venerdì 27 luglio 2012

Arthur Schopenauer. La felicità appartiene a coloro che sono autosufficienti. Dato che tutte le fonti esterne di felicità e di piacere sono, per loro stessa natura, altamente incerte, precarie, effimere e soggette alla sorte


La felicità appartiene a coloro che sono autosufficienti.
Dato che tutte le fonti esterne di felicità e di piacere sono,
per loro stessa natura, altamente incerte, precarie, effimere e soggette alla sorte.
Arthur Schopenhauer


Pertanto, ai fini della nostra felicità, i beni primari, più importanti, sono quelli soggettivi:
un'indole nobile, una mente acuta, un felice temperamento, uno spirito incline a letizia, e un corpo ben conformato e perfettamente sano: insomma, una mens sana in corpore sano. Perciò, assai più che al possesso di beni esteriori e di un prestigio esteriore, dovremmo mirare a incrementare e conservarci tutte quelle qualità.
Arthur Schopenhauer


I giorni felici li viviamo senza accorgercene, e solo quando arrivano quelli brutti tentiamo invano di richiamarli indietro
Arthur Schopenhauer


Se vuoi godere di ciò che vali, devi prima dar valore al mondo in cui vivi!
Arthur Schopenhauer



Arthur Schopenauer: consigli sulla felicità:


Il filosofo Schopenhauer non è sempre di facile lettura, ma il testo di cui parliamo oggi lo è senz’altro e merita davvero di essere letto per la ricchezza delle riflessioni sulla vita e sul rapporto con gli altri in esso contenute. In molti punti, certamente, si può non essere d’accordo con l’autore (specialmente quelli sulla solitudine!), ma ciò nonostante non si potrà che apprezzare la profondità delle sue riflessioni e, nello stesso tempo, la leggerezza dello stile con cui esse vengono esposte.
Vi segnaliamo alcuni spunti di riflessione tratti dal libro, in tre post, di cui questo è il primo. Saranno molto graditi i vostri commenti. Buone riflessioni.

*) L’unica cosa in nostro potere è il fatto di utilizzare la personalità dataci traendone il massimo vantaggio, di seguire quindi solo le sue aspirazioni e di applicarci ad un tipo di formazione che le risulti conveniente, evitando ogni altro; di conseguenza, possiamo scegliere la condizione, l’occupazione e il modo di vita che le si confanno
.

Importanti sono poi le cure del corpo:
*) E’ più saggio prodigarsi per conservare la salute e per perfezionare le proprie facoltà piuttosto che per l’acquisto di ricchezze; tuttavia questo non va fainteso nel senso che si debba trascurare di ottenere ciò che è necessario e adeguato.
Dobbiamo valorizzare i nostri beni soggettivi, per essere veramente felici:

*) Noi sopportiamo con più compostezza una disgrazia capitataci per ragioni del tutto esterne piuttosto che una dovuta a nostra colpa; perché il destino può cambiare, ma la propria natura mai. I beni soggettivi, come un carattere nobile, una mente capace, un temperamento gioviale, un animo sereno, un corpo perfettamente sano e ben fatto, quindi in assoluto una mens sana in corpore sano (Giovenale, Satire, X, 356) sono le cose primarie, le più importanti per la nostra felicità; dovremmo quindi badare assai più al loro sviluppo e alla loro conservazione anziché al possesso di beni materiali e di onori provenienti dall’esterno.

*) Occorre evitare ogni eccesso e ogni dissolutezza, anche le emozioni violente e penose, come pure ogni intenso e prolungato sforzo intellettuale; occorre fare ogni giorno almeno due ore di moto veloce all’aria aperta, prendere molti bagni freddi e consimili misure dietetiche. Senza un adeguato moto quotidiano è impossibile conservarsi sani: tutti i processi vitali esigono, per compiersi convenientemente, il moto, sia delle parti in cui si svolgono, sia dell’intero organismo.

*) A renderci felici o infelici non è ciò che le cose obiettivamente e realmente sono, ma ciò che sono per noi, nella nostra interpretazione. Proprio questo dice Epitteto: “gli uomini sono agitati non dalle cose, ma dalle opinioni sulle stesse”.

