Pieni di presunte conoscenze, perché hanno da te acquisito molte informazioni senza mai coglierle nella loro verità, si crederanno pronti a giudicare su ogni cosa e saranno insopportabili a frequentarsi, perché invece di essere sapienti, come si credono, saranno solo una accozzaglia di frasi.
Platone, Fedro (275a)
"Impegno molto più bello é quando uno, servendosi dell'arte dialettica, prendendo un'anima adatta, vi pianta e vi semina con scienza discorsi che sono capaci di venire in aiuto a se stessi e a chi li ha piantati, e che non sono infruttiferi, ma hanno in sé germi donde scaturiranno altri discorsi piantati in altre persone, discorsi capaci di produrre questi effetti senza mai venir meno e di rendere felice chi ne possiede il dono, per quanto all'uomo é possibile."
Platone - Fedro 276e - 277a
Le cose non sono sempre tali quali si mostrano; il loro primo aspetto inganna molti; poche menti scoprono ciò che l'industria nasconde nell'intimo di esse.
Fedro
Quanto alla divina follia ne abbiamo distinte quattro forme a ciascuna della quali è preposta una divinità: Apollo per la follia profetica, Dionisio per la iniziatica, le Muse per la follia profetica mentre la quarta, la più eccelsa, è sotto l'influsso di Afrodite e di Amore.
Platone, Fedro 265b: Socrate
Le cose non sono sempre tali quali si mostrano; il loro primo aspetto inganna molti; poche menti scoprono ciò che l'industria nasconde nell'intimo di esse.
Fedro
Quanto alla divina follia ne abbiamo distinte quattro forme a ciascuna della quali è preposta una divinità: Apollo per la follia profetica, Dionisio per la iniziatica, le Muse per la follia profetica mentre la quarta, la più eccelsa, è sotto l'influsso di Afrodite e di Amore.
Platone, Fedro 265b: Socrate
Una volta che sia stato scritto, ogni discorso rotola da tutte le parti, indifferentemente, nelle mani di chi se ne intende e in quelle di chi non è interessato, ignorando a chi deve parlare e a chi no. E se è offeso o ingiustamente vituperato, ha sempre bisogno del soccorso del padre: da solo è incapace di rintuzzare un attacco o difendersi.
Platone
Platone
La scrittura, davvero come la pittura, ha qualcosa di terribile (deinon): infatti la sua progenie ci sta davanti come se fosse viva, ma, se le si chiede qualcosa, rimane in un maestoso silenzio. Allo stesso modo fanno i discorsi (logoi): si crederebbe che parlassero, come se pensassero qualcosa, ma se per desiderio di imparare si chiede loro qualcosa di quello che dicono, comunicano una cosa sola e sempre la stessa. E una volta messo per iscritto, ogni discorso circola per le mani di tutti, tanto di chi l'intende quanto di chi non c'entra nulla, né sa a chi gli convenga parlare e a chi no. Prevaricato e offeso ingiustamente, ha sempre bisogno dell'aiuto del padre perché non è capace né di difendersi né di aiutarsi da sé. (275d-e)
Platone, Il Fedro.
http://bfp.sp.unipi.it/dida/fedro/ar01s20.html
Il mito di Theuth (Fedro 274b-275c)
Il dio egiziato Teuth - racconta Socrate - inventò i numeri, il calcolo, la geometria, l'astronomia, il gioco della petteia 4 e dei dadi, e anche le lettere (grammata). (274c) Si presentò quindi al faraone Thamus per illustrargli le sue technai. Quando giunse ai grammata, disse:
Socrate invita Fedro, il quale ha osservato polemicamente che questa storia è solo una sua invenzione, a considerare quanto dice il racconto a prescindere dalla sua origine storica, (275b) proprio come si sarebbe fatto in una cultura orale. Ma lo stile "orale" è solo un espediente retorico: Socrate, infatti, non nega che il suo mito è una costruzione artificiale per illustrare una tesi filosofica, che deve essere analizzata nei suoi contenuti. (275c)
Per Platone, si può parlare di sapere solo se il soggetto conoscente è in grado di disporre criticamente delle nozioni che possiede e di discuterle con gli altri. La sophia, in questo senso, funziona sempre come qualcosa di interpersonale e di sovrapersonale. Se un'idea è solo di qualcuno, non può essere un'idea per tutti: ma se un'idea non è per tutti, non è sapere. La scrittura, tuttavia, produce l'illusione che la vita del sapere sia trasferibile in oggetti che si possono nascondere sotto il mantello, come fa Fedro col discorso di Lisia, vendere e comprare. Occorre dunque chiedersi se sia possibile trar vantaggio della scrittura senza cadere nell'inganno della reificazione del sapere.
