Il Nobel è un biglietto per il proprio funerale.
Nessuno ha fatto niente dopo averlo ricevuto.
Thomas Stearns Eliot
http://www.raistoria.rai.it/articoli/sartre-rifiuta-il-nobel/11117/default.aspx
La volta che Sartre rifiutò il Nobel.
Cinquant'anni fa lo scrittore e filosofo francese rifiutò il Nobel per la Letteratura,
per via del socialismo e perché non voleva «trasformarsi in un'istituzione».
Il 22 ottobre di cinquant’anni fa il premio Nobel per la Letteratura venne assegnato a Jean Paul Sartre, scrittore e filosofo francese, che però lo rifiutò. Per la Francia fu un vero e proprio scandalo, che costò a Sartre molte critiche e accuse; la più divertente fu probabilmente quella dello scrittore francese André Maurois: sostenne che Sartre non aveva accettato «perché incapace di indossare uno smoking».
La prima lettera di Sartre.
Il rifiuto di Sartre fu comunque un evento annunciato.
Nel settembre del 1964, un mese prima dell’assegnazione del premio Nobel, quando avevano cominciato a circolare notizie sull’attribuzione del riconoscimento proprio a Sartre, questo scrisse una prima lettera all’Accademia svedese in cui diceva:
«Signor Segretario,
da alcune informazioni di cui ora sono venuto a conoscenza, avrei qualche possibilità, quest’anno, di ottenere il premio Nobel. Benchè sia presuntuoso discutere di una votazione prima ancora che abbia avuto luogo, mi prendo la libertà di scriverle per dissipare o evitare un malinteso. Intanto, signor Segretario, le assicuro subito la mia profonda stima per l’accademia svedese e per il premio con cui ha onorato tanti scrittori. Tuttavia, per alcune ragioni del tutto personali e per altre che sono più oggettive, non desidero comparire nella lista dei possibili candidati e non posso né voglio né nel 1964 né dopo accettare questa onorificenza.
La prego, Signor Segretario, di accettare le mie scuse e di credere alla mia altissima considerazione».
Sulla lettera circolano però diverse storie, tra cui quella che non fu mai né aperta né letta.
Le Monde riportò che un giornale svedese, il 21 ottobre, aveva scritto che Sartre aveva rinunciato in anticipo al premio per non privare qualcun altro di poterlo ricevere, ma anche che il segretario e il presidente dell’Accademia avevano dichiarato di non aver mai ricevuto una lettera da parte di Sartre. Comunque sia andata, la notizia del possibile rifiuto di Sartre era già in circolazione.
Nel 1964 Sartre aveva pubblicato alcuni dei suoi libri più importanti (La nausea, Il muro, L’età della ragione) ma soprattutto era diventato per molti, soprattutto giovani, un simbolo della “ribellione” e dell’anticonformismo nel Dopoguerra. Era presente e riconosciuto nel dibattito pubblico del tempo: aveva fondato la rivista Les Temps Modernes in cui, insieme ad altri intellettuali come Simone de Beauvoir e Merleau-Ponty, condivideva le proprie idee per esempio contro l’imperialismo americano; aveva sostenuto, almeno in un primo momento, la Rivoluzione cubana; aveva espresso posizioni favorevoli a Mao in Cina; aveva dato il suo appoggio al Partito comunista francese e intrapreso una lotta radicale a favore della causa nazionalista anticolonialista algerina.
L’assegnazione e il rifiuto ufficiale.
Il 22 ottobre del 1964 la Fondazione Nobel assegnò a Sartre il premio, motivando la scelta dicendo che «con la sua opera ricca di idee e piena di spirito di libertà e ricerca della verità» Sartre aveva «esercitato un’influenza di vasta portata» per il tempo presente.
Il giorno dopo, il 23 ottobre 1964, Jean-Paul Sartre diede un’intervista alla stampa svedese in cui confermava il suo rifiuto. Questo secondo testo venne inviato anche alle redazioni di diversi quotidiani francesi. Sartre iniziava dicendo di essere «profondamente dispiaciuto» che la questione avesse «assunto l’aspetto di uno scandalo: un premio mi è stato assegnato e io l’ho rifiutato». Confermava di aver inviato la sua prima lettera all’Accademia e precisava con più chiarezza le motivazioni personali e oggettive che l’avevano spinto alla rinuncia. Avevano a che fare con il senso del suo essere scrittore e con il ruolo politico dell’intellettuale.
«Le ragioni per cui ho rinunciato al premio non riguardano l’Accademia svedese, né il premio Nobel in sé, come ho spiegato nella mia lettera all’Accademia dove ho richiamato due tipi di motivazioni: personali e obiettive.
Le ragioni personali sono le seguenti: il mio rifiuto non è un atto di improvvisazione.
Ho sempre declinato gli onori ufficiali. Quando nel Dopoguerra, nel 1945, mi è stata proposta la Legione d’Onore, ho rifiutato malgrado avessi degli amici al governo. Ugualmente non ho mai desiderato entrare al Collège de France, come mi è stato suggerito da qualche amico. (…) Lo scrittore deve rifiutare di lasciarsi trasformare in un’istituzione, anche se questo avviene nelle forme più onorevoli, come in questo caso.
Le mie ragioni obiettive sono le seguenti: la sola lotta possibile sul fronte della cultura, in questo momento, è quella per la coesistenza pacifica di due culture, quella dell’est e quella dell’ovest. Non voglio dire che bisogna abbracciarsi – so bene che il confrontarsi di queste due culture prende necessariamente la forma di un conflitto – ma che la coesistenza deve avvenire tra gli uomini e tra le culture, senza l’intervento delle istituzioni. (…) Le mie simpatie si rivolgono innegabilmente verso il socialismo e a ciò che viene chiamato il blocco dell’est, ma io sono nato e sono stato allevato in una famiglia borghese. Spero tuttavia, sia chiaro, che “vinca il migliore”: cioè il socialismo.
Questo è il motivo per cui io non posso accettare le onorificenze conferite dalle alte istanze culturali, sia all’ovest che all’est, anche se capisco con chiarezza la loro ragione di esistere. Anche se tutte le mie simpatie sono dalla parte dei socialisti sarei incapace di accettare, per esempio, il premio Lenin se qualcuno me lo volesse dare, ma non è questo il caso. Durante la guerra d’Algeria, quando abbiamo firmato il “Manifesto dei 212”, avrei accettato il premio con riconoscenza perché non avrebbe onorato solo me ma la libertà per cui si lottava. Ma questo non è successo, ed è solo alla fine della guerra che mi si è assegnato il premio».
Lo scrittore svedese Lars Gyllensten, che dal 1966 al 1989 aveva fatto parte della fondazione che conferisce i Nobel, nel suo libro di memorie ha raccontato di essere stato informato dalla segreteria dell’accademia che Sartre si era rivolto loro nel settembre del 1975 attraverso un intermediario per valutare la possibilità di ottenere l’assegno che undici anni prima non aveva ritirato (i vincitori del Nobel ricevono anche un premio in denaro: oggi l’equivalente di circa 900mila euro). Jean-Paul Sartre avrebbe voluto destinare il denaro a un’iniziativa umanitaria. La sua domanda fu rifiutata, racconta Gyllensten, perché i soldi del premio erano stati investiti nella fondazione.
Annie Cohen-Solal, biografa di Sartre, ritiene che questo fatto non sia veritiero.
Nella storia del premio Nobel, istituito nel 1901, quello di Sartre fu un caso unico ed eccezionale.
