Jacques Lacan, per una clinica moderna
"Non credo di tradire mio marito".
Una giovane ha un amante. Lo spiega in analisi:
"In realtà, non ho l'impressione di tradire mio marito.
Quel che non sa, per lui non esiste. Esiste solo per me".
Dicono che ci sono i fatti, e Lenin aggiungeva che sono ostinati. Ebbene, non è così.
Esistono solo fatti che sono detti.
Cos'è un fatto che non si dice?
Questa giovane divide la propria vita tra due mondi. In uno, l'amante esiste. È un mondo che conosce solo lei, insieme all'amante e all'analista. Ed è un mondo molto stretto, giacché le avventure sono rapide, e le sedute d'analisi sono poche e brevi.
Che valore ha questo mondo dal lato dell'altro, quello della vita quotidiana, con il marito, i figli, i genitori, i compagni di lavoro?
Il mondo dell'amante, se a stento esiste, esiste tra parentesi, come in una zattera, remando nell'Oceano della sua vita.
Diranno: è in cattiva fede, lo sa e non vuole saperlo. Ma non è così. L'importante non è quel che sa o non sa. Ciò che importa è che l'altro, invece, non sa. Perché quel che l'altro non sa, non esiste.
Per il marito, la famiglia, il discorso comune, è come se l'amante non esistesse. L'altro non è il Dio che le esamina la mente e il cuore, che vede tutto, che sa tutto. È un altro perforato, con un buco, un punto cieco. Ed è per l’appunto qui che abita il desiderio.
Parlate di qualsiasi cosa, e la farete esistere.
Il problema cruccia da sempre i filosofi:
il non essere non è, evidentemente, ma nominandolo non gli si conferisce un essere?
Tacere qualcosa allora è farlo sparire.
Gli scrittori, gli artisti, i politici lo sanno.
È il principio di Madison Avenue, dove abitano i Mad Men a New York:
"La pubblicità negativa non esiste".
Attenzione: quando parliamo di un prodotto, bene o male, lo facciamo esistere.
Il soggetto quindi è sincero quando mente. Separa i due mondi e divide se stesso a seconda che si trovi nell'uno o nell'altro.
Succede tuttavia che un personaggio del mondo comune riesca a intrufolarsi, attraverso qualche effrazione, nel vostro mondo intimo.
È un orrore. Tentate allora di espellere l'intruso. Lui insiste. Si consolida. Nel giro di poco tempo, siete costretti a tornare nel mondo comune.
La vostra ontologia si sbriciola.
Ciò che non esisteva è esposto a tutti.
Il non essere è, assolutamente. Il fatto, passato al detto, sarà ostinato. Il segno rimarrà.
E il vostro essere rimarrà intrappolato lì.
Nella concezione elaborata da Jacques Lacan, il sintomo del bambino è nella posizione di poter rispondere a quanto c'è di sintomatico nella struttura familiare.
"Non credo di tradire mio marito".
Una giovane ha un amante. Lo spiega in analisi:
"In realtà, non ho l'impressione di tradire mio marito.
Quel che non sa, per lui non esiste. Esiste solo per me".
Dicono che ci sono i fatti, e Lenin aggiungeva che sono ostinati. Ebbene, non è così.
Esistono solo fatti che sono detti.
Cos'è un fatto che non si dice?
Questa giovane divide la propria vita tra due mondi. In uno, l'amante esiste. È un mondo che conosce solo lei, insieme all'amante e all'analista. Ed è un mondo molto stretto, giacché le avventure sono rapide, e le sedute d'analisi sono poche e brevi.
Che valore ha questo mondo dal lato dell'altro, quello della vita quotidiana, con il marito, i figli, i genitori, i compagni di lavoro?
Il mondo dell'amante, se a stento esiste, esiste tra parentesi, come in una zattera, remando nell'Oceano della sua vita.
Diranno: è in cattiva fede, lo sa e non vuole saperlo. Ma non è così. L'importante non è quel che sa o non sa. Ciò che importa è che l'altro, invece, non sa. Perché quel che l'altro non sa, non esiste.
Per il marito, la famiglia, il discorso comune, è come se l'amante non esistesse. L'altro non è il Dio che le esamina la mente e il cuore, che vede tutto, che sa tutto. È un altro perforato, con un buco, un punto cieco. Ed è per l’appunto qui che abita il desiderio.
