mercoledì 28 febbraio 2018

Tiberio Gracco. Gli animali selvaggi che vivono in Italia, hanno le loro tane; ognuno di essi conosce un giaciglio, un nascondiglio. Soltanto gli uomini che combattono e muoiono per l'Italia non possono contare su altro che sull'aria e la luce; con la moglie e i figli vivono per le strade,, anziché su un campo. I generali mentono quando, prima delle battaglie, scongiurano i soldati di difendere contro il nemico i focolari e le tombe, perchè la maggior parte dei romani non ha un focolare, e nessuno ha una tomba dei suoi antenati Soltanto per il lusso e la gloha degli alta devono spargere il loro sangue e morire. Si chiamano i padroni del mondo, e non possono dire di essere padroni di una sola zolla di terra.

"Gli animali selvaggi che vivono in Italia, hanno le loro tane; ognuno di essi conosce un giaciglio, un nascondiglio. Soltanto gli uomini che combattono e muoiono per l'Italia non possono contare su altro che sull'aria e la luce; con la moglie e i figli vivono per le strade,, anziché su un campo. I generali mentono quando, prima delle battaglie, scongiurano i soldati di difendere contro il nemico i focolari e le tombe, perchè la maggior parte dei romani non ha un focolare, e nessuno ha una tomba dei suoi antenati Soltanto per il lusso e la gloha degli alta devono spargere il loro sangue e morire. Si chiamano i padroni del mondo, e non possono dire di essere padroni di una sola zolla di terra." Tiberio Gracco - Discorsi.


«I Romani, quando avevano conquistato un territorio ai popoli confinanti, ne vendevano una parte e ne rendevano l'altra di proprietà pubblica, dandola da coltivare ai cittadini meno abbienti e privi di mezzi, dietro pagamento di un modesto canone all'erario. Ma, poiché i ricchi avevano incominciato ad offrire canoni maggiori e schiacciavano i poveri fu fatta una legge che vietava di possedere più di 500 iugeri di terra. Per breve tempo questa legge mise un freno all'avidità e recò aiuto ai poveri, che poterono restare sulle loro terre pagando l'affitto stabilito e coltivare il lotto che ciascuno aveva avuto dall'inizio
Plutarco, Vita dei Gracchi, 8,1-3


«Tenne discorsi pieni di preoccupazione intorno alla stirpe italica, facendo notare che era valentissima in guerra e consanguinea ai Romani, ma che a poco a poco andava esaurendosi nella povertà e nella scarsità demografica e non aveva speranza di riprendersi
Appiano, Guerre Civili, 9,35


storia romana. Tiberio divenne tribuno della plebe nel 133 a.c. e si assunse il compito, d'accordo con importanti senatori {tra cui suo suocero Appio Claudio) di presentare una legge agraria che regolasse l'uso della terra pubblica. La sua elezione a tribuno della plebe, fu ottenuta senza comprare un voto, e si era già distinto nell'assedio di Cartagine e nella guerra in Spagna, ed era stato un irreprensibile questore.
La sua proposta indicava in 125 ettari il massimo di terra pubblica che un privato potesse possedere, con possibilità di arrivare fino a 250 in base al numero dei figli per famiglia
Il terreno eccedente doveva venire diviso in lotti inalienabili di 7,5 ettari, da distribuire ai cittadini proletari. Chi subiva un'espropriazione di terra pubblica, veniva compensato con la proprietà su quella che gli rimaneva.
Si nominava pertanto una commissione agraria che giudicasse i casi controversi. 
Lo scopo di questa legge era di limitare il latifondo a favore della classe di piccoli e medi proprietari terrieri, che era alla base del reclutamento dell'esercito

Quando l'opposizione oligarchica tentò di fermare Tiberio, egli rispose con azioni dal carattere eversivo, che gli avrebbero fatto perdere l'appoggio di quei senatori che all'inizio erano con lui.

Contro il veto posto dal suo collega tribuno, oppose una tesi politica estranea al pensiero politico romano, assimilabile piuttosto al pensiero greco, il principio della sovranità popolare, facendo così destituire il collega

Sostenne, di fronte ai comizi tributi, che questi dovevano decidere dell'organizzazione del regno di Pergamo, lasciato in eredità ai Romani e non, come era consuetudine per le faccende di politica estera, il senato

La reazione degli oppositori fu estrema: un gruppo di senatori, guidati dal cugino di Tiberio, Scipione Nasica, lo aggredì sul Campidoglio e l'uccise.

Gaio fu eletto tribuno nel 123 a.e, deciso a continuare i programmi politici di Tiberio. 
Il suo programma era più organico, cercando l'appoggio di quelle forze potenzialmente ostili all'oligarchia, come Italici, plebei, cavalieri. Con una legge frumentaria propose la distribuzione di grano a prezzo ridotto per la plebe; con altre leggi assegnò il tribunale che giudicava il peculato nelle province a giudici dell'ordine equestre (lo stesso ordine cui appartenevano i publicani, coloro che avevano dallo stato gli appalti per la riscossione delle tasse nelle province) e concesse a buone condizioni l'appalto per la riscossione delle tasse nella provincia d'Asia ai publicani.

Gaio stabili che l'equipaggiamento dei soldati fosse a carico dello stato e lanciò una campagna di deduzione di colonie, non solo in Italia. Rieletto tribuno per il 122, propose di dare la cittadinanza romana a quanti avevano il diritto latino, e il diritto latino agli italici; di sorteggiare l'ordine di votazione delle centurie dei comizi centuriati, così che non fosse subito palese l'orientamento delle prime centurie e si vanificasse la votazione delle ultime. Il senato, nel 121, lo nominò nemico pubblico: assediato sull'Aventino, Gaio si fece uccidere da uno schiavo.


La questione terriera.
Anticamente lo Stato suddivideva i campi conquistati tra i soldati, ma le continue guerre avevano finito con l'arricchire solo chi era già ricco, facendolo diventare un grande latifondista. 
Erano i debiti a rovinare i piccoli proprietari.
Roma si era riempita di ex proprietari rifugiatisi in città per vivere di espedienti o di clientelismo; restando in campagna sarebbero divenuti coloni di un ricco proprietario che al massimo li avrebbe pagati con l'ottava parte del raccolto. Oppure avrebbero fatto la vita del bracciante, il che era peggio che fare lo schiavo, in quanto non si aveva alcuna garanzia sul vitto e l'alloggio.

Influenzato dalle idee di due filosofi stoici, Diofane di Mitilene e Blossio di Cuma, Tiberio Gracco progettò una riforma di legge che limitasse l'occupazione delle terre dello stato a 125 ettari e riassegnava le terre eccedenti ai contadini in rovina.

Una famiglia nobile poteva avere 500 iugeri di terreno, più 250 per ogni figlio, ma non più di 1000; i terreni confiscati furono distribuiti in modo che ogni famiglia della plebe contadina avesse 30 iugeri (7.5 ettari), il minimo per la sopravvivenza di una famiglia.
Il provvedimento era sostenuto dal popolo anche attraverso scritte sui maggiori monumenti e sulle pareti dei portici di Roma, ma fu rifiutata dai ricchi che tentarono inutilmente di incitare una rivolta contro Tiberio



http://www.romanoimpero.com/2010/08/tiberio-sempronio-gracco-133-ac.html



lunedì 26 febbraio 2018

alle sorgenti del Mississipi. L’etica fondamentale della Midewiwin si basava sul concetto che un comportamento corretto allungava la vita, mentre una condotta indegna si sarebbe ritorta contro il malvagio; il furto, la menzogna e l’uso dell’alcool dei bianchi erano rigorosamente vietati, il rispetto verso le donne era incoraggiato.

Giacomo Costantino Beltrami: alle sorgenti del Mississipi.
[...] Chi fu davvero l’uomo dall’ombrello rosso?


Itinerario di Giacomo Costantino Beltrami

[...]  Nell’ottobre del 1822, ormai sulla soglia dei 43 anni, salpa da Liverpool diretto a Filadelfia [...]. Sente parlare delle popolazioni native che abitano ancora gran parte di quelle immense terre, se ne compiace esclamando “mi trovo fra i Paesi più fiorenti del Mondo, è così perché qui la terra è ancora sotto il dominio della natura … ed è uno dei Paesi più civilizzati appunto perché non è ipercivilizzato”. 

Fatto sta che, senza un progetto preciso, lascia perdere la visita ad importanti città come New York e Boston, ritenendo giunto il momento per lui di conoscere il cuore selvaggio dell’America: valica i monti Appalachi in carrozza direzione Pittsburgh, poi in battello a vapore lungo il fiume Ohio “che nella lingua degli Algonchini significa bel fiume”. 

Nei suoi scritti non spiega questa decisione di lanciarsi verso la frontiera, è per lui una scelta istintiva di esploratore, non porta con sé né mappe né manuali, solo i suoi appunti ed un curioso ombrello rosso comprato a Filadelfia, deciso a fare affidamento esclusivamente su quello che, da ora in poi, vedrà e sentirà in prima persona. 

Affascinato dalla natura circostante sente il bisogno di comunicare la sua esperienza ad un’amica, la Contessa Girolama Passeri Compagnoni, già protettrice della sua amata Giulia, con la quale inizia una corrispondenza che si trasformerà in un vero e proprio diario di viaggio, secondo la moda dell’epoca. 

Sul battello “Calhoun” incontra il Generale Clark, già protagonista nel 1803 dell’epica spedizione esplorativa durata tre anni insieme al compagno Lewis, lungo tutto il territorio americano fino all’oceano Pacifico.

Tra gli ufficiali al seguito del Generale vi è anche il Maggiore Tagliaferro, di lontane origini italiane, agente indiano per le tribù del nord-ovest Ojibwa-Chippewa e Sioux, di ritorno alla sua sede di Fort St. Anthony, il quale lo invita ad unirsi a lui verso nord, sul battello “Virginia”. 

Inizia così la vera avventura di Beltrami che comincia ad annotare il corso, l’idrografia e le caratteristiche di quel grande fiume, il Mississipi, che in gran parte scorre in regioni ancora sconosciute, rimanendone affascinato talmente da stupirsi che ancora nessuno ne abbia scoperto le sorgenti. 

Tra i compagni di viaggio c’è anche Grande Aquila, capo della tribù dei Sauk e Giacomo Costantino ne conquista subito la stima e la fiducia, al punto che l’indiano lo invita al villaggio dove gli fa dono di alcuni preziosi monili che l’italiano conserverà gelosamente, acquisendo anche interessanti particolari sulla medicina indiana. 

L’aitante e coraggioso straniero suscita subito l’ammirazione e la curiosità delle giovani ragazze, tanto che egli stesso racconta di essersi trovato nel mezzo di una festa-orgia degenerata nel sangue a causa dell’ubriachezza di alcuni guerrieri e di essere stato salvato da una giovane di nome Woashita (nelle sue note egli si sofferma spesso – in anticipo sui tempi - sulle devastanti conseguenze delle bevande alcooliche portate dai bianchi sull’equilibrio psico-fisico dei nativi). Giacomo ricorda con tenerezza la fanciulla che gli ha confezionato i pantaloni, il cappotto e i mocassini, ma non rivela se tra lui e la dolce Woascita ci sia stata una storia d’amore. 

Più si addentra nei territori e maggiormente cresce in lui il desiderio di saperne di più su questi popoli affascinanti e di scoprire le sorgenti del Grande Fiume, anche se non riesce tuttavia a convincere Tagliaferro ad unirsi a lui in questa impresa. 

Il 7 luglio 1823, pertanto, dopo una breve permanenza nell’avamposto di Fort St. Anthony Beltrami si aggrega ad un’altra spedizione militare, guidata dal Maggiore Stephen H. Long, diretta verso i confini canadesi sul Red River dove si trova la piccola ed isolata colonia di Pembenar, una stazione commerciale della Hudson Bay Company, alla quale sono aggregati studiosi di zoologia, mineralogia e astronomia. 

Oltre all’italiano, la spedizione comprende un medico, un pittore per disegnare e dipingere gli ambienti, la fauna e le popolazioni, due interpreti e ventitré tra militari di scorta e altri membri. 

La colonna di muli arriva a Pembenar dopo circa un mese e qui Beltrami decide di proseguire da solo a bordo di una canoa. Tutti i compagni di viaggio provano a farlo desistere avvertendolo che, anche se per miracolo fosse riuscito ad attraversare le foreste, a nord avrebbe trovato la piana del fiume Clearwater, territorio abitato dalle terribili tribù ostili dei Nakota. Anche se secondo i compagni l’italiano non ne sarebbe mai uscito vivo, questi è però irremovibile. 