http://bfp.sp.unipi.it/dida/fedro/ar01s19.html
- O re, questa conoscenza (mathema) renderà gli egiziani più sapienti e più dotati di memoria: infatti ho scoperto un pharmakon per la sapienza e la memoria. - E il re rispose: - Espertissimo (technikotate) Theuth, una cosa è esser capaci di mettere al mondo quanto concerne una techne, un'altra saper giudicare quale sarà l'utilità e il danno che comporterà agli utenti; e ora tu, padre delle lettere, hai attribuito loro per benevolenza il contrario del loro vero effetto. Infatti esse produrranno dimenticanza (lethe) nelle anime di chi impara, per mancanza di esercizio della memoria; proprio perché, fidandosi della scrittura, ricorderanno le cose dell'esterno, da segni (typoi) alieni, e non dall'interno, da sé: dunque tu non hai scoperto un pharmakon per la memoria (mneme) ma per il ricordo (hypòmnesis). E non offri verità agli allievi, ma una apparenza (doxa) di sapienza; infatti grazie a te, divenuti informati di molte cose senza insegnamento, sembreranno degli eruditi pur essendo per lo più ignoranti; sarà difficile stare insieme con loro (syneinai), perché in opinione di sapienza (doxosophoi) invece che sapienti. - (274e-275a)
- La scrittura è una techne. La sua utilità non può essere giudicata da chi la propone - per quanto divino possa essere - ma da chi la usa, 5 cioè dagli egiziani, rappresentati dal faraone Thamus. Anche il Fedro è un dialogo fra due utenti della scrittura: Socrate, attratto dai libri come da un pharmakon, si fa leggere il discorso di Lisia da Fedro; lo stesso testo scritto, sottoposto a discussione, viene poi riletto più volte. Il Socrate storico non ha lasciato nulla di scritto; il Socrate del dialogo ha tuttavia titolo a giudicare su come si deve scrivere in quanto lettore, cioè utente di testi. Platone, autore del dialogo, giudica la scrittura solo dopo aver scelto di usarla, da lettore e da scrittore. La dottrina del primato dell'utente ha un corollario importante: non possiamo valutare una tecnica senza aver prima provato a usarla in maniera consapevole.
- La scrittura è un pharmakon e come tale ha sia effetti benefici, sia effetti dannosi:
- la scrittura rende più facile la hypòmnesis, cioè la conservazione e la trasmissione dell'informazione: nel dialogo, i personaggi possono accedere al discorso di Lisia anche se egli non è effettivamente presente e Fedro non l'ha ancora imparato a memoria;
- la disponibilità di informazione in gran quantità non aumenta, di per sé, né la memoria né la "sapienza" degli utenti, cioè le loro capacità personali di richiamare alla mente la nozione appropriata nel momento in cui se ne ha bisogno e di valutare e connettere in modo critico i dati conservati e trasmessi meccanicamente;
- dal momento che l'informazione offerta dalla scrittura dipende da un oggetto esteriore e non da condizioni personali e interpersonali, la synousia, lo stare insieme che fondava il sapere collettivo delle culture orali e delle scuole filosofiche antiche, diventa difficile, perché tende a perdere il suo senso collaborativo e a diventare competizione.