Parlate di qualsiasi cosa, e la farete esistere.
Il problema cruccia da sempre i filosofi:
il non essere non è, evidentemente, ma nominandolo non gli si conferisce un essere?
Tacere qualcosa allora è farlo sparire.
Gli scrittori, gli artisti, i politici lo sanno.
È il principio di Madison Avenue, dove abitano i Mad Men a New York:
"La pubblicità negativa non esiste".
Attenzione: quando parliamo di un prodotto, bene o male, lo facciamo esistere.
Il soggetto quindi è sincero quando mente. Separa i due mondi e divide se stesso a seconda che si trovi nell'uno o nell'altro.
Succede tuttavia che un personaggio del mondo comune riesca a intrufolarsi, attraverso qualche effrazione, nel vostro mondo intimo.
È un orrore. Tentate allora di espellere l'intruso. Lui insiste. Si consolida. Nel giro di poco tempo, siete costretti a tornare nel mondo comune.
La vostra ontologia si sbriciola.
Ciò che non esisteva è esposto a tutti.
Il non essere è, assolutamente. Il fatto, passato al detto, sarà ostinato. Il segno rimarrà.
E il vostro essere rimarrà intrappolato lì.
Nella concezione elaborata da Jacques Lacan, il sintomo del bambino è nella posizione di poter rispondere a quanto c'è di sintomatico nella struttura familiare.
Jacques Lacan, Nota sul bambino, Altri Scritti, Einaudi,Torino 2013, pag. 367
"Dalle 12.30 alle 14.10 corso di Lacan, all'Ecole Normale. Talento da direttore d'orchestra. Sa catturarti con entusiasmi improvvisi, con l'alternanza dell'andante e dell'allegro. Padrone di sé come sanno esserlo i clown o i preti. Mentre parla, dà costantemente l'impressione di pensare, di cercare. Conosce a meraviglia l'arte di diventare ogni tanto incomprensibile. Usa in continuazione parole tedesche - il modo più sicuro che ci sia oggi per far colpo, in Francia".
EMIL CIORAN - QUADERNI - 1957-1972"
Lacan è stato criticato per la mancanza di chiarezza dei suoi scritti (fra gli altri da Martin Heidegger, che li riteneva incomprensibili e che commentò sul suo conto: "questo psichiatra ha bisogno di uno psichiatra".) ma è indubbiamente uno dei maggiori pensatori del '900. Partendo dalla stretta correlazione significante/significato il suo metodo di analisi va al di là del linguaggio che è menzognero di per sè (ogni racconto in quanto rielaborazione è menzogna). Compito dell'analista è portare il soggetto al di là della menzogna che lui stesso rappresenta.
Il linguaggio opera interamente nell'ambiguità, e la maggior parte del tempo non sapete assolutamente nulla di ciò che dite.
Jacques Lacan
In psicoanalisi, la rimozione non è rimozione di una cosa, ma della verità.
Cosa succede quando si rimuove la verità? L’intera storia della tirannia è là per darci la risposta: si esprime altrove, in un altro registro, in un linguaggio cifrato, clandestino. Ebbene! È esattamente ciò che accade con la coscienza: la verità, rimossa, persisterà ma trasposta in un altro linguaggio, il linguaggio nevrotico. È più o meno a questo punto che non si può più dire che è il soggetto a parlare, ma si deve dire piuttosto “Esso” (cioè Es) parla, Es continua a parlare; e quel che succede è decifrabile per intero nella maniera in cui è decifrabile, vale a dire non senza difficoltà, una scrittura perduta.
La verità non stata annientata, non è caduta in un abisso; è là, offerta, presente, ma diventata “incosciente”. Il soggetto che ha rimosso la verità non la governa più, non è più al centro del suo discorso: le cose continuano a funzionare da sole e il discorso si articola, ma fuori del soggetto. E questo luogo, questo fuori del soggetto è precisamente quello che viene chiamato inconscio.
Jacques Lacan (1957)
LA TEORIA DI LACAN
"Perché desideriamo sempre quello che non abbiamo e quando finalmente siamo riusciti ad averlo non è più lo stesso, tantomeno rispetto a come ce l'eravamo immaginato?
LA TEORIA DI LACAN
"Perché desideriamo sempre quello che non abbiamo e quando finalmente siamo riusciti ad averlo non è più lo stesso, tantomeno rispetto a come ce l'eravamo immaginato?
