sabato 30 giugno 2012

Gurdjieff le sue tecniche e la conoscenza di sé. nostra ignoranza riguardo alle cose essenziali, l´ignoranza del mondo delle cause, dell'ampiezza della vita e delle sue dimensioni, dei nostri livelli di consapevolezza

"l'uomo, come tutte le altre creature viventi, è sostanzialmente un trasformatore di energia che verrà riassorbito a suo tempo nel substrato indifferenziato dell'ecologia cosmica.... tuttavia, a differenza di altre creature, egli può scegliere se partecipare a tutto ciò in maniera ATTIVA oppure passiva"
Georges Ivanovic Gurdjieff



"Vorrei suggerire a ciascuno di voi di porsi la domanda: "Che cosa sono?".
Sono certo che il 95% di voi si troverà in imbarazzo, e che finirete per rispondervi con un'altra domanda: "Che cosa significa?". Questa è la prova che un uomo ha vissuto tutta la vita senza porsi tale domanda, e che ritiene scontato di essere "qualcosa", addirittura qualcosa di molto prezioso che non è mai stato messo in dubbio. Nello stesso tempo egli è incapace di spiegare che cos'è questo qualcosa, incapace persino di darne una minima idea, dal momento ch'egli stesso l'ignora. E se l'ignora, non è forse perché questo "qualcosa" molto semplicemente non esiste, ma solamente si suppone che esista? Se un uomo sa essere sincero verso se stesso, non sincero come s'intende abitualmente, ma spietatamente sincero, allora, di fronte alla domanda: "Che cosa sei?" non conterà su una risposta rassicurante. Non è strano che le persone dedichino così poca attenzione a se stesse, alla conoscenza di se stesse? Non è strano che chiudano gli occhi con tanto sciocco compiacimento su ciò che sono realmente, e che passino la vita nella piacevole convinzione di rappresentare qualcosa di prezioso? Esse si dimenticano di guardare il vuoto insopportabile che si cela dietro la superba facciata creata dal loro autoinganno, e non si rendono conto che questa facciata ha un valore puramente convenzionale. Le parole di Socrate: "Conosci te stesso" restano il motto di tutti coloro che cercano la vera conoscenza e l'essere."
G.I. Gurdjieff




"L'uomo è costituito da due parti: Essenza e Personalità. L'Essenza è ciò che è suo. La Personalità è ciò che gli è venuto dall'esterno, quello che ha appreso, quello che riflette; tutte le tracce di impressioni esteriori rimaste nella memoria e nelle sensazioni, tutte le parole e tutti i movimenti che gli sono stati insegnati, tutti i sentimenti creati dall'inflazione, tutto questo è "ciò che non è suo", tutto questo è la Personalità. Ciò che è suo, ciò che gli è proprio, ossia la sua Essenza, si manifesta normalmente soltanto nei suoi istinti e nelle sue emozioni più semplici. L'elemento che, nell'uomo, "non è suo", differisce da ciò che gli è "proprio" per il fatto che può essere perduto, alterato, tolto con dei mezzi artificiali.
Gurdjieff aveva descritto vari modi in cui era possibile separare artificialmente l'una dall'altra, Personalità ed Essenza. Disse che nelle scuole esoteriche venivano usate a tale scopo droghe, ipnosi ed esercizi speciali. Vi erano ad esempio certi narcotici che possedevano la proprietà di far addormentare la Personalità per un certo tempo senza influire per nulla sull'Essenza, che poteva così manifestarsi liberamente. Il risultato di questo tipo di esperimenti poteva essere che un uomo solitamente pieno di idee, simpatie, antipatie e forti convinzioni, si rivelava completamnete indifferente nella sua Essenza a tutte queste cose. Idee per le quali prima sarebbe stato pronto a morire ora gli apparivano ridicole, e del tutto indegne della sua attenzione. Tutto ciò che egli mostrava dopo aver preso il narcotico erano certe tendenze istintive, come un desiderio di calore, una gioia infantile per i dolci e una forte avversione per qualsiasi forma di esercizio fisico. Il narcotico rivelava quanto era immatura la parte più vera di lui.
Essendo l'Essenza la parte più vera di noi, è soltanto dall'Essenza che può nascere qualcosa di vero e di nuovo come un "Io" controllante e permanente. Accade talvolta che l’Essenza di un uomo muoia mentre la sua Personalità ed il suo corpo rimangono vivi. Una considerevole percentuale delle persone che vediamo nelle strade di una grande città sono interiormente vuote; in realtà, esse sono già morte. Per nostra fortuna non vediamo tutto questo e non ne sappiamo nulla. Se sapessimo quanti uomini sono già morti e quanto numerosi sono questi cadaveri che governano la nostra vita, lo spettacolo di questo orrore ci farebbe perdere la ragione. Infatti, molti uomini sono impazziti perché hanno intravisto questa realtà senza una preparazione sufficiente: così hanno visto ciò che non dovevano vedere. Per essere in grado di affrontare senza pericoli questa visione, bisogna essere sulla via."
Kenneth Walker, L'insegnamento di Gurdjieff



"II solo mezzo per salvare gli esseri del pianeta Terra oggi, sarebbe innestare nella loro presenza un nuovo organo dotato di proprietà tali che ognuno di quegli infelici, nel corso della sua esistenza, senta e prenda incessantemente coscienza della inevitabilità della propria morte, nonchè della morte di tutti quelli su cui si posa il suo sguardo o la sua attenzione. Solo questa sensazione e questa conoscenza possono attualmente annientare l'egoismo che si è definitivamente cristallizzato in loro ed assorbe la loro essenza, distruggendo allo stesso tempo la conseguente tendenza ad odiare gli altri, tendenza che genera tutti i rapporti reciproci esistenti tra loro, i quali sono a loro volta la causa d'ogni anomalia, indegna e dannosa per loro quanto per tutto l'universo."
Georges Ivanovic Gurdjieff, I Racconti di Belzebù a Suo Nipote