Nel 1958 anche il poeta e scrittore russo Boris Pasternak scrisse all’accademia svedese che non poteva accettare il premio, ma per motivi che non dipendevano da una sua libera scelta (il rifiuto fu infatti motivato con l’ostilità del suo paese, la Russia, dai cui servizi segreti aveva ricevuto varie minacce e avvertimenti).
Il terzo caso di rifiuto, infine, fu un rifiuto a metà:
George Bernard Shaw nel 1925 accettò il Nobel ma rifiutò di ricevere il premio in denaro che questo prevedeva, chiedendo che venisse utilizzato per la traduzione dallo svedese all’inglese di alcune opere.
http://www.ilpost.it/2014/10/22/jean-paul-sartre-rifiuto-nobel/
"Quando Dio tace, gli si può far dire quello che si vuole"
"La società rispettabile credeva in Dio per evitare di doverne parlare"
Jean-Paul Sartre
«Non sento di essere il prodotto del caso, un granello di polvere nell’universo, ma qualcuno che era aspettato, preparato, prefigurato. In breve, un essere che solo un Creatore potrebbe mettere qui. E questa idea di una mano creatrice si riferisce a Dio»
(da “Nouvel Observateur”, 1980)
La “scandalosa” conversione di Jean-Paul Sartre pochi mesi prima di morire.
«Come si potrebbe spiegare questo senile atto di un voltagabbana? Tutti i miei amici, tutte le “Sartreans”, e la redazione di “Les Temps Modernes” mi hanno sostenuto nella mia costernazione». La sua amante femminista Simone de Beauvoir
L’uomo è condannato ad essere libero: condannato perché non si è creato da se stesso, e pur tuttavia libero, perché, una volta gettato nel mondo, è responsabile di tutto ciò che fa
Jean Paul Sartre
Nessuno ha fatto niente dopo averlo ricevuto.
Thomas Stearns Eliot
http://www.raistoria.rai.it/articoli/sartre-rifiuta-il-nobel/11117/default.aspx
La volta che Sartre rifiutò il Nobel.
Cinquant'anni fa lo scrittore e filosofo francese rifiutò il Nobel per la Letteratura,
per via del socialismo e perché non voleva «trasformarsi in un'istituzione».
Il 22 ottobre di cinquant’anni fa il premio Nobel per la Letteratura venne assegnato a Jean Paul Sartre, scrittore e filosofo francese, che però lo rifiutò. Per la Francia fu un vero e proprio scandalo, che costò a Sartre molte critiche e accuse; la più divertente fu probabilmente quella dello scrittore francese André Maurois: sostenne che Sartre non aveva accettato «perché incapace di indossare uno smoking».
La prima lettera di Sartre.
Il rifiuto di Sartre fu comunque un evento annunciato.
Nel settembre del 1964, un mese prima dell’assegnazione del premio Nobel, quando avevano cominciato a circolare notizie sull’attribuzione del riconoscimento proprio a Sartre, questo scrisse una prima lettera all’Accademia svedese in cui diceva:
«Signor Segretario,
da alcune informazioni di cui ora sono venuto a conoscenza, avrei qualche possibilità, quest’anno, di ottenere il premio Nobel. Benchè sia presuntuoso discutere di una votazione prima ancora che abbia avuto luogo, mi prendo la libertà di scriverle per dissipare o evitare un malinteso. Intanto, signor Segretario, le assicuro subito la mia profonda stima per l’accademia svedese e per il premio con cui ha onorato tanti scrittori. Tuttavia, per alcune ragioni del tutto personali e per altre che sono più oggettive, non desidero comparire nella lista dei possibili candidati e non posso né voglio né nel 1964 né dopo accettare questa onorificenza.
La prego, Signor Segretario, di accettare le mie scuse e di credere alla mia altissima considerazione».
Sulla lettera circolano però diverse storie, tra cui quella che non fu mai né aperta né letta.
Le Monde riportò che un giornale svedese, il 21 ottobre, aveva scritto che Sartre aveva rinunciato in anticipo al premio per non privare qualcun altro di poterlo ricevere, ma anche che il segretario e il presidente dell’Accademia avevano dichiarato di non aver mai ricevuto una lettera da parte di Sartre. Comunque sia andata, la notizia del possibile rifiuto di Sartre era già in circolazione.
Nel 1964 Sartre aveva pubblicato alcuni dei suoi libri più importanti (La nausea, Il muro, L’età della ragione) ma soprattutto era diventato per molti, soprattutto giovani, un simbolo della “ribellione” e dell’anticonformismo nel Dopoguerra. Era presente e riconosciuto nel dibattito pubblico del tempo: aveva fondato la rivista Les Temps Modernes in cui, insieme ad altri intellettuali come Simone de Beauvoir e Merleau-Ponty, condivideva le proprie idee per esempio contro l’imperialismo americano; aveva sostenuto, almeno in un primo momento, la Rivoluzione cubana; aveva espresso posizioni favorevoli a Mao in Cina; aveva dato il suo appoggio al Partito comunista francese e intrapreso una lotta radicale a favore della causa nazionalista anticolonialista algerina.
L’assegnazione e il rifiuto ufficiale.
Il 22 ottobre del 1964 la Fondazione Nobel assegnò a Sartre il premio, motivando la scelta dicendo che «con la sua opera ricca di idee e piena di spirito di libertà e ricerca della verità» Sartre aveva «esercitato un’influenza di vasta portata» per il tempo presente.
Il giorno dopo, il 23 ottobre 1964, Jean-Paul Sartre diede un’intervista alla stampa svedese in cui confermava il suo rifiuto. Questo secondo testo venne inviato anche alle redazioni di diversi quotidiani francesi. Sartre iniziava dicendo di essere «profondamente dispiaciuto» che la questione avesse «assunto l’aspetto di uno scandalo: un premio mi è stato assegnato e io l’ho rifiutato». Confermava di aver inviato la sua prima lettera all’Accademia e precisava con più chiarezza le motivazioni personali e oggettive che l’avevano spinto alla rinuncia. Avevano a che fare con il senso del suo essere scrittore e con il ruolo politico dell’intellettuale.
«Le ragioni per cui ho rinunciato al premio non riguardano l’Accademia svedese, né il premio Nobel in sé, come ho spiegato nella mia lettera all’Accademia dove ho richiamato due tipi di motivazioni: personali e obiettive.
Le ragioni personali sono le seguenti: il mio rifiuto non è un atto di improvvisazione.
Ho sempre declinato gli onori ufficiali. Quando nel Dopoguerra, nel 1945, mi è stata proposta la Legione d’Onore, ho rifiutato malgrado avessi degli amici al governo. Ugualmente non ho mai desiderato entrare al Collège de France, come mi è stato suggerito da qualche amico. (…) Lo scrittore deve rifiutare di lasciarsi trasformare in un’istituzione, anche se questo avviene nelle forme più onorevoli, come in questo caso.
Le mie ragioni obiettive sono le seguenti: la sola lotta possibile sul fronte della cultura, in questo momento, è quella per la coesistenza pacifica di due culture, quella dell’est e quella dell’ovest. Non voglio dire che bisogna abbracciarsi – so bene che il confrontarsi di queste due culture prende necessariamente la forma di un conflitto – ma che la coesistenza deve avvenire tra gli uomini e tra le culture, senza l’intervento delle istituzioni. (…) Le mie simpatie si rivolgono innegabilmente verso il socialismo e a ciò che viene chiamato il blocco dell’est, ma io sono nato e sono stato allevato in una famiglia borghese. Spero tuttavia, sia chiaro, che “vinca il migliore”: cioè il socialismo.