Amare significa dare a chi non lo vuole ciò che non si ha
Jacques Lacan
Michela Marzano:
"La frase di Lacan può sembrare complicata ma è semplicissima, basta pensare a quello che accade ad ognuno di noi tutti i giorni: quando io amo una persona, che cosa faccio? Amo questa persona e quindi cerco di avere con questa persona una serie di atteggiamenti che sono esattamente quegli atteggiamenti che vorrei che questa persona avesse nei miei confronti, solo che siccome l'altra persona non è me stessa, non sono io, le sue aspettative sono diverse da quelle che potrei avere io, quindi io gli do quello che vorrei avere, quindi quello che mi manca, ma che non è quello che lui vorrebbe, perché quello che lui vorrebbe e quello che a lui manca è quello che probabilmente io ho e che non gli do proprio perché sono diversa da lui. Allora, tutto ciò vi può sembrare molto complicato, vuol dire semplicemente una cosa: nell'amore l'unica cosa che conta è rendersi conto che la persona che si ama è diversa da noi e che se noi l'amiamo l'unica cosa che possiamo fare è rispettare la sua alterità; quello che c'è dietro l'anoressia certe volte è proprio il contrario, cioè il fatto che siamo stati amati non in quanto persone diverse, ma in quanto proiezione di una immagine identica di se stessi"
http://youtu.be/gSyh3muANA0
Lacan affermava che la sola vera colpa dell'uomo è quella di venir meno al proprio desiderio. La clinica psicoanalitica conferma che "l'infelicità" è troppo spesso legata al fatto che la nostra vita non è coerente con ciò che "desideriamo". La psicoanalisi credo debba essere una sentinella della dimensione creativa del desiderio, che già nel suo etimo indica un cielo aperto. "Sidera" in latino vuol dire stella quindi, sarà proprio di questo che si parla: dell'attesa e della ricerca della propria stella.
Jacques Lacan. Desiderio: il soggetto si vede essere visto.
Il rapporto dell’uomo con il desiderio non è un rapporto puro e semplice di desiderio. Non è in sé un rapporto con l’oggetto. Se il rapporto con l’oggetto fosse fin da subito istituito una volta per tutte, non ci sarebbero problemi per l’analisi. Gli uomini, come si presume faccia la maggior parte degli animali, andrebbero verso il loro oggetto. Non ci sarebbe questo rapporto secondo, se così possiamo dire, dell’uomo con il fatto che è un animale desiderante, rapporto che condiziona tutto quello che succede AL LIVELLO CHE CHIAMIAMO PERVERSO, cioè che GODE DEL SUO DESIDERIO. Tutta l’evoluzione del desiderio trova la sua origine in quei fatti vissuti che si classificano nella cosiddetta RELAZIONE MASOCHISTA perché È QUELLA CHE FACCIAMO USCIRE PER PRIMA NELL’ORDINE GENETICO, MA CI ARRIVIAMO ATTRAVERSO UNA SORTA DI REGRESSIONE. Quella che si offre come la più esemplare, come la più centrale, è la cosiddetta RELAZIONE SADICA, O SCOPOFILIACA.
È chiaro che È ATTRAVERSO UNA RIDUZIONE, UN MANEGGIAMENTO, UNA SCOMPOSIZIONE ARTIFICIALE seconda DI CIÒ CHE È DATO NELL’ESPERIENZA che NOI LE ISOLIAMO SOTTO FORMA DI PULSIONI SOSTITUTIVE L’UNA DELL’ALTRA, E CHE SI EQUIVALGONO. IL RAPPORTO SCOPOFILIACO, IN QUANTO CONIUGA ESIBIZIONE E VOYEURISMO, È SEMPRE AMBIGUO – il soggetto si vede essere visto, si vede il soggetto come visto, ma beninteso non lo si vede puramente e semplicemente, ma NEL GODIMENTO, in quella specie di irradiazione o di fosforescenza che si sprigiona dal fatto che il soggetto si trova in una posizione venuta da non so quale apertura beante primitiva, estratta in qualche modo dal suo RAPPORTO DI IMPLICAZIONE CON L’OGGETTO, e di là si coglie fondamentalmente come lui stesso paziente in questa relazione. Da qui deriva che TROVIAMO AL FONDO DELL’ESPLORAZIONE ANALITICA DEL DESIDERIO IL MASOCHISMO – IL SOGGETTO SI COGLIE COME SOFFERENTE, coglie la sua ESISTENZA DI ESSERE VIVENTE COME SOFFERENTE, CIOÈ COME SOGGETTO DEL DESIDERIO.