"Nella maggioranza degli abitanti del pianeta Terra è presente lo strano bisogno di ciò che essi chiamano "pavoneggiarsi" e di provocare negli altri l'espressione dell'impulso esserico detto "meraviglia". Per via di questo strano bisogno, essi provano soddisfazione alla vista della meraviglia provocata negli altri dal loro aspetto esteriore, combinato esattamente secondo le esigenze di ciò che laggiù chiamano "moda", un'usanza funesta e diventata ai nostri giorni uno dei fattori esserici il cui automatismo non lascia più loro nè il tempo nè la possibilità di vedere e di sentire la realtà. Questa usanza per loro così funesta consiste nel modificare periodicamente la forma esteriore di ciò che si chiama "il velo della loro nullità". A quegli strani esseri è sempre piaciuto agghindarsi con perle e turchesi, come d'altronde con tante altre "preziose carabattole", al solo fine, dicono, di "ornare" il loro aspetto esteriore. Ma se vuoi la mia opinione, lo fanno semplicemente per istinto, nella speranza di far rialzare il loro "valore interiore", di per sè nullo.
Un simile fenomeno accade anche per ciò che essi chiamano "sapere". Quanto più qualcuno immagazzina nozioni che non ha mai verificato, e ancor meno provato personalmente, tanto più è considerato "sapiente" e rispettato dagli altri. Essi non viaggiano per acquisire più sapere e più informazioni, ma ancora una volta, per la loro vanità, per poter dire poi a voce alta, conversando con gli amici e i conoscenti: "Sono stato qui e ho visto questo, questo e quest'altro". Di quello che hanno visto e che cosa significhi, cosa gliene importa? Essi hanno soltanto bisogno del "fatto" di essere stati in quel tal posto e di aver visto tutto a grandi linee. Tutto ciò è più che sufficiente, dato che più tardi, in qualche conversazione, ciascuno di loro potrà dire spudoratamente e con la coscienza a posto che anche lui è stato lì, lì e lì. E tutti gli altri penseranno che costui non è una "schiappa", ma che è proprio stato in quel luogo e ha visto tutte le curiosità che qualsiasi persona "colta" deve aver visto.
Quest'abitudine di giudicare i meriti degli esseri secondo la loro effimera apparenza esteriore, radicandosi in loro a poco a poco, ha continuato a sviluppare e a rinforzare la loro illusione che l'acquisizione dell'"essere-individualità" si limita precisamente a tale apparenza, e tutti, soggettivamente, si sforzano solo in tal senso. Ecco perchè, ai giorni nostri, fin dal momento della loro venuta al mondo, tutti a poco a poco cominciano a perdere perfino il "gusto", e anche il "desiderio", di ciò che si chiama l'"Essere esserico oggettivo"."
Georges Ivanovic Gurdjieff, I Racconti di Belzebù a Suo Nipote


"In generale, la donna europea, fin dal primo giorno di matrimonio, nel suo intimo considera il marito come un "bene personale". Dopo la prima notte, credendosi ormai sicura della sua proprietà, essa consacra tutta la propria vita interiore al conseguimento di quel "qualcosa" che costituisce l'ideale incerto di cui s'invaghiscono fin dall'infanzia le fanciulle europee, grazie a quella famosa "educazione" immaginata apposta per loro, con sempre maggior raffinatezza, da certi scrittori disonesti di laggiù."
G.I. Gurdjieff - I Racconti di Belzebù a Suo Nipote

Mantieni le promesse.
In una discussione mettiti nei panni dell'altro.
Accetta di venire superato da qualcuno.
Non eliminare, trasforma.
Vinci le tue paure, dietro ciascuna di loro si nasconde un desiderio.
Aiuta l'altro ad aiutarsi da solo.
Tratto dalla "Lettera di Gurdjieff alla figlia"


Il più grande errore è credere che l’uomo abbia un’unità permanente. Un uomo non è mai uno. Continuamente egli cambia. Raramente rimane identico, anche per una sola mezz’ora.
Georges Ivanovic Gurdjieff


LA VOLONTA’ E’ UN SEGNO DI UN ESSERE DI UN ORDINE DI ESISTENZA MOLTO ELEVATO rispetto all’essere di un uomo ordinario. Solo gli uomini in possesso di un essere di questo tipo sono in grado di “fare.” Tutti gli uomini sono semplicemente degli automi, messi in azione da forze esterne come macchine o giocattolini a molla, che agiscono nel modo e per il tempo in cui agisce il caricamento della molla, ed incapaci di aggiungere alcunché alla sua forza.
Georges Ivanovic Gurdjieff, Vedute dal mondo reale
http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/gurdjieff/mondorealefinito.pdf



"La nostra macchina mentale ha la proprietà di poter essere convinta di qualunque cosa, purché venga sottilmente influenzata nella direzione voluta in modo ripetuto e persistente.
Una cosa che all'inizio può apparire assurda, finirà per sembrare razionale, purché la si ripeta con insistenza e convinzione sufficienti. E mentre un particolare tipo di uomo si limiterà a ripetere le frasi fatte che gli sono rimaste impresse nella mente, un altro cercherà prove e paradossi sofisticati per giustificare le proprie asserzioni. Ma entrambi sono da compiangere nello stesso modo. Tutte queste teorie fanno delle affermazioni che, come i dogmi, non possono essere verificate: in ogni caso, non coi mezzi che abbiamo a disposizione. Noi non abbiamo delle conoscenze che ci appartengano, cioè forniteci dalla vita stessa in modo tale che non ci possano essere sottratte. Tutte le nostre conoscenze non sono altro che semplici informazioni, e possono essere tanto utili quanto inutili. Assorbendole come spugne, noi possiamo facilmente restituirle parlandone con logica e convinzione, pur senza capirci nulla. E con la stessa facilità possiamo perderle, perché non sono nostre, ma sono state riversate dentro di noi come un liquido in un recipiente."
G.I. Gurdjieff, Vedute sul Mondo Reale



"La civiltà contemporanea vuole degli automi. E le persone sono certamente sul punto di perdere le proprie abitudini di indipendenza, diventando sempre più simili ad automi, a pezzi di macchine. Non è possibile dire come finirà tutto questo né come uscirne, e neppure se ci sarà una fine o un'uscita. Una sola cosa è certa, ed è che la schiavitù dell’uomo non fa che aumentare. L'uomo sta diventando uno schiavo volontario. Non ha più bisogno di catene: incomincia ad amare la sua schiavitù, a esserne fiero. E nulla di più terribile potrebbe accadere ad un uomo."
Georges Ivanovic Gurdjieff


L’uomo è una macchina, tutto ciò che fa, tutte le sue azioni, tutte le sue parole, pensieri, sentimenti, convinzioni, opinioni, abitudini, sono i risultati di influenze e impressioni esterne. Per “fare” bisogna "essere".
Georges Ivanovic Gurdjieff


