Cosa diceva Berlinguer
Il discorso al Convegno degli
intellettuali del 1977 sulla "politica di austerità e di rigore"
Sono giorni in cui si riparla di
Berlinguer. Prima con la sua evocazione da parte del ministro di Tremonti, che
ha chiesto di recuperarne il pensiero, poi oggi con una lettera critica di
Stefania Craxi pubblicata dal Corriere. E su tutto, la crisi economica e morale
del paese riportano spesso alla citazione delle parole di Berlinguer
sull’austerità economica e su quella morale. Così oggi IL RIFORMISTA RIPROPONE I SUOI LETTORI IL DISCORSO DI ENRICO BERLINGUER AL “CONVEGNO DEGLI INTELLETTUALI”
DI ROMA DEL GENNAIO 1977, con i temi citati da Tremonti.
DA CHE COSA È
NATA, DA CHE COSA NASCE L’ESIGENZA DI METTERCI A PENSARE E A LAVORARE ATTORNO
AD UN PROGETTO DI TRASFORMAZIONE DELLA SOCIETÀ CHE INDICHI OBIETTIVI E
TRAGUARDI TALI DA POTER E DOVER ESSERE PERSEGUITI E RAGGIUNTI NEI PROSSIMI
TRE-QUATTRO ANNI, ma che si traducano in atti, provvedimenti, misure,
che ne segnino subito l’avvio?
Questa esigenza nasce dalla CONSAPEVOLEZZA CHE OCCORRE DARE UN SENSO E UNO SCOPO A QUELLA POLITICA DI AUSTERITÀ CHE È UNA SCELTA
OBBLIGATA E DURATURA, E CHE, AL TEMPO STESSO, È UNA CONDIZIONE DI SALVEZZA PER
I POPOLI DELL’OCCIDENTE,
io ritengo, in linea generale, ma, in modo particolare, per il popolo
italiano.
L’AUSTERITÀ NON
È OGGI UN MERO STRUMENTO DI POLITICA ECONOMICA CUI SI DEBBA RICORRERE PER
SUPERARE UNA DIFFICOLTÀ TEMPORANEA, CONGIUNTURALE, per poter consentire
la ripresa e il ripristino dei vecchi meccanismi economici e sociali. Questo è
il modo con cui l’austerità viene concepita e presentata dai gruppi dominanti e
dalle forze politiche conservatrici. Ma non è cosi per noi. PER NOI L’AUSTERITÀ È IL MEZZO PER CONTRASTARE ALLE RADICI E PORRE LE
BASI DEL SUPERAMENTO DI UN SISTEMA CHE È ENTRATO IN UNA CRISI STRUTTURALE E DI
FONDO, NON CONGIUNTURALE, DI QUEL SISTEMA I CUI CARATTERI DISTINTIVI SONO LO
SPRECO E LO SPERPERO, L’ESALTAZIONE DI PARTICOLARISMI E DELL’INDIVIDUALISMO PIÙ
SFRENATI, DEL CONSUMISMO PIÙ DISSENNATO. L’AUSTERITÀ SIGNIFICA RIGORE,
EFFICIENZA, SERIETÀ, E SIGNIFICA GIUSTIZIA; CIOÈ IL CONTRARIO DI TUTTO CIÒ CHE
ABBIAMO CONOSCIUTO E PAGATO FINORA, E CHE CI HA PORTATO ALLA CRISI GRAVISSIMA I
CUI GUASTI SI ACCUMULANO DA ANNI E CHE OGGI SÌ MANIFESTA IN ITALIA IN TUTTA LA
SUA DRAMMATICA PORTATA.
Ecco, in base a quale giudizio IL MOVIMENTO OPERAIO PUÒ FAR SUA LA BANDIERA DELL’AUSTERITÀ?
L’AUSTERITÀ È
PER I COMUNISTI LOTTA EFFETTIVA CONTRO IL DATO ESISTENTE, CONTRO L’ANDAMENTO
SPONTANEO DELLE COSE, ED È, AL TEMPO STESSO, PREMESSA, CONDIZIONE MATERIALE PER
AVVIARE IL CAMBIAMENTO. Cosi concepita l’austerità diventa arma di lotta
moderna e aggiornata sia contro i difensori dell’ordine economico e sociale
esistente, sia contro coloro che la considerano come l’unica sistemazione
possibile di una società destinata organicamente a rimanere arretrata,
sottosviluppata e, per giunta, sempre più squilibrata, sempre più carica di
ingiustizie, di contraddizioni, di disuguaglianze.