Questo è il motivo per cui io non posso accettare le onorificenze conferite dalle alte istanze culturali, sia all’ovest che all’est, anche se capisco con chiarezza la loro ragione di esistere. Anche se tutte le mie simpatie sono dalla parte dei socialisti sarei incapace di accettare, per esempio, il premio Lenin se qualcuno me lo volesse dare, ma non è questo il caso. Durante la guerra d’Algeria, quando abbiamo firmato il “Manifesto dei 212”, avrei accettato il premio con riconoscenza perché non avrebbe onorato solo me ma la libertà per cui si lottava. Ma questo non è successo, ed è solo alla fine della guerra che mi si è assegnato il premio».
Lo scrittore svedese Lars Gyllensten, che dal 1966 al 1989 aveva fatto parte della fondazione che conferisce i Nobel, nel suo libro di memorie ha raccontato di essere stato informato dalla segreteria dell’accademia che Sartre si era rivolto loro nel settembre del 1975 attraverso un intermediario per valutare la possibilità di ottenere l’assegno che undici anni prima non aveva ritirato (i vincitori del Nobel ricevono anche un premio in denaro: oggi l’equivalente di circa 900mila euro). Jean-Paul Sartre avrebbe voluto destinare il denaro a un’iniziativa umanitaria. La sua domanda fu rifiutata, racconta Gyllensten, perché i soldi del premio erano stati investiti nella fondazione.
Annie Cohen-Solal, biografa di Sartre, ritiene che questo fatto non sia veritiero.
Nella storia del premio Nobel, istituito nel 1901, quello di Sartre fu un caso unico ed eccezionale.
Nel 1958 anche il poeta e scrittore russo Boris Pasternak scrisse all’accademia svedese che non poteva accettare il premio, ma per motivi che non dipendevano da una sua libera scelta (il rifiuto fu infatti motivato con l’ostilità del suo paese, la Russia, dai cui servizi segreti aveva ricevuto varie minacce e avvertimenti).
Il terzo caso di rifiuto, infine, fu un rifiuto a metà:
George Bernard Shaw nel 1925 accettò il Nobel ma rifiutò di ricevere il premio in denaro che questo prevedeva, chiedendo che venisse utilizzato per la traduzione dallo svedese all’inglese di alcune opere.
http://www.ilpost.it/2014/10/22/jean-paul-sartre-rifiuto-nobel/
"La società rispettabile credeva in Dio per evitare di doverne parlare"
Jean-Paul Sartre
«Non sento di essere il prodotto del caso, un granello di polvere nell’universo, ma qualcuno che era aspettato, preparato, prefigurato. In breve, un essere che solo un Creatore potrebbe mettere qui. E questa idea di una mano creatrice si riferisce a Dio»
(da “Nouvel Observateur”, 1980)
La “scandalosa” conversione di Jean-Paul Sartre pochi mesi prima di morire.
«Come si potrebbe spiegare questo senile atto di un voltagabbana? Tutti i miei amici, tutte le “Sartreans”, e la redazione di “Les Temps Modernes” mi hanno sostenuto nella mia costernazione». La sua amante femminista Simone de Beauvoir
La vita non ha senso a priori. Prima che voi la viviate, la vita di per sé non è nulla; sta a voi darle un senso, e il valore non è altro che il senso che scegliere
Jean Paul Sartre
L’uomo non è niente altro che quello che progetta di essere; egli non esiste che nella misura in cui si realizza; non è, dunque, niente altro che l’insieme delle sue decisioni.
Jean-Paul Sartre
Jean Paul Sartre
È la corrente che ti trascina, è la vita; non si può giudicare, né capire, non c’è che lasciarsi andare.
Jean Paul Sartre
L'uomo è in primo luogo ciò che si slancia verso un avvenire e ciò che ha coscienza di progettarsi verso l'avvenire
Jean Paul Sartre
L'atto di immaginazione è un atto magico. E' un incantesimo destinato a far apparire l'oggetto al quale si pensa, la cosa che si desidera, in modo da poterne prendere possesso.
Jean Paul Sartre...
Le ideologie sono libertà mentre si fanno, oppressione quando sono fatte.
Jean-Paul Sartre
Il mondo è iniquità: se lo accetti sei complice, se lo cambi sei carnefice.
Jean-Paul Sartre
E' vero che non sei responsabile di quello che sei, ma sei responsabile di quello che fai di ciò che sei
Jean Paul Sartre
L'uomo non è la somma di quello che ha, ma la totalità di quello che non ha ancora, di quello che potrebbe avere.
Jean-Paul Sartre
Bisogna cercare di spiegare che il mondo di oggi, per quanto orribile, è soltanto un momento del lungo svolgimento della storia, che in qualsiasi rivoluzione o insurrezione la speranza è sempre stata una delle forze dominanti e come la speranza rimanga la mia concezione del futuro.
Jean-Paul Sartre. L’Espoir maintenant, Les entretiens de 1980
Benny Lévy - Jean-Paul Sartre
Jean-Paul Sartre, settembre 1969.
in: Rossana Rossanda, Quando si pensava in grande, 2013 Einaudi, pag.64.
Non facciamo quello che vogliamo e tuttavia siamo responsabili di quel che siamo
Jean-Paul Sartre
Non si poteva contare su un trattato di filosofia per persuadere le persone ch’esse non esistono
Jean-Paul Sartre
Altre carte continuano a cadere, le mani vanno e vengono.
Che curiosa occupazione, non sembra né un GIOCO, né un RITO, né un'ABITUDINE.
Credo ch'essi lo facciano per OCCUPARE IL TEMPO, semplicemente.
Ma IL TEMPO E' TROPPO VASTO, NON SI LASCIA RIEMPIRE.
Tutto ciò che uno vi getta s'ammollisce e si stira (…).
Jean-Paul Sartre
«Sono invecchiati in un altro modo. Vivono in mezzo alle cose ereditate, ai regali, ed ogni mobile per loro è un ricordo. Pendole, medaglie, ritratti, conchiglie, fermacarte, paraventi, scialli. Hanno armadi pieni di bottiglie, di stoffe, di vecchi vestiti, di giornali, hanno conservato tutto. Il passato è un lusso da proprietari. Ed io dove potrei conservare il mio? Non ci si può mettere il passato in tasca; bisogna avere una casa per sistemarvelo. Io non possiedo che il mio corpo; un uomo completamente solo, col suo corpo soltanto, non può fermare i ricordi, gli passano attraverso. Non dovrei lagnarmi: il mio solo desiderio è stato d'esser libero».
Jean-Paul Sartre
Adesso non penso più a nessuno; non mi curo nemmeno di cercare parole. Tutto scorre in me più o meno svelto, non fisso nulla, lascio correre. La maggior parte del tempo, in mancanza di parole cui attaccarsi, i miei pensieri restano nebulosi. Disegnano forme vaghe e piacevoli, e poi sprofondano, e subito li dimentico.