Giacomo Costantino è fiducioso, sono ormai mesi che si muove in quelle terre ed ha capito che gli unici bianchi che riescono ad avere contatti commerciali con le tribù sono i Trappers, cacciatori di pellicce per le grandi compagnie come l’Hudson Bay e la North West Company. Fingendosi uno di loro, ha passato più tempo con i nativi che ha incontrato nel viaggio piuttosto che con gli europei, imparando i loro usi, costumi, perfino come preparare il cibo, arrivando ben presto a provare ammirazione e rispetto per quei popoli indomiti, tanto da desiderare di apprendere la loro lingua.

Giacca di pelle di Beltrami (Museo Caffi di Bergamo)

Gli indiani Chippewa, avendo avuto a che fare fino ad allora solo con inglesi, americani e francesi, si stupiscono dei modi gentili e disinteressati di quel personaggio così diverso, lo accolgono con benevolenza e, venendo a conoscenza delle sue avventure, lo considerano alla stregua di un grande guerriero chiamandolo Kitky Okimaw. I Chippewa raccontano a Giacomo le “guerre sanguinose che le tribù combattono contro i Sioux”. 
Nei suoi diari Beltrami riferisce casi di intere etnie che sono state quasi estinte per gli attacchi dei Sioux che avevano invaso le valli del Mississipi e del Missouri, poiché a loro volta scacciati verso ovest sotto l’incalzare dei Cree. I Chippewa, testimonia l’italiano, in punto di morte “raccomandano ai figli, agli amici, ai parenti, a tutta la tribù, di essere sempre nemici dei Sioux

I giorni passano e l’esploratore è ormai conosciuto in tutto il nord: 
alto, prestante, coraggioso, riconoscibile ovunque per il vistoso ombrello rosso che ha sempre con sé. 

Il 9 agosto Giacomo Costantino Beltrami parte verso l’ignoto con una guida mezzosangue e due Chippewa, che lo abbandonano pochi giorni dopo nel pieno del territorio dei loro acerrimi nemici Sioux, non senza averlo prima derubato delle provviste. 

Rimasto solo in territorio ostile, trascina la canoa nei tratti via terra, sopportando stoicamente la terribile umidità del clima e la fame. Si riduce a selvaggio solitario, senza più anima viva su cui contare, fatica come una bestia pagaiando controcorrente ma non demorde

Il 15 agosto riesce a sfuggire ad un attacco di guerrieri Lakota ed il 19 agosto raggiunge, spossato, il Red Lake. Sulla riva, come in un sogno, sente voci femminili che descrive come “ninfe della dea Calypso”, in realtà un gruppo di ragazze Chippewa che lo aiutano conducendolo al loro villaggio, dove viene rifocillato dal capo tribù, con il quale si trattiene alcuni giorni fumando la sacra pipa e ottenendo il permesso di essere accompagnato ancora più a nord, con una guida bois brulè (mezzosangue canadese). Questi lo introduce in un territorio che l’italiano descrive come incredibile, tra laghi, foreste e paludi dove cresce il riso selvatico. 

Il 31 agosto 1823, su una collina ai limiti di un’area paludosa, trova un lago che non ha emissari in superficie ma a sua volta ne alimenta uno a nord e uno a sud. Dal primo corso d’acqua esce il Red River Lake, dal secondo scaturisce un rigagnolo che egli designa come le vere sorgenti del Mississipi (come accertato in seguito non sono in realtà le uniche sorgenti ma le più settentrionali e comunque le più lontane dalla foce). Emozionato e felice battezza il lago sulla collina con il nome “Giulia” e il complesso di laghetti limitrofi “Sorgenti Giulie”, in onore della donna amata

Dopo aver annotato minuziosamente il luogo della scoperta torna indietro, portando con sé una serie di preziosi monili indiani; discende il grande fiume tra difficoltà ed avventure, rischia di annegare sulle rapide di La Prairie e di essere sbranato dai lupi a Little Falls, combatte perfino con un grizzly ma alla fine, il 30 settembre, ritrova Fort St. Anthony. 

Non pago della straordinaria impresa lascia l’avamposto e quelli che ormai considera i suoi amici indiani dai quali, nel frattempo, accetta ulteriori regali e sulla cui affascinante lingua scrive il primo dizionario inglese\Sioux, a beneficio di pacifici rapporti interrazziali. 

Nel corso del suo lungo viaggio nel bacino del Mississippi Giacomo Beltrami viene a contatto con diverse tribù native stanziate nelle grandi pianure settentrionali e abitanti le foreste intorno ai laghi Superiore e Michigan. Nei suoi diari l’esploratore ci lascia, oltre ad una dettagliata descrizione fisica di queste popolazioni, un’attenta analisi dei loro comportamenti in pace e in guerra, delle diverse cerimonie rituali e degli usi e costumi della quotidianità

Prendendo le distanze dal mito rousseauiano del “buon selvaggio”, Beltrami per primo descrive gli indiani americani come esseri umani di pari dignità, rileva alcuni caratteri della loro vita e della loro cultura come la libertà individuale, l’indipendenza, la mancanza della smania di potere e di accumulo dei beni materiali, qualità che contrastano con il mondo occidentale da cui egli proviene e che lo ha costretto all’esilio.
Tamburo della medicina Ojibwa - Chippewa (Museo Caffi di Bergamo)

Continuando il suo cammino verso sud si stabilisce a New Orleans, sulla foce del Mississipi, per un meritato riposo. E’ qui che sistema i suoi numerosi scritti e pubblica in francese: 
La Dècouverte des sources du Mississippi et de la Rivière Sanglante” nel 1824. 

Nello stesso anno, stanco di oziare, si imbarca per il Messico dove si dedica ai siti archeologici Aztechi e Maya. L’anno successivo è ad Haiti e poi a Santo Domingo. 

Tornando in Europa dopo anni di assenza, si riempie il borsone dei giornali editi dai rivoluzionari neri di Haiti, carica una nave di minerali e piante raccolte in Messico, di tamburi e borse di medicina, mocassini, pelli di bisonte, sacre pipe Chippewa e Lakota, tutto per raccontare e tutto da ricordare. Nel 1829, a Londra, viene nominato membro onorario della prestigiosa Botanic and Medical Royal Society e pubblica l’altro suo libro “The Pilgrimage in Europe and America”, trasferendosi poi a Parigi, ove viene incluso in altre società scientifiche dell’epoca. 

Dopo aver vissuto in diverse città europee, si ritira, nel 1837, a Filottrano dove finalmente si ferma, rinunciando alla speranza di vedere pubblicati i suoi scritti in Italia e lavorando in solitudine nella sua tenuta. Le sue opere, così apprezzate all’estero, vengono infatti messe all’indice nello Stato della Chiesa perché giudicate offensive nei riguardi del clero e della religione, sequestrate nei territori sottomessi all’Austria

A Bergamo le autorità municipali ottengono il permesso di conservare in biblioteca copie dei libri del loro illustre concittadino, ma a patto che siano ben chiuse in cassaforte. Beltrami scrive a Pio IX tre lettere nelle quali auspica un riavvicinamento alla Santa Sede, ma non ottiene nessuna risposta. La morte lo coglie all’età di 76 anni, il 6 gennaio 1855, ancora immerso nei suoi studi e nei ricordi delle straordinarie avventure vissute, pietosamente assistito dall’ultimo fratello rimastogli. Le sue spoglie riposano nella cripta della chiesa di Santa Maria Assunta a Filottrano. 

Alcuni degli straordinari oggetti raccolti da Beltrami costituiscono oggi la collezione del Museo di Filottrano, mentre altri sono invece custoditi nel settore Etnografico del Museo di Scienze Naturali Ettore Caffi di Bergamo, giudicati un vero e proprio tesoro da esponenti dello Smithsonian Institution di Washington che li ha recentemente catalogati. 

Una delegazione di Capi delle tribù delle Pianure ha elogiato entusiasta la collezione del museo Caffi, emozionandosi soprattutto davanti ad un pezzo senza eguali, un tamburo della medicina come non se ne conservano in America, poiché risalente ad un periodo in cui gli europei tendevano a distruggere e conquistare piuttosto che a valorizzare e catalogare gli effetti della cultura nativa. 

Come confermato dai capi in visita, il tamburo veniva utilizzato nelle cerimonie della Midewiwin, la grande Società di Medicina che gestiva la vita spirituale delle tribù dei laghi occidentali (Chippewa, Menominee, Winnebago, Sauk-Fox). L’etica fondamentale della Midewiwin si basava sul concetto che un comportamento corretto allungava la vita, mentre una condotta indegna si sarebbe ritorta contro il malvagio; il furto, la menzogna e l’uso dell’alcool dei bianchi erano rigorosamente vietati, il rispetto verso le donne era incoraggiato.
Sacre pipe Santee Sioux (Museo Caffi di Bergamo)

I rappresentanti delle nazioni indiane americane, durante la visita, hanno anche chiesto alla direzione del museo di esporre meglio le “sacre pipe” conservate nelle teche, ossia con i cannelli staccati dai rispettivi fornelli, in quanto la loro unione deve essere rigorosamente effettuata solamente in occasione del sacro rituale.

Non è facile racchiudere in poche righe la storia di questo italiano che visse molte vite, tuttora semi sconosciuto in patria. A noi piace immaginarlo come lo vide all’epoca lo scrittore James. F. Cooper, dal cui personaggio e dagli ambienti da lui descritti prese ispirazione per pubblicare il suo romanzo “L’ultimo dei Mohicani” nel 1826: laggiù tra le foreste, in quella che dal 1866 diventerà la Contea Beltrami nello Stato del Minnesota, quella figura di fattezze europee alta e slanciata, in parte vestito come un indiano con il lungo fucile ed i lunghi capelli; alle spalle le sorgenti del grande fiume e quel piccolo lago sulla collina, cristallino specchio d’acqua che riuscì a riunire per sempre i nomi di Giulia Spada e di Giacomo Costantino Beltrami.

Sergio Amendolia

Bibliografia
Giacomo C. Beltrami. La scoperta delle sorgenti del Mississipi. Biblioteca il vascello; 

Luigi Grassia. Balla coi Sioux - Beltrami, un italiano alle sorgenti del Mississipi. Mimemis; 

AA.VV. Un bergamasco tra i Sioux. Museo Civico Scienze Naturali E. Caffi di Bergamo (fonti web); 

Leonardo Vigorelli. Gli oggetti indiani raccolti da C. Costantino Beltrami. Civico Scienze Naturali E. Caffi di Bergamo (fonti web). 

Sitografia
http://www.giacomocostantinobeltrami.it


SERGIO AMENDOLIA
Nato 55 anni fa a Genova, sposato con 2 figli, 2 gatti e un cane, ho sempre guardato con stupore l'orizzonte e tutto ciò che quella linea rappresenta e contiene, convinto che dove il cielo finisce si celano sempre spazi e tempi lontani, spesso inesplorati o conosciuti poco e male. Forse per questo mi attira l'impostazione di questo blog ed i veli della Storia che gli articolisti provano spesso a sollevare, perché conoscere è importante e aiuta a capire ciò che siamo e come lo siamo diventati. Oltre alla nostra bella Italia ed alla sua impareggiabile ricchezza di arte e storia, mi affascinano molto gli scenari mozzafiato dell'Ovest Americano. In questi ultimi anni ne ho percorsi alcuni, ancora una volta cercando di varcare orizzonti i cui contorni sfuggono in continuazione, dimensioni che ho provato a malapena ad intuire nei volti dei nativi che ancora oggi si incontrano nelle riserve: a volte duri, scolpiti e aridi come i monoliti di arenaria rossa, probabilmente gli unici in grado di metabolizzare la sensazione di infinito che pervade quelle terre lontane. Per questo mi piace, quando il tempo libero me lo permette, collaborare con riviste e pagine web, tentando di approfondire le vicende che hanno caratterizzato la storia di quei popoli d'oltreoceano, in particolare l'epopea del West, con un occhio particolare agli uomini e alle donne che la vissero davvero, fuori dai luoghi comuni e dai grandi miti costruiti da Hollywood.

in data febbraio 26, 2018

https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/2018/02/giacomo-costantino-beltrami-alle.html

Scisma d’occidente. Papa Cossa venne deposto dalla carica di capo della Chiesa e dichiarato antipapa, cioè Papa illegittimo e quindi tolto dalla lista dei successori di Pietro. Con questa vicenda vergognosa si chiuse un vero e proprio incubo per la Chiesa Cattolica durato quarant’anni passato alla storia come Scisma d’occidente.

Papa contro Papa



Il mondo cristiano era diviso da ormai trent’anni dall’obbedienza a due Papi: 
Inghilterra, Portogallo, Danimarca, Norvegia, Svezia, Polonia, Ungheria e Stati Italiani del centro-nord si mantennero fedeli al Papa romano ma Francia, Castiglia, Aragona, Scozia, Cipro, Napoli, Sicilia e Savoia si schierarono con l’antipapa avignonese

Incerta era la situazione nell’Impero Germanico, diviso al suo interno tra principi di obbedienza romana e avignonese. Divise nell’obbedienza romana o avignonese erano anche le congregazioni, gli ordini religiosi, le università e perfino i santi, con Santa Caterina che si schierò per il pontefice romano, mentre San Vincenzo Ferreri sosteneva il candidato avignonese.