Lungi dall’essere, dunque, una
concessione agli interessi dei gruppi dominanti o alle esigenze di
sopravvivenza del capitalismo, L’AUSTERITÀ PUÒ ESSERE UNA SCELTA CHE
HA UN AVANZATO, CONCRETO CONTENUTO DI CLASSE, può e deve essere UNO DEI MODI ATTRAVERSO CUI IL MOVIMENTO OPERAIO SI FA PORTATORE DI UN
MODO DIVERSO DEL VIVERE SOCIALE, attraverso cui lotta per affermare,
nelle condizioni di oggi, i suoi antichi e sempre validi ideali di liberazione.
E infatti, IO CREDO CHE NELLE CONDIZIONI DI OGGI È IMPENSABILE
LOTTARE REALMENTE ED EFFICACEMENTE PER UNA SOCIETÀ SUPERIORE SENZA MUOVERE
DALLA NECESSITÀ IMPRESCINDIBILE DELL’AUSTERITÀ.
Ma l’AUSTERITÀ,
a seconda dei contenuti che ha e delle forze che ne governano l’attuazione, PUÒ ESSERE ADOPERATA O COME STRUMENTO DI DEPRESSIONE ECONOMICA, DI
REPRESSIONE POLITICA, DI PERPETUAZIONE DELLE INGIUSTIZIE SOCIALI, OPPURE COME
OCCASIONE PER UNO SVILUPPO ECONOMICO E SOLIDALE NUOVO, PER UN RIGOROSO
RISANAMENTO DELLO STATO, PER UNA PROFONDA TRASFORMAZIONE DELL’ASSETTO DELLA
SOCIETÀ, PER LA DIFESA ED ESPANSIONE DELLA DEMOCRAZIA: in una parola,
come mezzo di giustizia e di liberazione dell’uomo e di tutte le sue energie
oggi mortificate, disperse, sprecate.
Abbiamo richiamato in altre
occasioni e anche di recente le PROFONDE RAGIONI STORICHE,
certamente non solo italiane, che RENDONO OBBLIGATA, E NON
CONGIUNTURALE, UNA POLITICA DI AUSTERITÀ. Sono ragioni varie, ma occorre
ricordare sempre che l’evento più importante i cui effetti non sono più
reversibili, è stato e rimarrà L’INGRESSO SULLA SCENA MONDIALE DI
POPOLI E PAESI EX COLONIALI CHE SI VENGONO LIBERANDO DALLA SOGGEZIONE E DAL
SOTTOSVILUPPO A CUI ERANO CONDANNATI DALLA DOMINAZIONE IMPERIALISTICA. SI
TRATTA DI DUE TERZI DELL’UMANITÀ, CHE NON TOLLERANO PIÙ DI VIVERE IN CONDIZIONI
DI FAME, DI MISERIA, DI EMARGINAZIONE, DI INFERIORITÀ RISPETTO AI POPOLI E
PAESI CHE HANNO FINORA DOMINATO LA VITA MONDIALE.
Assai vario e complesso è, certo,
questo moto. Grandi sono le differenze storiche, economiche, sociali,
culturali, politiche, che esistono tanto all’interno di quel che suole
chiamarsi il Terzo mondo, quanto nei suoi rapporti esterni. In particolare,
negli ultimi tempi si è venuta precisando una tendenza verso alleanze tra i
gruppi dominanti dei paesi capitalisticamente più sviluppati e quelli di certi paesi
in via di sviluppo, ALLEANZE CHE OPERANO A DANNO DI ALTRI
PAESI PIÙ POVERI E PIÙ DEBOLI, E CONTRO OGNI MOVIMENTO POPOLARE E PROGRESSISTA.
Non sono stati e non sono solo i Kissinger, ma anche gli Yamani (avrete visto
le recenti dichiarazioni) che hanno perseguito e perseguono una politica di
ostilità contro gli Stati e contro le forze politiche che si battono per il
rinnovamento del proprio paese, comprese le forze avanzate del movimento
operaio dell’occidente.
Ma mentre dobbiamo saper cogliere
queste differenze all’interno del Terzo mondo, e tenerne conto, NON DOBBIAMO MAI PERDERE DI VISTA IL SIGNIFICATO GENERALE DEL MOTO
GRANDIOSO DI CUI SONO STATI E SONO PROTAGONISTI QUEI POPOLI: UN MOTO CHE CAMBIA
LA ROTTA DELLA STORIA MONDIALE, CHE SCONVOLGE VIA VIA TUTTI GLI EQUILIBRI
ESISTITI ED ESISTENTI, e non soltanto quelli relativi ai rapporti di
forza su scala mondiale, ma anche gli equilibri all’interno dei singoli paesi
capitalistici. È questo moto, o almeno è principalmente questo moto, che,
operando nel profondo, fa esplodere le contraddizioni di una intera fase dello
sviluppo capitalistico post-bellico, e determina in singoli paesi condizioni di
crisi di gravità mai raggiunta. E se può accadere, COME CI È DATO
DI CONSTATARE, CHE ALL’INTERNO DEL MONDO CAPITALISTICO ALCUNE ECONOMIE PIÙ
FORTI POSSONO TRARRE PROFITTO DALLA CRISI E CONSOLIDARE LA PROPRIA POSIZIONE DI
DOMINIO, PER ALTRI PAESI ECONOMICAMENTE PIÙ DEBOLI, COME L’ITALIA, LA CRISI
DIVENTA ORMAI UN ROTOLARE PIÙ O MENO LENTO VERSO IL PRECIPIZIO.