JACQUES LACAN (1901 - 1981), “Il seminario. Libro V. Le formazioni dell’inconscio. 1957 – 1958 », testo stabilito da Jacques-Alain Miller, a cura e trad. di Antonio Di Caccia, Einaudi, Torino 2004, III, XVII ‘Le formule del desiderio’, 3, pp. 322 – 323.
Il rischio della follia si misura sull’attrazione delle identificazioni in cui l’uomo impegna ad un tempo la sua verità e il suo essere. Lungi quindi dall’essere il fatto contingente delle fragilità del suo organismo, la follia è la virtualità permanente di una faglia aperta nella sua essenza. Lungi dall’essere per la libertà “un insulto”, ne è la più fedele compagna, ne segue il movimento come un’ombra. È l’essere dell’uomo non solo non può essere compreso senza la follia, ma non sarebbe l’essere dell’uomo se non portasse in sé la follia come limite della sua libertà.
Jacques Lacan, Discorso sulla causalità psichica (1946), in Scritti, vol. I
Il rischio della follia si misura sull’attrazione delle identificazioni in cui l’uomo impegna ad un tempo la sua verità e il suo essere. Lungi quindi dall’essere il fatto contingente delle fragilità del suo organismo, la follia è la virtualità permanente di una faglia aperta nella sua essenza. Lungi dall’essere per la libertà “un insulto”, ne è la più fedele compagna, ne segue il movimento come un’ombra. È l’essere dell’uomo non solo non può essere compreso senza la follia, ma non sarebbe l’essere dell’uomo se non portasse in sé la follia come limite della sua libertà.
Jacques Lacan, Discorso sulla causalità psichica (1946), in Scritti, vol. I
ECCOME SE SI VORREBBE ESSERE ALTRO E ALTROVE, NEL CASO DEL CORPO SOFFERENTE! Nel termine "ANIMA" -MEGLIO DIREI NEL TERMINE "SPIRITO", giacché DA ARISTOTELE IN POI TALVOLTA SI PARLA DI ANIMA ANCHE PER GLI ANIMALI...- emerge il TENTATIVO DI DARE UN NOME A QUESTA MISTERIOSA CAPACITÀ DELL'UOMO DI RIPIEGARSI SU SE STESSO CHE RENDE IMPOSSIBILE LA SUA IDENTIFICAZIONE CON IL SUO CORPO, ossia con CIÒ CHE STA SEMPLICEMENTE IN SITUAZIONE. LE PERVERSIONI SONO FRUTTO DI UN CATTIVO RAPPORTO CON NOI STESSI, CON IL NOSTRO DESIDERIO, e CI MOSTRANO COME IL MALE NON VENGA DAL CORPO, MA SEMPRE DAL NOSTRO RAPPORTO CON IL CORPO, OSSIA DALLO SPIRITO, DALL'ANIMA. Non per nulla la TRADIZIONE EBRAICO CRISTIANA pone la sorgente del male in un essere puramente spirituale.
«Tradotto in un linguaggio ordinario, un testo filosofico stranamente si svuota. È una prova alla quale occorrerebbe sottometterli tutti. Il fascino esercitato dal linguaggio spiega a mio avviso il successo di Heidegger. Manipolatore senza pari, egli possiede un autentico genio verbale che spinge tuttavia troppo lontano, accordando al linguaggio un’importanza vertiginosa. Fu proprio questo eccesso a svegliare in me i dubbi, quando, nel 1932, leggevo Sein und Zeit. La vanità d’un tale esercizio mi balzò agli occhi. Come se cercassero d’imbrogliarmi con delle parole. Devo comunque ringraziare Heidegger d’essere riuscito, con la sua prodigiosa inventiva verbale, ad aprirmi gli occhi. Vidi ciò che occorreva ad ogni costo evitare» .