*) I due nemici della felicità umana sono il dolore e la noia. Si può osservare inoltre che, nella misura in cui riusciamo ad allontanarci dall’uno, ci avviciniamo all’altra, e viceversa, sicché la nostra vita è davvero una oscillazione più o meno forte fra di essi. Ciò dipende dal fatto che entrambi stanno tra di loro in un rapporto di doppio antagonismo, uno esterno od oggettivo e uno interno o soggettivo. All’esterno infatti il bisogno e le privazione generano il dolore; invece la sicurezza e l’abbondanza generano la noia. (…) In un individuo la sensibilità per l’uno è inversamente proporzionale a quella per l’altra, essendo tale sensibilità determinata dalla misura delle sue facoltà intellettuali. (…)
L’uomo intelligente mirerà in primo luogo all’assenza di dolore, a non subire molestie, ad avere pace e tempo libero, cercherà quindi un’esistenza tranquilla, modesta, ma il più possibile priva di turbamenti, e dopo una certa esperienza si sceglierà un’esistenza appartata e persino, se è uno spirito grande, la solitudine; perché quanto più uno possiede in sé stesso, tanto meno necessita ricevere dal mondo e tanto meno possono significare per lui tutti gli altri. Ecco perché la superiorità dello spirito rende poco socievoli.

*) E’ una grossa stoltezza quella di perdere all’interno per guadagnare all’esterno, ossia ottenere una posizione brillante, un lusso sfarzoso, titoli e onori, cedendo in parte o totalmente la tranquillità, la libertà, l’indipendenza.
Punto di vista eudemonologico (ossia della ricerca della felicità)

*) E’ vera la frase di Voltaire “la felicità è solo un sogno e il dolore è reale”. Chi voglia tirare le somme della propria vita dal punto di vista eudemonologico, ossia della ricerca della felicità, deve mettere in conto non le gioie che ha goduto, ma i mali a cui è sfuggito. Anzi, l’eudemonologia deve cominciare con l’insegnare che il suo stesso nome è un eufemismo e che con “vivere felici” si deve intendere solo vivere “meno infelici”, cioè in un modo tollerabile. In ogni caso la vita non è data per essere goduta, ma per essere sopportata e sbrigata. (…) Quindi la sorte migliore tocca a colui che passa la vita senza gravissime sofferenze, morali o fisiche, non a colui cui sono state concesse le gioie più intense e i più grandi godimenti. (…) Se poi all’assenza del dolore si aggiunge l’assenza della noia, allora la felicità umana è sostanzialmente raggiunta: perché tutto il resto è una chimera. Da ciò consegue che non si devono mai acquisire piaceri a prezzo di dolori, neppure come semplice rischio; altrimenti si paga una cosa negativa, quindi illusoria, con una positiva e reale. Ci si guadagna invece quando si sacrificano i piaceri per sfuggire ai dolori.

*) Quanto di meglio questo mondo ha da offrire è un’esistenza senza dolori, tranquilla, sopportabile e limiteremo le nostre pretese a tutto ciò per realizzarlo tanto più sicuramente. Infatti, per non cadere nell’estrema infelicità, il mezzo più sicuro è non desiderare una grande felicità.

Le feste

*) In genere le feste ed i trattenimenti splendidi e chiassosi hanno sempre in sé qualcosa di vuoto e di stonato già per il semplice fatto che contrastano in modo stridente con la miseria e le privazioni della nostra esistenza, e dal contrasto emerge con più forza la realtà
Ciò che rallegra e ciò che rattrista

*) Quando si voglia valutare la condizione di un uomo in merito alla sua felicità non si dovrà cercare che cosa lo rallegra, ma che cosa lo rattrista; perché quanto più le ragioni del suo dolore saranno rilevanti, prese in sé, tanto più felice sarà l’uomo; infatti ci vuole uno stato di benessere per essere sensibili alle inezie; se siamo infelici, non ce ne accorgiamo neppure.
Passato, presente e futuro

*) Solo il presente è reale e certo, giacché il futuro è quasi sempre diverso da come ce lo immaginavamo e persino il passato è stato diverso da come ce lo ricordiamo. Insomma, entrambi sono meno importanti di quanto ci sembra.

La noia
*) La noia indirettamente diventa la fonte di innumerevoli dolori, in quanto l’uomo, per scacciarla, s’appiglia a tutto: agli svaghi, alla vita di società, al lusso, al gioco, al bere e via dicendo – espedienti che arrecano ogni sorta di danni, rovina e infelicità.