Jean-Paul Sartre, La nausea
Ciascuno ha la sua piccola fissazione personale che gli impedisce di accorgersi che esiste. […]
Tutti questi tipi passano il loro tempo a spiegarsi, a riconoscere felicitandosene che sono della stessa opinione. Quanta importanza attribuiscono, mio Dio, a pensare tutti quanti le stesse cose. Mi sembra d’appartenere ad un’altra specie. Escono dagli uffici, dopo la giornata di lavoro, guardano le case e le piazze con un’aria soddisfatta, pensano che è la “loro” città, una “bella città borghese”. Non hanno paura, si sentono a casa loro. Non hanno mai visto altro che l’acqua addomesticata che esce dai rubinetti, che la luce che sprizza dalle lampade quando si preme l’interruttore, che gli alberi meticci, bastardi, che vengono sorretti con i pali. Hanno la prova, cento volte al giorno, che tutto si fa meccanicamente, che il mondo obbedisce a leggi fisse e immutabili. I corpi abbandonati nel vuoto cadono tutti con la stessa velocità, il giardino pubblico viene chiuso tutti i giorni alle sedici d’inverno, e alle diciotto d’estate, il piombo fonde a 335 gradi, l’ultimo tram parte dal municipio alle ventitrè e cinque. Son pacifici, un po’ malinconici, pensano a Domani, cioè, semplicemente, ad un altro oggi; le città non dispongono che d’una giornata che ritorna sempre uguale ogni mattina. La si impennacchia un po’ la domenica. Che imbecilli. Mi ripugna pensare che sto per rivedere le loro facce ottuse e piene di sicurezza.
Jean-Paul Sartre, La Nausea
Io vedo l'avvenire. E' là, posato sulla strada, appena un po' più pallido del presente. Che bisogno ha di realizzarsi? Che cosa ci guadagna?... Non distinguo più il presente dal futuro, e tuttavia la cosa continua, si realizza a poco a poco... Questo è il tempo, né più né meno che il tempo, giunge lentamente all'esistenza, si fa attendere, e quando viene si è stomacati perché ci si accorge che era già lì da un pezzo... Mai come oggi ho provato così forte la sensazione di essere senza dimensioni segrete, limitato al mio corpo, ai pensieri lievi che da esso affiorano come bolle. Costruisco i miei ricordi col mio presente. Sono respinto, abbandonato nel presente. Il passato tento invano di raggiungerlo: non posso sfuggire a me stesso.
Jean-Paul Sartre, La nausea
«Il mondo... questo grosso essere assurdo. Non ci si poteva nemmeno domandare da dove uscisse fuori, tutto questo, né come mai esisteva un mondo invece che niente. Non aveva senso, il mondo era presente dappertutto, davanti, dietro. Non c'era stato niente prima di esso. Niente. Non c'era stato un momento in cui esso avrebbe potuto non esistere. Era appunto questo che m'irritava: senza dubbio non c'era alcuna ragione perché esistesse, questa larva strisciante. Ma non era possibile che non esistesse. Era impensabile: per immaginare il nulla occorreva trovarcisi già, in pieno mondo, da vivo, con gli occhi spalancati, il nulla era solo un'idea nella mia testa, un'idea esistente, fluttuante in quella immensità: quel nulla non era venuto prima dell'esistenza, era un'esistenza come un'altra e apparsa dopo molte altre».
Jean-Paul Sartre, La nausea
Come posso sperare di salvare il passato di un altro,
io che non ho avuto la forza di trattenere il mio?
Jean-Paul Sartre, La nausea
“Sono libero: non mi resta più alcuna ragione di vivere, tutte quelle che ho tentato hanno ceduto e non posso più immaginarne altre. Sono ancora abbastanza giovane, ho ancora abbastanza forza per ricominciare. Ma che cosa bisogna ricominciare? Soltanto ora comprendo quanto contassi su Anny per salvarmi, in mezzo ai miei più forti terrori, alle mie nausee. Il mio passato è morto. […] Sono solo in questa strada bianca fiancheggiata da giardini. Solo e libero. Ma questa libertà assomiglia un poco alla morte.”
Jean-Paul Sartre, “La nausea”
“Sono solo in mezzo a queste voci gioiose e ragionevoli. Tutti questi tipi passano il loro tempo a spiegarsi, a riconoscere felicitandosene che sono della stessa opinione.
Quanta importanza attribuiscono a pensare tutti quanti le stesse cose”.
Jean-Paul Sartre, La nausea
L'essenziale è la contingenza. Voglio dire che, per definizione, l'esistenza non è la necessità. ESISTERE è essere lì, semplicemente: gli esistenti appaiono, si lasciano incontrare ma non li si può mai dedurre. C'è qualcuno, credo, che ha compreso questo. Soltanto ha cercato di sormontare questa contingenza inventando un essere necessario e causa di sé. Orbene, non c'è alcun essere necessario che può spiegare l'esistenza: la contingenza non è una falsa sembianza, un'apparenza che si può dissipare; è l'assoluto, e per conseguenza la perfetta gratuità. Tutto è gratuito, questo giardino, questa città, io stesso. E quando vi capita di rendervene conto, vi si rivolta lo stomaco e tutto si mette a fluttuare... ecco la Nausea.
Jean-Paul Sartre, La nausea
Che cosa succederebbe se qualcosa dovesse accadere?
Cosa succederebbe se all'improvviso qualcosa palpitasse?
Jean Paul Sartre, La nausea
Ecco che cosa ho pensato: affinché l'avvenimento più comune divenga un'avventura è necessario e sufficiente che ci si metta a raccontarlo. È questo che trae in inganno la gente: un uomo è sempre un narratore di storie, vive circondato delle sue storie e delle storie altrui, tutto quello che gli capita lo vede attraverso di esse, e cerca di vivere la sua vita come se la raccontasse".
Jean Paul Sartre, La nausea
Se ti senti solo quando sei da solo, sei in cattiva compagnia
Jean Paul Sartre
Quanto a me, vivo solo, completamente solo. Non parlo con nessuno, mai; non ricevo niente, non do niente. Ci sarebbe Francesca, la padrona del Ritrovo dei ferrovieri. Ma le parlo forse? Qualche volta, dopo mangiato, quando mi serve un gotto, le domando: "Avete tempo, stasera?"
Lei non dice mai di no, ed io la seguo in una delle grandi camere al primo piano, che affitta a ore o alla giornata. Non la pago: facciamo l'amore alla pari. Lei vi prende piacere (le occorre un uomo al giorno e ne ha molti oltre me) e io mi purgo così di certe malinconie di cui conosco fin troppo bene la causa. Ma scambiamo appena qualche parola. A che scopo? Ciascuno per sé; per lei, d'altronde, io resto anzitutto un cliente del suo caffè. Togliendosi i vestiti mi dice: "Dite, conoscete per caso un aperitivo che si chiama Bricot? Perché ci son stati due clienti, questa settimana. La piccola non ne sapeva niente ed è venuta a dirmelo. Erano viaggiatori, l'avranno bevuto a Parigi. Ma non mi piace comprare senza sapere. Se non vi fa nulla tengo le calze."
Una volta, ancora per molto tempo dopo che m'ebbe lasciato, pensavo ad Anny. Adesso, non penso più a nessuno: non mi curo nemmeno di cercare le parole. Tutto scorre in me più o meno svelto, non fisso nulla, lascio correre. La maggior parte del tempo, in mancanza di parole cui attaccarsi, i miei pensieri restano nebulosi. Disegnano forme vaghe e piacevoli, e poi sprofondano, e subito li dimentico.
Jean-Paul Sartre, "La Nausea"
Lo so. So che non incontrerò mai più niente né nessuno che m’ispiri della passione.
Lo sai, mettersi ad amare qualcuno, è un’impresa.