Emil Cioran, Entretiens
«Abbraccia tutto, e tutto gli riesce; non vi è nulla di cui non sia contemporaneo. Tanto vigore negli artifici dell’intelletto, tanta facilità nell’abbordare tutti i settori del sapere e della moda – dalla metafisica al cinema – abbaglia, deve abbagliare. Nessun problema gli resiste, nessun fenomeno gli è estraneo, non c’è tentazione che lo lasci indifferente. È un conquistatore, con un solo segreto: la sua mancanza di emozione; non gli costa nulla affrontare qualsiasi cosa, poiché non vi pone alcun accento. Le sue costruzioni sono magnifiche, ma senza sale: poche categorie vi rinserrano delle esperienze intime, ordinate come in uno schedario di disastri o un catalogo d’inquietudini. Vi sono classificate le tribolazioni dell’uomo, così come la poesia della sua lacerazione. L’Irrimediabile è diventato sistema, anzi è passato in rassegna, esposto come un articolo in commercio, vera e propria fabbrica di angosce. Il pubblico lo reclama; il nichilismo da boulevard e l’amarezza degli sfaccendati se ne pascono. Pensatore senza destino, infinitamente vuoto e meravigliosamente ampio, sfrutta il suo pensiero, lo vuole sulle labbra di tutti. Nessuna fatalità sembra perseguitarlo».
Emil Cioran, Su un impresario d’idee….su Sartre ironico quanto mai!!
"Ogni volta che leggo qualcosa di Freud, e in particolare le lettere, sono colpito dalla sua capacità di fede. Dice di non essere credente. Ma il tono in cui parla delle sue scoperte, del suo metodo, della sua scuola è quello del fondatore di una setta. Nel Settecento, in Galizia, sarebbe stato un rabbino hassidico.
Se mai ha ottenuto delle guarigioni non è stato grazie alla sua analisi, ma grazie a lui, alla sua presenza, alla sua forte personalità. Più lo leggo, più credo in lui, e contemporaneamente aumentano i miei dubbi sulla fondatezza delle sue esagerazioni. Mente sottile eppure limitata, aveva tutte le qualità e tutte le tare del salvatore, mascherato da uomo di scienza. D'altronde il suo grande trucco è stato di presentare come scienza ciò che non era che una teoria, un insieme di ipotesi e di finzioni.
Emil Cioran, Quaderni.
L’amore si realizza non attraverso il consumo dell’oggetto, ma attraverso l’incontro dell’altro (soggetto) e occupando un posto fondamentale nel desiderio dell’altro […].
Il godimento che si allontana dal desiderio va verso la morte, il godimento che viene riannodato al desiderio va verso la vita.
Jacques Lacan
IL DESIDERIO E' IL DESIDERIO DELL'ALTRO E SI COSTITUISCE NELL'INCONSCIO
di Egidio T. Errico
Uno dei contributi più significativi apportati da Lacan alla comprensione di come il soggetto si organizza intorno al proprio desiderio, e che è poi anche l'ambito di azione della psicoanalisi, vale a dire a come il desiderio si articola in domanda rivolta all'Altro, è nell'averci dimostrato che la struttura della domanda non è data in sé e per sé a partire dal soggetto in maniera indipendente dall'Altro cui essa viene rivolta, ma al contrario si organizza sulla base delle "indicazioni" che il soggetto riceve dall'Altro interpellato al momento del bisogno, quell'Altro che in genere è la madre.
In altre parole l'Altro della domanda è anche l'Altro del codice, è cioè l'altro che indica, suggerisce, comanda il soggetto a come strutturare la domanda. L'Altro è cioè colui che permette al soggetto la scelta dei significanti adatti a comporre la domanda in maniera tale a corrispondere al desiderio dell'Altro cui si rivolge. Per questo Lacan, dirà che il desiderio del soggetto è il desiderio dell'Altro e, attingendo al "diavolo innamorato" di Cazotte, sintetizzerà il concetto nel famoso appello con cui il soggetto interroga l'Altro: "Che vuoi?". Solo in questo modo, solo cioè interpellando l'Altro sul suo desiderio, solo potendo chiedergli "Che vuoi?", il soggetto può, retroattivamente, e sfruttando il "principio di commutatività" dei significanti, operare la scelta dei significanti più adatti a strutturare la sequenza significante della domanda. E' in tal modo che la domanda non solo acquista il senso "giusto", ma riceve anche effetti metaforici in quanto viene a costituirsi attraverso la sostituzione di un significante con un altro significante. Per questo non vi è domanda rivolta all'Altro che non sia anche metafora, non vi è demanda che oltre a dire del desiderio del soggetto non dica anche qualcosa dell'Altro, che non dica anche del desiderio dell'Altro. E infatti, quando il codice non funziona e non può adeguatamente "comandare" al soggetto come articolare la domanda, come "scegliere" cioè i significanti adatti ponendoli anche alla giusta distanza dai significati, è allora che il soggetto non riesce più a formularla correttamente, comprendendone il desiderio che la sottende, ed è allora che di conseguenza il soggetto va incontro da una parte all'angoscia, dall'altro all'impossibilità a domandare, non possedendo più le chiavi, le "password" che l'Altro, la madre avrebbe dovuto fornirgli per poter strutturare la domanda: è quello che avviene, nei casi estremi, nello schizofrenico, che in assenza delle indicazioni del codice sceglie i significanti alla rinfusa e quindi struttura domande senza senso, insensate appunto.