Riflessione ed esperienza
*) Per vivere in modo perfettamente assennato e per trarre dalla propria esperienza tutto l’insegnamento possibile è necessario ripensare spesso al passato e ricapitolare quanto si è sperimentato, si è fatto, appreso e sentito, per confrontare i giudizi di un tempo con quelli attuali, i propositi e le aspirazioni con i risultati raggiunti e con le soddisfazioni ottenute. Tutto ciò equivale a una ripetizione fatta privatamente dal maestro di tutti: l’esperienza.
Società e Solitudine
*) Si può essere interamente sé stessi soltanto finché si è soli: chi non ama la solitudine non ama neppure la libertà, perché si è liberi unicamente quando si è soli. La costrizione è l’inseparabile compagna di ogni vita mondana, e ogni vita mondana richiede sacrifici che riescono tanto più gravosi quanto più è spiccata la propria personalità; perciò ognuno fuggirà la solitudine, la sopporterà e l’amerà in proporzione al valore esatto del proprio io. (…) Una disciplina importante per i giovani dovrebbe essere quella di imparare a sopportare la solitudine, in quanto fonte di tranquillità interiore e di felicità. (…)
Ciò che rende socievoli gli uomini è la loro incapacità di sopportare la solitudine, e in essa sé stessi (…)
Così come l’amore per la vita, in fondo, non è altro che il timore della morte, così anche l’impulso alla socievolezza da parte degli uomini non è, in fondo, un impulso diretto, non si basa sull’amore per la compagnia, ma sul timore della solitudine, perché non si cerca tanto la presenza degli altri, quanto si fugge la desolazione e l’oppressione della solitudine, insieme con la monotonia della propria coscienza.
(…)
Si può quindi affermare che la socievolezza di ogni individuo è più o meno in rapporto inversamente proporzionale al suo valore intellettuale; e che quando si dice di una persona “è assai poco socievole” si dice pressappoco “è una persona di grandi qualità”.
(…)
All’uomo di spiccate doti intellettuali la solitudine offre un duplice vantaggio: primo, stare con sé stesso, e secondo, non stare con gli altri. Vantaggio questo cui si attribuirà un alto valore quando si consideri quanta costrizione, quanti inconvenienti e persino quanti rischi comporta ogni relazione umana. Dice la Bruyère: “Tutto il nostro male deriva dal non riuscire a stare soli”
(…)
Avere in sé tanto da non aver bisogno della presenza degli altri è già una grande fortuna: perché quasi tutte le nostre sofferenze provengono dagli altri, e la tranquillità d’animo che, con la salute, è l’elemento essenziale della nostra felicità, ne viene minacciata e non può sussistere se non si riserva un ampio spazio alla solitudine.
(…)
Come dei piccoli oggetti avvicinati agli occhi, limitando il nostro campo visivo, ci coprono il mondo, così spesso uomini e cose della nostra cerchia più ristretta, per quanto insignificanti e indifferenti possano essere, occupano la nostra attenzione e i nostri pensieri al di là del dovuto, e oltre tutto in modo spiacevole. A ciò si deve reagire.
A cura di Giuliana Proietti
1. Schopenhauer, Consigli sulla felicità Parte Seconda