Bisogna avere un’energia, una generosità, un accecamento…
c’è perfino un momento, al principio, in cui bisogna saltare un precipizio:
se si riflette non lo si fa. Lo so che non salterò mai più.
Jean-Paul Sartre, La nausea
Quanto mi sento lontano da loro, su questa collina. Mi sembra di appartenere a un'altra specie. Escono dai loro uffici dopo un giorno di lavoro, guardano le case e le piazze con espressione soddisfatta, pensano che questa è la loro città. Una 'buona e solida città borghese'. Non hanno paura, si sentono a casa. Hanno visto solo acqua ammaestrata che esce dai rubinetti, luce che riempe le lampadine quando si accende l’interruttore. [...] Hanno la prova, un centinaio di volte al giorno, che tutto avviene meccanicamente, che il mondo obbedisce a fisse e immutabili leggi. I corpi lanciati in uno spazio vuoto cadono tutti alla stessa velocità, il parco pubblico chiude ogni giorno alle quattro in inverno, alle sei in estate, il piombo si scioglie a trecentotrentacinque gradi centigradi, l'ultimo tram parte dall'Hotel de Ville alle ventitré e cinque. Sono tranquilli, talvolta un po' cupi, e pensano al domani, in altre parole un nuovo oggi. Le città hanno solo un giorno a disposizione che ritorna sempre uguale ogni mattina.
Che cosa succederebbe se qualcosa dovesse accadere?
Cosa succederebbe se all'improvviso qualcosa palpitasse?
Jean-Paul Sartre, La nausea
Lo so. So che non incontrerò mai più niente né nessuno che m’ispiri della passione.
Lo sai, mettersi ad amare qualcuno, è un’impresa.
Bisogna avere un’energia, una generosità, un accecamento…
C’è perfino un momento, al principio, in cui bisogna saltare un precipizio:
se si riflette non lo si fa. Io so che non salterò mai più.
Jean Paul Sartre
«Le carezze sono appropriazione del corpo dell’altro; è evidente che, se le carezze non consistessero che nello sfiorare o toccare, non potrebbero avere alcun rapporto con il potente desiderio che pretendono di colmare; rimarrebbero alla superficie, come gli sguardi, e non potrebbero rendermi padrone dell’altro (…) Perché la carezza non è un semplice sfiorare: ma un foggiare. Carezzando l’altro, io faccio nascere la sua carne con la mia carezza, sotto le mie dita. La carezza fa parte dell’insieme di cerimonie che incarnano l’altro (…) La carezza fa nascere l’altro come carne per me e per lui (…) Così la carezza non si distingue per nulla dal desiderio: carezzare con gli occhi o desiderare è la stessa cosa; il desiderio si esprime con la carezza come il pensiero col linguaggio».
Jean-Paul Sartre, “L’essere e il nulla”
dovevo leggere da Sartre una descrizione così "sinceramente" erotica delle carezze...
Jean-Paul Sartre
Non si poteva contare su un trattato di filosofia per persuadere le persone ch’esse non esistono
Jean-Paul Sartre
Altre carte continuano a cadere, le mani vanno e vengono.
Che curiosa occupazione, non sembra né un GIOCO, né un RITO, né un'ABITUDINE.
Credo ch'essi lo facciano per OCCUPARE IL TEMPO, semplicemente.
Ma IL TEMPO E' TROPPO VASTO, NON SI LASCIA RIEMPIRE.
Tutto ciò che uno vi getta s'ammollisce e si stira (…).
Jean-Paul Sartre
«Sono invecchiati in un altro modo. Vivono in mezzo alle cose ereditate, ai regali, ed ogni mobile per loro è un ricordo. Pendole, medaglie, ritratti, conchiglie, fermacarte, paraventi, scialli. Hanno armadi pieni di bottiglie, di stoffe, di vecchi vestiti, di giornali, hanno conservato tutto. Il passato è un lusso da proprietari. Ed io dove potrei conservare il mio? Non ci si può mettere il passato in tasca; bisogna avere una casa per sistemarvelo. Io non possiedo che il mio corpo; un uomo completamente solo, col suo corpo soltanto, non può fermare i ricordi, gli passano attraverso. Non dovrei lagnarmi: il mio solo desiderio è stato d'esser libero».
Jean-Paul Sartre
Adesso non penso più a nessuno; non mi curo nemmeno di cercare parole. Tutto scorre in me più o meno svelto, non fisso nulla, lascio correre. La maggior parte del tempo, in mancanza di parole cui attaccarsi, i miei pensieri restano nebulosi. Disegnano forme vaghe e piacevoli, e poi sprofondano, e subito li dimentico.
Jean-Paul Sartre, La nausea
Ciascuno ha la sua piccola fissazione personale che gli impedisce di accorgersi che esiste. […]
Tutti questi tipi passano il loro tempo a spiegarsi, a riconoscere felicitandosene che sono della stessa opinione. Quanta importanza attribuiscono, mio Dio, a pensare tutti quanti le stesse cose. Mi sembra d’appartenere ad un’altra specie. Escono dagli uffici, dopo la giornata di lavoro, guardano le case e le piazze con un’aria soddisfatta, pensano che è la “loro” città, una “bella città borghese”. Non hanno paura, si sentono a casa loro. Non hanno mai visto altro che l’acqua addomesticata che esce dai rubinetti, che la luce che sprizza dalle lampade quando si preme l’interruttore, che gli alberi meticci, bastardi, che vengono sorretti con i pali. Hanno la prova, cento volte al giorno, che tutto si fa meccanicamente, che il mondo obbedisce a leggi fisse e immutabili. I corpi abbandonati nel vuoto cadono tutti con la stessa velocità, il giardino pubblico viene chiuso tutti i giorni alle sedici d’inverno, e alle diciotto d’estate, il piombo fonde a 335 gradi, l’ultimo tram parte dal municipio alle ventitrè e cinque. Son pacifici, un po’ malinconici, pensano a Domani, cioè, semplicemente, ad un altro oggi; le città non dispongono che d’una giornata che ritorna sempre uguale ogni mattina. La si impennacchia un po’ la domenica. Che imbecilli. Mi ripugna pensare che sto per rivedere le loro facce ottuse e piene di sicurezza.
Jean-Paul Sartre, La Nausea
Io vedo l'avvenire. E' là, posato sulla strada, appena un po' più pallido del presente. Che bisogno ha di realizzarsi? Che cosa ci guadagna?... Non distinguo più il presente dal futuro, e tuttavia la cosa continua, si realizza a poco a poco... Questo è il tempo, né più né meno che il tempo, giunge lentamente all'esistenza, si fa attendere, e quando viene si è stomacati perché ci si accorge che era già lì da un pezzo... Mai come oggi ho provato così forte la sensazione di essere senza dimensioni segrete, limitato al mio corpo, ai pensieri lievi che da esso affiorano come bolle. Costruisco i miei ricordi col mio presente. Sono respinto, abbandonato nel presente. Il passato tento invano di raggiungerlo: non posso sfuggire a me stesso.
Jean-Paul Sartre, La nausea
«Il mondo... questo grosso essere assurdo. Non ci si poteva nemmeno domandare da dove uscisse fuori, tutto questo, né come mai esisteva un mondo invece che niente. Non aveva senso, il mondo era presente dappertutto, davanti, dietro. Non c'era stato niente prima di esso. Niente. Non c'era stato un momento in cui esso avrebbe potuto non esistere. Era appunto questo che m'irritava: senza dubbio non c'era alcuna ragione perché esistesse, questa larva strisciante. Ma non era possibile che non esistesse. Era impensabile: per immaginare il nulla occorreva trovarcisi già, in pieno mondo, da vivo, con gli occhi spalancati, il nulla era solo un'idea nella mia testa, un'idea esistente, fluttuante in quella immensità: quel nulla non era venuto prima dell'esistenza, era un'esistenza come un'altra e apparsa dopo molte altre».Jean-Paul Sartre, La nausea
Jean-Paul Sartre, La nausea
io che non ho avuto la forza di trattenere il mio?