Dunque, se il desiderio dell'Altro orienta il desiderio del soggetto a come strutturarsi nella domanda, ciò significa che il discorso dell'Altro sussiste nel discorso del soggetto, rimanendovi dimenticato, e dunque inconscio. L'inconscio allora altro non è che questo: il discorso dell'Altro che nel soggetto si insedia strutturandosi come un linguaggio, per cui possiamo in effetti dire che noi parliamo in quanto parlati. Allo stesso modo possiamo dire che noi costituiamo il particolare del nostro desiderio se non in quell'al di là della domanda che è il desiderio dell'Altro.
LACAN E LE PAROLE IMPOSTE.
Un paziente di Lacan, il celebre psichiatra, soffriva di una strana malattia:
la “sindrome da automatismo mentale”.
(Questo testo è tratto da “Il sapere che viene dai folli”, a cura di Nicolas Dissez e Cristiana Fanelli. Ringraziamo l’editore Derive Approdi per la gentile concessione)
di Marcel Czermak
Le parole imposte: «ho ucciso l’uccello blu»
Uomo di 26 anni, ex studente di Scienze e di Lettere, era stato ricoverato dopo un tentativo di suicidio mediante farmaci, provocato dalla certezza che tutti conoscessero i suoi pensieri.
Presentava quella sindrome di automatismo mentale che tanto spesso stupiva Lacan, il quale constatava, per l’ennesima volta, che tutti noi siamo preda di un automatismo mentale “normale” e che la parola è un «parassita». Di fatto, se parlare è anche intendersi, commentare, anticipare la parola futura, come anche sigillare retroattivamente il significato, è piuttosto raro rendersene conto e l’effetto è spesso devastante per coloro (gli psicotici) a cui capita.
Sottolineiamo che l’automatismo mentale ha fondamentalmente una struttura d’esposizione.
«Gli altri mi sentono per telepatia. A volte ho voglia di suicidarmi perché non mi sentano più».
La sua certezza di essere sentito proveniva da ciò che denominava le “parole imposte”, le “parole parassite o emergenti” che irrompevano a contrastare il suo pensiero, interrompendone il corso, oppure nel dialogo. Queste parole giungevano dunque in risposta, in opposizione, al suo pensiero, a contrastarlo senza che lui potesse riconoscervisi.
Esaminiamone le caratteristiche:
– queste parole imposte che “non hanno rapporto” (con il pensiero) sopraggiungono con un ritmo “rapidissimo”, si impongono a “flash”, a “cicli”, “pulsano”, arrivano “a raffiche” e sono “rimuginate”;
– trattano essenzialmente di morte, stupro, sono offensive;
– cominciano spesso per sale (“sporco”) o più raramente saint o sainte (“santo”, “santa”);
– spesso si riferiscono a lui in terza persona, mai in seconda, talvolta in prima persona e allora lui si indigna per il fatto che gli si voglia addossare ciò che deplora, “l’aggressività morbosa”;
– spesso si tratta di pezzi di frase che richiedono un complemento sotto forma di “frase riflessiva” introdotta dalla congiunzione “ma”. Su questo punto torneremo;
– sono enigmatiche, «queste voci non hanno alcuna logica che le leghi. Forse è la mia immaginazione che è slegata», «sento delle voci che sono suoni reali ma che non riesco a decifrare dal punto di vista del senso ed è, nella mia testa, la mia immaginazione che le codifica»;
– spesso si tratta di veri e propri neologismi;
– il paziente nega il loro carattere allucinatorio, ma la loro tonalità le fa immediatamente riconoscere e distinguere dal pensiero “normale”.
