Le traduzioni sono come le donne.
Quando sono belle non sono fedeli,
e quando sono fedeli non sono belle.
Carl Bertrand
San Girolamo primo traduttore della Bibbia dal greco e dall’ebraico al latino scriveva:
« Io, infatti, non solo ammetto, ma proclamo liberamente che nel tradurre i testi greci, a parte le Sacre Scritture, dove anche l'ordine delle parole è un mistero, non rendo la parola con la parola, ma il senso con il senso. Ho come maestro di questo procedimento Cicerone, che tradusse il Protagora di Platone, l'Economico di Senofonte e le due bellissime orazioni che Eschine e Demostene scrissero l'uno contro l'altro [...]. Anche Orazio poi, uomo acuto e dotto, nell'Ars poetica dà questi stessi precetti al traduttore colto: "Non ti curerai di rendere parola per parola, come un traduttore fedele" »
Leggere, scrivere, tradurre.
Un’intervista in 11 domande a Giovanni Agnoloni
Di Valentina Di Cesare
Scrittore, traduttore, saggista e blogger,
il fiorentino Giovanni Agnoloni si racconta alle pagine de “L’Undici” , parlandoci di internet, di letteratura fantasy, del mestiere di scrivere e di molto altro ancora.
1. Sei un esponente del Connettivismo: spiegaci di cosa si tratta
Il Connettivismo è un movimento letterario – salvo smentite finora mai pervenutemi, l’unico oggi in Italia – fondato nel 2004 da Sandro Battisti, Giovanni De Matteo e Marco Milani, che ormai conta una trentina di affiliati e ha nella conciliazione di cultura umanistica e scienza e tecnologia il proprio asse portante. Imperniato non su un decalogo di “regole” rigide, ma su una sequenza di spunti poetici, che sono quelli che formano il suo Manifesto (http://www.next-station.org/nxt-ex-1.shtml), fonde in sé una matrice fantascientifica di stampo Cyberpunk e stilemi di provenienza italiana o comunque europea, quali quelli del Futurismo, del Crepuscolarismo e della poesia ermetica e surrealista. A questo unisce una propensione allo scavo nei territori del Profondo, tanto individuale quanto cosmico, usando gli strumenti dell’arte (letteraria, musicale, grafica e architettonica) come grimaldelli per penetrare in territori impregnati di risonanze mistico-filosofiche. Il tutto, coniugato con una ricerca linguistica che è la cifra della sua sperimentazione avanguardistica, ma anche con la capacità di creare storie godibili e coinvolgenti, che spaziano tra i generi e – contrariamente a quanto si potrebbe pensare – affondano le proprie radici nella realtà.
2. Come utilizza i social, l’autore della saga cosiddetta “della fine di internet?”
Li uso soprattutto per promuovere il mio lavoro, con riferimenti ai miei libri e alle relative presentazioni e recensioni, ma anche con gli articoli e le interviste che io stesso scrivo, o che scrivono i collaboratori dei due blog culturali su cui pubblico, https://lapoesiaelospirito.wordpress.com/ e http://www.postpopuli.it/. In qualche circostanza, si sono pure rivelati strumenti utili per contatti di lavoro, sia come scrittore, sia come traduttore, e certamente anche nella sfera delle amicizie e degli affetti. Tuttavia, posto giusto l’essenziale e cerco di non perderci troppo tempo.
3. Internet fa male alla letteratura?
Fa bene e fa male. Fa bene quando crea (come in effetti fa) spazi per far conoscere scrittori e scrittrici di talento ma pubblicati da piccoli editori, che faticano a trovare spazio sui media, ovvero inediti, che così possono arrivare a essere notati. E inoltre fa bene anche quando permette ai lettori di interessarsi a molteplici argomenti, molto più che sui giornali o in TV. Fa male quando riduce la capacità di lettura attenta, anche per il fastidio che lo schermo dà agli occhi, e più in genere quando induce la falsa illusione che una manciata di pagine di una pur utilissima enciclopedia online possa sostituire lo studio, la lettura approfondita e il decantare di suggestioni artistiche che essa veicola. E, per finire, fa male quando disabitua alla scrittura letteraria in nome di un linguaggio anche troppo rapido ed essenziale, che, ben lungi dall’essere “ermetico”, è solo ammiccante e insipido.