http://bfp.sp.unipi.it/dida/fedro/ar01s19.html
Il Fedro: La critica alla scrittura
Nel Fedro, Socrate indirizza una serie di critiche specifiche al medium alfabetico a partire dalla narrazione del mito di Theuth, un'esplicita invenzione che gli permette di portare l'attenzione del suo interlocutore, tramite la componente magica, sull'aspetto innovativo che l'origine della scrittura alfabetica reca con sé. Come il re di Tebe, Socrate afferma che la scrittura non ha, in sé, una funzione conoscitiva: essa è utile nella misura in cui aiuta chi già sa a ricordare [275c].
"Perché vedi, Fedro, la scrittura (graphè) ha una strana qualità, simile veramente a quella della pittura (zographìa). I prodotti della pittura ci stanno davanti come se vivessero; ma se domandi loro qualcosa, tengono un maestoso silenzio. Nello stesso modo si comportano i discorsi (logoi): crederesti che potessero parlare quasi che pensassero; ma se tu, volendo imparare, domandi loro qualcosa di ciò che dicono, ti manifestano una cosa sola e sempre la stessa. E una volta che sia messo per iscritto, ogni discorso (logos) si rivolge a tutti, tanto a chi l'intende quanto a chi non ci ha nulla da fare, e non sa a chi gli convenga parlare e a chi no. Prevaricato ed offeso oltre ragione esso ha sempre bisogno che il padre gli venga in aiuto, perché esso da solo non può difendersi né aiutarsi [275c - d]" (trad. it. di P. Pucci, Laterza, p. 119, con alcune correzioni).
Il carattere visivo dell'alfabeto fonetico permette a Platone di equiparare segno grafico e segno pittorico; a partire da questa analogia prendono origine le osservazioni di Socrate, attraverso cui Platone pone in evidenza le caratteristiche proprie del nuovo medium: la fissità dell'oggetto, l'universalità della sua diffusione, la chiusura del suo contenuto e la dipendenza dall'autore.
Se le critiche che Socrate muove alla scrittura sono comprensibili in una prospettiva orale, giustificata dal fatto che non abbia lasciato niente di scritto, diversa è la posizione di Platone, che affida alla scrittura la trasmissione dei suoi dialoghi. Come è da intendersi la critica alla scrittura nel Fedro? La relazione tra oralità e scrittura nell'elaborazione del pensiero di Platone è stata oggetto di una lunga discussione da parte dei sostenitori del primato delle dottrine esoteriche (le dottrine non scritte e tramandate oralmente) per la corretta interpretazione platonica, e di chi ha rivendicato, al contrario, la fondatezza e la validità dei dialoghi scritti, nonché la preminenza di tali fonti per la comprensione del pensiero di Platone.
Friedrich D.E. Schleiermacher introduce alcuni elementi a sostegno della seconda ipotesi. Nella sua Introduzione a Platone del 1804 il filosofo tedesco accompagna alla propria traduzione la raccomandazione, assai importante, di accostarsi, prima che alla letteratura secondaria e alle opinioni, ai testi platonici. È questa l'applicazione diretta del platonismo che Schleiermacher intende proporre ai suoi lettori, e che prende le mosse dalla definizione di conoscenza come processo interiore.
Schleiermacher confuta le interpretazioni che vanificano la ricerca di un'unità nella dottrina platonica sulla base dell'apparente confusione che la forma dialogica e l'identità dei personaggi coinvolti comportano: l'errore che ne deriva consiste nel limitare la funzione del dialogo ad uno strumento accessorio, e non aiuta a giungere ad alcuna conclusione. Anche un secondo errore, di apprezzare il valore linguistico e poetico come una caratteristica secondaria e dubbia dell'opera del filosofo greco, è foriero di malintesi quando porta a ritenere che negli scritti platonici non sarebbe espressa la sua dottrina. Quanto al filosofo tedesco preme, al contrario, dimostrare, è che nella filosofia di Platone è impossibile separare la forma dal contenuto, e che ogni asserzione può essere compresa solo nella sua collocazione, con le limitazioni e i legami in cui lo stesso Platone l'ha espressa.