Eccone qualche esempio:
«Ho violentato l’uccello blu»
«Ho violentato l’uccello grigio»
«Ho ucciso l’ucc»
«Ho ucciso l’uccello blu»
«Vogliono uccidermi gli uccelli grigi»
«Vogliono violentarmi gli uccelli blu» (torneremo sulla questione degli uccelli: era lui stesso che si considerava uno strano uccello. Una voce, una volta, gli aveva detto: «Ha dei bei seni, l’uccellina»)
«Sono stato violentato»
«È una violazione di…»
«È anarchic system…»
«È monarchic system…»
«Loro hanno voluto assassinarmi»
«È sporco assistentato politico» (vedremo la dimensione di transfert connessa a questo neologismo)
«Sporca frammentazione dell’intelletto»
«Sporco ostrogodus dell’intelletto»
«Farebbe meglio ad andare a cercare un lavoro».
L’arte dell’enigma e la telepatia.
Il paziente non ha alcuna idea del senso da dare a queste frasi.
Questi neologismi sono, in alcuni casi, enunciazioni pure, vale a dire enigmi.
Lacan affermava che «un enigma, come indica il nome, è un’enunciazione di cui non si trova l’enunciato», e più oltre: «In che consiste l’enigma? L’enigma è un’arte che definirei tra le righe, per alludere alla corda». A ogni modo, in questo caso è un’arte del tutto spontanea, automatica e di un’ispirazione che pareva insensata al paziente stesso.
All’occasione, questa strana arte tra le righe possiede linee di forza molto peculiari che annientano il soggetto, lo contraddicono, lo ingiuriano, parlano della sua morte, del suo stupro, della sua trasformazione in femmina. E quando parlano in prima persona, si tratta di una prima persona in cui il paziente non si riconosce. Il suo io è di un altro, è divenuto altro, passato dall’altra parte. Si è inguainato come in un guanto ed è un io rivoltato, come si rivolterebbe una comparsa che lo uccide.
Le parole imposte avevano fatto il loro esordio all’età di 15 anni, quando il paziente faceva “da cuscinetto” tra padre e madre in occasione dei loro litigi, o quando sua madre faceva “da cuscinetto” tra suo padre e lui. Sono innescate dalla sua stessa riflessione, dal dialogo o da avvenimenti “sensibili”. Esse assicurano il paziente della sua telepatia trasmittente di cui ignora di essere sia l’emittente che il recettore. «Quando parlo di me, quando sono telepatico, tutti mi sentono, tutti sentono le mie voci, queste dicono: “Ho violentato l’uccello grigio, sono stato violentato”». Dove si vede che le cose sono un po’ più complesse del modo in cui Lacan le rende nel suo seminario, poiché questa “telepatia” poggia tanto sul suo pensiero e la sua parola quanto sulle voci che certo gli sembrano provenire dall’altro, ma anche di essere sentite, in un’eco moltiplicata che è la versione allucinatoria verbale dell’immagine moltiplicata tra due specchi.
Come definisce la sua telepatia?
«È la trasmissione del pensiero… Tutto ciò che penso è sentito da centinaia di persone, io sono l’emittente, altri sono i recettori. Non è mai in senso inverso».
Come sa di essere sentito?
Spesso per le reazioni sui volti degli altri.
Così, «quando stamattina sono andato a telefonare a mio padre, ho visto degli studenti andare al corso del dottor Daumézon… Immediatamente ho avuto una frase imposta: “Mi hanno ucciso gli uccelli blu”. Ho visto il volto di una ragazza che sorrideva e che si è subito irrigidito».
A cos’ha pensato? «È una frase inconscia, siccome lei sorrideva, ho pensato che fosse per me».
Insomma Mi hanno ucciso gli uccelli blu è venuto in risposta al sorriso della ragazza.
Poi: «Ho un’autentica voliera nella testa… uccelli blu o grigi»:
l’allucinazione assume il carattere di echi cacofonici.
Perché l’uccello blu? «È Mallarmé, il grigio sono le nubi.