Sullo sfondo di questa ACUITA CONFLITTUALITÀ TRA I PAESI E I GRUPPI CAPITALISTICI, MAL CELATA
DA FRAGILI SOLIDARIETÀ, AVANZANO PROCESSI DI DISGREGAZIONE E DI DECADENZA CHE,
MENTRE RENDONO SEMPRE PIÙ INSOPPORTABILI LE CONDIZIONI DI ESISTENZA DI GRANDI
MASSE POPOLARI, minacciano le basi stesse, non solo dell’economia, ma
della nostra stessa civiltà e del suo sviluppo.
Non è necessario descrivere i
mille segni in cui si manifesta questa tendenza che ferisce e mortifica così
profondamente anche la vita della cultura. Quel che deve essere chiaro a
chiunque voglia intendere le ragioni ed i fini della nostra politica, sia
all’interno del nostro paese, sia nei rapporti con forze progressiste di altri
paesi, è che essa si può tutta ricondurre allo sforzo di mobilitazione e di
ricerca per bloccare questa tendenza e per rovesciarla.
VIVIAMO, IO
CREDO, IN UNO DI QUEI MOMENTI NEI QUALI – come afferma il Manifesto dei
comunisti – per alcuni paesi, e in ogni caso per il nostro, O SI AVVIA «UNA TRASFORMAZIONE RIVOLUZIONARIA DELLA SOCIETÀ» O SI PUÒ
ANDARE INCONTRO «ALLA ROVINA COMUNE DELLE CLASSI IN LOTTA»; E CIOÈ ALLA
DECADENZA DI UNA CIVILTÀ, ALLA ROVINA DI UN PAESE.
Ma una trasformazione
rivoluzionaria può essere avviata nelle condizioni attuali solo se sa
affrontare i problemi nuovi posti all’occidente dal moto di liberazione dei
popoli del Terzo mondo. E ciò, secondo noi comunisti, comporta per l’occidente,
e soprattutto per il nostro paese, due conseguenze fondamentali: aprirsi ad una
piena comprensione delle ragioni di sviluppo e di giustizia di questi paesi e
instaurare con essi una politica di cooperazione su basi di uguaglianza; ABBANDONARE L’ILLUSIONE CHE SIA POSSIBILE PERPETUARE UN TIPO DI
SVILUPPO FONDATO SU QUELLA ARTIFICIOSA ESPANSIONE DEI CONSUMI INDIVIDUALI CHE È
FONTE DI SPRECHI, DI PARASSITISMI, DI PRIVILEGI, DI DISSIPAZIONE DELLE RISORSE,
DI DISSESTO FINANZIARIO.
Ecco perché UNA POLITICA DI AUSTERITÀ, DI RIGORE, DI GUERRA ALLO SPRECO È DIVENUTA
UNA NECESSITÀ IRRECUSABILE DA PARTE DI TUTTI ED È, AL TEMPO STESSO, LA LEVA SU
CUI PREMERE PER FAR AVANZARE LA BATTAGLIA PER TRASFORMARE LA SOCIETÀ NELLE SUE
STRUTTURE E NELLE SUE IDEE DI BASE.
UNA POLITICA DI
AUSTERITÀ NON È UNA POLITICA DI TENDENZIALE LIVELLAMENTO VERSO L’INDIGENZA,
ne deve essere perseguita con lo scopo di garantire la semplice sopravvivenza
di un sistema economico e sociale entrato in crisi. UNA POLITICA DI
AUSTERITÀ, INVECE, DEVE AVERE COME SCOPO – ed è per questo che essa può,
deve essere fatta propria dal movimento operaio – QUELLO DI
INSTAURARE GIUSTIZIA, EFFICIENZA, ORDINE, E, AGGIUNGO, UNA MORALITÀ NUOVA.