Papa Giovanni XXIII fece il grande passo di convocare un Concilio per cercare di risolvere i grandi problemi che affliggevano la Chiesa. Tuttavia il pontefice non ci mise molto a capire di non essere troppo gradito ai padri conciliari e, fiutando aria di impeachment, decise di squagliarsela. Riacciuffato, venne arrestato e processato per una lunga lista di crimini tra cui simonia, scisma e perfino incesto e pirateria.

Ovviamente non si sta parlando di Papa Roncalli, il celebre “Papa Buono”, da poco proclamato santo da Papa Francesco, ma di un suo omonimo vissuto circa seicento anni prima. Questo pontefice scandaloso si chiamava Baldassare Cossa, esponente di una nobile famiglia napoletana, e venne consacrato sacerdote e vescovo solo al momento dell’elezione alla Cattedra di San Pietro. 
Fu probabilmente per il pessimo ricordo che lasciò di sé, che nessun Papa venuto dopo di lui volle più assumere il nome pontificale di Giovanni. Se Roncalli poté chiamarsi come lui Giovanni XXIII, fu perché, a seguito della condanna emessa dal Concilio, Papa Cossa venne deposto dalla carica di capo della Chiesa e dichiarato antipapa, cioè Papa illegittimo e quindi tolto dalla lista dei successori di Pietro. Con questa vicenda vergognosa si chiuse un vero e proprio incubo per la Chiesa Cattolica durato quarant’anni passato alla storia come Scisma d’occidente

Ed è proprio di questo turbolento capitolo che parlerò nell’undicesima puntata di “Secoli bui ma non troppo”.

Tutto iniziò nel 1377 quando, dopo oltre settantanni durante i quali i pontefici avevano risieduto ad Avignone, Papa Gregorio XI cedette alle preghiere e alle esortazioni di Santa Caterina da Siena, prendendo la decisione di riportare finalmente la Santa Sede a Roma.

Se Santa Caterina poteva ritenersi soddisfatta di certo non lo erano i cardinali, quasi tutti francesi, che storcevano il naso all’idea di abbandonare le rive del Rodano per stabilirsi lungo quelle del Tevere

Gregorio morì l’anno dopo, nel 1378 e, come sempre, i cardinali si riunirono per eleggere il successore. Il popolo romano, però, intuendo il pericolo che quei cardinali, transalpini, eleggessero un Papa loro conterraneo che magari potesse essere tentato di lasciare di nuovo l’Urbe, si ammassò nelle piazze gridando “lo vogliamo romano, o almeno italiano”

I cardinali a questo punto, per non rischiare elessero l’italianissimo monsignor Bartolomeo Prignano, arcivescovo di Bari, che per rimarcare il suo attaccamento all’Urbe dei sette colli pensò bene di farsi chiamare Urbano VI

Pochi mesi dopo però i cardinali francesi, assolutamente contrari alla linea impostata da Urbano e ritenendo inaccettabili le pressione ricevute dal popolo di Roma, si riunirono a Fondi, nel Lazio ed elessero un nuovo pontefice, naturalmente francese, che assunse il nome di Clemente VII

Urbano VI scomunicò questo collega abusivo e lo dichiarò l’Anticristo cominciando un confronto devastante per la Cristianità che doveva durare decenni perché né Urbano né Clemente fecero un passo indietro e rivendicarono entrambi la guida della Chiesa. Lo scisma si perpetuò quando, morto Urbano VI nel 1389, gli succedette Bonifacio IX, e dopo di lui, nel 1404, fu la volta di Innocenzo VII. Intanto, dal 1394 ai pontefici romani si contrapponeva l’antipapa Benedetto XIII

La spaccatura sembrava insanabile:
L’Europa fu divisa per decenni nell’obbedienza all’uno o all’altro Papa. [...]

In tutto questo marasma un’intera generazione di europei nacque, visse e morì senza essere del tutto certa che i sacramenti ricevuti fossero validi o meno, visto che ciascuno dei due papi scomunicò il rivale e tutti i suoi seguaci, invalidandone ogni atto.

La soluzione più ovvia pareva essere la convocazione di un Concilio ecumenico che mettesse d’accordo tutti ma la soluzione era fortemente osteggiata tanto da Benedetto XIII quanto da Gregorio XII, succeduto nel frattempo a Innocenzo VII nel 1406. In questo periodo iniziarono a farsi strada idee definite appunto “conciliariste” che sostenevano la preminenza del concilio, in quanto espressione dell’assemblea dei credenti, sul Papa, ridotto a primus inter pares

I due pontefici rivali non intendevano farsi scavalcare dal Concilio, ritenendo entrambi che solo il Papa dovesse avere la suprema autorità sulla Chiesa. Tutti e due inoltre temevano che uno di loro, o più probabilmente entrambi, avrebbe dovuto fatalmente farsi da parte. Nonostante l’opposizione dei due Papi la maggioranza dei cardinali di entrambi gli schieramenti si riunì a Pisa nel 1409 più che mai risoluta a ricucire lo strappo apertosi nella Cristianità.

L’assise dei cardinali dichiarò decaduti sia Benedetto che Gregorio definiti spergiuri, eretici e scismatici. Al loro posto i padri conciliari elessero unico Papa della Chiesa Cattolica l’arcivescovo di Milano, il cardinale Pietro Filargo che assunse il nome di Alessandro V. Il nuovo pontefice non venne riconosciuto dai due già in carica che rifiutarono qualunque ipotesi di dimissioni e questo significava che i cristiani non avevano più due ma ben tre Papi! 
La situazione peggiorò quando, morto Alessandro, gli succedette nel 1410 Giovanni XXIII che abbiamo nominato in apertura.

Visto il degrado in cui versava il vertice della Chiesa, si risolse a intervenire il massimo sovrano della Cristianità, l’Imperatore del Sacro Romano Impero Sigismondo di Lussemburgo che riuscì a strappare una duplice promessa a Papa Giovanni: avrebbe convocato un nuovo concilio e poi si sarebbe fatto da parte, come si direbbe oggi “per senso di responsabilità”.

E qui ritorniamo da dove siamo partiti all’inizio: 
Papa Cossa indisse l’assise generale della Chiesa, che si aprì nel novembre 1414 a Costanza, ma poi si rimangiò la seconda parte del patto, rifiutando di dare le dimissioni.

Condannato, fu deposto da Papa e imprigionato ma venne salvato grazie all’intervento dell’amico Giovanni di Bicci de Medici, bisnonno di Lorenzo il Magnifico, che pagò il suo riscatto. Giovanni intendeva ricambiare i favori fatti dal Papa al Banco dei Medici, che poterono così iniziare la loro scalata alla ricchezza e, con quella, al potere. Il sodalizio tra il Papa e il banchiere fiorentino era destinato a durare anche oltre questa vita: Baldassarre Cossa venne infatti sepolto a spese di Giovanni de Medici nel Battistero di Firenze in un grandioso monumento funebre opera di Donatello.

Martino V Colonna, eletto dal concilio di Costanza come unico Papa.
Il concilio depose naturalmente sia Gregorio XII che Benedetto XIII eleggendo al Soglio Pontificio il romanissimo Cardinale Oddone Colonna, divenuto Papa Martino V. Gregorio accettò di abdicare spontaneamente mentre Benedetto XIII, a differenza del suo omonimo Ratzinger, rifiutò di fare questo sforzo di umiltà. Scomunicato, passo il resto dei suoi giorni a Valencia dove morì quasi centenario nel 1423, continuando fino alla fine con senile ostinazione a considerarsi l’unico vero Papa.

Il successore di Martino V, Eugenio IV, dovette anche lui fare i conti, tra il 1439 e il 1449, con un Antipapa, che fu eletto dal Concilio in rotta di collisione con il pontefice. Eugenio dovette presiedere al concilio di Basilea aperto poco prima di morire da Martino V per occuparsi di due importanti questioni: la riunione delle due chiese Cattolica e Ortodossa oltre al dilagare dell’eresia hussita. 

Su questo secondo punto Eugenio non poteva accettare il compromesso raggiunto dal concilio con l’ala moderata del movimento ereticale e decise nel 1438 di spostare la sede dei lavori in Italia, a Ferrara, dove avrebbe potuto avere maggiore controllo sull’assise dei padri conciliari. Costoro non ci stettero e pensarono bene di eleggersi un Papa allineato sulle loro posizioni, riaprendo la ferita dello scisma a vent’anni soltanto dalla sua ricomposizione.

Questa volta però la rottura si ricompose in fretta anche perché l’Antipapa Felice V, al secolo Amedeo VIII di Savoia, comprendendo di non avere grande seguito, accettò spontaneamente di dimettersi “per favorire l’unità dei cristiani”

Il Concilio si trasferì poi a Firenze, dove si chiuse nel 1439, grazie alla sponsorizzazione di Cosimo il Vecchio de Medici ma la riunificazione dei cristiani latini e greci finì in un disastro per l’opposizione del clero e del popolo ortodosso che vedevano con il fumo negli occhi qualunque ipotesi di sottomissione a Roma. Eugenio IV dal canto suo, rimasto nonostante gli scossoni sul Trono di San Pietro, fu l’ultimo Papa a doversi confrontare con un antipapa. La vittoria di Eugenio segnò anche l’inizio della fine per le tesi conciliariste ben testimoniato dalla sporadicità con cui i Papi successivi convocarono l’assemblea generale della Chiesa Cattolica nei successivi cinque secoli e mezzo di storia della Cristianità.

Può sembrare strano ma anche oggi nel mondo cattolico esistono degli antipapi. 
Il fenomeno degli antipapi moderni è collegato con le correnti del cosiddetto sedevacantismo
questi gruppi di cattolici tradizionalisti ritengono illegittimi i Papi succeduti a Pio XII e accusano i pontefici succedutisi negli ultimi sessant’anni di apostasia e scisma, ritenendo in buona sostanza che la Chiesa abbia deviato dalla vera dottrina con il Concilio Vaticano II voluto da Papa Roncalli nel 1962. Ovviamente la Chiesa non riconosce parimenti nessuno di questi gruppi che sono stati investiti dalle scomuniche del Vaticano. Gli antipapi moderni non possono certo vantare il seguito e gli appoggi politici a livello internazionale su cui potevano contare i loro predecessori medievali, essendo il sedevacantismo un movimento minoritario all’interno della Chiesa Cattolica. 
A differenza dei suoi predecessori, insomma, Papa Francesco può dormire sonni tranquilli.

Pubblicato da manub1991
https://lavocedellafenice.wordpress.com/2017/06/09/papa-contro-papa/

domenica 25 febbraio 2018

Dan Brown. Malleaus maleficarum - il martello dello streghe. aveva indottrinato il mondo sul "pericolo delle donne che pensano liberamente" e insegnato al clero come individuarle, torturarle, e distruggerle, La categoria delle cosiddette "streghe" - definite così dalle Chiesa - comprendeva tutte le donne istruite, le sacerdotesse, le zingare, le amanti della natura, le erboriste e molte donne "legate in modo sospetto al mondo naturale".

L'Inquisizione cattolica aveva pubblicato il libro che era probabilmente l'opera più sporca di sangue della storia umana: il "Malleaus maleficarum" - il martello dello streghe - aveva indottrinato il mondo sul "pericolo delle donne che pensano liberamente" e insegnato al clero come individuarle, torturarle, e distruggerle, La categoria delle cosiddette "streghe" - definite così dalle Chiesa - comprendeva tutte le donne istruite, le sacerdotesse, le zingare, le amanti della natura, le erboriste e molte donne "legate in modo sospetto al mondo naturale".

Anche le levatrici erano uccise per la loro pratica eretica di servirsi di conoscenze mediche per alleviare i dolori del parto, una sofferenza, proclamava la Chiesa, che era giusta punizione di Dio perché Eva aveva voluto assaggiare il Frutto della Conoscenza, con il conseguente peccato originale. In trecento anni di caccia alla streghe, la Chiesa aveva bruciato sul rogo centinaia di migliaia di donne.

La propaganda e lo spargimento di sangue avevano funzionato. 
Il mondo di oggi ne è la prova vivente, La donna nel tempo celebrata come essenziale metà dell'illuminazione spirituale, era stata bandita dai templi del mondo. Non c'erano rabbini ortodossi di sesso femminile, né sacerdotesse cattoliche, né donne di religione - imam - islamiche. 