4. La lingua dalla quale ti piace più tradurre e perché
L’inglese, la prima che ho studiato e quella che sento più profondamente, oltre che quella del mio più grande maestro, J.R.R. Tolkien, nonché degli scrittori irlandesi che, dal primo Novecento al presente, sono stati forse il principale nutrimento del mio approccio alla narrativa. Ma certo anche lo spagnolo, lingua carica di risonanze che sanno essere al tempo stesso sensuali e mistiche; e – aggiungo – la lingua del mio secondo grande riferimento letterario, Roberto Bolaño. Non è un caso se traduco anche verso l’inglese e lo spagnolo, tanto che ho tradotto personalmente il mio primo romanzo Sentieri di notte (Galaad Edizioni), pubblicato in Spagna da El Barco Ebrio come Senderos de noche (con la revisione dello scrittore cubano Amir Valle), e sto ultimando la revisione della versione inglese dello stesso romanzo – a ottobre sarò, proprio per questo, ospite della “Casa del Traductor” di Tarazona, in Spagna: http://casadeltraductor.com. Amo molto, comunque, anche il francese e il portoghese, da cui traduco verso l’italiano, e il polacco, che parlo discretamente, anche se spero di tornar presto in Polonia per perfezionarne la conoscenza e poter, in futuro, tradurlo verso l’italiano.
5. Credi che crescerà il numero degli italiani appassionati di fantasy?
Francamente non mi interessa, perché non credo nella divisione dei generi. Penso che la letteratura, come d’arte, utilizzi varianti stilistiche in funzione dell’espressione di contenuti intellettuali ed emotivi, e dunque ritengo che l’ibridazione dei generi sia una strada estremamente interessante. Da tempo la percorro, e infatti non mi considero uno scrittore né di fantasy né di fantascienza, ma ancorato alla realtà anche quando la descrivo usando stilemi “fantastici”. Quello che perseguo è un realismo impregnato di molteplici risonanze, riconducibili a generi diversi. Per il resto, mi auguro che la gente legga sempre più Tolkien, ma non come “autore fantasy”, bensì come maestro assoluto della letteratura universale. Esattamente come mi auguro che legga Omero o Dante Alighieri (che in quanto a “fantasia” non erano secondi a nessuno).
6. Perché in Italia si legge poco secondo te?
C’è molta pigrizia e molta attenzione per le cose facili e scontate, come appunto, spesso, sono i social network nell’uso che ne viene fatto. La cultura e l’interesse non sono certo scomparsi, ma vengono portati avanti da gruppi troppo risicati. Ho letto statistiche per cui il 60% circa degli italiani non leggerebbe neanche un libro l’anno, e i lettori “forti”, quelli che leggono almeno un libro al mese, sarebbero intorno al 6%. Un po’ troppo poco. Certo, per stimolare una rinascita dell’interesse per la lettura serve, e lo dico da tempo, una letteratura che unisca la qualità letteraria alla capacità di coinvolgere attraverso storie interessanti, e finché si continuerà a dire – come di recente ho letto in un articolo – che dedicarsi allo storytelling equivale, per un autore, a “darsi all’ippica”, non si riuscirà certo ad uscire dalla forbice perversa “letteratura alta ma pesante VS letteratura scorrevole ma banale”. Infine, la crisi ha inciso sui consumi, ma questo è un falso motivo del calo del numero dei lettori: esistono le biblioteche pubbliche dove prendere i libri in prestito gratuito, e comunque la gente i soldi per gli smartphone e i tatuaggi li trova sempre. Per i romanzi (e i saggi) no. La differenza sta nella curiosità e in un’umile disposizione della volontà all’attenzione e alla riflessione. Si tratta anche di vincere il cosiddetto “analfabetismo funzionale”, che a quanto pare sta crescendo (forse anche grazie all’abuso di TV e internet e “derivati”).