Jean-Paul Sartre, La nausea
“Sono libero: non mi resta più alcuna ragione di vivere, tutte quelle che ho tentato hanno ceduto e non posso più immaginarne altre. Sono ancora abbastanza giovane, ho ancora abbastanza forza per ricominciare. Ma che cosa bisogna ricominciare? Soltanto ora comprendo quanto contassi su Anny per salvarmi, in mezzo ai miei più forti terrori, alle mie nausee. Il mio passato è morto. […] Sono solo in questa strada bianca fiancheggiata da giardini. Solo e libero. Ma questa libertà assomiglia un poco alla morte.”
Jean-Paul Sartre, “La nausea”
“Sono solo in mezzo a queste voci gioiose e ragionevoli. Tutti questi tipi passano il loro tempo a spiegarsi, a riconoscere felicitandosene che sono della stessa opinione.
Quanta importanza attribuiscono a pensare tutti quanti le stesse cose”.
Jean-Paul Sartre, La nausea
L'essenziale è la contingenza. Voglio dire che, per definizione, l'esistenza non è la necessità. ESISTERE è essere lì, semplicemente: gli esistenti appaiono, si lasciano incontrare ma non li si può mai dedurre. C'è qualcuno, credo, che ha compreso questo. Soltanto ha cercato di sormontare questa contingenza inventando un essere necessario e causa di sé. Orbene, non c'è alcun essere necessario che può spiegare l'esistenza: la contingenza non è una falsa sembianza, un'apparenza che si può dissipare; è l'assoluto, e per conseguenza la perfetta gratuità. Tutto è gratuito, questo giardino, questa città, io stesso. E quando vi capita di rendervene conto, vi si rivolta lo stomaco e tutto si mette a fluttuare... ecco la Nausea.
Jean-Paul Sartre, La nausea
Che cosa succederebbe se qualcosa dovesse accadere?
Cosa succederebbe se all'improvviso qualcosa palpitasse?
Jean Paul Sartre, La nausea
Ecco che cosa ho pensato: affinché l'avvenimento più comune divenga un'avventura è necessario e sufficiente che ci si metta a raccontarlo. È questo che trae in inganno la gente: un uomo è sempre un narratore di storie, vive circondato delle sue storie e delle storie altrui, tutto quello che gli capita lo vede attraverso di esse, e cerca di vivere la sua vita come se la raccontasse".
Jean Paul Sartre, La nausea
Se ti senti solo quando sei da solo, sei in cattiva compagnia
Jean Paul Sartre
Quanto a me, vivo solo, completamente solo. Non parlo con nessuno, mai; non ricevo niente, non do niente. Ci sarebbe Francesca, la padrona del Ritrovo dei ferrovieri. Ma le parlo forse? Qualche volta, dopo mangiato, quando mi serve un gotto, le domando: "Avete tempo, stasera?"
Lei non dice mai di no, ed io la seguo in una delle grandi camere al primo piano, che affitta a ore o alla giornata. Non la pago: facciamo l'amore alla pari. Lei vi prende piacere (le occorre un uomo al giorno e ne ha molti oltre me) e io mi purgo così di certe malinconie di cui conosco fin troppo bene la causa. Ma scambiamo appena qualche parola. A che scopo? Ciascuno per sé; per lei, d'altronde, io resto anzitutto un cliente del suo caffè. Togliendosi i vestiti mi dice: "Dite, conoscete per caso un aperitivo che si chiama Bricot? Perché ci son stati due clienti, questa settimana. La piccola non ne sapeva niente ed è venuta a dirmelo. Erano viaggiatori, l'avranno bevuto a Parigi. Ma non mi piace comprare senza sapere. Se non vi fa nulla tengo le calze."
Una volta, ancora per molto tempo dopo che m'ebbe lasciato, pensavo ad Anny. Adesso, non penso più a nessuno: non mi curo nemmeno di cercare le parole. Tutto scorre in me più o meno svelto, non fisso nulla, lascio correre. La maggior parte del tempo, in mancanza di parole cui attaccarsi, i miei pensieri restano nebulosi. Disegnano forme vaghe e piacevoli, e poi sprofondano, e subito li dimentico.
Jean-Paul Sartre, "La Nausea"
Lo so. So che non incontrerò mai più niente né nessuno che m’ispiri della passione.
Lo sai, mettersi ad amare qualcuno, è un’impresa.
Bisogna avere un’energia, una generosità, un accecamento…
c’è perfino un momento, al principio, in cui bisogna saltare un precipizio:
se si riflette non lo si fa. Lo so che non salterò mai più.
Jean-Paul Sartre, La nausea
Quanto mi sento lontano da loro, su questa collina. Mi sembra di appartenere a un'altra specie. Escono dai loro uffici dopo un giorno di lavoro, guardano le case e le piazze con espressione soddisfatta, pensano che questa è la loro città. Una 'buona e solida città borghese'. Non hanno paura, si sentono a casa. Hanno visto solo acqua ammaestrata che esce dai rubinetti, luce che riempe le lampadine quando si accende l’interruttore. [...] Hanno la prova, un centinaio di volte al giorno, che tutto avviene meccanicamente, che il mondo obbedisce a fisse e immutabili leggi. I corpi lanciati in uno spazio vuoto cadono tutti alla stessa velocità, il parco pubblico chiude ogni giorno alle quattro in inverno, alle sei in estate, il piombo si scioglie a trecentotrentacinque gradi centigradi, l'ultimo tram parte dall'Hotel de Ville alle ventitré e cinque. Sono tranquilli, talvolta un po' cupi, e pensano al domani, in altre parole un nuovo oggi. Le città hanno solo un giorno a disposizione che ritorna sempre uguale ogni mattina.
Che cosa succederebbe se qualcosa dovesse accadere?
Cosa succederebbe se all'improvviso qualcosa palpitasse?
Lo so. So che non incontrerò mai più niente né nessuno che m’ispiri della passione.
Lo sai, mettersi ad amare qualcuno, è un’impresa.
Bisogna avere un’energia, una generosità, un accecamento…
C’è perfino un momento, al principio, in cui bisogna saltare un precipizio:
se si riflette non lo si fa. Io so che non salterò mai più.
Jean Paul Sartre
«Le carezze sono appropriazione del corpo dell’altro; è evidente che, se le carezze non consistessero che nello sfiorare o toccare, non potrebbero avere alcun rapporto con il potente desiderio che pretendono di colmare; rimarrebbero alla superficie, come gli sguardi, e non potrebbero rendermi padrone dell’altro (…) Perché la carezza non è un semplice sfiorare: ma un foggiare. Carezzando l’altro, io faccio nascere la sua carne con la mia carezza, sotto le mie dita. La carezza fa parte dell’insieme di cerimonie che incarnano l’altro (…) La carezza fa nascere l’altro come carne per me e per lui (…) Così la carezza non si distingue per nulla dal desiderio: carezzare con gli occhi o desiderare è la stessa cosa; il desiderio si esprime con la carezza come il pensiero col linguaggio».