L'atto, un tempo sacro, dello "hieros gamos" l'unione sessuale naturale tra uomo e donna, con cui ciascuno dei due acquisiva l'unità spirituale, era stato ridefinito come peccato. Gli uomini di fede, che un tempo avevano bisogno dell'unione sessuale con le loro equivalenti femminili per entrare in comunione con Dio, adesso temevano i loro naturali impulsi sessuali e li vedevano come opera del demonio, il quale operava con la sua complice preferita... la donna

Neppure l'associazione tra il lato sinistro e il femminino era sfuggita alla diffamazione della Chiesa. In Francia e in Italia, gauche e sinistro avevano avevano assunto una connotazione negativa, mentre i termini relativi alla destra assumevano un connotato di giustizia,di correttezza e abilità. Ancora oggi tutto ciò che è malvagio è considerato "sinistro".

I giorni della dea erano finiti. 
L'oscillazione aveva portato il pendolo dall'altra parte. La Madre Terra era divenuto un mondo di maschi, e gli dei della distruzione e della guerra avevano prelevato il loro terribile tributo. Per due millenni l'Io maschile non era più stato frenato dalla sua controparte femminile.. Questa eliminazione del femminino sacro nella vita moderna ha causato quello che gli americani Hopi chiamano "kojanisquatsi" - la vita priva di equilibrio - una situazione di instabilità contrassegnata da guerre alimentate dal testosterone, da una pletora di società misogine e da una crescente mancanza di rispetto per la Madre Terra.

Dan Brown

La Città Buzziana. La Scarzuola. Vicino Orvieto, ma in provincia di Terni e per la precisione a Montegabbione, si trova il Convento della Scarzuola, acquistato dall'architetto Tommaso Buzzi nei primi del '900, che e vi realizzò quella che poi è stata chiamata La Città Buzziana, ovvero una sorta di città ideale o futuristica ispirata al neo-manierismo. Descriverla non è semplice nè renderebbe giustizia a un'opera di queste proporzioni, tanta è la sua magnificienza e spettacolarità, e non capisco nemmeno perchè ai più rimane ignota. A me fa pensare ai quadri surrealisti di Dalì, Magritte e Mirò, solo che questa non è una tela surreale bensì realtà visitabile, anche internamente. Da qualunque lato la si guardi si vede una serie di scalinate più o meno sproporzionate e intervallate da statue simboliche e allegoriche che rappresentano le figure più diverse, da Pegaso alla Torre dell'Angelo Custode fino alla Torre di Babele, le quali suddividono questo monumento in sette teatri: Teatro delle Arnie, Teatro della Torre, Teatro dell'Acropoli, Patio Tondo, Patio Infinito, Teatro dell'Acqua e Teatro Sportivo. Nonostante a volte le figure sembrano in contrasto tra di loro o fuori luogo, permane questa sensazione di armonia che a me personalmente ha lasciato senza fiato, per cui se vi trovate nei dintorni di Orvieto non dimenticatevi di questo posto perchè è unico!

La Scarzuola, la città-teatro di Montegabbione (Terni, Umbria).
L' uscita autostradale é Fabro (TR ) da li dista 10/15 km.


La Scarzuola è una casa privata, è obbligatorio prenotare il giorno e l'orario di visita telefonando allo 0763/837463 o scrivendo a info@lascarzuola.com costo biglietto € 10,00 a persona.

La Scarzuola è come una medicina: può avere effetti collaterali anche gravi.

"...alla scarzuola, quando qualcuno mi osserva che la parte nuova, creata da me, non è "francescana", io rispondo: naturalmente, perchè rappresenta il Mondo in generale e in particolare il mio Mondo - quello in cui ho avuto la sorte di vivere e lavorare - dell'Arte, della Cultura, della Mondanità, dell'Eleganza, dei Piaceri 
(anche dei Vizi, della Ricchezza, e dei Poteri ecc.) in cui però ho fatto posto per le oasi di raccoglimento, di studio, di lavoro, di musica e di silenzio, di Grandezze e Miseria, di vita sociale e di vita eremitica, di contemplazione in solitudine, regno della Fantasia, delle Favole, dei Miti, Echi e Riflessi fuori dal tempo e dallo spazio perchè ognuno ci può trovare echi di molto passato e note dell'avvenire..." 
Tomaso Buzzi

05010 Montegabbione (Terni) Tel e Fax 0763/837463 La Scarzuola

http://www.lascarzuola.com/


All'interno di questo sorprendente complesso si trovano sette suggestivi teatri e una serie di richiami all'architettura del passato come Villa Adriana e Villa d'Este, il Partenone, il Colosseo e il Pantheon, il parco dei mostri di Bomarzo, nonché temi scenografici basati sui modelli rinascimentali di famosi architetti come Andrea Palladio. Sorprendente vero? 
https://www.facebook.com/italia.it/?hc_ref=ARSF7jCO2DHx1YXiNdQ2Yn4QPkho2l25b_gqV1joKw0mtKzoR5R6i9BJNEGV8tNiN20

CarloeRosy 
Iannarino Sembrano le prospettive impossibili di Escher!

Laura Bertucci  
la costruzione dei giardini e della città risale al 1957 ma il convento no e si dice che San Francesco dimoro in questo luogo nel 1218 costruendoci una capanna che poi trasformò in un convento.

Elisabetta Lalli 
Fantastico ed estroso come la struttura è il proprietario che fa anche da guida 
...ci ha fatto molto divertire....




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La Scarzuola di Tomaso Buzzi, un sogno diventato città
Il primo affaccio dall’alto fa girare la testa: scale e labirinti, torri e giardini, cupole e tunnel, cavalli alati, vasche, mosaici, anfiteatri, templi, obelischi, bocche di draghi, un gigantesco busto nudo di donna... Si avverte il fantasma di Dalí ma si pensa di essere piombati in una costruzione di Escher e di non poterne più uscire.
espresso.repubblica.it



La Scarzuola è il sogno di pietra d' uno dei più arditi architetti del secolo scorso, Tomaso Buzzi lo realizzò nella seconda metà degli anni 50 nei giardini d'un convento francescano del XIII secolo, doveva essere il suo testamento culturale, una serie di sette teatri perduti in un querceto umbro, ognuno dei quali pieno di significati esoterici.
beniculturalionline 



La Città Buzziana. La Scarzuola.
Vicino Orvieto, ma in provincia di Terni e per la precisione a Montegabbione, si trova il Convento della Scarzuola, acquistato dall'architetto Tommaso Buzzi nei primi del '900, che e vi realizzò quella che poi è stata chiamata La Città Buzziana, ovvero una sorta di città ideale o futuristica ispirata al neo-manierismo.
Descriverla non è semplice nè renderebbe giustizia a un'opera di queste proporzioni, tanta è la sua magnificienza e spettacolarità, e non capisco nemmeno perchè ai più rimane ignota. A me fa pensare ai quadri surrealisti di Dalì, Magritte e Mirò, solo che questa non è una tela surreale bensì realtà visitabile, anche internamente.
Da qualunque lato la si guardi si vede una serie di scalinate più o meno sproporzionate e intervallate da statue simboliche e allegoriche che rappresentano le figure più diverse, da Pegaso alla Torre dell'Angelo Custode fino alla Torre di Babele, le quali suddividono questo monumento in sette teatri: Teatro delle Arnie, Teatro della Torre, Teatro dell'Acropoli, Patio Tondo, Patio Infinito, Teatro dell'Acqua e Teatro Sportivo. Nonostante a volte le figure sembrano in contrasto tra di loro o fuori luogo, permane questa sensazione di armonia che a me personalmente ha lasciato senza fiato, per cui se vi trovate nei dintorni di Orvieto non dimenticatevi di questo posto perchè è unico!

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La Città Ideale, il gioiello nascosto in Umbria
 - Zingarate.com

La Scarzuola e la Città Ideale di Tomaso Buzzi.
Una località rurale dell'Umbria che nasconde un tesoro. 
E' la Scarzuola, dove Tomaso Buzzi costruì la sua Città Ideale. 

LA SCARZUOLA IN UMBRIA - 
Nel comune di Montegabbione nascosta tra le colline umbre, esiste un luogo conosciuto come 
La Scarzuola, famoso per essere stato dimora di San Francesco d'Assisi.
Ma non solo, questo posto vi sorprenderà per una meravigliosa costruzione, la città ideale di Tomaso Buzzi.

LA STORIA - Si narra che in questo luogo nel 1218, San Francesco costruì una capanna nel punto in cui aveva piantato una rosa e un alloro e da cui era sgorgata miracolosamente una fontana. 
E' lì che i Conti di Marsciano fecero costruire un convento.
Nel 1956 il convento e tutta la proprietà circostante vennero acquistati e restaurati dall'architetto milanese Tomaso Buzzi che edificò una straordinaria costruzione surreale: la Città Ideale.

CITTA' IDEALE - La città ideale di Buzzi è composta da sette teatri e sette rappresentazioni sceniche e sette sono i monumenti rappresentati: 
Colosseo, Partenone, Pantheon, Arco di Trionfo, Piramide, Torre Campanaria e Tempio di Vesta.

Tutta l'opera è stata realizzata volutamente in tufo. Ecco come fare per prenotare una visita in questa meraviglia lontana dalla città e immerso nella natura
 www.lascarzuola.com.





Laura Liverani 
Sono stata qualche mese fa...un posto particolare e magico! 
Si respira e si sente un'energia particolare. ..è difficile spiegare cosa si prova nel visitare questo luogo. ..bisogna andare. ..lo consiglio vivamente. ..ricordarsi di prenotare la visita guidata dal proprietario!

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La Scarzuola,Terni, Umbria

mercoledì 21 febbraio 2018

Mi piace il Dio della Bibbia.. un essere potentissimo che con lo schioccare delle dita crea la terra, i pianeti, le stelle.. una parola, ed ecco compaiono gli animali, maschi e femmine, le piante … tutto già pronto e funzionante esattamente come lo vediamo oggi e, secondo l' arcivescovo James Usher, la creazione è avvenuta domenica 21 ottobre 4004 a. C., esattamente alle 9:00 A.M. Poi sono intervenuti questi guastafeste degli scienziati, che hanno cominciato a vedere che sotto la superficie terrestre ci sono migliaia di strati, per depositare i quali ci sono venuti milioni di anni, e poi in questi strati c'erano ossa di animali scomparsi da milioni e milioni di anni, e poi hai tutte queste cose scientifiche fastidiose come il decadimento radioattivo ecc. tutte cose le quali ci vogliono milioni di anni.


Mi piace il Dio della Bibbia.. 
un essere potentissimo che con lo schioccare delle dita crea la terra, i pianeti, le stelle.. una parola, ed ecco compaiono gli animali, maschi e femmine, le piante … tutto già pronto e funzionante esattamente come lo vediamo oggi e, secondo l' arcivescovo James Usher, la creazione è avvenuta domenica 21 ottobre 4004 a. C., esattamente alle 9:00 A.M.

Poi sono intervenuti questi guastafeste degli scienziati, che hanno cominciato a vedere che sotto la superficie terrestre ci sono migliaia di strati, per depositare i quali ci sono venuti milioni di anni, e poi in questi strati c'erano ossa di animali scomparsi da milioni e milioni di anni, e poi hai tutte queste cose scientifiche fastidiose come il decadimento radioattivo ecc. tutte cose le quali ci vogliono milioni di anni. 

E allora della gente di poca fede ha cominciato ad adattare questo Dio potentissimo ai risultati della scienza per renderlo più credibile. 
Ed ecco che qualche robusto fedele del Dio della Bibbia ha provato a dare una spiegazione, cioè che nel momento in cui Dio ha creato la terra l'abbia fatta esattamente con tutti questi strati, contenenti queste vecchie ossa, in modo da fare uno scherzo agli scienziati e fargli perdere tempo in ricerche senza senso. 

Ma ovviamente non sono molti quelli che credono a un Dio sia onnipotente che burlone e a questo punto, pur di mantenere l'idea del Dio onnipotente è stata elaborata una nuova teoria: 
quella dell’evoluzione guidata. 

Il campo dei fedeli si è diviso in due, quello dei Teisti e quello dei Deisti.
Secondo gli uni, Dio avrebbe schioccato le dita per creare il big bang iniziale 13 miliardi di anni fa. Poi si è ritirato in pensione, lasciando che tutto si svolgesse secondo le leggi della natura. 

Questo spiegherebbe molte cose, l’indifferenza della natura alle sofferenze, particolarmente umane.. ma questo porta a degli inconvenienti per le chiese costituite, che lavorano tutte sulla loro funzione di intermediarie con i rapporti degli umani “semplici” e quelli “speciali”, che hanno rapporti diretti con la divinità. 

È chiaro che se i preti non intervengono quotidianamente con le loro preghiere per tirare la manica a Dio e convincerlo a mandare la pioggia ecc, perché mai la gente dovrebbe elargire tanta parte dei propri guadagni per finanziare la Chiesa?

Per cui qualcuno ha elaborato la teoria dell’evoluzione guidata.
L'idea è semplice: organi quali l'occhio, o i fiori ecc. sono complicatissimi, non è possibile che siano il prodotto di una selezione natura causale, cieca... quindi Dio è intervenuto, passo passo, indirizzando le mutazioni.. via via fino all'uomo.. il compimento della natura..