Il filosofo Schopenhauer non è sempre di facile lettura, ma il testo di cui parliamo oggi lo è senz’altro e merita davvero di essere letto per la ricchezza delle riflessioni sulla vita e sul rapporto con gli altri in esso contenute. In molti punti, certamente, si può non essere d’accordo con l’autore (specialmente nel primo punto, quando elenca il valore delle cose, probabilmente secondo il suo ottocentesco ordine di priorità… Un cane non vale infatti , dal punto di vista affettivo, meno di un cavallo, ma soprattutto la moglie non dovrebbe venire dopo il patrimonio, la salute, gli amici e addirittura l’amante! Per non parlare poi del fatto che la moglie viene considerata, interpretando il sentire dell’epoca, niente più che un semplice “possesso”), ma ciò nonostante non si potrà che apprezzare la profondità delle sue riflessioni e, nello stesso tempo, la leggerezza dello stile con cui esse vengono esposte.Vi segnaliamo alcuni spunti di riflessione tratti dal libro, in tre post, di cui questo è il secondo. Saranno molto graditi i vostri commenti. Buone riflessioni.
Apprezzare quel che si ha
*) Alla vista di quello che non possediamo sorge facilmente in noi il pensiero: “E se ciò fosse mio?” E questo ci fa sentire la mancanza. Invece noi dovremmo sforzarci di considerare a volte quello che possediamo come ci apparirebbe dopo averlo perduto; qualunque cosa: il patrimonio, la salute, gli amici, l’amante, la moglie, i figli, i cavalli e i cani; perché perlopiù è solo la perdita a rivelarci il valore delle cose. Con la prospettiva qui suggerita, in primo luogo il loro possesso ci darà subito una felicità maggiore rispetto a prima e poi cercheremo di evitare in tutti i modi la perdita di quei beni: non rischieremo il patrimonio, non irriteremo gli amici, non esporremo a tentazioni la fedeltà della moglie, cureremo la salute dei figli e così via.
Autocontrollo
*) Quando intraprendiamo una cosa, dobbiamo prescindere da tutte le altre e sbrigarla, sì da curare, godere e sopportare ogni evento a suo tempo, senza preoccuparci del resto: dobbiamo dunque, per così dire, avere per i nostri pensieri dei cassetti e aprirne uno mentre tutti gli altri restano chiusi. (…) Certo, per guidare il nostro io verso un obiettivo, o per distoglierlo da altri, occorre, come per molte altre cose, imporsi un’autocostrizione; ma in questo dovrebbe esserci d’aiuto la riflessione che ogni uomo deve sopportare molte e forti costrizioni dall’esterni: nessuna vita ne è esente; e che una piccola costrizione volontaria, esercitata al momento giusto, preserva da molte esterne; come un piccolo settore di cerchio vicino al centro corrisponde a uno cento volte maggiore vicino alla circonferenza. Niente ci sottrae più decisamente alla costrizione esterna quanto l’autocostrizione.
Essere attivi
*) Essere attivi, occuparsi di qualcosa che è possibile fare, o almeno imparare qualcosa, è indispensabile per la felicità dell’uomo: le sue forze esigono di essere adoperate, ed egli aspira a vedere l’esito di tale impiego. Tuttavia la più grande soddisfazione a questo riguardo è data dal costruire qualcosa, dal realizzare – si tratti di un cesto o di un libro. Il fatto che si veda ogni giorno crescerci tra le mani un’opera, fino a portarla a compimento, è una felicità che ci tocca nel profondo.
*) Ognuno dovrebbe avere un’occupazione conforme alle proprie capacità. Quanto la mancanza di un’attività organizzata, di un qualsiasi lavoro, agisca negativamente su di noi, è evidente nei lunghi viaggi di piacere durante i quali, non di rado, ci si sente davvero infelici, perché senza una vera occupazione si è per così dire sottratti al proprio elemento naturale. Darsi da fare, lottare contro qualcosa che resiste è un bisogno dell’uomo, come per la talpa lo è lo scavare. Lo stato di quiete del totale appagamento, per effetto di un godimento durevole, gli sarebbe intollerabile. Il pieno godimento della sua esistenza consiste nel superare ostacoli, siano essi di ordine materiale, come nell’attività pratica o nel commercio, oppure di ordine spirituale, come nello studio e nella ricerca scientifica: la felicità è data dalla lotta contro questi ostacoli, e dalla vittoria.
Pazienza
*) Intanto, per imparare a sopportare gli uomini, si eserciti la propria pazienza su oggetti inanimati che per una necessità meccanica o comunque fisica si oppongano ostinatamente al nostro agire: se ne incontrano ogni giorno. Si impari poi a trasferire la pazienza così acquisita sugli uomini; ci si abitui a pensare che, se essi continuano a esserci d’ostacolo, ciò deve essere a causa di una necessità derivata dalla loro natura, non meno inflessibile di quella con cui agiscono le cose inanimate; per conseguenza è altrettanto insensato indignarsi per le loro azioni quanto lo è per un sasso che ci rotoli tra i piedi.