Jean-Paul Sartre, “L’essere e il nulla”
dovevo leggere da Sartre una descrizione così "sinceramente" erotica delle carezze...
Jean Paul Sartre analizzando la dichiarazione "Penso, dunque sono", si rese improvvisamente conto che, per dirlo con le sue parole, "la coscienza che dice IO SONO non è la coscienza che pensa". Che cosa intendeva con questo? Quando siete consapevoli che state pensando, quella consapevolezza non è parte del pensiero. E' una diversa dimensione della coscienza. Ed è quella consapevolezza che dice "IO SONO". Se in voi non ci fossero altro che pensieri, non sapreste nemmeno che state pensando. Sareste come un sognatore che non sa di stare sognando. Sareste così identificati con ogni pensiero come il sognatore lo è con ogni immagine del sogno.
Niente più caratteri: gli eroi sono altrettante libertà prese in trappola, come tutti noi.
Quali sono le vie d’uscita? Ogni personaggio non sarà che la scelta di una via d’uscita e varrà la via d’uscita scelta (...) In un certo senso ogni situazione è una trappola da sorci; muri da ogni parte
Jean-Paul Sartre, Che cos’è la letteratura?
"Ho chiuso lo Spirito Santo nella cripta e l'ho scacciato. L'ateismo è un'impresa crudele e di lungo respiro ...io vedo chiaro, sono disincantato ...sono un uomo che si sveglia, .,. e che non sa più che farsene della vita ...Scrivo ...Che altro fare? ...A lungo ho preso la penna per una spada: oggi riconosco la mia impotenza ...la cultura non salva niente né nessuno, non giustifica ...il mio solo problema è di salvarmi ...col lavoro e la fede ...Se ripongo l'impossibile salvezza nel magazzino degli attrezzi, che cosa rimane? Solo un uomo".
Jean Paul Sartre, Le parole
“Avevo trovato la mia religione: nulla mi parve più importante di un libro.
La libreria, vi vedevo un tempio.”
Jean Paul Sartre, Le parole
Ho cominciato la mia vita come senza dubbio la terminerò: tra i libri.
Nell’ufficio di mio nonno ce n’era dappertutto; era fatto divieto di spolverarli, tranne una volta all’anno, prima della riapertura delle scuole. Non sapevo ancora leggere, ma già le riverivo queste pietre fitte: ritte o inclinate, strette come mattoni sui ripiani della libreria o nobilmente spaziate in viali di menhir, io sentivo che la prosperità della nostra famiglia dipendeva da esse. [...] Non ho mai razzolato per terra, non sono mai andato a caccia di nidi, non ho erborizzato nè tirato sassi agli uccelli. Ma i libri sono stai i miei uccelli e i miei nidi, i miei animali domestici, la mia stalla e la mia campagna; la libreria era il mondo chiuso in uno specchio; di uno specchio aveva la profondità infinita, la varietà, l’imprevedibilità.”
Jean Paul Sartre, Le parole
Sono un cane: sbadiglio, mi vengono giù le lacrime, le sento scendere.
Sono un albero, il vento si attacca ai miei rami e li scuote vagamente.
Sono una mosca, m’arrampico lungo un vetro, cado giù, riprendo ad arrampicarmi.
Talvolta sento la carezza del tempo che passa, talvolta – molto più spesso – lo sento che non passa affatto. Tremanti minuti si sprofondano, mi inghiottono e non cessano di agonizzare; putridi ma ancora vivi, vengono spazzati via, altri minuti prendono il loro posto, più freschi, altrettanto vani; questi disgiunti si chiamano la felicità; mia madre ripete che sono il più fortunato tra quelli della mia età. Come non crederlo dato che è vero? Al mio abbandono non penso mai; primo, non c’è parola che lo possa designare; secondo, io non riesco a vederlo: mi stanno tutti sempre intorno. E’ la trama della mia vita, la stoffa dei miei piaceri, la carne dei miei pensieri. Io vivo la morte.
Jean-Paul Sartre, Le parole
"I nostri ospiti si congedavano, io rimanevo solo, evadevo da quel banale cimitero, andavo a ritrovare la vita, la follia nei libri. Mi bastava aprirne uno per riscoprirvi il pensiero, inumano, inquieto, le cui pompe e le cui tenebre erano oltre le mie capacità di comprendere, il pensiero che saltava da un'idea all'altra, così veloce che mollavo la presa, cento volte a pagina, e lo lasciavo andar via, stordito, perduto."
Jean-Paul Sartre, Le parole
"Non ho mai razzolato per terra, non sono mai andato a caccia di nidi, non ho erborizzato nè tirato sassi agli uccelli. Ma i libri sono stati i miei uccelli e i miei nidi, i miei animali domestici, la mia stalla e la mia campagna; la libreria era il mondo chiuso in uno specchio; di uno specchio aveva la profondità infinita, la varietà, l’imprevedibilità."
Jean-Paul Sartre, Le Parole
Si tratta dei colloqui (o testamento spirituale) che Sartre, già ricoverato in clinica per la malattia che lo porterà alla morte, intrattenne con Benny Levy, suo segretario ed uno dei più importanti filosofi del maggio francese. Essi apparvero dapprima su Le Nouvel Observateur, in tre puntate tra il 10 e 30 marzo 1980.
Alla prima e alla terza puntata i redattori posero il titolo di "L’Espoir, maintenant", alla seconda Violence e fraternité, individuandone così i nuclei tematici.
Testo di notevole importanza nella ricostruzione del pensiero sartriano; un documento tanto significativo e, per certi versi, innovativo, che, appena apparve in Francia, i più stretti collaboratori del filosofo lo ritennero poco credibile. In Italia, il primo ad accorgersi delle novità contenute in questa vera e propria confessione laica del filosofo francese fu Italo Mancini, filosofo e teologo urbinate.
da Diogene 2008
Jean-Paul Sartre ( 1905 – Parigi, 15 aprile 1980) filosofo, scrittore, drammaturgo e critico letterario francese.
Nel 1964 fu insignito del Premio Nobel per la letteratura, che però rifiutò, motivando il rifiuto col fatto che solo a posteriori, dopo la morte, sia possibile esprimere un giudizio sull'effettivo valore di un letterato.
Nel 1945 aveva già rifiutato la Legion d'onore e, in seguito, la cattedra al Collège de France.
Morì nel 1980 al culmine del suo successo di intellettuale "impegnato", quando ormai era diventato icona della gioventù ribelle e anticonformista del dopoguerra, in modo particolare della frazione maoista di cui era diventato leader insieme a Pierre Victor (pseudonimo di Benny Lévy). Si stima che al suo funerale presenziarono cinquantamila persone. È sepolto nel cimitero di Montparnasse a Parigi.
Sartre è stato uno dei massimi esponenti dell'esistenzialismo e uno studioso le cui idee sono sempre state ispirate a un pensiero politico orientato verso la sinistra internazionale.
Ha diviso con Simone de Beauvoir - conosciuta nel 1929 all'École Normale Supérieure - la propria vita sentimentale e professionale.
(*Stella)
Niente più caratteri: gli eroi sono altrettante libertà prese in trappola, come tutti noi.
Quali sono le vie d’uscita? Ogni personaggio non sarà che la scelta di una via d’uscita e varrà la via d’uscita scelta (...) In un certo senso ogni situazione è una trappola da sorci; muri da ogni parte
Jean-Paul Sartre, Che cos’è la letteratura?