7. Consigli di lettura, Tolkien escluso
Tra gli italiani, apprezzo autori come Franz Krauspenhaar, Marino Magliani, Valerio Varesi, Giovanni De Matteo, Sandro Battisti, Francesco Verso e Davide Sapienza, e parlo dei contemporanei. Recentemente ho letto e recensito Enrico Macioci, bella penna, e apprezzo Antonio Moresco, scrittore “difficile” ma raffinatissimo. Se vogliamo volgerci al passato, un nome su tutti: Vasco Pratolini, maestro di stile e di capacità di rappresentazione pittorica del mondo e delle emozioni umane. A livello internazionale, prima ho fatto cenno agli autori irlandesi: in particolare, Joseph O’Connor, Colm Tóibín, Roddy Doyle, Catherine Dunne e William Trevor. Nell’area ispanofona, Amir Valle, che ho anche tradotto in italiano, è un ottimo romanziere.
8. Le traduzioni sono come le donne, disse Carl Bertrand.
Quando sono belle non sono fedeli, e quando sono fedeli non sono belle.
Cosa ne pensi?
È una massima accattivante, e come tale lascia il tempo che trova. Una traduzione, certo, è “donna” nella misura in cui, per chi la fa, comporta un notevole lavoro intuitivo, simile a quello che l’interprete musicale deve svolgere sulla partitura di un brano, per arrivare a trasmettere i contenuti emotivi e di concetto espressi dal compositore. Ma una traduzione può essere fedele e bella, perché no? L’importante è che veicoli nella lingua di approdo un insieme articolato di pensieri e suggestioni estetico-emotive coerente con quello della lingua di partenza.
9. Scrivere pubblicare e promuovere un libro in Italia: difficoltà e consigli per i futuri scrittori
Primo:
scrivere sempre, usando il combustibile della passione per alimentare un progetto artistico personale.
Secondo:
non scoraggiarsi mai, e crederci sempre, nonostante le tante e innegabili difficoltà.
Terzo:
evitare di cercare soluzioni espressive di moda, che “piacciono”, ma essere profondamente se stessi.
Quarto:
non pagare mai per pubblicare, ma semmai investire qualcosa in qualche viaggio promozionale, specialmente agli inizi, ché può essere utile per farsi conoscere.
Quinto,
umiltà e consapevolezza: non pensare mai di essere “arrivati”, ma d’altro canto schivare come la peste i “cattivi maestri”, quelli che, pro domo sua, ti buttano giù per emergere o restare i primi nel loro cortile. Viaggiare e lavorare su se stessi, per tirar fuori, artisticamente, dal groviglio dell’Ego (che va dipanato), il meglio di quello che possiamo dare (il Sé).
10. Tolkien o Bolaño?
Se mi metti la pistola alla tempia, ti dico Tolkien.
Però, a pensarci bene, corro il rischio di beccarmi la tua pallottola e ti disarmo, perché li voglio tutti e due!
11. Metti in ordine di preferenza queste tre azioni: leggere, scrivere, tradurre
Amo tutte e tre le cose, ovviamente, ma la prima resta la scrittura. Poi direi la lettura, e infine la traduzione, che però se la gioca sul filo di lana per la medaglia d’argento. Fuori dal podio, ma importantissime perché lo sostengono: la musica e i viaggi. E, alla radice, la conoscenza di sé, senza la quale, come ci insegna Socrate, non solo la scrittura, ma la vita stessa, non va da nessuna parte.
http://www.lundici.it/2015/09/leggere-scrivere-tradurre-unintervista-in-11-domande-a-giovanni-agnoloni/