Ogni uomo ha un repertorio definito di ruoli che recita nelle circostanze ordinarie; ma se lo mettete in circostanze leggermente differenti, sarà incapace di trovare una parte che si addice alla situazione, e per un breve istante egli diverrà se stesso
Georges Ivanovic Gurdjieff, Frammenti di un insegnamento sconosciuto


Ogni uomo ha un repertorio definito di ruoli che recita nelle circostanze ordinarie. Lo studio delle parti che ciascuno recita è un aspetto indispensabile della conoscenza di sè. Conoscere e sviluppare se stessi costituiscono un impegno così importante e così serio, cui bisogna dedicare uno sforzo così intenso, che assumerselo nel modo solito, in mezzo a tutte le altre cose, è impossibile. L'uomo che si assume questo impegno deve metterlo al primo posto nella propria vita, perché la vita non è così lunga da poterla sprecare in cose inutili. 
Georges Ivanovic Gurdjieff, Frammenti di un insegnamento sconosciuto



"Tratto caratteristico dell'uomo raffinato è la sua capacità di recitare alla perfezione qualsiasi parte voglia nella sua vita esteriore, mentre interiormente si mantiene libero".
Georges Ivanovic Gurdjieff (1869-1949)


Devo dirti inoltre che gli esseri terrestri dell'intellighenzia nei quali, per vari motivi, durante l'esistenza responsabile si stabilizzano in via definitiva alcune forme deviate di funzionamento
interiore ben conosciute nell'ambiente, non sono più designati dagli altri col termine collettivo d'"intellighenzia", ma ricevono i seguenti nomi che sono composti da varie parole, anzi, per l'esattezza, da varie radici di parole greche:

Burocrati
Plutocrati
Teocrati
Democratici
Zevrocratici
Aristocratici, e così via.

Il primo di questi termini, vale a dire "burocrati", designa quegli esseri dell'intellighenzia in cui le ordinarie associazioni automatiche ormai prefissate e connesse alle loro esperienze specifiche sono in numero assai limitato; in altre parole, le associazioni che si producono in questi burocrati, per quanto vari siano gli stimoli d'origine esterna, si riferiscono sempre alle stesse esperienze, e si ripetono con tale frequenza da acquisire un carattere ben definito e da manifestarsi a prescindere dalla partecipazione di qualsiasi parte esserica spiritualizzata e distinta della loro presenza generale.
Quanto agli esseri della seconda categoria, quelli cioè che dopo una certa trasformazione del loro psichismo sono chiamati dagli altri "plutocrati", vengono promossi a questa categoria gli esseri dell'intellighenzia che nel corso dell'esistenza responsabile, dimostrandosi grandi artisti nel truffare in tutti i modi possibili ogni onesto – cioè "ingenuo" – compatriota così sfortunato da trovarsi sul loro cammino, riescono ad entrare in possesso di una gran quantità di "denaro" e di "schiavi". Ricordati, per inciso, che gran parte degli Individui Hassnamuss appartengono proprio a questa categoria.
Gurdjieff, Racconti




Plutocrati...tutti o quasi psicopatici: psicopatici, per definizione privi di capacità empatiche e pertanto di scrupoli nel comportarsi in maniera fraudolenta, parassitaria, megalomane.



Una percentuale considerevole della gente che incontriamo per via è vuota dentro, cioè, in realtà è già morta. È una fortuna per noi che non lo vediamo e non lo sappiamo. Se sapessimo quante di queste persone sono in realtà morte e quante di queste persone morte governano le nostre vite, impazziremmo dall'orrore
Georges Ivanovic Gurdjieff


Perché tu comprenda meglio il valore dei medici contemporanei del tuo pianeta, è ancora necessario che ti ripeta la frase formulata su di loro dal nostro venerabile Mullah Nassr Eddin.
Eccola:
"Per i nostri peccati, Dio ci ha mandato due tipi di medici: 
gli uni per aiutarci a morire, gli altri per impedirci di vivere"
Georges Ivanovic Gurdjieff



Io non insegno mai in maniera diretta, altrimenti i miei allievi non imparerebbero nulla.
Se voglio che un mio allievo cambi, devo partire da lontano o rivolgermi ad un altro:
allora ottengo che impari. E' necessario procedere in questo modo, perché un bambino cui si dicono le cose direttamente, cresce in maniera meccanica, ed in seguito si manifesterà altrettanto meccanicamente.
GURDJIEFF - in “Vedute sul mondo reale”, p.131
http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/gurdjieff/mondorealefinito.pdf



Ogni uomo viene al mondo simile a un foglio di carta bianca; ma le circostanze e le persone che gli stanno intorno fanno a gara per imbrattare questo foglio e per ricoprirlo di ogni genere di scritte. Ed ecco intervenire l'educazione, le lezioni di morale, il sapere che chiamiamo "conoscenza", tutti i sentimenti di dovere, onore, coscienza, ecc. A poco a poco il foglio si macchia, e più è macchiato di pretese "conoscenze", più l'uomo è considerato intelligente. Più sono numerose le scritte nel posto chiamato "dovere", più il possessore è considerato onesto; e così via per ogni cosa. Il foglio così sporcato, accorgendosi che le macchie vengono scambiate per meriti, le considera preziose.
L'uomo si identifica con il ruolo che è costretto a vivere: padre, figlio, padrone, operaio, impiegato, dirigente, professionista, intellettuale, guru, furbo, tonto, forte, debole, manager, ministro, disoccupato, ecc...
per ognuno di questi ruoli esistono comportamenti sociali, abbigliamenti, modi di pensare e di esprimersi cui ciascuno si adegua inconsapevolmente. E quindi non siamo mai individui autentici, ma veri e propri imitatori: imitiamo modelli e stereotipi  prodotti dalla società in cui viviamo. Persino nei comportamenti più intimi recitiamo in realtà dei ruoli precostituiti, che non si limitano soltanto a comportamenti e ad atteggiamenti convenzionali, ma che penetrano anche all'interno delle nostre convinzioni, dei nostri giudizi, della nostra coscienza. Insomma continuiamo a recitare. L'inquinamento della nostra mente è troppo esteso. Bisogna imparare a dire la verità, ma per dire la verità, bisogna essere diventati capaci di conoscere che cos'è la verità e che cos'è la menzogna, soprattutto in se stessi.
Georges Ivanovič Gurdjieff