Un momento! Ma questo con corrisponde per nulla all’idea del Dio onnipotente della Bibbia!

L’universo è stato creato 13 miliardi di anni fa, come gas idrogeno.. 
poi per miliardi di anni Dio ha messo insieme le stelle, aspettato che le supergiganti collassassero e si formassero gli atomi degli elementi pesanti, il nostro sistema solare è una stella di terza generazione, per i primi sei miliardi di anni gas e materie hanno girato in tondo al solo scopo di aggregarsi.. 

Poi ha formato il Sole e la Terra.. bene, per centinaia di milioni di anni, Dio ha provato e riprovato a combinare proteine, finché non gli è riuscito di formare una catena lunghissima che aveva la capacità di riprodursi.. non molto bene per qualcuno che si immagina onnipotente ed onnisciente. 

Poi ci ha messo altre centinaia di milioni di anni a formare una cellula vivente, ed è rimasto bloccato lì per centinaia di milioni di anni, queste celle si moltiplicavano dividendosi, e ognuna andava per conto proprio, provavano a stare insieme, ma non ci riuscivano ognuna aveva un cervello per conto proprio e faceva le sue cose… alla fine ha avuto un’idea geniale, grazie a una mutazione, nella divisione cellulare, arrivate a 8 cellule, una di esse si è messa a dirigere le altre 7, a dargli cosa fare, in questo modo stavano tutte insieme ed erano molto più forti collettivamente rispetto alle creature monocellulari!! Una volta scoperto il sistema, è stato facile, da 8 a 16 a 32 ecc. ecc. in multipli, sempre con un gruppo di cellule che dirigeva e le altre cellule che svolgevano specifici compiti. 

Ma per milioni di anni gli esseri viventi erano delle bolle di cellule che si muovevano mediante contrazioni.. poi Dio ebbe una buona idea.. 
se faccio una struttura interna di materiale più rigido, a cui i muscoli si possono ancorare, possono coordinare i movimenti meglio.. 
così nacquero i cordati, poi ebbe l'idea di rende questa linea di materiale resistente sempre più duro, di metterci calcio, ed ecco gli animali dotati di scheletro.

Ha provato anche l’altro sistema, indurire il guscio esterno, ed ecco fatti gli insetti, ma non entriamo troppo nei dettagli.

Ma vi rendete conto, questa non è l’immagine di un Dio onnipotente ed onnisciente, è l’immagine di una scienziato incompetente ed ignorante, di un imbranato che prova e fallisce milioni di volte, con l’unico vantaggio di avere un sacco di tempo a disposizione..

E poi, è anche molto indeciso su cosa fare.. 
ogni 200 milioni di anni, decide di pulire la lavagna, distruggere tutto quello che ha fatto, e ricominciare da capo, manda dallo spazio una roccia enorme che provoca distruzione globali, o un supervulcano che erutta per centinaia di anni e distrugge quasi tutte le forme di vita, e provoca una estinzione di massa, poi ricomincia.. ma ricomincia usando quello che ha.. salva qualche esemplare nel profondo delle caverne o degli oceani, poi quando le condizioni tornano normali da questi pochi esemplari ricrea una enorme varietà di esseri viventi, comunque, essenzialmente basate sugli stessi principi di quelli precedenti.

Guardiamo a cosa gli è voluto per fare l’uomo, 
Prima ha dovuto inventare fiori e frutti.. 
prima c’erano animali che si nutrivano di vegetali, ma i vegetali normali sono orribili, una massa di cellulosa di scarsissimo potere nutritivo, i dinosauri erbivori erano sostanzialmente degli enormi stomachi su gambe dove i vegetali si decomponevano per giorni e giorni per estrarne le poche sostanze nutritive.

Con i frutti, abbiamo una sostanza di altissimo potere nutritivo, il che significa animali veloci, con stomaco piccolo e la possibilità di alimentare un cervello di grandi dimensioni.. solo che i frutti stavano sugli alberi, per cui ha preso delle specie di topi, li ha fatti salire sugli alberi, ed adattato il loro corpo alla vita arboricola, creando le scimmie. Poi ha preso una specie di scimmie, e le ha adattate a camminare su due gambe sui rami, eliminando la coda. 

Ma non gli andava ancora bene, avendo creato le antropomorfe arboricole, ha provocato un sollevamento del terreno dell’Africa orientale, che ha trasformato una foresta tropicale in un deserto punteggiato di cespugli carichi di bacche. 

In questo modo c’è stato un cambiamento delle antropomorfe che vi vivevano. Le gambe si sono allungate, portando a una camminata bipedale, e le mani si sono adattate a raccogliere bacche da cespugli spinosi. Questo tipo di scimmie ha avuto molto successo e si sono formate molte sottospecie sparse in tutta l’eurasiafrica, .. ma alla fine per milioni di anni nulla di sostanziale è successo, erano degli scimpanzè con le gambe lunghe.

Poi gli è venuta una idea geniale, ha inserito un gene che rendeva questo scimpanzé molto ciarliero. Gli scimpanzé sono delle creature piuttosto silenziose, qualche grugnito ogni tanto è tutto quello che ci possiamo aspettare.

Ci sono animali ciarlieri.. 
degli uccelli per esempio, cinguettano tutto il tempo, quindi aveva una certa esperienza. Per cui per fortuna non gli è stato troppo difficile.. 
in ogni caso ci ha messo parecchi milioni di anni per averla.

Ma una volta inserito questo gene, è stato un effetto palla di neve, i più ciarlieri potevano spiegare meglio le strategie di caccia, di guerra, abbindolare meglio le ragazze.. i più intelligenti potevano avere più figli, in un paio di milioni d’anni si è passati da 250 cc a 1400 cc.

Finalmente l’uomo..
A questo punto ha cominciato ad avere delle strane pretese.. 
tutto quello che poteva fare prima, che lo hanno portato a questo punto è diventato proibito.. niente uccidere, niente mogli degli altri, 
Almeno questo è scritto nella Bibbia..

Certo che dobbiamo leggerla molto bene la Bibbia.. alcuni pensano che debba essere interpretata in senso letterale e non metaforico.

Ma quale Bibbia? 
C’è la Bibbia masoretica e quella samaritana .. 
pare che ci siano 2000 differenze tra di esse, 
mentre sono solo 1000 le differenze con la Bibbia dei 70 
(la Septuaginta) in greco, scritta 300 anni prima di Cristo. 
Questa può significare solo una cosa, quando nel 700 DC i masoreti scrissero la loro versione, rimaneggiarono il testo a loro disposizione in modo che corrispondesse il più possibile alla traduzione fatta in greco 1000 anni prima. 

Poi c’è la Bibbia in aramaico, che sembra essere un libro completamente diverso, ma in ogni caso abbiamo trovato dei testi sumerici, molto precedenti, che sono chiaramente l’ispirazione dei racconti della Bibbia, diciamo, la Bibbia ne è la versione semplificata. 

Non solo, ma sono anche strettamente connessi ai racconti sulle vicende degli Dei che circolavano in tutta l'area mediterranea. 
Si riconosce facilmente che i figli degli Elohim e dei mortali corrispondono perfettamente ai semidei della tradizione greca. 

Possiamo facilmente immaginare che si tratti di racconti che i pastori e i mercanti si tramandavano di generazione in generazione seduti alla sera attorno ai fuochi dell'accampamento.
Il fatto che fossero racconti popolari spiega facilmente la totale mancanza di coerenza e di sequenzialità degli vari versetti della Bibbia. 

Ho visto una scuola di recitazione, chiamata “Instant theatre”, dove l'organizzatore ha scritto su centinaia di schede delle frasi, in tre versioni: frasi brevi, frasi di media lunghezza e frasi più lunghe. 

Gli attori sulla scena prelevano a turno queste schede da un mazzo, una alla volta, e le recitano di fronte a un pubblico. Per quanto possa sembrare strano, il pubblico interpreta queste frasi casuali come parte di un colloquio logico e razionale, esattamente come se si trattasse di una commedia scritta e strutturata dall'autore. 

Questa è una delle funzionalità del cervello, che a tutti i costi vuole trovare un senso logico e una consequenzialità negli avvenimenti. 

Rileggendo la Bibbia dopo questa esperienza mi sono reso conto che nello scrivere il testo che ci è arrivato, i redattori hanno disposto in ordine sequenziale dei testi che erano stati loro tramandati dalla tradizione orale e che quindi non potevano modificare. In questo caso piuttosto che mazzi di schede si trattava di raccolte di rotoli. 

Quindi frasi quali "Caino fondò una città" di per sé ha un senso compiuto, ovviamente si raccontavano attorno al focolare le storie di vari personaggi che avevano fondato una città, cosa normale, sono moltissimi i racconti di fondazioni di città, tanto per citarne, 
Romolo e Remo o Didone che fonda Cartagine ecc. 

Nel racconto biblico questo episodio viene collocato dopo la storia di Adamo ed Eva, che nel racconto vengono interpretati come i primi esseri umani. Il testo esisteva e non hanno trovato di meglio che metterlo subito dopo il racconto di Adamo ed Eva nel giardino, ma qui è totalmente fuori posto.. dopo l’uccisione di Abele, Caino si reca nella terra di Nod (chi era questo Nod?) dove fonda una città, ma oltre a Caino non c'erano altre persone per popolare questa città, né ha alcun senso la citazione dove Dio mette un segno su Caino, per evitare che chi lo incontra lo uccida.. chi sarebbero queste persone se Caino ed Abele erano gli unici figli di Adamo ed Eva?..

Caino e Abele ... per noi sono due nomi di persone.. 
ma in ebraico suona così, "c'erano due fratelli, uno chiamato Pastore e l'altro chiamato Agricoltore, .. e via via ... e poi uno uccise l'altro ecc. ecc." ovviamente, non sono mai esistiti questi due fratelli, non è che nella stessa famiglia uno si sceglie il proprio mestiere.. . 

Ve lo immaginate? Adamo ed Eva ebbero due figli, Caino ama le piante, allora frequenta l’istituto di agraria, prende il diploma, poi va al negozio di B&Q più vicino, compera qualche sacco di sementi, un aratro, un po' di zappe, e si mette a dissodare un campo, invece Abele frequenta l’istituto di zoologia, prende il diploma, poi va al mercato, compera un gregge, dei cani pastori, fa un corso su come tosare le pecore, sui cicli riproduttivi degli animali, quando nascono gli agnelli ecc. , è da ridere, sappiamo dai reperti archeologici che ci vollero migliaia di anni per sviluppare sementi coltivati dalle prime piante selvatiche, e altrettanti migliaia di anni ci vollero per addomesticare gli animali selvatici. 

"Fratelli" è una metafora dell'origine comune degli uomini, ma Pastore o Agricoltore non sono scelte individuali, sono due culture, che si sviluppano nel corso dei millenni, e si trasmettono di padre in figlio all'interno della stessa tribù. Si nasce in una tribù di agricoltori o in una tribù di pastori... la storia è un racconto personalizzato in stile hollywoodiano dello scontro tra due attività economiche concorrenziali, e perciò in lotta... 

e poi, dopo aver ucciso Abele, Caino si reca nella terra di Nod (chi era questo Nod?) dove fonda una città, ma oltre a Caino non c'erano altre persone per popolare questa città, né ha alcun senso la citazione dove Dio mette un segno su Caino, per evitare che chi lo incontra lo uccida.. chi sarebbero queste persone se Caino ed Abele erano gli unici figli di Adamo ed Eva ed era rimasto solo Caino?

È interessante l'osservazione che i discendenti di Abramo prestassero omaggio a uno Yahweh quando erano in Palestina mentre quando erano in Egitto prestavano omaggio agli Elohim locali. 

Questa era la pratica comune, anche i soldati romani quando viaggiavano nelle varie parti dell'impero omaggiavano le divinità locali oltre alle proprie tradizionali, in quanto a quel tempo ogni città aveva un proprio Dio locale.

Qualcuno sostiene che gli Elohim fossero dei personaggi in carne ed ossa, delle specie di omaccioni dotati di superpoteri con cui gli uomini avevano dei contatti diretti. 

Nella nostra cultura, permeata di racconti fantascienza, qualcuno avanza l’ipotesi che si tratti di viaggiatori interstellari…
Ovviamente sono passati migliaia di anni, la cultura odierna è totalmente differente da quella di 3000 anni fa ed è molto difficile mettersi nei loro panni. Tuttavia possiamo immaginare delle forti analogie tra la relazione degli uomini di 3000 anni fà coi numerosi Dei del loro Pantheon con quella odierna dei devoti ai santi. Secondo il punto di vista dei devoti, per esempio di San Gennaro o di Sant'Antonio da Padova ecc. i santi sono essere reali, che abitano al di sopra delle nuvole vicino all'altissimo e potentissimo e il loro compito è quello di ascoltare le invocazioni dei loro fedeli e in un certo senso tirare la giacca all’onnipotente in modo che egli modifichi gli avvenimenti per far piacere a loro assistiti. 