CONCEPITA IN
QUESTO MODO, UNA POLITICA DI AUSTERITÀ, ANCHE SE COMPORTA (e di
necessità, per la sua stessa natura) CERTE RINUNCE E CERTI
SACRIFICI, acquista al tempo stesso significato rinnovatore e diviene,
in effetti, un atto liberatorio per grandi masse, soggette a vecchie sudditanze
e a intollerabili emarginazioni, CREA NUOVE SOLIDARIETÀ, e potendo cosi ricevere
consensi crescenti diventa un ampio moto democratico, al servizio di un’opera
di trasformazione sociale.
Proprio perché pensiamo questo,
occorre riconoscere, a me sembra, che FINORA LA POLITICA DI AUSTERITÀ
NON È STATA PRESENTATA AL PAESE, E ANCOR MENO ATTUATA, DENTRO TALE SPIRITO NON
DI RASSEGNAZIONE, MA DI CONSAPEVOLEZZA E DI FIDUCIA. E se possiamo
ammettere – dobbiamo ammettere, anzi – che vi sono state e vi sono a questo
proposito manchevolezze e oscillazioni del movimento operaio e anche del nostro
partito, tuttavia le deficienze principali sono da imputare alle forze che
dirigono il governo del paese.
Non voglio qui esaminare i vari
provvedimenti di politica economica attuati o in preparazione da parte del
governo, ne ricordare il nostro atteggiamento su di essi. Sono note le
posizioni, a volte favorevoli a volte critiche, assunte dal nostro partito sui
diversi aspetti della politica economica governativa. Del resto, proprio in
questa sala, come sapete, nostri autorevoli compagni qualche giorno fa hanno
fatto il punto – in un positivo confronto con esponenti di altri partiti, con
illustri economisti e alla presenza, anche, dei rappresentanti del governo –
sul quadro economico complessivo e sugli interventi da compiere da parte del
governo e dei partiti.
Voglio invece ribadire una
critica di ordine generale che noi comunisti continuiamo a fare, non possiamo non
continuare a fare, all’azione del governo. LA POLITICA DI
AUSTERITÀ È TUTTORA VIZIATA, INFATTI, DA CARENZE DI VIGORE, DI CORAGGIO E DI
RESPIRO. AD ESEMPIO: NON SI È SAPUTO ANCORA SUSCITARE IL NECESSARIO MOVIMENTO
DI OPINIONE E DI MASSA CONTRO GLI SPRECHI. CONTRO GLI SPRECHI IN SENSO DIRETTO,
CHE SONO ANCORA ENORMI (SI PENSI ALL’ENERGIA O ALL’ORGANIZZAZIONE SANITARIA) E
CONTRO GLI SPRECHI IN SENSO INDIRETTO E LATO, COME QUELLI CHE DERIVANO DAL
LASSISMO NELLE AZIENDE, NELLE SCUOLE E NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE; o
come quelli, qui denunciati con particolare rigore dai professori Carapezza,
Nebbia, Maldonado e da altri, derivanti da imprevidenze, di cui avvertiamo oggi
tutto il peso, E DA ERRORI ENORMI COMPIUTI NELLA POLITICA DEL
SUOLO, DEL TERRITORIO, DELL’AMBIENTE; O DALLA TRASCURATEZZA NEL CAMPO DELLA
RICERCA. C’È TUTTA UN’AZIONE AMPLISSIMA CONTRO GLI SPRECHI
E PER IL RISPARMIO IN OGNI CAMPO CHE AVREBBE BISOGNO DELLO STIMOLO, DELLA
DIREZIONE, DELL’INIZIATIVA CONTINUA DI UN GOVERNO CHE SAPESSE DAVVERO ESPRIMERE
L’AUTOREVOLEZZA POLITICA E MORALE OGGI INDISPENSABILE.
Non è un caso, certo, che tutto
ciò sia mancato o sia stato carente, giacché un’azione simile non si organizza
solo con la propaganda, che pure va fatta, e non la si fa abbastanza, ma RICHIEDE CHE SIANO INDIVIDUATI E COLPITI PRECISI INTERESSI COSTITUITI,
UNA GRAN PARTE DEI QUALI STA ALLA BASE DEL MANTENIMENTO DEL SISTEMA DI POTERE
DELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA.