Nella maggior parte dei casi l'uomo si identifica con ciò che gli altri pensano di lui, con il modo in cui lo trattano, con il loro atteggiamento nei suoi confronti. L'uomo pensa sempre che la gente non l'apprezzi abbastanza, che non sia abbastanza cortese o educata. Tutto questo lo tormenta, lo preoccupa, lo rende sospettoso; egli disperde in congetture o supposizioni una enorme quantità di energie, sviluppando in sé un atteggiamento diffidente ed ostile verso gli altri. Come lo si guarda, ciò che si pensa di lui, ciò che si dice di lui, tutto questo assume ai suoi occhi un'importanza enorme.
Georges Ivanovic Gurdjieff



Devi imparare a non conformarti a ciò che le persone che ti stanno intorno considerano buono o cattivo, ma ad agire nella vita secondo ciò che ti detta la tua coscienza. Una coscienza liberamente sviluppatasi ne saprà sempre di più di tutti i libri e di tutti i maestri messi insieme.
Georges Ivanovic Gurdjieff


Fai sempre una cosa per volta: 
quella del momento presente
Ma falla bene, sii interamente in essa
Georges Ivanovic Gurdjieff


“Se aiuti gli altri, verrai aiutato. Forse domani, forse tra un centinaio d'anni, ma verrai aiutato. La natura deve pagare il debito. È una legge matematica e tutta la vita è matematica.”
Georges Ivanovic Gurdjieff




"Ciò che conta è imparare a non dipendere dalle associazioni. [...]
Uno dei principali fattori responsabili dello spreco d'energia, è rappresentato da tutti i movimenti inutili della nostra vita quotidiana. [...]
Ogni tensione richiede energia. In assenza di tensione, si riduce il consumo di energia. [...]
Se un uomo è affetto da tensioni croniche, allora, pur non facendo niente, pur standosene lungo disteso, consuma più energia di un uomo che lavora fisicamente tutto il giorno. Invece, un uomo esente da queste piccole tensioni croniche, quando riposa o sta fermo, non spreca alcuna energia.
Adesso chiediamoci: quanti tra noi sono immuni da questa terribile malattia? [...] Ebbene, quasi tutti abbiamo questa deliziosa abitudine. [...]
Bisogna imparare a ogni costo a non essere tesi, quando la tensione non è necessaria. Quando siete seduti senza far niente, lasciate dormire il vostro corpo. Quando dormite, fate in modo di dormire con la totalità di voi stessi.
L'esaurirsi della carica può essere accelerato o rallentato. [...] L'unica cosa praticabile è il risparmio.
Il tempo è proporzionale al flusso delle associazioni [...]. Come esempio, ricordatevi quelle volte in cui ve ne state seduti a casa vostra, tranquilli; siete convinti di esser rimasti seduti per cinque minuti, ma l'orologio vi ricorda che è già passata un'ora. Un'altra volta, invece, state aspettando qualcuno per strada e siete seccati perché non arriva. Vi sembra di essere lì da un'ora, e invece sono passati solo cinque minuti: il motivo è dovuto al fatto che, in quei pochi minuti, avete avuto molte associazioni. Pensavate: «Perché non viene? Avrà avuto un incidente?» e così via. [...]
Il tempo è soggettivo, dipende dalle associazioni" (G. I. Gurdjieff).
Scuola di Filosofia Orientale
ovimenti inutili della nostra vita quotidiana. [...]
Ogni tensione richiede energia. In assenza di tensione, si riduce il consumo di energia. [...]
Se un uomo è affetto da tensioni croniche, allora, pur non facendo niente, pur standosene lungo disteso, consuma più energia di un uomo che lavora fisicamente tutto il giorno. Invece, un uomo esente da queste piccole tensioni croniche, quando riposa o sta fermo, non spreca alcuna energia.
Adesso chiediamoci: quanti tra noi sono immuni da questa terribile malattia? [...] Ebbene, quasi tutti abbiamo questa deliziosa abitudine. [...]
Bisogna imparare a ogni costo a non essere tesi, quando la tensione non è necessaria. Quando siete seduti senza far niente, lasciate dormire il vostro corpo. Quando dormite, fate in modo di dormire con la totalità di voi stessi.
L'esaurirsi della carica può essere accelerato o rallentato. [...] L'unica cosa praticabile è il risparmio.
Il tempo è proporzionale al flusso delle associazioni [...]. Come esempio, ricordatevi quelle volte in cui ve ne state seduti a casa vostra, tranquilli; siete convinti di esser rimasti seduti per cinque minuti, ma l'orologio vi ricorda che è già passata un'ora. Un'altra volta, invece, state aspettando qualcuno per strada e siete seccati perché non arriva. Vi sembra di essere lì da un'ora, e invece sono passati solo cinque minuti: il motivo è dovuto al fatto che, in quei pochi minuti, avete avuto molte associazioni. Pensavate: «Perché non viene? Avrà avuto un incidente?» e così via. [...]
Il tempo è soggettivo, dipende dalle associazioni"
Georges Ivanovic Gurdjieff



Si deve imparare dalla Natura. L'uomo è anche un organismo. La quercia fa molte ghiande, ma la possibilità di diventare alberi esiste solo per poche di loro. La stessa cosa accade all'uomo; molti nascono, ma solo pochi cresconoLa gente pensa che questo sia uno spreco, che la Natura sprechi. Non è così. Il resto diventa fertilizzante, ritorna nella terra e crea possibilità per un maggior numero di ghiande, di uomini, di alberi... per un maggior numero di uomini autentici. La Natura dà sempre, ma dà solo possibilità. Per diventare una vera quercia o un vero uomo, si deve fare sforzo.
Fritz Peters. La Mia Fanciullezza Con Gurdjieff


L'anima è come un seme che deve germogliare e svilupparsi.
Può essere acquisita soltanto nel corso della vita; non solo, è un gran lusso, riservato a pochissimi uomini.
La maggior parte della gente trascorre tutta la vita senz'anima, senza padrone interiore.
Per la vita ordinaria, l'anima non è affatto necessaria
Georges Ivanovič Gurdjieff


Vi sono un gran numero di processi chimici che possono aver luogo soltanto in mancanza di luce. Esattamente nello stesso modo, un gran numero di processi psichici possono aver luogo soltanto nell'oscurità. Anche un barlume di coscienza è sufficiente a cambiare completamente il carattere dei processi abituali e rendere impossibile un gran numero di essi.
Georges Ivanovic Gurdjieff