Se tu leggi della letteratura votiva, troverai dei racconti di gente convintissima che San Gennaro sia intervenuto direttamente per riparare il bambino dall'essere investito da un'automobile, oppure che abbia agito col suo superpotere sulle cellule cancerogene che hanno invaso il corpo del fedele e le abbia distrutte, o abbia salvato il marinaio dall’annegare ecc.. 

Supponiamo che esistano degli abitanti di Marte e che questi ricevano degli email dalla terra contenenti queste descrizioni, senza alcuna altra fonte di informazione, non c'è alcun dubbio che essi riterranno che San Gennaro o Sant'Antonio siano delle persone in carne ed ossa che si aggirano tra i fedeli compiendo tutte queste azioni meravigliose. Ovviamente sia tu che io abbiamo delle opinioni completamente diverse a questo riguardo.

Tanto più che, riallacciandoci al discorso iniziale, si tratta di racconti ampiamente rimaneggiati, di cui non conosciamo nemmeno la forma originaria di quando vennero scritti o raccontanti molte migliaia di anni fa.

Ma qualcuno ipotizza che questi omaccioni dotati di superpoteri abbiano interferito direttamente nella costituzione biologica degli essere umani. Finché si tratta di romanzi di fantascienza, tutto è opinabile, ma quando si tratta di DNA si entra in un territorio scientifico, che viene trattato da migliaia di ricercatori in tutto il mondo.. si tratta di evidenze solide piuttosto che di interpretazioni.

Ora, l'analisi del DNA umana non ha individuato nessun DNA alieno nelle cellule umane. È stato ricavato un albero genealogico di tutti gli uomini esistenti e si vede chiaramente che da antenati comuni risalenti a 100-200.000 anni fa si sono ramificate centinaia di gruppi umani a causa sia dell'isolamento geografico che dell'inevitabile intervento di mutazioni genetiche.

E poi, chi sarebbero questi alieni extraterresti?
Nelle varie interpretazioni appaiono opportunamente nei momenti delle mutazioni decisive.. 2 milioni di anni fa, 300 mila anni fa.. 100 mila.. 50 mila, alcuni, poche migliaia di anni fa, giusto per aiutare gli egiziani ad erigere le piramidi.. cambiano mestiere ovviamente, da genetisti ad architetti..

Ma come si sono prodotti? 
Non si capisce perché il Dio pasticcione che ci ha messo tanto tempo sulla terra a produrre gli uomini, sia stato tanto più rapido su un altro pianeta.. a meno che su differenti pianeti ci siano Dei differenti.. qualcuno più intelligente del nostro..

Questa è un’altra ipotesi che ho sentito esprimere, 
… tante ipotesi, l’una più bislacca delle altre..

E poi sarebbero geneticamente compatibili con noi.. 
cioè su altri pianeti ha usato esattamente le stesse catene di aminoacidi, ha prodotto esattamente le stesse cellule.. questo sarebbe in contrasto con l’ipotesi di Dei più capaci sugli altri pianeti.. a meno che non si trovino ogni tanto in congresso per scambiarsi informazioni.

E poi.. le signore mi scuseranno per il riferimento un po' francese.. 
ma vediamo che l'uomo ha compiuto dei progressi a dir poco incredibili in pochi anni nel campo della medicina, grazie ad ultrasuoni, scanner magnetici, e raggi X possiamo produrre immagini sempre migliori dell'interno del corpo umano, preso potremo vedere qualcosa di simile alle immagini di Star Trek, dove il dottor Bones ha uno scanner che gli permette di avere una immagine tridimensionale interna del corpo.

Ora questi alieni avanzatissimi, secondo i racconti di chi è stato rapito dagli extraterrestri, per esaminare gli esseri umani non sono riusciti a trovare nient’altro di meglio che infilargli una sonda nel culo….

Tutto sommato.. non c’è da stupirsi che un sacco di gente, per evitarsi tutti questi dubbi e mal di testa, preferisca il Dio della Bibbia che fa tutto in 6 giorni..

Francesco Andreoli Sussex 

http://en.wikipedia.org/wiki/Masoretic_Text
http://en.wikipedia.org/wiki/Samaritan_Pentateuch
http://solpicus.wordpress.com/


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martedì 20 febbraio 2018

Henley. Dal profondo della notte che mi avvolge, nera come un pozzo da un polo all'altro, ringrazio qualunque dio esista per la mia anima invincibile. Nella feroce morsa delle circostanze non ho arretrato né gridato. Sotto i colpi d'ascia della sorte il mio capo è sanguinante, ma non chino. Oltre questo luogo d'ira e lacrime incombe il solo Orrore delle ombre. e ancora la minaccia degli anni mi trova e mi troverà senza paura. Non importa quanto stretto sia il passaggio. quanto piena di castighi la vita. io sono il padrone del mio destino: io sono il capitano della mia anima


Dal profondo della notte che mi avvolge,
nera come un pozzo da un polo all'altro,
ringrazio qualunque dio esista
per la mia anima invincibile.
Nella feroce morsa delle circostanze
non ho arretrato né gridato.
Sotto i colpi d'ascia della sorte
il mio capo è sanguinante, ma non chino.
Oltre questo luogo d'ira e lacrime
incombe il solo Orrore delle ombre.
e ancora la minaccia degli anni
mi trova e mi troverà senza paura.
Non importa quanto stretto sia il passaggio.
quanto piena di castighi la vita.
io sono il padrone del mio destino:
io sono il capitano della mia anima
W. E. Henley

Milan Kundera. L'insostenibile leggerezza dell'essere. Titolo originale in ceco Nesnesitelná lehkost bytí.

Un mondo dove la Merda è negata e dove tutti si comportano come se non esistesse.
Questo ideale estetico si chiama Kitsch. […]
Il Kitsch elimina dal proprio campo visivo
tutto ciò che nell'esistenza umana è essenzialmente inaccettabile.
Milan Kundera, l'insostenibile leggerezza dell'essere


La storia è leggera al pari delle singole vite umane, insostenibilmente leggera, leggera come una piuma, come la polvere che turbina nell'aria, come qualcosa che domani non ci sarà più.
Milan Kundera, L'insostenibile leggerezza dell'essere


5 GENNAIO 1968 INIZIA LA “PRIMAVERA DI PRAGA”
Alle ore 20 di quel 5 gennaio Radio Praga diffuse un comunicato del plenum del Partito in cui si informa della sostituzione di Novotny con Dubcek alla funzione di premio segretario. In breve tempo In tutto il paese si moltiplicano comunicati di appoggio al "nuovo corso".
Il 22-23 gennaio: Il plenum del CC del Partito comunista slovacco elegge primo segretario Vasil Bil'ak . Il 25 gennaio il presidente dell'Unione scrittori, Eduard Goldstuker rilasciò un'intervista a Radio Praga, nella quale affermò: "Ritengo che ciò che è accaduto nel nostro paese abbia un grande significato storico. Per la prima volta... possiamo costruire veramente un socialismo illuminato".
Ma il tentativo riformatore verrà bruscamente interrotto:
Nella notte tra il 20 e 21 agosto 1968 le truppe sovietiche del Patto di Varsavia entrano a Praga con l'obiettivo di bloccare sul nascere l'ascesa al potere di Alexander Dubček.
Questa stagione ispirò artisti e scrittori da Václav Havel a Milan Kundera che ambientò nella Praga di questi anni il suo famoso romanzo "L'insostenibile leggerezza dell'essere".
In immagine: 22 agosto 1968 Carri armati sovietici a Praga.
Antonio A. – Fonte “Charta 77”





PRIMAVERA DI PRAGA - FRANCESCO GUCCINI
Di antichi fasti la piazza vestita
grigia guardava la nuova sua vita,
come ogni giorno la notte arrivava,
frasi consuete sui muri di Praga,
ma poi la piazza fermò la sua vita
e breve ebbe un grido la folla smarrita
quando la fiamma violenta ed atroce
spezzò gridando ogni suono di voce...

Son come falchi quei carri appostati,
corron parole sui visi arrossati,
corre il dolore bruciando ogni strada
e lancia grida ogni muro di Praga.
Quando la piazza fermò la sua vita,
sudava sangue la folla ferita,
quando la fiamma col suo fumo nero
lasciò la terra e si alzò verso il cielo,
quando ciascuno ebbe tinta la mano,
quando quel fumo si sparse lontano,
Jan Hus di nuovo sul rogo bruciava 
all'orizzonte del cielo di Praga...

Dimmi chi sono quegli uomini lenti
coi pugni stretti e con l'odio fra i denti,
dimmi chi sono quegli uomini stanchi
di chinar la testa e di tirare avanti,
dimmi chi era che il corpo portava,
la città intera che lo accompagnava,
la città intera che muta lanciava
una speranza nel cielo di Praga,

dimmi chi era che il corpo portava,
la città intera che lo accompagnava,
la città intera che muta lanciava
una speranza nel cielo di Praga,
una speranza nel cielo di Praga,
una speranza nel cielo di Praga...

https://youtu.be/FmUgOE_i73Q


Per Sabina vivere nella verità, non mentire né a se stessi né agli altri, è possibile soltanto a condizione di vivere senza pubblico. Nell'istante in cui qualcuno assiste alle nostre azioni, volenti o nolenti ci adattiamo agli occhi che ci osservano, e nulla di ciò che facciamo ha più verità. Avere un pubblico, pensare a un pubblico, significa vivere nella menzogna. Sabina disprezza la letteratura nella quale gli autori rivelano ogni piega intima di se stessi e dei loro amici. L'uomo che perde la propria intimità perde tutto, pensa tra sé Sabina. E l'uomo che se ne sbarazza di sua spontanea volontà è un mostro. Per questo Sabina non soffre per nulla di dover tenere nascosto il proprio amore. Al contrario, solo in quel modo può “vivere nella verità”.
Milan Kundera, L'insostenibile leggerezza dell'essere


Ma era davvero l'amore? Quel voler morire accanto a lei era evidentemente un sentimento eccessivo: era solo la seconda volta in vita sua che la vedeva! Non si trattava piuttosto dell'isteria di un uomo che, scoprendo nel profondo della sua anima la propria incapacità di amare, aveva cominciato a fingere l'amore con se stesso? D'altra parte, il suo subconscio era tanto vigliacco da scegliere per la sua commedia quella povera cameriera di provincia che non aveva praticamente nessuna possibilità di entrare nella sua vita!
Guardava i muri sporchi del cortile e si rendeva conto di non sapere se fosse isteria o amore.
L'insostenibile leggerezza dell'essere, Milan Kundera


Ti chiedono cos'hai e non capiscono quando dici “niente” perché non sanno che anche la leggerezza può essere insostenibile.
 “L'insostenibile leggerezza dell'essere”


— (Parmenide vedeva l'intero universo diviso in coppie di opposizioni: luce-buio, spesso-sottile, caldo-freddo.
Uno dei poli dell'opposizione era per lui positivo (luce, caldo..) l'altro negativo. Questa suddivisione può apparirci di una semplicità puerile. Salvo in un solo caso: che cos'è positivo, la pesantezza o la leggerezza? Parmenide rispose: il leggero è positivo, il pesante è negativo.
Aveva ragione oppure no? Questo è il problema. )
http://bored-dandy.tumblr.com/post/163442119618/parmenide


Ma davvero la pesantezza è terribile e la leggerezza meravigliosa?
Il fardello più pesante ci opprime, ci piega, ci schiaccia al suolo.
Ma nella poesia d'amore di tutti i tempi la donna desidera essere gravata dal fardello del corpo dell'uomo. Il fardello più pesante è quindi allo stesso tempo l'immagine del più intenso compimento vitale. Quanto più il fardello è pesante, tanto più la nostra vita è vicina alla terra, tanto più è reale e autentica. Al contrario, l'assenza assoluta di un fardello fa si che l'uomo diventi più leggero dell'aria, prenda il volo verso l'alto, si allontani dalla terra, dall'essere terreno, diventi solo a metà reale e i suoi movimenti siano tanto liberi quanto privi di significato. Che cosa dobbiamo scegliere allora? La pesantezza o la leggerezza?
Milan Kundera

Un dramma umano si può sempre esprimere con la metafora della pesantezza.
Diciamo, ad esempio, che ci è caduto un fardello sulle spalle.
Sopportiamo o non sopportiamo questo fardello, sprofondiamo sotto il suo peso,
lottiamo con esso, perdiamo o vinciamo. Ma che cos'era successo in realtà a Sabina?
Niente. Aveva lasciato un uomo perché voleva lasciarlo. Lui l'aveva forse perseguitata?
Aveva cercato di vendicarsi? No. Il suo non era un dramma della pesantezza, ma della leggerezza. Sulle spalle di sabina non era caduto un fardello, ma l'insostenibile leggerezza dell'essere.
Milan Kundera


"Chi è pesante non può fare a meno di innamorarsi perdutamente di chi vola lievemente nell’aria, tra il fantastico e il possibile: mentre i leggeri sono respinti dai loro simili e trascinati dalla “compassione” verso i corpi e le anime possedute dalla pesantezza. Così accade nel romanzo: Tomáš ama Tereza, Tereza ama Tomáš: Franz ama Sabina, Sabina (almeno per qualche mese) ama Franz; quasi come nelle Affinità elettive si forma il perfetto quadrato delle affinità amorose»
Pietro Citati




Non avevo mai pensato al parallelismo tra questi due libri stupendi... Interessantissimo!