È un’immagine poetica banalissima.
L’idea mi è venuta leggendo la poesia di Mallarmé, L’azur».
La studentessa? «Mi ricordo di una ragazza bruna con l’henné ai capelli, erano in quattro, quel che è terribile sono le frasi imposte e allo stesso tempo interiori come se prendessi il posto di altre persone. Un miniteatro».
Insomma, la sua parola è divenuta straniera poiché risuona in chi gli passa accanto, vi scivola e cade dentro: gli ritorna dall’altro. Ancora, passato dall’altra parte, rivoltato come un guanto, si sente come altro da sé. D’altronde, in occasione di un esame più serrato dirà: «Non so più se sono frasi imposte o se sono io che penso. È una regressione morbosa». Dove si vede bene che la convinzione dello psicotico può spesso essere meno ferma di quanto non si pensi e lasci talvolta la porta aperta a un’ipotesi alternativa. Poi: «A momenti sento delle frasi, la mia immaginazione lavora, è molto complicato e mi è difficile esprimermi».
In questo quadro, il paziente indica benissimo quanto il fenomeno deve alla rottura del dialogo interiore: «Non sarebbe imposto se avessi un dialogo interiore con me stesso». Il pensiero imposto “non è riflessivo” perché non è un dialogo. Quando il paziente pensa, risponde altrove, con un altro registro, con un registro altro, nel Reale, che all’occasione può essere benissimo quell’altro che passandogli vicino risuona realmente di un pensiero che lui gli trasmette nella stessa dimensione e (contrariamente a quel che lui crede) effettivamente in risonanza, poiché il termine “riflessione” si applicherebbe meglio a un fenomeno di moltiplicazione speculare.
Prigionieri delle parole.
Alla luce di ciò, si comprenderà quanto segue:
«Ho la sensazione di essere un po’ sdoppiato. Ho impulsi aggressivi verso le persone, verso certe etnie, ho l’impressione che il mio cervello non sia tanto raccolto, che non si tenga assieme. Dai corsi di anatomia ricordo le tre parti del cervello. Le mie non pulsano più allo stesso ritmo. Sono xenofobo, razzista. Il mio cervello è scordato. Vedo le persone e si scatena un’ondata di ingiurie: “sporco ebreo”, “sporco negro”».
Così, si riconosce a momenti in queste parole imposte, grazie al dialogo.
Gli ho chiesto: «Queste frasi “sporco ebreo”, “sporco negro”, sono ciò che lei definisce aggressività? In cosa vi si riconosce? Chi è che pensa?». E lui: «Sono io. Non sono allucinazioni, ahimè!». Non sono idee sue? «È in questo che c’è sdoppiamento e disaccordo nel mio cervello. Nel mio pensiero sono antirazzista, ma a livello dello scatto che si produce, mi metto talvolta a insultare».
In che misura allora sono imposte queste parole?
«Io non rifletto e il fatto di avere un contatto sensibile produce uno scatto diretto.
Ho appena detto “sporca marmaglia ebraica guerriera”».
Ecco che distingueva bene le sue parole imposte dalle altre forme di allucinazione di cui aveva potuto patire. La nostra insistenza nel voler definire i fenomeni ci era valsa la sua ingiuria, non accettata, ma formulata attraverso la parola imposta “sporca marmaglia ebraica guerriera”. D’altra parte, quella parola imposta, ce l’aveva restituita spontaneamente, senza che gli avessimo chiesto nient’altro…
Quel che è certo, poiché rifiuta il carattere allucinatorio delle sue parole imposte, è che la cosa ha «aspetto di parola nella misura in cui è costruita come un discorso, come io parlo a lei. Io non restituisco la logica delle visioni, sono parole che sento nel mio cervello». E poi: «Non è qualcosa di pensato, arriva con il contatto, arriva tutto d’un colpo, ci sono delle frasi parassite che vengono a innestarsi». Ecco il carattere di parassita, di cancro della parola. Ecco l’aggressività sempre mortale e inaccettabile. Ecco il suo ritorno nel transfert: l’allucinazione “sporca marmaglia ebraica guerriera”.
Il paziente lo sapeva bene:
«Bisogna che reagisca. Siamo prigionieri delle parole, è atroce…
non so come fare con tutte queste frasi che mi assalgono. Vengono anche quando leggo».
Scritto da Indiscreto
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