Le affinità
*) Se immaginiamo per assurdo una grande comunità di persone tutte molto sagge e intelligenti, con l’eccezione di due imbecilli presenti nel gruppo, questi si sentiranno attratti l’un l’altro dalla simpatia e ben presto ciascuno dei due si rallegrerà dentro di sé di aver incontrato almeno una persona ragionevole. E’ davvero sorprendente constatare come due individui, specialmente quando si tratta di due persone moralmente e intellettualmente arretrate, si riconoscano a prima vista, cerchino in ogni modo di fare conoscenza e tutti giulivi si salutino amichevolmente, come fossero vecchi conoscenti; tutto questo è così stupefacente che si è tentati di credere, secondo la dottrina buddhista della metempsicosi, che quei due siano stati amici in una vita precedente.
*) Le bottiglie sono il mezzo consueto per creare in un gruppo uno stato d’animo comune. Persino il tè e il caffè servono a questo intento.
*) Il ricordo agisce come la lente convergente nella camera oscura: concentra tutto e produce un’immagine assai più bella dell’originale. Abbiamo il vantaggio di essere visti così, in una certa misura, ogni volta che ci assentiamo. Infatti, benché la memoria idealizzante abbia bisogno di parecchio tempo per compiere l’opera, la sua azione può cominciare subito. Per conseguenza è saggio mostrarsi ai conoscenti e agli amici intimi solo dopo intervalli di tempo considerevoli; allora, al momento di rivedersi, si constaterà che la memoria ha già cominciato ad operare.
*) In primo luogo uno viene amato nella misura in cui riduce le proprie pretese in merito all’intelligenza e al cuore degli altri.
Astrologia
*) Gli uomini sono per la maggior parte così soggettivi che in fondo non provano interesse che per se stessi. (…) Una prova grandiosa della miserveole soggettività degli uomini, per cui essi riferiscono ogni cosa a sé stessi e riconducono ogni pensiero al loro io, è data dall’astrologia, che collega il corso dei grandi astri all’insignificante individuo, e mette in relazione le comete celesti con le faccende e le miserie terrene. Del resto questo è avvenuto in ogni epoca, sin dai tempi più antichi (cfr. ad esempio Stobeo, Ecl I, 22, 478)
Prestiti
*) Di norma non si perde un amico se gli si nega un prestito, mentre è assai facile che ciò avvenga se glielo si concede.
Amicizia
*) E’ consigliabile far sentire di tanto in tanto a chiunque – uomo o donna – che si può fare benissimo a meno di lui: questo consolida l’amicizia; anzi, con la maggior parte degli esseri umani conviene, di tanto in tanto, aggiungere un pizzico di disprezzo nei loro confronti (…) E se qualcuno per noi è davvero importante dobbiamo nasconderglielo come se fosse un delitto. Tutto ciò non è piacevole, ma è la verità. Neppure i cani sopportano troppa confidenza, figuriamoci gli uomini.
Perdonare
*) Perdonare e dimenticare significa gettare dalla finestra le preziose esperienze fatte.
Il mondo
*) Il mondo è un brutto affare: i selvaggi si divorano fra di loro e i popoli civilizzati si imbrogliano a vicenda: e questo è l’andamento del mondo.
Guerre
*) In fondo, quasi tutte le guerre, non sono forse spedizioni di briganti?
Educazione
*) La regola si acquisisce immediatamente con la ragione, l’applicazione a poco a poco, con l’esercizio.
Autocritica
*) Ognuno ha nell’altro uno specchio nel quale può scorgere chiaramente i propri vizi e tutto quello che di grossolano e di antipatico c’è in lui stesso. (…) Perciò, per diventare consapevoli dei propri difetti, è bene notarli e biasimarli negli altri. Per migliorarci abbiamo bisogno di uno specchio.
Ruoli sociali
*) Ognuno viene considerato in base alla carica che ricopre, all’attività che svolge, alla nazionalità, alla famiglia, quindi in generale in base alla posizione e al ruolo che le convenzioni gli assegnano: e in base a tali convenzioni egli è classificato e trattato come un prodotto di fabbrica. Invece quello che egli è in sé e per sé, ossia come essere umano, in virtù delle sue qualità personali, viene preso in considerazione solo occasionalmente, eccezionalmente, e sarà messo da parte o ignorato ogni volta che fa comodo, vale a dire quasi sempre. Quanto più dunque un uomo è ricco di qualità personali tanto meno si adatterà a un sistema del genere e cercherà di sottrarvisi.

