con una pratica sociale che ci aiuti a capire le contraddizioni in mezzo al popolo, con forme della politica pazientemente reimmerse nella vita reale delle persone.
Crollate le ideologie, esauriti i partiti di massa, annebbiati i valori di fondo la risposta non può essere l'ansiosa e solitaria ricerca di ognuno di salvare il suo fazzoletto di potere. Che Pd hanno visto i nostri elettori?
[...] La nostra ricerca non può che svolgersi dall'opposizione. Opposizione intelligente, non fanatica; umile nel comprendere che il voto operaio e popolare è andato ai 5 Stelle e alla Lega e che per recuperarlo non servono le offese, gli anatemi, il rifiuto di qualsiasi confronto. [...]
Goffredo Bettini Dirigente nazionale Pd.
http://huffp.st/hdYvEqf
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