"Ho chiuso lo Spirito Santo nella cripta e l'ho scacciato. L'ateismo è un'impresa crudele e di lungo respiro ...io vedo chiaro, sono disincantato ...sono un uomo che si sveglia, .,. e che non sa più che farsene della vita ...Scrivo ...Che altro fare? ...A lungo ho preso la penna per una spada: oggi riconosco la mia impotenza ...la cultura non salva niente né nessuno, non giustifica ...il mio solo problema è di salvarmi ...col lavoro e la fede ...Se ripongo l'impossibile salvezza nel magazzino degli attrezzi, che cosa rimane? Solo un uomo".
Jean Paul Sartre, Le parole
“Avevo trovato la mia religione: nulla mi parve più importante di un libro.
La libreria, vi vedevo un tempio.”
Jean Paul Sartre, Le parole
"Ho chiuso lo Spirito Santo nella cripta e l'ho scacciato. L'ateismo è un'impresa crudele e di lungo respiro ...io vedo chiaro, sono disincantato ...sono un uomo che si sveglia, .,. e che non sa più che farsene della vita ...Scrivo ...Che altro fare? ...A lungo ho preso la penna per una spada: oggi riconosco la mia impotenza ...la cultura non salva niente né nessuno, non giustifica ...il mio solo problema è di salvarmi ...col lavoro e la fede ...Se ripongo l'impossibile salvezza nel magazzino degli attrezzi, che cosa rimane? Solo un uomo".
Jean Paul Sartre, Le parole
“Avevo trovato la mia religione: nulla mi parve più importante di un libro.
La libreria, vi vedevo un tempio.”
Jean Paul Sartre, Le parole
Ho cominciato la mia vita come senza dubbio la terminerò: tra i libri.
Nell’ufficio di mio nonno ce n’era dappertutto; era fatto divieto di spolverarli, tranne una volta all’anno, prima della riapertura delle scuole. Non sapevo ancora leggere, ma già le riverivo queste pietre fitte: ritte o inclinate, strette come mattoni sui ripiani della libreria o nobilmente spaziate in viali di menhir, io sentivo che la prosperità della nostra famiglia dipendeva da esse. [...] Non ho mai razzolato per terra, non sono mai andato a caccia di nidi, non ho erborizzato nè tirato sassi agli uccelli. Ma i libri sono stai i miei uccelli e i miei nidi, i miei animali domestici, la mia stalla e la mia campagna; la libreria era il mondo chiuso in uno specchio; di uno specchio aveva la profondità infinita, la varietà, l’imprevedibilità.”
Jean Paul Sartre, Le paroleNell’ufficio di mio nonno ce n’era dappertutto; era fatto divieto di spolverarli, tranne una volta all’anno, prima della riapertura delle scuole. Non sapevo ancora leggere, ma già le riverivo queste pietre fitte: ritte o inclinate, strette come mattoni sui ripiani della libreria o nobilmente spaziate in viali di menhir, io sentivo che la prosperità della nostra famiglia dipendeva da esse. [...] Non ho mai razzolato per terra, non sono mai andato a caccia di nidi, non ho erborizzato nè tirato sassi agli uccelli. Ma i libri sono stai i miei uccelli e i miei nidi, i miei animali domestici, la mia stalla e la mia campagna; la libreria era il mondo chiuso in uno specchio; di uno specchio aveva la profondità infinita, la varietà, l’imprevedibilità.”
Sono un cane: sbadiglio, mi vengono giù le lacrime, le sento scendere.
Sono un albero, il vento si attacca ai miei rami e li scuote vagamente.
Sono una mosca, m’arrampico lungo un vetro, cado giù, riprendo ad arrampicarmi.
Talvolta sento la carezza del tempo che passa, talvolta – molto più spesso – lo sento che non passa affatto. Tremanti minuti si sprofondano, mi inghiottono e non cessano di agonizzare; putridi ma ancora vivi, vengono spazzati via, altri minuti prendono il loro posto, più freschi, altrettanto vani; questi disgiunti si chiamano la felicità; mia madre ripete che sono il più fortunato tra quelli della mia età. Come non crederlo dato che è vero? Al mio abbandono non penso mai; primo, non c’è parola che lo possa designare; secondo, io non riesco a vederlo: mi stanno tutti sempre intorno. E’ la trama della mia vita, la stoffa dei miei piaceri, la carne dei miei pensieri. Io vivo la morte.
Jean-Paul Sartre, Le parole
"I nostri ospiti si congedavano, io rimanevo solo, evadevo da quel banale cimitero, andavo a ritrovare la vita, la follia nei libri. Mi bastava aprirne uno per riscoprirvi il pensiero, inumano, inquieto, le cui pompe e le cui tenebre erano oltre le mie capacità di comprendere, il pensiero che saltava da un'idea all'altra, così veloce che mollavo la presa, cento volte a pagina, e lo lasciavo andar via, stordito, perduto."
Jean-Paul Sartre, Le parole
"Non ho mai razzolato per terra, non sono mai andato a caccia di nidi, non ho erborizzato nè tirato sassi agli uccelli. Ma i libri sono stati i miei uccelli e i miei nidi, i miei animali domestici, la mia stalla e la mia campagna; la libreria era il mondo chiuso in uno specchio; di uno specchio aveva la profondità infinita, la varietà, l’imprevedibilità."
Jean-Paul Sartre, Le Parole
Si tratta dei colloqui (o testamento spirituale) che Sartre, già ricoverato in clinica per la malattia che lo porterà alla morte, intrattenne con Benny Levy, suo segretario ed uno dei più importanti filosofi del maggio francese. Essi apparvero dapprima su Le Nouvel Observateur, in tre puntate tra il 10 e 30 marzo 1980.
Alla prima e alla terza puntata i redattori posero il titolo di "L’Espoir, maintenant", alla seconda Violence e fraternité, individuandone così i nuclei tematici.
Testo di notevole importanza nella ricostruzione del pensiero sartriano; un documento tanto significativo e, per certi versi, innovativo, che, appena apparve in Francia, i più stretti collaboratori del filosofo lo ritennero poco credibile. In Italia, il primo ad accorgersi delle novità contenute in questa vera e propria confessione laica del filosofo francese fu Italo Mancini, filosofo e teologo urbinate.
da Diogene 2008
Jean-Paul Sartre ( 1905 – Parigi, 15 aprile 1980) filosofo, scrittore, drammaturgo e critico letterario francese.
Nel 1964 fu insignito del Premio Nobel per la letteratura, che però rifiutò, motivando il rifiuto col fatto che solo a posteriori, dopo la morte, sia possibile esprimere un giudizio sull'effettivo valore di un letterato.
Nel 1945 aveva già rifiutato la Legion d'onore e, in seguito, la cattedra al Collège de France.
Morì nel 1980 al culmine del suo successo di intellettuale "impegnato", quando ormai era diventato icona della gioventù ribelle e anticonformista del dopoguerra, in modo particolare della frazione maoista di cui era diventato leader insieme a Pierre Victor (pseudonimo di Benny Lévy). Si stima che al suo funerale presenziarono cinquantamila persone. È sepolto nel cimitero di Montparnasse a Parigi.
Sartre è stato uno dei massimi esponenti dell'esistenzialismo e uno studioso le cui idee sono sempre state ispirate a un pensiero politico orientato verso la sinistra internazionale.
Ha diviso con Simone de Beauvoir - conosciuta nel 1929 all'École Normale Supérieure - la propria vita sentimentale e professionale.
(*Stella)
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