Ed eccoci arrivati alla terza e ultima parte della rassegna di scritti del filosofo Schopenhauer sulla felicità, tratti dal suo libro: Consigli sulla felicità. Schopenhauer, ricordiamolo, è un pessimista, e considera la vita un fardello abbastanza pesante da sopportare. Ciò nonostante, se si va al di là di questo pessimismo cronico, molte sue osservazioni sono illuminanti e, come tali, le offriamo alla vostra lettura e alla vostra riflessione. Leggi la parte prima e la parte seconda, in questo sito.
I veri amici
*) Come la carta moneta circola al posto dell’argento, così nel mondo, invece della vera stima e della vera amicizia, circolano gli attestati esterni e i gesti che mimano con la maggior naturalezza possibile questi sentimenti. Del resto ci si può anche chiedere se ci sia gente che meriti davvero amicizia e stima. Per me vale di più lo scodinzolare di un cane sincero che centinaia di attestati e gesti del genere. La vera, autentica amicizia presuppone una partecipazione intensa, puramente obbiettiva e del tutto disinteressata al bene e al male dell’altro, una partecipazione derivata da un vero e proprio atto di identificazione con l’amico.
L’amicizia

*) La vera amicizia rientra nell’ordine di quelle cose che – come i colossali mostri marini - non si sa se siano leggendarie o se esistano da qualche parte. Ci sono però tra gli uomini dei legami che, pur basati essenzialmente su occulti motivi egoistici, di varia natura, possiedono un grano di quella vera e autentica amicizia e ne vengono così nobilitati da acquisire il diritto, in questo mondo di cose imperfette, di fregiarsi del nome di amicizia. Sono legami che trascendono le relazioni ordinarie, le quali invece sono tali che noi non scambieremmo più una parola con la maggior parte dei nostri apprezzati conoscenti se sentissimo come parlano di noi quando siamo assenti.
L’autenticità di un amico
*) L’occasione migliore per verificare l’autenticità di un amico si ha (oltre ai casi in cui si ha la necessità di un consistente aiuto e di un grosso sacrificio) nel momento in cui gli comunichiamo che poco prima abbiamo subito una disgrazia: allora o gli si dipinge sul volto un dispiacere vero, sentito, schietto, oppure i suoi lineamenti confermano, con la loro composta calma o con un rapido guizzo involontario, la nota massima di La Rocchefoucauld: “Nelle avversità dei nostri migliori amici troviamo sempre qualcosa che non ci dispiace affatto”. In simili casi i così detti amici spesso non riescono ad reprimere l’accenno a un lieve sorriso di compiacimento. Ci sono poche cose che infallibilmente mettono così di buonumore la gente come il racconto di una grave disgrazia che ci ha appena colpiti o la confessione di una qualche debolezza personale che chi ci ascolta ignorava. Ciò è davvero sintomatico!
La lontananza
*) La lontananza e l’assenza prolungata compromettono ogni amicizia, per quanto si sia riluttanti ad ammetterlo. Infatti le persone che non vediamo più, anche se si tratta dei nostri migliori amici, col passare del tempo si atrofizzano in concetti astratti, per cui il nostro attaccamento nei loro confronti diventa sempre più un fatto puramente mentale, un’abitudine: mentre l’attaccamento vivo, profondamente sentito, resta riservato a chi abbiamo sotto gli occhi, si tratti anche degli animali che ci sono cari. Tanto dipendente dai sensi è la natura umana! Anche qui cade a proposito l’affermazione di Goethe: “La presenza è una dea possente” (Torquato Tasso, atto IV, scena 4).
Gli amici di casa
*) Gli amici di casa si chiamano così il più delle volte perchè sono più amici della casa che del padrone, sono cioè più simili ai gatti che ai cani. Gli amici si proclamano sinceri, i nemici lo sono; si dovrebbe quindi fare tesoro del biasimo di questi ultimi come di un’amara medicina, per conoscersi meglio. Nel bisogno gli amici sono rari? Al contrario. Non appena si è fatta amicizia con qualcuno, quello si trova in difficoltà e chiede denaro in prestito.
Superiorità intellettuale
*) Chi si illude che spirito e intelligenza siano un mezzo per rendersi bene accetti in società, dimostra di avere molta strada da percorrere. Quelle qualità al contrario suscitano nella stragrande maggioranza un astio e un risentimento che riusciranno tanto più aspri in quanto più chi li prova non è tenuto a dichiararne i motivi, anzi li nasconde a sé stesso. Le cose vanno precisamente così: se uno nota o sente una soverchiante superiorità intellettuale nella persona con cui parla, conclude dentro di sé, senza esserne chiaramente conscio, che l’interlocutore abbia notato e sentito in pari misura la sua inferiorità e limitatezza. Tale sensazione suscita in lui astio, risentimento e rabbia a un grado parossistico. (cfr. Il mondo come volontà e rappresentazione, le citazioni delle parole del Dottor Johnson e di Merck, l’amico di gioventù di Goethe). Con ragione Gracián dice: “L’unico modo per essere benvoluti è rivestire la pelle dell’animale più ottuso” (cfr Baltasar Graciàn, 1601-1658, Oràculo manual y arte de prudencia). Infatti esibire spirito e intelligenza è solo un modo indiretto di rinfacciare a tutti gli altri la loro sprovvedutezza e ottusità. Inoltre la natura volgare si ribella quando si trova di fronte il suo contrario, e la segreta istigatrice alla ribellione è l’invidia.