Una domanda è come un coltello che squarcia la tela di un fondale dipinto per permetterci di dare un'occhiata a ciò che si nasconde dietro…
Milan Kundera. L’insostenibile leggerezza dell’essere

Una domanda per la quale non esiste risposta è una barriera oltre la quale non è possibile andare. In altri termini: sono proprio le domande per le quali non esiste risposta che segnano i limiti delle possibilità umane e tracciano i confini dell'esistenza umana.
Milan Kundera. L’insostenibile leggerezza dell’essere

La stupidità deriva dall'avere una risposta per ogni cosa. 
La saggezza deriva dall'avere una domanda per ogni cosa.
Milan Kundera





L’umanità sfrutta le mucche come il verme solitario sfrutta l’uomo: si è attaccata alle loro mammelle come una sanguisuga. L’UOMO E' UN PARASSITA DELLA MUCCA; questa è probabilmente la definizione che un non-uomo darebbe dell’uomo nella sua zoologia.
Milan Kundera


Subito all'inizio della Genesi e' scritto che Dio creò l'uomo per affidargli il dominio sugli uccelli, i pesci, e gli animali. Naturalmente la Genesi e' stata scritta da un uomo non da un cavallo. Non esiste alcuna certezza che Dio abbia davvero affidato all'uomo il dominio sugli altri animali. E' invece più probabile che l'uomo si sia inventato Dio per santificare il dominio che egli ha usurpato sulla mucca e sul cavallo. Si', il diritto di uccidere un cervo o una mucca e' l'unica cosa sulla quale l'intera umanità sia fraternamente concorde, anche nel corso delle guerre più sanguinose.
Questo diritto ci appare evidente perché in cima alla gerarchia troviamo noi stessi. Ma basterebbe che nel gioco entrasse una terza persona, ad esempio un visitatore da un altro pianeta, il cui Dio gli abbia detto : " Regnerai sulle creature di tutte le altre stelle!" , e tutta l'evidenza della Genesi diventerebbe di colpo problematica. Un uomo attaccato a un carro da un marziano, o magari fatto arrosto da un abitante della Via Lattea, si ricorderà forse della cotoletta di vitello che era solito tagliare nel suo piatto e chiederà scusa ( in ritardo! ) alla mucca.
Milan Kundera, l'insostenibile leggerezza dell'essere


Non certo la necessità, bensì il caso è pieno di magia.
Se l'amore deve essere indimenticabile,
fin dal primo istante devono posarsi su di esso le coincidenze,
come uccelli sulle spalle di Francesco d'Assisi.
Milan Kundera, L'insostenibile leggerezza dell'essere


«La nostra vita quotidiana è bombardata da coincidenze
o, per meglio dire, da incontri fortuiti
tra le persone e gli avvenimenti chiamati coincidenze.[...].
L'uomo, spinto dal senso della bellezza, 
trasforma un avvenimento casuale in un motivo 
che va poi a iscriversi nella composizione della sua vita».
Milan Kundera, “L’insostenibile leggerezza dell’essere”


«Le vite umane sono costruite come una composizione musicale. L’uomo, spinto dal senso della bellezza, trasforma un avvenimento casuale in un motivo che va poi a iscriversi nella composizione della sua vita. Ad esso ritorna, lo ripete, lo varia, lo sviluppa, lo traspone, come fa il compositore con i temi della sua sonata. […] L’uomo senza saperlo compone la propria vita secondo le leggi della bellezza persino nei momenti di più profondo smarrimento. Non si può quindi rimproverare ad un romanzo di essere affascinato dai misteriosi incontri di coincidenze, ma si può a ragione rimproverare all’uomo di essere cieco davanti a simili coincidenze della vita di ogni giorno, e di privare così la propria vita della sua dimensione di bellezza».
Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere



Forse se fossero rimasti insieme ancora per qualche tempo, avrebbero cominciato a capire a poco a poco le parole che dicevano. I loro vocabolari di sarebbero pudicamente e lentamente avvicinati l'uno all'altro come amanti molto timidi, e la musica dell'uno avrebbe cominciato a intrecciarsi con la musica dell'altro. Ma è troppo tardi.
Milan Kundera, “L'insostenibile leggerezza dell'essere”


Il tempo umano non ruota in cerchio ma avanza veloce in linea retta.
È per questo che l'uomo non può essere felice, perché la felicità è desiderio di ripetizione.
Milan Kundera. L'insostenibile leggerezza dell'essere


«Il momento in cui nasce l’amore si presenta così: la donna non resiste alla voce che chiama all’aperto la sua anima spaventata; l’uomo non resiste alla donna la cui anima presta orecchio alla sua voce».
Milan Kundera, “L’insostenibile leggerezza dell’essere”


Aveva dietro le spalle sette anni di vita passati con Tereza e adesso si rendeva conto che quegli anni erano più belli nel ricordo che non quando li aveva vissuti. L'amore tra lui e Tereza era stato bellissimo ma anche faticoso: aveva dovuto sempre nascondere qualcosa, mascherare, fingere, riparare, tirarle su il morale, consolarla, dimostrarle ininterrottamente il proprio amore, subire le accuse della sua gelosia, del suo dolore, dei suoi sogni, sentirsi colpevole, giustificarsi e scusarsi.
Ora la fatica era scomparsa e rimaneva solo la bellezza.
Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere


Per diminuire la sofferenza di Tereza, Tomàs la sposò e le procurò un cucciolo. |
Lo portò a Tereza. Lei alzò il cagnolino, se lo strinse al petto e quello le bagnò la camicetta.... Benché in genere le cagne si affezionano di più ai padroni maschi che alle padrone, con Karenin avvenne il contrario. Decise di innamorarsi di Tereza. Tomàs gliene fu riconoscente. Gli accarezzava la testolina e gli diceva:”Fai bene, Karenin. Era proprio quello che volevo da te. Visto che io solo non basto, devi aiutarmi tu”.
Milan Kundera, da L'insostenibile leggerezza dell'essere


Nietzsche esce dal suo albergo a Torino. Vede davanti a sé un cavallo e un cocchiere che lo colpisce con la frusta. Nietzsche si avvicina al cavallo e, sotto gli occhi del cocchiere, gli abbraccia il collo e scoppia in pianto. Ciò avveniva nel 1889 e a quel tempo anche Nietzsche era già lontano dagli uomini. In altri termini, proprio allora era esplosa la sua malattia mentale. Ma appunto per questo mi sembra che il suo gesto abbia un significato profondo. Nietzsche era andato a chiedere perdono al cavallo per Descartes. La sua pazzia (e quindi la sua separazione dell’umanità) inizia nell’istante in cui piange sul cavallo. È questo il Nietzsche che amo.
Milan Kundera, L'insostenibile leggerezza dell'essere, VII, 2


Adesso provava la stessa strana felicità e la stessa strana tristezza di allora.
Quella tristezza voleva dire: Siamo all'ultima stazione.
Quella felicità voleva dire: siamo insieme.
La tristezza era la forma e la felicità il contenuto.
La felicità riempiva lo spazio della tristezza.
 Milan Kundera, L'insostenibile leggerezza dell'essere





La chirurgia porta l’imperativo fondamentale della professione medica fino al limite estremo, dove l’umano tocca il divino. (…) Dio, si potrebbe dire, ha previsto l’omicidio, ma non la chirurgia. Non si immaginava che qualcuno avrebbe avuto il coraggio di infilare una mano dentro un meccanismo inventato da lui, imballato con cura nella pelle, sigillato e chiuso agli occhi dell’uomo. Quando Tomaš appoggiò per la prima volta il bisturi sulla pelle di un uomo sotto anestesia e poi incise la pelle con gesto energico e l’aprì con un taglio netto e preciso (come fosse stata un tessuto inanimato, un cappotto, una gonna, una tenda), provò la breve ma intensa sensazione di compiere una profanazione. Ma era proprio quello ad attrarlo!…
Milan Kundera,  L’insostenibile leggerezza dell’essere


La nostra vita quotidiana è bombardata da coincidenze o, per meglio dire, da incontri fortuiti tra le persone e gli avvenimenti chiamati coincidenze.[…]. L'uomo, spinto dal senso della bellezza, trasforma un avvenimento casuale in un motivo che va poi a iscriversi nella composizione della sua vita. Ad esso ritorna, lo ripete, lo varia, lo sviluppa, lo traspone, come fa il compositore con i temi della sua sonata.

Si direbbe che nel cervello esista una regione del tutto particolare che si potrebbe chiamare memoria poetica e che registra ciò che ci affascina, che ci commuove, che rende bella la nostra vita. Da quando lui ha conosciuto Tereza, nessuna donna ha il diritto di lasciare in quella parte del suo cervello foss'anche la più fuggevole impronta.

L'amore comincia con una metafora. In altri termini: 
l'amore comincia nell'istante in cui la donna si iscrive con la sua prima parola nella nostra memoria poetica
Milan Kundera, “L’insostenibile leggerezza dell’essere”


Tomàs ancora non si rendeva conto che le metafore sono una cosa pericolosa.
Con le metafore è meglio non scherzare. Da una sola metafora può nascere l'amore.
Milan Kundera


Quando sedete di fronte a qualcuno che si mostra amabile, deferente, cortese, è molto difficile tenere sempre a mente che nulla di ciò che dice è vero, che nulla è sincero. Diffidare (continuamente e sistematicamente, senza vacillare nemmeno per un attimo) richiede uno sforzo enorme e anche un suo allenamento.
Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere


Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci guardi. A seconda del tipo di sguardo sotto il quale vogliamo vivere, potremmo essere suddivisi in quattro categorie. La prima categoria desidera lo sguardo di un numero infinito di occhi anonimi: in altri termini, desidera lo sguardo di un pubblico. [...] La seconda categoria è composta da quelli che per vivere hanno bisogno dello sguardo di molti occhi a loro conosciuti [...] C'è poi la terza categoria, la categoria di quelli che hanno bisogno di essere davanti agli occhi della persona amata [...] E c'è infine una quarta categoria, la più rara, quella di coloro che vivono sotto lo sguardo immaginario di persone assenti. Sono i sognatori.
Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere


L'amore significa rinunciare alla forza.
Milan Kundera. L’insostenibile leggerezza dell’essere

«E gli amori sono come gli imperi: quando scompare l'idea su cui sono fondati, periscono anch'essi».
Milan Kundera, “L’insostenibile leggerezza dell’essere”

È un amore disinteressato: Tereza non vuole nulla da Karenin. Non vuole nemmeno l’amore.
Non si è mai posta quelle domande che torturano le coppie umane: mi ama? Ha mai amato qualcuna più di me? Mi ama più di quanto lo ami io? Forse tutte queste domande rivolte all’amore, che lo misurano, lo indagano, lo esaminano, lo sottopongono a interrogatorio, riescono anche a distruggerlo sul nascere. Forse non siamo capaci di amare proprio perché desideriamo essere amati, vale a dire vogliamo qualcosa (l’amore) dell’altro invece di avvicinarci a lui senza pretese e volere solo la sua semplice presenza.
 Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere


«Aveva dietro le spalle sette anni di vita passati con Tereza e adesso si rendeva conto che quegli anni erano più belli nel ricordo che non quando li aveva vissuti. L'amore tra lui e Tereza era stato bellissimo ma anche faticoso: aveva dovuto sempre nascondere qualcosa, mascherare, fingere, riparare, tirarle su il morale, consolarla, dimostrarle ininterrottamente il proprio amore, subire le accuse della sua gelosia, del suo dolore, dei suoi sogni, sentirsi colpevole, giustificarsi e scusarsi.
Ora la fatica era scomparsa e rimaneva solo la bellezza».
Milan Kundera, “L’insostenibile leggerezza dell’essere”

«È un amore disinteressato: Tereza non vuole nulla da Karenin. Non vuole nemmeno l’amore. Non si è mai posta quelle domande che torturano le coppie umane: mi ama? Ha mai amato qualcuna più di me? Mi ama più di quanto lo ami io? Forse tutte queste domande rivolte all’amore, che lo misurano, lo indagano, lo esaminano, lo sottopongono a interrogatorio, riescono anche a distruggerlo sul nascere. Forse non siamo capaci di amare proprio perché desideriamo essere amati, vale a dire vogliamo qualcosa (l’amore) dell’altro invece di avvicinarci a lui senza pretese e volere solo la sua semplice presenza».
Milan Kundera , “L’insostenibile leggerezza dell’essere”



Non esiste alcun modo di stabilire quale decisione sia la migliore, perché non esiste alcun termine di paragone. L’uomo vive ogni cosa subito per la prima volta, senza preparazioni. 
Come un attore che entra in scena senza aver mai provato. 
Ma che valore può avere la vita se la prima prova è già la vita stessa? 
Per questo la vita somiglia sempre a uno schizzo. Ma nemmeno “schizzo” è la parola giusta, perché uno schizzo è sempre un abbozzo di qualcosa, la preparazione di un quadro, mentre lo schizzo che è la nostra vita è uno schizzo di nulla, un abbozzo senza quadro.
Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere 


Non si può mai sapere che cosa si deve volere perché si vive una vita soltanto e non si può ne confrontarla con le proprie vite precedenti, né correggerla nelle vite future. […] 
Non esiste alcun modo di stabilire quale decisione sia la migliore, perché non esiste alcun termine di paragone. L’uomo vive ogni cosa subito per la prima volta, senza preparazioni. Come un attore che entra in scena senza aver mai provato. Ma che valore può avere la vita se la prima prova è già la vita stessa? Per questo la vita somiglia sempre a uno schizzo. Ma nemmeno “schizzo” è la parola giusta, perché uno schizzo è sempre un abbozzo di qualcosa, la preparazione di un quadro, mentre lo schizzo che è la nostra vita è uno schizzo di nulla, un abbozzo senza quadro.