Non si tratta dunque secondo Schleiermacher di esporre le singole opinioni, ma le singole opere, nel modo in cui le sue idee le hanno sviluppate in esposizioni progressive e sempre più complete. Il dialogo e la sua forma non possono essere compresi come una totalità in sé, ma necessitano della connessione con gli altri scritti, come è chiarito attraverso un esplicito riferimento al Fedro; la critica alla scrittura è precisamente una critica all'insegnamento dottrinale, cui Platone contrappone una teoria della conoscenza e dell'apprendimento che ha il suo fondamento nella forma dialogica, senza così negare valore di per sé al dialogo scritto. Al primo tipo di discorso, nel seguito del dialogo Socrate contrappone un altro tipo di discorso, "quello scritto con la scienza (epistème) nell'anima di chi impara, capace di difendere sé stesso, e che sa a chi parlare e di fronte a chi tacere" [276a]. Il riferimento diretto a Fedro, che possiede il logos scritto di Lisia, ma non la conoscenza, è esplicito.
Poiché il pensiero è autoattività e anche un richiamo al modo in cui si è acquisito, la forma dialogica è indispensabile per l'apprendimento tanto allo scritto quanto all'oralità. Il lettore del dialogo è dunque coinvolto se l'anima è posta nella necessità di cercare la verità, e condotta sulla strada dove può trovarla. Solo sulla base del fatto che il lettore, e più in generale chi impara (mathetès), divenga o meno ascoltatore del proprio interno, è possibile secondo Schleiermacher distinguere in Platone una dottrina esoterica da una essoterica.
Le tesi di Eric Havelock danno conferma a chi nega che Platone possa aver affidato il cuore della sua dottrina e del suo pensiero alla trasmissione di tipo orale; Platone, come mostra Havelock, fonda la sua epistemologia sul rifiuto del vecchio mondo della cultura orale rappresentato dai poeti, e la sua critica al medium orale dell'epos ne investe tanto la forma quanto il contenuto. La critica alla scrittura del Fedro non sarebbe tuttavia da leggere in contrasto con quanto affermato in precedenza; qui infatti Platone, oltre al merito di mettere in evidenza con lucidità la caratteristica principale del medium alfabetico (il primato della vista sull'udito), dimostra di avere chiara l'importanza della rivoluzione mediatica che sta vivendo, e i limiti specifici del medium grafico.
http://bfp.sp.unipi.it/dida/oscrit/fedro1.htm
di Santi Romano
Quando il re di Ninive decise di fare pace col re di Ur, gli mandò un ambasciatore proponendogli un accordo.
Ma costui capì male e riferì peggio.
E il re di Ur pensò d'aver subito un affronto.
La guerra proseguì sempre più ferocemente.
L'anno seguente il re di Ninive mandò un secondo ambasciatore a proporre la pace.
Ma anche questo capì male e riferì peggio.
E la guerra fu ancora più cruenta.
Quindi il re di Ninive decise di inventare la scrittura per evitare qualunque incomprensione.
Dopo 3.000 anni, però, abbiamo scoperto che anche la scrittura è una parabola di interpretare.
Perché rappresenta la parola, che è inconoscibile.
E questa rappresenta il nostro pensiero, che non è univoco.
La conoscenza è impossibile.
Aristotele in La metafisica dice che le api sono intelligenti perché sono sorde.
Basta loro la vista e la propria essenza per sapere esattamente quali azioni compiere e come compierle. Sarebbe cosa buona che anche noi per conoscere i fatti, le persone e la vita non ascoltassimo ciò che ci dicono. E' infatti dentro noi ciò che dobbiamo capire.
Nessun commento:
Posta un commento