L'uomo è un essere multiplo. Solitamente, parlando di noi stessi, diciamo "io". Diciamo: io faccio questo, io penso quello, io voglio fare quell'altro. Ma è un errore. Questo io non esiste o, meglio, in ciascuno di noi ci sono centinaia, migliaia di piccoli io. Interiormente siamo divisi, ma soltanto con l'osservazione e lo studio possiamo riconoscere la pluralità del nostro essereIn un certo momento, agisce un "io", il momento dopo un altro "io". I nostri "io" sono contraddittori: ecco il motivo del nostro funzionamento disarmonico. Noi siamo delle macchine. Siamo totalmente condizionati dalle circostanze esteriori. Voi non controllate le vostre azioni. Siete macchine, e le circostanze esterne dirigono le vostre azioni senza tener conto dei vostri desideri. La macchina, in ogni uomo, è divisa in tre parti fondamentali, in tre centri. La causa principale della nostra debolezza è l'incapacità di applicare la nostra volontà ai tre centri simultaneamente. Dobbiamo acquisire la "conoscenza di sé".
Georges Ivanovic Gurdjieff


Non conoscendo le leggi cui è soggetta la sua opera, l'uomo s'illude di essere lui ad agire, a fare, a costruire, a decidere; non si rende conto di essere dominato, nelle sue scelte, da forze superiori; non vede che cosa lo induce a muoversi in un modo piuttosto che in un altro, a ripetere ciclicamente le stesse operazioni; non riconosce il suo grado di meccanicità, il suo stato di letargia, di autoipnosi, di automistificazione.
Gurdjieff


Possiamo dire, senza alcuna esagerazione, che tutte le differenze che si notano tra gli uomini si possono riportare a differenze nei livelli di coscienza dei loro atti. Tutta la nostra visione del mondo cambia in relazione al nostro livello di consapevolezza. Più alto esso è, più la comprensione del mondo è vasta, più è basso più essa scende fino al punto dell'identificazione, che vuol dire essere completamente focalizzati solo su una cosa; il massimo della limitazione percettiva.
Gurdjieff


Nessuno capisce che il grado del sapere d'un uomo è una funzione del grado del suo essere.
Quando il sapere surclassa eccessivamente l'essere, diviene teorico, astratto... può diventare addirittura nocivo, perché, invece di servire la vita e di aiutare la gente nella lotta contro le difficoltà, un sapere di questo tipo comincia a spiegare tutto: perciò può arrecare soltanto difficoltà nuove, nuovi guai e calamità d'ogni genere che prima non esistevano.
Gurdjieff


La gente crede nel progresso e nella cultura, ma non vi è nessun progresso di nessun genere. Ogni cosa è esattamente com'era migliaia e decine di migliaia di anni fa. La forma esteriore cambia. L'essenza non cambia. L'uomo resta esattamente lo stesso. Le persone colte e civilizzate vivono con gli stessi interessi dei selvaggi più ignoranti. La civiltà moderna è basata sulla violenza, la schiavitù e le belle frasi. Ma tutte le belle frasi sulla civiltà e il progresso non sono che parole. Tutto accade. Nessuno fa nulla. Progresso e civiltà nel senso reale di queste parole, possono apparire soltanto al termine di sforzi coscienti. Non possono apparire come risultato di azioni incoscienti e meccaniche. Quali sforzi coscienti potrebbe fare una macchina? E se una macchina è incosciente, cento macchine lo sono pure, e mille e diecimila e milioni di macchine. L'evoluzione dell'uomo può essere considerata come l'evolversi in lui di quelle facoltà e di quei poteri che non si sviluppano mai da soli, ossia meccanicamente. Solo questo tipo di sviluppo, solo questo tipo di crescita caratterizza la vera evoluzione dell'uomo. Non c'è e non può esserci alcun altro tipo di evoluzione.
Georges Ivanovic Gurdjieff


La comprensione della dualità in noi stessi, comincia dal momento in cui ci rendiamo conto della nostra meccanicità e arriviamo a percepire la differenza tra ciò che è automatico e ciò che è cosciente.
Georges Ivanovic Gurdjieff


Una cosa l'uomo deve ben comprendere: 
la sua evoluzione non è necessaria che a lui.
Nessun altro vi è interessato, ed egli non deve contare sull'aiuto di nessuno; infatti, nessuno è tenuto ad aiutarlo e neppure ne ha l'intenzione. Al contrario, le forze che si oppongono all'evoluzione di grandi masse umane, si oppongono anche all'evoluzione del singolo. Spetta a ciascuno di NOI eluderle. E se un uomo può sottrarsi ad esse, l'umanità non lo può. Comprenderete più tardi come questi ostacoli siano utili; se non esistessero bisognerebbe crearli intenzionalmente, poiché soltanto vincendo degli ostacoli l'uomo può sviluppare in sé le qualità di cui ha bisogno. Queste sono le basi per una visione corretta dell'evoluzione umana. Non esiste evoluzione obbligatoria, meccanica. L'evoluzione è il risultato di una lotta cosciente.
Georges Ivanovič Gurdjieff



Vi sono periodi nella vita dell'umanità, che generalmente coincidono con l'INIZIO DEL DECLINO DELLE CIVILTÀ, in cui LE MASSE PERDONO IRRIMEDIABILMENTE LA RAGIONE E SI METTONO A DISTRUGGERE TUTTO CIÒ CHE ERA STATO CREATO IN SECOLI E MILLENNI DI CULTURA. Tali PERIODI DI DEMENZA, che spesso coincidono con CATACLISMI GEOLOGICI, PERTURBAZIONI CLIMATICHE, ed altri fenomeni di carattere planetario, LIBERANO UNA GRANDISSIMA QUANTITÀ DI QUESTA MATERIA DI CONOSCENZA. LE MASSE NON SI PREOCCUPANO DELLA CONOSCENZA, NON VOGLIONO SAPERNE, e i loro capi politici, nel proprio interesse, non lavorano che a rafforzarne l'avversione, la PAURA DEL NUOVO E DELL'IGNOTO. LA SCHIAVITÙ NELLA QUALE VIVE L'UMANITÀ È BASATA SU QUESTA PAURA. COLORO CHE POSSIEDONO QUESTA CONOSCENZA FANNO TUTTO CIÒ CHE POSSONO PER TRASMETTERLA E COMUNICARLA AL PIÙ GRAN NUMERO POSSIBILE DI UOMINI, per aiutarli ad avvicinarsi ad essa e RENDERLI CAPACI DI PREPARARSI A RICEVERE LA VERITÀ. Ma LA CONOSCENZA NON PUÒ ESSERE DATA CON LA FORZA A COLORO CHE NON LA VOGLIONO. Colui che desidera la conoscenza deve fare egli stesso gli SFORZI INIZIALI PER TROVARNE LA SORGENTE, per avvicinarla, servendosi delle indicazioni date a tutti, ma che generalmente la gente non desidera vedere, né riconoscere. LA CONOSCENZA NON PUÒ VENIRE AGLI UOMINI SENZA CHE ESSI FACCIANO DEGLI SFORZI.
Gurdjieff