Ma è evidente, soprattutto pesa
assai negativamente, l’angustia di prospettive che caratterizza la politica di
austerità chiesta e fatta finora dal governo. STA QUI IL PUNTO
DI MASSIMA DIFFERENZIAZIONE TRA NOI E GLI ESPONENTI GOVERNATIVI E I GRUPPI
ECONOMICI DOMINANTI. In costoro, al fondo, vi è uno stato d’animo di
resa, cioè qualcosa che sta agli antipodi di ciò che occorrerebbe per ottenere
l’adesione convinta del popolo a certi sacrifici necessari. Il paese avrebbe
bisogno, per compiere uno sforzo adeguato, di veder chiaro davanti a sé, o
quanto meno di vedere chiari alcuni elementi fondamentali di una prospettiva
nuova. E invece gli esponenti delle vecchie classi dominanti e molti uomini del
governo, quando arrivano a tanto, non sanno andare più in là dell’obiettivo di
riportare l’Italia sugli stessi binari su cui procedeva lo sviluppo economico
prima della crisi.
Come se quelle vie e quei modi
dello sviluppo possano rappresentare ancor oggi un ideale di società da
perseguire, e COME SE, SOPRATTUTTO, LA CRISI DI QUESTI ANNI E DI
OGGI NON FOSSE ESATTAMENTE LA CRISI DI QUEL MODELLO DI SOCIETÀ (crisi in atto non solo in
Italia, ma anche, in forme sia pure diverse, in altre nazioni europee). È MOLTO CHIARA PER NOI LA RAGIONE DI QUESTE CARENZE DI VIGORE, DI
CORAGGIO, DI RESPIRO E DI PROSPETTIVA NELLA POLITICA DI AUSTERITÀ DI CUI PRIMA
HO PARLATO. IN TALI CARENZE NOI VEDIAMO L’EVIDENZA DI UN PROCESSO STORICO CHE È
SEGNATO DAL DECLINO IRRIMEDIABILE DELLA FUNZIONE DIRIGENTE DELLA BORGHESIA E
DALLA CONFERMA CHE TALE FUNZIONE DIRIGENTE GIÀ COMINCIA A PASSARE AL MOVIMENTO
OPERAIO, ALLE FORZE POPOLARI UNITE: NATURALMENTE A UNA CLASSE OPERAIA, A MASSE
POPOLARI, CHE DIMOSTRINO LA MATURITÀ NECESSARIA PER PRESENTARSI A PROVARE AL
PAESE INTERO DI ESSERE UNA FORZA CHE DEMOCRATICAMENTE GUIDA L’INTERA SOCIETÀ
ALLA SALVEZZA E ALLA RINASCITA. Ciò richiede che nelle file stesse del
movimento operaio, e nelle sue organizzazioni economiche e politiche, si
eserciti più ampiamente e più responsabilmente uno SPIRITO AUTOCRITICO
che porti al superamento di quegli atteggiamenti negativi e fuorvianti, o di
subalternità o di estremismo, che pesano in misura ancora non trascurabile e
che nel concreto, poi, OSTACOLANO LA SOLUZIONE POSITIVA DI
PROBLEMI DI BRUCIANTE ATTUALITÀ, QUALI IL RISANAMENTO
ECONOMICO, PRODUTTIVO, FINANZIARIO DELLA SOCIETÀ E DELLO STATO.
Per impegnarci in un progetto di
rinnovamento della società, e per fare la proposta di mettersi al lavoro per
definirlo, non potevamo attendere che, prima, maturassero nei partiti le
condizioni per un nostro ingresso nel governo. Questa esigenza, lo ribadiamo,
rimane più che mai aperta. Ma intanto e subito noi abbiamo il dovere di
prendere le opportune iniziative, che rispondono a non rinviabili necessità di
lotta del movimento operaio e a NON PROCRASTINABILI INTERESSI GENERALI
DEL PAESE, anche nell’ambito dell’attuale quadro politico, che, pur con
tutte le sue insufficienze, è un quadro profondamente influenzato dagli effetti
positivi dell’avanzata popolare e comunista di questi anni, in particolare di
quella del 20 giugno.
La proposta del progetto nasce
anche da una esigenza interna al movimento operaio: quella di EVITARE CHE NON SI COMPRENDANO BENE LE RAGIONI OGGETTIVE, L’OBBLIGO DI
UNA POLITICA DI AUSTERITÀ, OPPURE CHE SI CORRA IL RISCHIO DI ADAGIARSI NELLA
QUOTIDIANITÀ, DI ASSUEFARSI AL PIATTO TRAN-TRAN DEL GIORNO PER GIORNO.
Ma nasce soprattutto da una esigenza generale, di tutta la nazione, di avere
finalmente un orizzonte diverso e dei concreti punti di riferimento.
LA FASE ATTUALE
DELLA NOSTRA VITA NAZIONALE È CERTO GRAVIDA DI RISCHI, MA ESSA OFFRE A NOI
TUTTI LA GRANDE OCCASIONE PER UN RINNOVAMENTO. QUESTA OCCASIONE NON PUÒ ESSERE
PERDUTA: essa è la più grande, forse, – sia detto senza retorica, – che
si presenti al popolo italiano e alle sue più serie forze politiche da quando è
nata la nostra repubblica democratica.