Milan Kundera, da “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, Adelphi, Milano, 1985.



Desiderava fare qualcosa che non lasciasse possibilità di ritorno. Desiderava distruggere brutalmente tutto il passato dei suoi ultimi sette anni. Era la vertigine. L'ottenebrante, irresistibile desiderio di cadere. La vertigine potremmo anche chiamarla ebbrezza della debolezza. Ci si rende conto della propria debolezza e invece di resisterle, ci si vuole abbandonare a essa. Ci si ubriaca della propria debolezza, si vuole essere ancor più deboli, si vuole cadere in mezzo alla strada, davanti a tutti, si vuole stare in basso, ancora più in basso.
Milan Kundera, L'insostenibile leggerezza dell'essere


Ma è proprio il debole che deve saper essere forte e andar via,
quando il forte è troppo debole per poter far del male al debole.
Milan Kundera



"L'idea dell'eterno ritorno è misteriosa e con essa Nietzsche ha messo molti filosofi nell'imbarazzo: pensare che un giorno ogni cosa si ripeterà così come l'abbiamo già vissuta, e che anche questa ripetizione debba ripetersi all'infinito! Che significato ha questo folle mito? Il mito dell'eterno ritorno afferma, per negazione, che la vita che scompare una volta per sempre, che non ritorna, è simile a un'ombra, è priva di peso, è morta già in precedenza, e che, sia stata essa terribile, bella o splendida, quel terrore, quello splendore, quella bellezza non significano nulla. Non occorre tenerne conto, come di una guerra fra due Stati africani del quattordicesimo secolo che non ha cambiato nulla sulla faccia della terra, benché trecentomila negri vi abbiano trovato la morte tra torture indicibili. 
E anche in questa guerra fra due Stati africani del quattordicesimo secolo, cambierà qualcosa se si ripeterà innumerevoli volte nell'eterno ritorno? Sì, qualcosa cambierà: essa diventerà un blocco che svetta e perdura, e la sua stupidità non avrà rimedio. Se la Rivoluzione francese dovesse ripetersi all'infinito, la storiografia sarebbe meno orgogliosa di Robespierre. Dal momento, però, che parla di qualcosa che non ritorna, gli anni di sangue si sono trasformati in semplici parole, in teorie, in discussioni, sono diventati più leggeri delle piume, non incutono paura. C'è un’enorme differenza tra un Robespierre che si è presentato una sola volta nella storia e un Robespierre che torna eternamente a tagliare la testa ai francesi. Diciamo quindi che l'idea dell'eterno ritorno indica una prospettiva dalla quale le cose appaiono in maniera diversa da come noi le conosciamo: appaiono prive della circostanza attenuante della loro fugacità. Questa circostanza attenuante ci impedisce infatti di pronunciare un qualsiasi verdetto. Si può condannare ciò che é effimero?
La luce rossastra del tramonto illumina ogni cosa con il fascino della nostalgia: anche la ghigliottina. Or non è molto, mi sono sorpreso a provare una sensazione incredibile: stavo sfogliando un libro su Hitler e mi sono commosso alla vista di alcune sue fotografie:mi ricordavano la mia infanzia; io l'ho vissuta durante la guerra; parecchi miei familiari hanno trovato la morte nei campi di concentramento hitleriani; ma che cos'era la loro morte davanti a una fotografia di Hitler che mi ricordava un periodo scomparso della mia vita, un periodo che non sarebbe più tornato? Questa riconciliazione con Hitler tradisce la profonda perversione morale che appartiene a un mondo fondato essenzialmente sull'esistenza del ritorno, perché in un mondo simile tutto è già perdonato e quindi tutto è cinicamente permesso.
Se ogni secondo della nostra vita si ripete un numero infinito di volte, siamo inchiodati all'eternità come Gesù Cristo alla croce. E'un'idea terribile. Nel mondo dell'eterno ritorno, su ogni gesto grava il peso di una insostenibile responsabilità. Ecco perché Nietzsche chiamava l'idea dell'eterno ritorno il fardello più pesante (das schwerste Gewicht). Se l'eterno ritorno è il fardello più pesante, allora le nostre vite su questo sfondo possono apparire in tutta la loro meravigliosa leggerezza. Ma davvero la pesantezza è terribile e la leggerezza è meravigliosa? Il fardello più pesante ci opprime, ci piega, ci schiaccia al suolo. Ma nella poesia d'amore di tutti i tempi la donna desidera essere gravata dal fardello del corpo dell'uomo. Il fardello più pesante è quindi allo stesso tempo l'immagine del più intenso compimento vitale. Quanto più il fardello è pesante, tanto più la nostra vita è vicina alla terra, tanto più è reale e autentica. Al contrario, l'assenza assoluta di un fardello fa sì che l'uomo diventi più leggero dell'aria, prenda il volo verso l'alto, si allontani dalla terra, dall'essere terreno, diventi solo a metà reale e i suoi movimenti siano tanto liberi quanto privi di significato. Che cosa dobbiamo scegliere allora? La pesantezza o la leggerezza? Questa domanda se l'era posta Parmenide nel sesto secolo avanti Cristo....... Parmenide rispose: il leggero é positivo, il pesante é negativo. Aveva ragione oppure no? Questo é il problema. Una sola cosa é certa: l'opposizione pesante-leggero é la più misteriosa e la più ambigua fra tutte le opposizioni".
Milan Kundera, L'insostenibile leggerezza dell'essere,  (incipit) cap. Primo


L'insostenibile leggerezza dell'essere - M. Kundera
Miliardi d’anni fa gli unici elementi chimici che componevano il nostro quasi neonato universo erano l’idrogeno e l’elio, stretti in abbracci autodistruttivi per formare nubi cosmiche, nelle quali la loro densità era variabile, a seconda della zona presa in esame. Da questi ammassi di materia sarebbero nate le stelle e dai processi di nucleosintesi all’interno di esse sarebbero stati formati tutti gli altri elementi che compongono il mondo in cui viviamo e che hanno dato origine alla creazione più complessa e labile della natura: la vita. Alla base di tutto questo ci sono quindi due concetti fondamentali: la <b> densità </b> (che non è altro che il rapporto tra massa e volume) e il <b> numero atomico </b>, che distingue un atomo dall’altro, rendendolo speciale. L’essere, dunque, ha tra le sue caratteristiche fondamentali quella di possedere un <b> peso </b> che lo qualifica come leggero (ogni atomo ha una massa piccolissima), ma che lo rende contemporaneamente pesante, perché su di esso agiscono forze costanti: non solo la gravità, ma anche la coscienza, la responsabilità, la consapevolezza, l’amore, l’odio, la religiosità, la sofferenza … Kundera ha quindi colto nel profondo quello che ci rende così drammaticamente complicati, imprigionando la sua riflessione nella vita di quattro personaggi principali e facendola uscire poco alla volta, grazie al simbolo, all’allusione, alla poesia e soprattutto alla filosofia di Nietzsche (il romanzo inizia proprio con una riflessione sull’Eterno Ritorno), Eraclito, Cartesio …

La trama de “L’insostenibile leggerezza dell’essere" ricorda le evoluzioni di una bandiera, magari quella ceca, lasciata precipitare dalla finestra dell’ultimo piano di un palazzo di Praga: le vicende si intrecciano e ritornano su loro stesse, facendoci scoprire lati precedentemente nascosti dalla prospettiva e rivelando esiti definitivi e drammatici come la vita. La leggerezza e la pesantezza, che sembrano due opposti incapace di convivere in una sola persona e attratti dal loro contrario, sono in realtà in ognuno di noi e albergano nell’animo di tutti i personaggi:

<b> Tomàs </b>, che appare il personaggio più “leggero", insieme a Sabina, è invece trascinato sul fondo della propria relazione con Tereza dalla dipendenza dalla poligamia, che egli intende come un interesse scientifico per individuare l’unicità di ogni donna attraverso l’analisi della sua fisicità e del suo comportamento sotto le lenzuola. Tutta la pesantezza del suo destino è in quel verbo “schiacciare" che compare nella narrazione della sua fine.
<b> Tereza </b>, invece, che appare come il peso morto ancorato alla cintura del marito, ha in sé moltissima leggerezza: essa è la bambina nella cesta che <i> galleggia </i> sul fiume, la giovane donna che si libera dalle catene della sua infanzia e, portando con sé la sua valigia <i> pesante </i>, va via dalla sua città di provincia, scappa da Zurigo, trema di gelosia e sogna (e cosa c’è di più leggero per astrazione e di più pesante per le sensazioni che suscita di un incubo?). Nella vicenda di Tomàs e Tereza si inserisce la pittrice Sabina, che è molto simile al medico di Praga (Tomàs, apputno) nel suo leggero svolazzare da un tradimento all'altro e da una città all'altra, ma che è anch'essa condannata alla pesantezza della dipendenza e attratta dalla solidità del suo amante: Franz. Di quest'ultimo non le piace la debolezza, proprio perché ama la sua forza come se fosse la zavorra che la lega alla terra e le impedisce di fuggire. Franz, al contrario, è attratto dalla leggerezza di Sabina, che viene trasfigurata in una dea, essere metafisico onnisciente, capace di vedere e giudicare le sue azioni e, proprio per questo suo potere, di influenzarle. La vita di ognuno di noi è quindi preda di un continuo squilibrio, come se fossimo perennemente sul piatto di una bilancia, che improvvisamente può schizzare all'indietro, in quei momenti in cui la parte più leggera del nostro animo si libra nell'aria, oppure balzare in avanti, trascinato dalla pesantezza di una stagione monotona e frustrante. La sensazione che ci resta è quella di una forte vertigine, che, come scrive Kundera, non è paura di cadere, ma attrazione per il vuoto. La vertigine potremmo anche chiamarla ebbrezza della debolezza. Ci si rende conto della propria debolezza e invece di resisterle, ci si vuole abbandonare ad essa. Ci si ubriaca della propria debolezza, si vuole essere ancora più deboli, si vuole cadere in mezzo alla strada, davanti a tutti, si vuole stare in basso, ancora più in basso.“
http://imnotsuperdoc.tumblr.com/post/57052897299/linsostenibile-leggerezza-dellessere-m



L' insostenibile leggerezza dell'essere.
Titolo originale Nesnesitelná lehkost bytí
Autore Milan Kundera
1ª ed. originale 1984
L'insostenibile leggerezza dell'essere (in ceco: Nesnesitelná lehkost bytí) è un romanzo di Milan Kundera scritto nel 1982 e pubblicato per la prima volta in Francia nel 1984.
TRAMA
Romanzo, che si svolge a Praga negli anni intorno al 1968, descrive la vita degli artisti e degli intellettuali cecoslovacchi nel periodo fra la Primavera di Praga e la successiva invasione da parte dell'Unione Sovietica. La storia si focalizza sul gruppo noto come il Quartetto di Kundera, composto da Tomáš (un chirurgo di fama e successo che ad un certo punto perde il lavoro a causa di un suo articolo su Edipo che, anche a causa delle modifiche operate dai redattori del giornale a cui lo ha inviato, risulta molto critico nei confronti dei comunisti cechi), la sua compagna Tereza (una fotografa), la sua amante Sabina (una pittrice) e un altro amante di SabinaFranz (un professore universitario).



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