"IL LIBERO ARBITRIO
NEW York 1° marzo 1924  
Da VEDUTE SUL MONDO REALE parla Gurdjieff            
Domanda: Il libero arbitrio ha un posto in questo insegnamento?
Risposta: Il libero arbitrio è 'Una funzione dell'io reale, di colui che chiamiamo il Padrone.
Chi ha un padrone ha una volontà, Chi non l'ha, non ha volontà, Ciò che si definisce ordinariamente volontà è la risultante del « volere» e del « non volere ». Per esempio, la mente vuole una cosa che il sentimento non vuole. Se la mente si dimostra più forte del sentimento, l'uomo obbedisce alla mente. Nel caso contrario, obbedisce al 'sentimento. In un uomo ordinario questo si chiama libero arbitrio. L'uomo ordinario è comandato ora dalla mente, ora dal sentimento, ora dal corpo. Molto spesso obbedisce agli ordini dell'apparato automatico; mille volte più spesso riceve gli ordini dal centro sessuale.
Il vero libero arbitrio può esistere solo se la direzione viene da un unico «io», cioè se l'uomo ha un padrone per dirigere la carrozza. L'uomo ordinario non ha padrone: la vettura cambia continuamente passeggero, e ogni passeggero si autonomina «IO».
Eppure il libero arbitrio è una realtà, esiste davvero. Ma noi, così come siamo, non possiamo averlo. Solo l'uomo vero può averlo.

Domanda: Allora non c'è nessuno che abbia una libera volontà?
Risposta: lo parlo della maggioranza degli uomini. Quelli che hanno una volontà, hanno una volontà. A ogni modo, la volontà non è un fenomeno ordinario. Non la si può avere a richiesta; e nemmeno si può comprare al mercato.

Domanda: Qual è la posizione del suo insegnamento riguardo alla morale?
Risposta: La morale può essere oggettiva o soggettiva. La morale oggettiva è la stessa per tutta la terra; la morale soggettiva è ovunque diversa, e ognuno la definisce come gli pare: ciò che per uno è «bene» per l'altro è «male», e viceversa. La morale è un bastone che ha due estremità: lo si può girare come si vuole.
Dalla comparsa dell'uomo sulla Terra, dai tempi di Adamo, a poco a poco si è costituito in noi, con l'aiuto di Dio, della Natura e di tutto ciò che ci circonda, un organo, la cui funzione è la coscienza morale. Ogni uomo possiede quest'organo; e chi è guidato dalla coscienza si comporta automaticamente secondo i Comandamenti.
Se la nostra coscienza fosse aperta e pura, non avremmo bisogno di parlare di morale.
Consciamente o inconsciamente, ognuno si comporterebbe secondo le ingiunzioni di questa voce interiore.

La coscienza non è un bastone a due estremità.
È la percezione molto precisa, formatasi in noi nel corso dei secoli, di ciò che è bene e di ciò che è male. Purtroppo, per svariate ragioni, quest'organo normalmente è coperto da una specie di crosta.

Domanda: Che cosa può rompere la crosta?
Risposta: Solo una 'sofferenza intensa o un trauma possono rompere la crosta, e allora la coscienza parla. Ma poi l'uomo si calma e l'organo si copre ancora di più. È necessario uno shock molto violento perché l'organo venga automaticamente messo a nudo.
Per esempio, un uomo assiste alla morte della madre. Istintivamente, la coscienza comincia a parlare dentro di lui. Amare, onorare, provar tenerezza per la propria madre è il dovere di ogni uomo. Ma raramente l'uomo è un buon figlio. Quando la madre muore, l'uomo si ricorda di come si è comportato nei suoi riguardi, e comincia a soffrire e a provare dei rimorsi di coscienza.
Ma l'uomo è un vero maiale: molto presto dimentica tutto, e torna al suo vecchio modo di vivere.

Chi non ha coscienza non può essere morale. Posso anche sapere ciò che non bisogna fare ma per debolezza non posso impedirmi di farlo. Per esempio, io so, me lo ha detto il dottore, che il caffè mi fa male. Ma quando ho voglia del caffè, ho in mente solo il caffè. Soltanto quando non ho voglia del caffè sono d'accordo col dottore, e mi astengo. Quando sono sazio, entro certi limiti posso essere morale.
Fareste meglio a dimenticare la moralità.
Qualunque discussione sulla moralità in questo momento significa solo cianciare a vuoto.
La moralità interiore, ecco il vostro obiettivo. Il vostro scopo è di essere cristiani.
Ma per esserlo, dovete poter fare, e voi non ne siete capaci. Quando sarete capaci di fare, sarete
diventati cristiani.

Quanto alla moralità esteriore, essa è ovunque diversa. Bisogna comportarsi come gli altri e,come dice il proverbio, quando si va a Roma, bisogna fare come i romani.
Questa è la moralità esteriore.

Per la moralità interiore, l'uomo deve essere in grado di fare, e per fare deve avere un lo.
Separare le cose interiori dalle cose esteriori, come ho già spiegato a proposito della considerazione interiore ed esteriore, è una necessità primaria.

Per esempio, io sono seduto qui, e benché abbia l'abitudine di tenere le gambe incrociate, prendo in considerazione i presenti, la loro opinione, le loro abitudini, e mi siedo alla loro maniera, coi piedi a terra.
Qualcuno mi guarda di traverso. Immediatamente si scatenano le corrispondenti associazioni del mio sentimento, e mi irrito. Sono troppo debole per impedirmi di reagire, di considerare interiormente.
Io, per esempio, so che il caffè non mi fa bene, ma se non lo prendo non sono in grado di parlare, perché mi sento troppo stanco. Allora tengo in considerazione il mio corpo, e bevo il caffè: lo faccio per il mio corpo.
Normalmente viviamo così; ciò che sentiamo all'interno, lo manifestiamo all'esterno.
Invece è indispensabile stabilire un confine tra l'interno e l'esterno; e dobbiamo imparare, in qualunque occasione, a non reagire più interiormente e a non lasciarci toccare dalle cose esterne; in compenso, dobbiamo considerare esteriormente più di quanto facciamo ora. Per esempio, quando bisogna essere gentili, dobbiamo imparare, se necessario essere ancora più gentili di quanto siamo stati finora. Potremmo dire che quanto è sempre stato all'interno deve essere all'esterno, e quanto era all'esterno deve essere all'interno.

