Robert Delsol
98. LAPALISSIANO
È definito come un ragionamento o un'affermazione, le cui conclusioni appaiono immediatamente così ovvie e scontate, da sembrare del tutto inutile discuterne.
Derivato dal nome del maresciallo Jacques de La Palice; più precisamente si allude ai versi, divenuti proverbiali, di un’ingenua strofetta cantata dai soldati dopo la sua morte, per celebrarne la «vitalità» come combattente:
"Un quart d’heure avant sa mort Il était encore en vie"
(Un quarto d’ora prima di morire era ancora in vita).
Sinonimo di ovvio, evidente; detto di una verità o di un fatto talmente manifesti e naturali che sarebbe ridicolo enunciarli.
Ma cosa stabilisce l'ovvietà di un ragionamento lapalissiano?
È forse un enunciato tautologico oppure è un tipo di conoscenza così diffusa da somigliare a quella barzelletta raccontata così tante volte da aver perso il suo effetto esilarante?
L'enunciato "2+2=4" è una verità lapalissiana, oppure è discutibile?
La Battaglia di Pavia (1525).
Con il crollo dell'equilibrio degli Stati italiani, la Penisola, dal 1494 al 1559, divenne un enorme campo di battaglia sul quale combatterono l'Impero, la Francia e la Spagna. Il 24 febbraio 1525 le truppe francesi di Francesco I di Valois e le truppe spagnole e tedesche di Carlo V si scontrarono a Pavia: la battaglia fu vinta dalle truppe di Carlo V e lo stesso re di Francia venne catturato.
Kirk Vindloeper
Su quel campo di battaglia morirono tra gli altri Fanfulla da Lodi, uno dei cavalieri della disfida di Barletta di vent'anni prima, e Monsieur de la Palice, Maresciallo di Francia, persona colta e raffinata, sulla cui lapide avrebbero scritto la celebre frase: "Qui giace Monsieur de la Palice, che se non fosse morto farebbe ancora invidia". Per errore sarebbe stata letta in seguito così: "[...] che se non fosse morto sarebbe ancora in vita", da cui l'aggettivo "lapalissiano".
L'aggettivo lapalissiano è più dovuto al deterioramento della lapide di La Palice che non alla sua partecipazione alla battaglia di Pavia!
No: il termine lapalissiano deriva da un errore di interpretazione della scritta sulla sua lapide, che in Italiano suona su per giù "qui giace colui il quale se non fosse morto sarebbe ancora in vita".
La lapide originalmente era corretta ("se non fosse morto, farebbe ancora invidia"), ma col tempo fu sbiadita e il verbo "farebbe" fu letto come "sarebbe" (anche per l'uso barocco della "s" corsiva molto allungata, uso invece estraneo all'epoca di La Palice) e "invidia" (envie) fu letta "in vita" (en vie).
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