domenica 20 dicembre 2015

Feedback. Nella finestra di Johari vi è un "punto cieco", rispetto al quale esistono informazioni sulla persona che sono note agli altri, ma non alla persona stessa. Nessuno può dirti che cosa sei. Ma un'altra persona può aiutarti a vedere ciò che tu stesso non puoi riuscire a vedere. Lo stesso Freud ha sottolineato in modo profondo che è impossibile intraprendere una autoterapia, perché i meccanismi di difesa che costituiscono parte della nostra psiche creano delle resistenze per le quali non si riesce a declinare un punto di vista oggettivo su ciò che davvero accade in se stessi (tuttavia, lo stesso Freud non è mai stato in terapia da qualcuno).





Nessuno può dirti che cosa sei. 
Ma un'altra persona può aiutarti a vedere ciò che tu stesso non puoi riuscire a vedere.
Lo stesso Freud ha sottolineato in modo profondo che è impossibile intraprendere una autoterapia, perché i meccanismi di difesa che costituiscono parte della nostra psiche creano delle resistenze per le quali non si riesce a declinare un punto di vista oggettivo su ciò che davvero accade in se stessi (tuttavia, lo stesso Freud non è mai stato in terapia da qualcuno).

Ma questo discorso non vale solo per le resistenze, bensì anche rispetto a una semplice questione di logica prospettico-percettiva, calata nella normalità del nostro quotidiano essere presenti a noi stessi. Se io sono dentro al mio punto di vista sulle cose, e quindi anche su di me, come faccio a vedere la mia stessa prospettiva sulle cose?

Ho bisogno di qualcuno che mi dica non come sono i fenomeni che vedo, ma in che maniera io stesso vedo questi fenomeni: qual è la "forma" del mio guardare.

Nella finestra di Johari vi è un "punto cieco", rispetto al quale esistono informazioni sulla persona che sono note agli altri, ma non alla persona stessa.

L'unico modo che l'individuo ha di acquisire informazioni in questa area cieca, è attraverso il feedback diretto degli altri. L'altra persona cioè, mi informa fenomenologicamente (ciò che è oggettivamente verificabile da tutti) di un mio modo di esprimermi, di alcune particolarità della mia persona, del tono di voce, movimenti del corpo ecc., che io non mi rendo conto di mettere in atto.

È solo dopo aver ricevuto il feedback che posso o meno accettare l'osservazione dell'altro sul mio stesso modo di vedere, o di agire, comportarmi ecc., a partire da ciò che sento rispetto a questo rinvio. Da come lo avverto "risuonare" dentro di me.

Se l'osservazione dell'altro non mi tocca, oppure la sento come totalmente estranea, posso scartarla e andare avanti e tenermi per me le mie convinzioni; se invece sento risuonare qualche corda, ad esempio provo irritazione, oppure mi sento commosso, allora forse l'informazione che l'altro mi ha inviato sfiora qualche punto sostanziale e autentico.

In questo senso alcuni feedback, se dati bene, fanno si che io giunga a un insight. A realizzare cioè una mia verità interiore.

Ma per fare questo spesso e volentieri ho bisogno, come dicevo, dell'altro. 
Un altro che sappia gestire questo strumento, che sia in grado di comprendere quando e come declinarlo, intuendo le necessità della persona, il suo specifico linguaggio e modo di essere. E il momento peculiare che sta vivendo all'interno della relazione di aiuto.

In questo senso, nella relazione di counseling può accadere, se necessario, uno scambio di feedback con il cliente. Uno scambio mediante il quale egli prende coscienza del suo modo di rapportarsi alle cose, agli altri e al mondo. Addirittura a se stesso.

Ed è in questa maniera che egli consapevolizza bisogni, desideri, prospettive, affinché gli sia possibile realizzare un riorientamento concreto nella propria esistenza.

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