Purtroppo noi reagiamo continuamente.
Per esempio, se io sono in collera, in me tutto è collera, ogni mia manifestazione.
Posso imparare a essere gentile quando sono in collera, ma dentro di me non cambia nulla.
Eppure, se faccio appello al mio buon senso, perché dovrei essere in collera con chi mi guarda di traverso o mi fa una battuta pesante? Forse lo fa senza nemmeno rendersene conto.
O forse qualcuno lo ha istigato contro di me. Esso è schiavo delle opinioni altrui, è un automa, un 
pappagallo che ripete le parole degli altri. Domani può cambiare opinione: è un debole, ma io sono ancora più debole se mi lascio condizionare. E se mi arrabbio, facendo di una mosca un elefante, rischio di compromettere le mie relazioni con gli altri.
Bisogna che vi mettiate in testa, facendone una regola inderogabile, che non dovete far caso alle opinioni altrui; dovete essere liberi dalla gente che vi circonda.
Quando vi sarete liberati interiormente, sarete veramente liberi.
Talvolta è necessario far finta di essere arrabbiati esteriormente.
Per esempio, dovete fingere di essere in collera. Se vi danno uno schiaffo su una guancia, non necessariamente dovete porgere l'altra. Qualche volta è necessario rispondere in modo tale che l'altro si dimentichi persino la nonna. Ma interiormente non si deve considerare.
Se siete interiormente liberi, allora può anche succedere che se qualcuno vi colpisce una guancia, dovete offrire l'altra. Dipende dal tipo di uomo. Può darsi invece che l'altro, cent'anni dopo, non abbia ancora dimenticato la lezione.
In certi casi bisogna usare delle rappresaglie, in altri no.
Dovete regolarvi sul momento; ma oggi non ne siete capaci, perché in voi tutto è rovesciato, e l'interno è l'esterno. Dovete imparare a differenziare le associazioni interiori, fino a poter distinguere e riconoscere ogni vostro pensiero. Ma dovete pensarci su e chiedervi perché bisogna farlo. La scelta dell'azione è possibile solo a un uomo interiormente libero. L'uomo ordinario non può scegliere, non può fare una valutazione critica della situazione. In esso l'esterno è l'interno. Bisogna imparare a essere imparziali, a classificare e ad analizzare ogni azione come fosse quella di un estraneo. Allora si può essere giusti. Essere giusti al momento dell’azione vale cento volte di più che essere giusti a cose fatte. Non è certamente facile. Un atteggiamento imparziale è la base della libertà interiore: è il primo passo verso il libero arbitrio."
Gurdjieff, Da VEDUTE SUL MONDO REALE, IL LIBERO ARBITRIO.
NEW York 1° marzo 1924



LA NEUTRALITÀ.
Ma prima cosa veramente importante da conoscere e da valutare sarebbe la nostra ignoranza riguardo alle cose essenziali, l´ignoranza del mondo delle cause, dell'ampiezza della vita e delle sue dimensioni, dei nostri livelli di consapevolezzaNon teniamo conto del fatto che per noi è vero tutto ciò che si trova nel "raggio della NOSTRA coscienza" e che per un altro é vero tutto ciò che si trova nel "raggio della SUA coscienza". Non ce ne rendiamo conto ma la libertà che a gran voce reclamiamo per noi non siamo poi disposti a concederla veramente agli altri
La quarta pura attitudine è quella della Neutralità: l'attitudine che riassume le altre tre, la più difficile da acquistare. Che cosa è dunque questa attitudine della Neutralità? È forse indifferenza? No, è invece profondo, religioso rispetto degli altri, Vuol dire considerare il prossimo veramente come nostro fratello. come parte di noi stessi, qualunque cosa faccia o abbia fatto. Vuol dire accettare gli altri per quello che sono senza pretendere di cambiarli secondo i nostri schemi, il nostro concetto di bene, i nostri principi, le nostre convinzioni, le nostre verità, le tavole dei nostri valori, ì nostri gusti! Vuol dire riconoscere ogni creatura come il prodotto di una serie innumerevole di cause, una UNITÀ che tende ad esprimere la Vita secondo un suo modulo individuale unico e irripetibile.
La pura attitudine della Neutralità. richiede una mente aperta, elastica, libera da schemi. Una sensibilità che, dietro l'infinita molteplicità della manifestazione avverte lo scintillio della divinità e l´armonia universale che regola il potente flusso della vita. La pura attitudine della Neutralità è vicina alla comprensione. Essa richiede Fede nell’esistenza, la capacita di percepire il legame organico che anima tutte le cose e la realtà dei livelli superiori deve regnano la Felicità Eterna, la Libertà Infinita, la Giustizia Assoluta.
Neutralità verso Il ricco e verso il povero? Verso l'oppresso e verso l'oppressore? La neutralità è dunque fatalismo? No, la lotta va condotta contro le cause, non contro gli effetti! Darà cento lire all’ubriacone che vuol bere? La risposta ognuno la troverà dentro di sé e dipenderà dal punto in cui la sua coscienza è focalizzata in quel momento. Gli uomini dì partito vogliono salvare il loro paese, í religiosi vogliono salvare i loro fedeli, i teosofi vogliono salvare il mondo. Siamo tutti convinti di conoscere la verità, però non conosciamo la cosa veramente importante: l´estensione della nostra ignoranza ». 
“La seconda iniziazione” è particolarmente raccomandabile per coloro che essendo già avanzati nel processo dell'auto-conoscenza e nella lotta contro l'identificazione si trovano in quella situazione interiore che simbolicamente viene detta "deserto emozionale" e che costituisce una prova, superata la quale le energie si porteranno dal centro di espressione attuale del plesso solare a quello del cuore. Sarà allora il raggiungimento della Neutralità.
Da "Gurdjieff le sue tecniche e la conoscenza di sé" di Luigi Maggi ed. fiore d´oro