STA QUI UNA
PECULIARITÀ ITALIANA, DI QUESTO NOSTRO PAESE DISSESTATO, DISORDINATO, SI, MA
VIVO, CARICO DI ENERGIE, FORTE DI UN GRANDE SPIRITO DEMOCRATICO; DI QUESTA
NOSTRA ITALIA CHE È FORSE LA NAZIONE NELLA QUALE LA CRISI È PIÙ GRAVE CHE IN
ALTRE ZONE DEL MONDO CAPITALISTICO (E NON SOLTANTO IN SENSO ECONOMICO, MA ANCHE
IN QUELLO POLITICO, DI MINACCIA ALLE ISTITUZIONI DEMOCRATICHE), e nella quale, però, sono
anche maggiori che in molti altri paesi le possibilità per lavorare dentro la
crisi stessa, per farla diventare mezzo per un cambiamento generale della
società.
La nostra iniziativa non è dunque
un atto di propaganda o di esibizione del nostro partito. Vuole essere un atto
di fiducia; vuole essere, ancora una volta, un atto di unità, cioè un
contributo che sollecita quello di altri partiti per avviare un lavoro e
chiamare ad un impegno comuni, che coinvolgano tutte le forze democratiche e
popolari.
Anche per questo suo carattere e
intento unitario, il nostro progetto non vuole essere, non deve essere, io credo,
un programma di transizione a una società socialista: più modestamente, e
concretamente, ESSO DEVE PROPORSI DI DELINEARE UNO SVILUPPO
DELL’ECONOMIA E DELLA SOCIETÀ LE CUI CARATTERISTICHE E MODI NUOVI DI
FUNZIONAMENTO POSSANO RACCOGLIERE L’ADESIONE E IL CONSENSO ANCHE DI QUEGLI
ITALIANI CHE, PUR NON ESSENDO DI IDEE COMUNISTE O SOCIALISTE, AVVERTONO
ACUTAMENTE LA NECESSITÀ DI LIBERARE SE STESSI E LA NAZIONE DALLE INGIUSTIZIE,
DALLE STORTURE, DALLE ASSURDITÀ, DALLE LACERAZIONI A CUI CI PORTA, ORMAI,
L’ATTUALE ASSETTO DELLA SOCIETÀ.
Ma chi sente questo assillo e ha
questa aspirazione sincera non può non riconoscere che, per USCIRE SICURAMENTE DALLE SABBIE MOBILI IN CUI RISCHIA DI ESSERE
INGHIOTTITA L’ODIERNA SOCIETÀ, è indispensabile introdurre in essa
alcuni elementi, valori, criteri propri dell’ideale socialista.
Quando PONIAMO L’OBIETTIVO
DI UNA PROGRAMMAZIONE DELLO SVILUPPO CHE ABBIA COME FINE LA ELEVAZIONE
DELL’UOMO NELLA SUA ESSENZA UMANA E SOCIALE, NON COME MERO INDIVIDUO
CONTRAPPOSTO AI SUOI SIMILI; quando PONIAMO
L’OBIETTIVO DEL SUPERAMENTO DI MODELLI DI CONSUMO E DI COMPORTAMENTO ISPIRATI A
UN ESASPERATO INDIVIDUALISMO; quando PONIAMO
L’OBIETTIVO DI ANDARE OLTRE L’APPAGAMENTO DI ESIGENZE MATERIALI
ARTIFICIOSAMENTE INDOTTE, e ANCHE OLTRE IL SODDISFACIMENTO,
NEGLI ATTUALI MODI IRRAZIONALI, COSTOSI, ALIENANTI E, PER GIUNTA, SOCIALMENTE
DISCRIMINATORI, DI BISOGNI PUR ESSENZIALI; quando PONIAMO L’OBIETTIVO DELLA PIENA UGUAGLIANZA E DELL’EFFETTIVA
LIBERAZIONE DELLA DONNA, che è oggi uno dei più grandi temi della
vita nazionale, e non solo di essa; quando PONIAMO
L’OBIETTIVO DI UNA PARTECIPAZIONE DEI LAVORATORI E DEI CITTADINI AL CONTROLLO
DELLE AZIENDE, DELL’ECONOMIA, DELLO STATO; quando PONIAMO L’OBIETTIVO DI UNA SOLIDARIETÀ E DI UNA COOPERAZIONE
INTERNAZIONALE, CHE PORTI A UNA RIDISTRIBUZIONE DELLA RICCHEZZA SU SCALA
MONDIALE; quando poniamo obiettivi di tal genere, che COS‘ALTRO FACCIAMO SE NON PROPORRE FORME DI VITA E RAPPORTI FRA GLI
UOMINI E FRA GLI STATI PIÙ SOLIDALI, PIÙ SOCIALI, PIÙ UMANI, E DUNQUE TALI CHE
ESCONO DAL QUADRO E DALLA LOGICA DEL CAPITALISMO?