La vanità
*) Come si può osservare quotidianamente, il piacere che la gente antepone a tutti gli altri è la soddisfazione della vanità, che tuttavia si ottiene solo confrontando sé stessi con gli altri. Le qualità di cui l’uomo va tanto orgoglioso sono quelle intellettuali; solo su di loro infatti si basa la sua supremazia rispetto agli animali. Quindi spiattellargli in faccia la propria decisa superiorità a questo riguardo, per di più davanti a testimoni, è un gesto oltremodo temerario. Egli si sente spinto alla vendetta, e nella maggioranza dei casi cercherà l’occasione di realizzarla mediante le offese, passando così dall’ambito dell’intelligenza a quello della volontà nel quale ― quanto a gerarchie di valore ― tutti sono uguali.
Ceto e censo
*) In conclusione, mentre in società ceto e censo possono sempre contare sul rispetto, i pregi intellettuali in nessun caso possono aspettarsi altrettanto: nel migliore dei casi sono ignorati, altrimenti vengono considerati una sorta di impertinenza, o qualcosa di cui il detentore è venuto in possesso con mezzi illeciti, e di cui ora non ha ritegno a vantarsi; quindi ognuno in segreto si propone di fargli subire qualche umiliazione, aspettando solo l’occasione propizia. Saadi nel Gulistan dice: “Si deve sapere che nell’individuo non intelligente si trova un’avversione per quello intelligente cento volte maggiore dell’antipatia dell’ intelligente per il non intelligente”.
Inferiorità intellettuale
*) Per contro l’inferiorità intellettuale equivale a una vera e propria raccomandazione. Infatti quello che per il corpo per lo spirito è il benefico senso di superiorità; ognuno si avvicina istintivamente all’oggetto che glielo promette, come ci si accosta alla stufa o al calore del sole. Ora, sarà inferiore solo chi, tra gli uomini, sta decisamente più in basso nella scala dei valori intellettuali e, tra le donne, in quella della bellezza. Certo, per dimostrare un’inferiorità non simulata rispetto a tanta gente, non ci vogliono molti sforzi! D’altra parte, si osservi con quale affabilità una ragazza appena piacente accoglie un’altra decisamente brutta.
Bellezza fisica
*) Tra gli uomini, i pregi fisici non vengono tenuti in grande considerazione, per quanto uno si senta più a proprio agio se si sta accanto a uno più basso che non a uno più alto. Quindi, in generale, tra gli uomini i più ricercati e bene accetti sono gli stupidi e gli ignoranti, e tra le donne le brutte: aqueste persone sarà facilmente attribuito un gran cuore, perché ognuno, per giustificare ai propri occhi e a quelli altrui la sua propensione, ha bisogno di un pretesto. Proprio per questa ragione la superiorità intellettuale, in qualsiasi forma, è una qualità che porta al totale isolamento: una qualità che si odia, e da cui si rifugge, imputando come pretesto a chi la possiede ogni sorta di vizi. Altrettanto accade con la bellezza per le donne: le ragazze molto belle non solo non trovano amiche, ma neppure la compagnia di altre. Ed è meglio che non tentino neppure di presentarsi per un posto di dama di compagnia; perché già al loro primo apparire, la faccia della possibile padrona si oscura, dando a vedere di non aver alcun bisogno, per sé o per la propria figlia, di un simile termine di paragone. Ci si comporta invece in modo opposto con i privilegi del rango, perché questi non emergono ― come avviene per i pregi personali ― per effetto di contrasto e di distanza, bensì per riflesso, come i colori dell’ambiente si riverberano su un volto.
Farsi strada nel mondo
*) Il modo di gran lunga più efficace per farsi strada nel mondo sono le amicizie e le consorterie. Peraltro, le grandi capacità rendono orgogliosi e dunque poco adatti ad adulare coloro che hanno capacità mediocri, nei confronti dei quali queste grandi capacità si dovrebbero dissimulare o rinnegare. Effetto contrario esercita la consapevolezza di qualità mediocri: essa si accorda perfettamente con l’umiltà, la socievolezza, la compiacenza e il rispetto per ciò che è scadente, e quindi crea amici e protettori. (…) Sicché ad esempio, nelle accademie, la mediocrià è sempre ai primi posti, mentre la gente di merito vi arriva tardi o non vi arriva affatto; e così è per tutte le cose.
La cortesia
*) La cortesia è il tacito accordo di ignorare reciprocamente la miserabile qualità morale e intellettuale e di non rinfacciarsela a vicenda; con il risultato di metterla meno facilmente in evidenza, con reciproco vantaggio. Se cortesia è saggezza, scortesia è stupidità: fare un gesto scortese creandosi senza necessità,per capriccio, dei nemici,è una stoltezza come appiccare il fuoco alla propria casa. Poiché la cortesia è, come i gettoni, una moneta evidentemente falsa, farne economia è una prova di scarsa intelligenza; invece spenderla con generosità è da persone assennate. (…) Come la cera, dura e rigida per natura, con un po’ di calore diventa così malleabile che può assumere qualsiasi forma, così anche gli uomini più scontrosi e ostili, con un po’ di cortesia e di affabilità, possono diventare arrendevoli e compiacenti.