E tuttavia QUESTI CRITERI, QUESTI VALORI, QUESTI OBIETTIVI, che
indubbiamente sono propri del socialismo, riflettono un’aspirazione che non è
esclusivamente della classe operaia e dei partiti operai, dei comunisti e dei
socialisti, ma esprimono un’esigenza che oggi può venire – e anzi, viene già –
anche da cittadini e strati di popolo e lavoratori di altre matrici ideali, di
altri orientamenti politici, in primo luogo di matrice e ispirazione cristiana;
è un’esigenza che può venire, e che viene in misura crescente, da aree sociali
ben più ampie, che vanno ben al di là della classe operaia. La ragione
principale per cui CONSIDERIAMO LA CRISI COME UN’OCCASIONE,
sta nel fatto che obiettivi di trasformazione e di rinnovamento come quelli che
ho ricordato possono essere non solo compatibili, ma debbono e possono essere
organicamente compresi dentro UNA POLITICA DI AUSTERITÀ, CHE È LA
PREMESSA INDISPENSABILE PER SUPERARE LA CRISI, ma andando avanti, non
tornando al passato. Infatti, mi pare sia evidente che quegli obiettivi
contribuiscono a CONFIGURARE UN ASSETTO SOCIALE E UNA POLITICA
ECONOMICA E FINANZIARIA ORGANICAMENTE DIRETTI PROPRIO CONTRO GLI SPRECHI, I
PRIVILEGI, I PARASSITISMI, LA DISSIPAZIONE DELLE RISORSE: realizzano,
cioè, quello che dovrebbe costituire l’essenza di ciò che, per natura e
definizione è una VERA POLITICA DI AUSTERITÀ.
Anzi, SI POTREBBE
OSSERVARE CHE COME SPESSO, NELLE SOCIETÀ DECADENTI, SONO ANDATI, VANNO INSIEME
E IMPERANO LE INGIUSTIZIE E LO SCIALO, COSÌ NELLE SOCIETÀ IN ASCESA VANNO
INSIEME LA GIUSTIZIA E LA PARSIMONIA.
Naturalmente, questa convinzione
non ci fa dimenticare, ma anzi ci impegna ad affrontare nella loro concretezza,
i problemi immediati, le scelte da compiere, le priorità da imporre in ogni
campo della politica economica, finanziaria, fiscale, dell’istruzione, allo
scopo di prevenire i rischi di tracolli improvvisi, di bruschi arretramenti e
di garantire, invece, che, passo a passo, si avanzi verso traguardi di efficienza
e di giustizia, di produttività e di socialità. La ricerca dei nessi che devono
legare i provvedimenti immediati all’avvio di questa linea di rinnovamento sarà
certamente uno dei cimenti più impegnativi di tutti noi e di quanti vorranno
contribuire e partecipare all’elaborazione compiuta di un progetto, che
corrisponda alle caratteristiche ed alle esigenze che abbiamo cercato di
delineare a grandi tratti.
Il nostro proposito è di arrivare
nel giro di pochi mesi all’elaborazione di un testo che rappresenti una prima
base di dibattito e di confronto, ma è anche di stimolare, prima e dopo la
pubblicazione di tale testo, un vasto e continuo impegno d’iniziativa e di
lotta. Anche e proprio perché sentiamo tutta la difficoltà di questa impresa,
ma insieme anche la sua necessità e la sua forza di suggestione, ci siamo
rivolti a voi, ci rivolgiamo a tutte le forze intellettuali affinché siano
protagoniste – come ha detto Tortorella esponendo questo tema in un modo giusto
ed efficace – e di PROPOSTE ED INIZIATIVE VOLTE A RIDARE
VITALITÀ, A RINNOVARE LE ISTITUZIONI CULTURALI (A COMINCIARE DALLA SCUOLA,
DALL’UNIVERSITÀ E DAI CENTRI DI RICERCA) e, al tempo stesso, affinché
diano il loro apporto alla elaborazione delle scelte complessive, e non solo di
quelle di settore, che devono essere alla base del progetto.