L’emotività
*) Chi vuole che si presti fede al suo giudizio, parli freddamente, senza passionalità.
Mentire
*) Quando si ha il sospetto che uno menta, si faccia finta di credergli: allora quello diverrà sfacciato, mentirà con più sfrontatezza e verrà scoperto. Se invece si nota che uno sta per lasciarsi sfuggire una parte della verità che vorrebbe tenere nascosta, si simuli incredulità, di modo che lui, provocato dalla opposizione, faccia avanzare la retroguardia della verità intera.
Riservatezza
*) Dobbiamo considerare tutte le nostre faccende personali come dei segreti e restare dei perfetti estranei per i nostri conoscenti, al di la di quello che costoro possono vedere con i loro occhi. Poiché tutto ciò che essi sanno sulle cose più innocue, a lungo andare e in date circostanze, può esserci dannoso. In generale è consigliabile palesare la propria intelligenza con quello che si tace, anziché con quello che si dice: nel primo caso saremo ispirati alla saggezza, nel secondo alla vanità. (…) Voglio solo aggiungere una massima araba particolarmente incisiva e poco nota: “Ciò che il tuo nemico non deve sapere, non dirlo al tuo amico”.
Lezioni di vita
*) Non c’è denaro impiegato più vantaggiosamente di quello che ci hanno tolto imbrogliandoci; perché in cambio abbiamo ricevuto una lezione immediata di saggezza.
Dimenticare
*) Dimenticare un aspetto negativo dell’indole di una persona è come buttare via del denaro guadagnato con fatica.
La saggezza
*) “Non amare e non odiare” è una massima che contiene la metà di tutta la saggezza; “Non dire nulla e non credere nulla” contiene l’altra metà.
Collera e odio
*) Lasciar trapelare collera oppure odio da parole o da espressioni del viso è inutile, pericoloso, sciocco, ridicolo e volgare. Quindi non si deve mai manifestare collera, né odio, se non con i fatti. Questa seconda cosa riuscirà tanto meglio quanto più accuratamente si sarà evitata la prima. Solo gli animali a sangue freddo sono velenosi.
Il caso
*) Il caso è una potenza malvagia alla quale bisogna affidarsi il meno possibile. Eppure chi è fra tutti i donatori l’unico che, mentre dà, ci dimostra anche chiaramente che non abbiamo alcun diritto ai suoi doni, e che per essi dobbiamo ringraziare non i nostri meriti, ma unicamente la sua bontà e la sua grazia, e che proprio da queste possiamo attingere la lieta speranza di poter ricevere anche in futuro, con umiltà, qualche altro immeritato dono?
Età della vita
*) Si è soliti definire la giovinezza l’epoca felice della vita e la vecchiaia l’epoca triste. Sarebbe vero, se fossero le passioni a dare la felicità. Invece, le passioni sballottano la gioventù di qua e di là, con poca gioia e molte sofferenze e lasciano nella quiete la fredda vecchiaia, la quale assume ben presto un atteggiamento contemplativo; infatti, allora, la coscienza si libera e prende il sopravvento. (…) E’ tipica della gioventù una certa malinconia, una certa tristezza, mentre è tipica della vecchiaia una certa serenità: la causa sta nel fatto che è ancora sotto il dominio, anzi sotto la schiavitù di quel demone che non le concede facilmente un’ora di libertà e che al tempo stesso è l’artefice diretto o indiretto di quasi tutte le sventure che colpiscono o minacciano l’uomo; invece la vecchiaia ha la serenità di chi si è affrancato da una catena portata a lungo e ora si muove liberamente.
La vecchiaia
*) La povertà da vecchi è una grande sventura. Ma se questa è scongiurata e ci si è conservati in salute, allora la vecchiaia può essere un’epoca della vita del tutto sopportabile. (…) Il progressivo spegnersi di tutte le forze nella tarda età, il loro declino sempre più rapido, è certo un fatto molto triste; ma è necessario, anzi, benefico, perché prepara alla morte, che altrimenti diventerebbe troppo difficile. Perciò il più grande beneficio del raggiungere un’età oltre modo avanzata è l’eutanasia, ossia una morte estremamente facile, non preceduta da alcuna malattia, e del tutto inavvertita.
La vita alle spalle
*) La differenza fondamentale tra la giovinezza e la vecchiaia sta sempre nel fatto che la prima ha di fronte a sè la vita e la seconda la morte; che la prima possiede un passato breve e un lungo futuro, e la seconda l’opposto. Certo, quando si è vecchi si ha davanti solo la morte; ma quando si è giovani si ha la vita, e c’è da chiedersi quale delle due prospettive sia più preoccupante e se – tutto sommato – la vita non sia un qualcosa che è meglio avere alle spalle anziché davanti.
A cura di Giuliana Proietti
Schopenhauer, Consigli sulla felicità, Parte prima, Parte seconda.
Immagine:
Tomba di Schopenhauer a Francoforte, Wikimedia

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