Un appello, un invito cosi
diretto ed esplicito alla cultura italiana ha oggi una sua ben precisa ragione:
infatti, da un lato, come sappiamo, LE FORZE INTELLETTUALI HANNO
OGGI IN ITALIA, COME DEL RESTO HANNO IN QUASI TUTTI I PAESI CAPITALISTICI PIÙ
SVILUPPATI, UN PESO SOCIALE QUALE NON AVEVANO MAI AVUTO NEL PASSATO, e
hanno anche, in Italia, in larghissima misura, un orientamento politico
democratico e di sinistra; ma accanto a tale dato positivo (Giulio Einaudi ha
messo bene in luce questa contraddizione) vi è quello, negativo, della CONDIZIONE DI CRISI, DI DECADIMENTO, DI MORTIFICAZIONE IN CUI SONO
STATE PRECIPITATE LE NOSTRE ISTITUZIONI CULTURALI DOPO TRENT’ANNI DI POTERE
DEMOCRATICO-CRISTIANO E DI SVILUPPO SOCIALE DISTORTO E SQUILIBRATO. Ed è
evidente che NESSUNA OPERA DI SALVEZZA E DI RINNOVAMENTO GENERALE DEL
PAESE PUÒ ANDARE AVANTI SENZA SUPERARE QUESTA CRISI, SENZA SCIOGLIERE QUESTA
CONTRADDIZIONE: SENZA, VORREI DIRE, UNA CRESCITA DEL SAPERE E DELL’AMORE PER IL
SAPERE, SENZA UN RINNOVAMENTO DEGLI STRUMENTI DEL SAPERE, AFFINCHÉ LA
PRODUZIONE DI CULTURA, E QUINDI LE ISTITUZIONI CULTURALI, SIANO ARTEFICI
ANCH’ESSE DEL RISANAMENTO E DEL RINNOVAMENTO DI TUTTA LA SOCIETÀ.
II modo in cui poniamo oggi la
funzione della cultura per la trasformazione del paese corrisponde a una
tradizione, a una peculiarità del Partito comunista italiano, come partito
della classe operaia, come partito democratico e nazionale, come grande
organismo che è esso stesso produttore di cultura. NOI CI SIAMO
BATTUTI SEMPRE E CI BATTIAMO PER IL PROGRESSO E L’ESPANSIONE DELLA VITA
CULTURALE. Ma in questo nostro impegno DOBBIAMO SEMPRE
GUARDARCI DA INTERVENTI CHE POSSANO, NELLA BENCHÉ MINIMA MISURA, LEDERE
L’AUTONOMIA DELLA RICERCA TEORICA, DELLE ATTIVITÀ CULTURALI, DELLA CREAZIONE
ARTISTICA, GIACCHÉ QUESTE HANNO COME CONDIZIONE VITALE DI SVILUPPO NON QUELLA
DI OBBEDIRE A UN PARTITO, A UNO STATO, A UN’IDEOLOGIA, MA QUELLA DI POTER DISPIEGARSI
IN PIENEZZA DI LIBERTÀ E DI SPIRITO CRITICO. Tale impostazione, che è
parte della più generale visione che noi abbiamo dei rapporti tra democrazia e
socialismo, si distingue da quella di alcuni partiti al potere in paesi
socialisti; atteggiamenti e comportamenti del potere politico quali quelli di
cui si ha notizia (per esempio in Cecoslovacchia dove siamo di fronte
addirittura ad atti di tipo repressivo), sono per noi inaccettabili in linea di
principio. Interpretando questa posizione generale del partito alcuni nostri
compagni intellettuali hanno preso l’iniziativa di una dichiarazione pubblica,
che noi consideriamo giusta ed opportuna. Fa parte irrinunciabile del nostro
patrimonio una concezione che riconosce l’essere compito del partito comunista,
degli altri partiti democratici e dei pubblici poteri, in quanto siano
orientati anch’essi in senso democratico, da un lato la CREAZIONE
DEL CLIMA POLITICO MORALE E DALL’ALTRO LATO, L’ATTUAZIONE DELLE CONDIZIONI
MATERIALI, PRATICHE, ORGANIZZATIVE CHE CONSENTANO IL POSITIVO E LIBERO SVILUPPO
DELLA RICERCA, DELLA INIZIATIVA E DEL DIBATTITO CULTURALE. Ma non è
compito né dei partiti, né dello Stato esigere obbedienze, far prevalere
concezioni del mondo, limitare in qualsiasi modo le libertà intellettuali.
Ed io, cari compagni ed amici –
non senza prima ringraziare tutti voi e in modo del tutto particolare il
compagno Argan, che è venuto a rappresentare la città di Roma e la nuova
amministrazione popolare romana – voglio concludere il mio intervento proprio
con la tranquilla conferma di questa nostra impostazione: da essa non dobbiamo
discostarci mai.
http://www.ilpost.it/2010/08/27/berlinguer-austerita/