"Ogni uomo ha un repertorio definito di ruoli che recita nelle circostanze ordinarie. Egli ha una parte per ogni genere di circostanze in cui si trova abitualmente; ma se lo mettete in circostanze leggermente differenti, sarà incapace di trovare una parte che si addice alla situazione, e per un breve istante egli diverrà sé stesso. Lo studio delle parti che ciascuno recita è un aspetto indispensabile della conoscenza di sé. Il repertorio di ogni uomo è estremamente limitato. Se un uomo dice semplicemente \'io\' e \'Ivan Ivanovitch\' non vedrà sé stesso nel suo insieme, perché nemmeno \'Ivan Ivanovitch\' è uno solo; ognuno ne ha almeno cinque o sei: uno o due per la famiglia, uno o due per l\'ufficio (uno per i superiori e uno per i dipendenti), uno per gli amici al ristorante, e forse un altro, per le conversazioni intellettuali su dei soggetti sublimi. 
Secondo i momenti, un uomo è completamente identificato con l\'uno o con l\'altro di questi personaggi; ed è incapace di separarsene. Vedere i propri ruoli, conoscere il proprio repertorio e soprattutto rendersi conto della sua limitatezza è già sapere molto. Ma il punto essenziale è che l\'uomo al di fuori del suo repertorio, cioè non appena qualche cosa lo fa uscire dalla sua routine, non fosse che per un solo momento, si sente terribilmente a disagio, e fa di tutto per ritornare al più presto all\'una o all'altra delle parti abituali. Ricade così nelle sue abitudini e immediatamente tutto riprende per lui a scorrere senza urti; ogni sentimento di difficoltà e di tensione scompare. Accade sempre così nella vita. Ma nel lavoro, per osservare sé stessi, è necessario assolutamente accettare questa difficoltà e questa tensione, e non più temere questi stati di disagio e di impotenza. Soltanto attraverso essi un uomo può realmente imparare a vedersi. Ed è facile comprenderne la ragione. Ogni qualvolta un uomo non recita una delle sue parti abituali e non può trovare nel suo repertorio il ruolo che conviene ad una data situazione, si sente come spogliato. Ha freddo, ha vergogna, vorrebbe fuggire affinchè nessuno lo veda. Tuttavia sorge la questione: che cosa vuole? Una vita tranquilla o lavorare su se stesso? Se vuole una vita 
tranquilla, innanzi tutto non deve mai uscire dal suo repertorio. Nei suoi ruoli abituali si sente a suo agio e in pace. Ma se vuole lavorare su se stesso, deve distruggere la sua pace: il lavoro e la pace sono incompatibili. L\'uomo deve fare una scelta, ma senza ingannare se stesso come spesso accade. A parole sceglie il lavoro, ma in realtà non vuole perdere la sua pace. Il risultato è che sta seduto tra due sedie. 
Di tutte le posizioni, questa è la più scomoda. L\'uomo non fa alcun lavoro e neppure ha una certa comodità. Purtroppo gli è difficilissimo mandare tutto al diavolo e cominciare un lavoro reale. Ma perché è così difficile? Prima di tutto perché la sua vita è troppo facile. Anche se egli la considera difficile, vi è abituato; e in fondo che essa sia dura non ha più importanza poiché egli la conosce. Ma qui vi è qualche cosa di nuovo e sconosciuto, da cui non sa nemmeno se potrà ricavare o no un risultato. E inoltre, cosa più difficile ancora, deve necessariamente obbedire a qualcuno, sottomettersi alla volontà di un altro. Se un uomo potesse inventare, per se stesso, delle difficoltà e dei sacrifici potrebbe, talvolta, andare molto lontano. Ma in realtà ciò non è possibile. 
È indispensabile obbedire a un altro uomo e seguire una direzione generale di lavoro, il cui controllo non può appartenere che ad uno solo. Niente potrebbe essere più difficile di questa subordinazione, per un uomo che si ritiene capace di decidere ogni cosa, di fare ogni cosa. Naturalmente quando arriva a liberarsi delle sue fantasie, a vedere ciò che egli è in realtà, le difficoltà scompaiono. Ma questa liberazione può solo prodursi nel corso del lavoro. E cominciare a lavorare, e soprattutto continuare, 
è molto difficile, ed è difficile perché la vita scorre troppo facilmente\". 
Georges Ivanovic Gurdjieff, Frammenti di un insegnamento sconosciuto
http://www.thule-italia.net/esoterismo/Frammentidiuninsegnamentosconosciuto.pdf




“LA CONOSCENZA” - INTRODUZIONE
In quest’occasione parlerò innanzi tutto dell’”Ottava di Lavoro”. In essa IL SUONO DO rappresenta la valorizzazione del Lavoro, perché NULLA PUÒ INIZIARE SE NON C’È UNA VALORIZZAZIONE. E in ciò non c’è nulla di misterioso. Non si può apprezzare nulla se non si pensa che ne valga la pena, ed UNA COSA VALE PER NOI PER IL VALORE CHE GLI SI DASE SI RITIENE CHE UNA COSA NON HA ALCUN VALORE NON È PRESA IN CONSIDERAZIONE. Orbene, la nota Do non suona necessariamente nel momento stesso in cui un uomo si mette in contatto con il Lavoro. Forse suona. Cioè, quando si sentono le idee del Lavoro queste possono cadere in un posto preparato antecedentemente in noi – cioè, nel Centro Magnetico -. Potrebbe sentire che lì vi è ciò che desiderava. Questa valorizzazione è dovuta all’azione del livello del Centro Magnetico in noi. E IN CIASCUNA PERSONA IL CENTRO MAGNETICO È DIFFERENTE. Ma È SITUATO NELLA PARTE EMOZIONALE dei centri – cioè, è nei posti in cui si sente il valore, perché LA VALORIZZAZIONE È EMOZIONALE -. Senza dubbio, è per dirla così, il primo amore non dura. È forse un sentimento molto bello, ma svanisce, dopo aver compiuto il suo scopo, e si desidera qualcuno con lo scopo di rivalorizzarlo. Perché il Centro Magnetico può portare una persona al Lavoro, ma non lo mantiene in esso. Senza nessun dubbio tutti hanno sperimentato i primi sentimenti d’amore, quei sentimenti straordinari ed ultraterreni che sopraggiungono nella prima gioventù, che non sono fisici ma soprattutto religiosi, e che paiono essere toccati dalle influenze del Centro Emozionale Superiore. E poi, più tardi, si presenta uno scopo completamente differente – quello delle relazioni pratiche -. È necessario lo stesso rispetto per il Lavoro. E ho pensato spesso che SI RIPROPONE LA STORIA DELLA NOSTRA VITA AMOROSA NEL LAVORO STESSO. Si, nel mio caso, quando conobbi per la prima volta il Lavoro, sentii nuovamente la stessa ammirazione, lo stesso senso di mistero, di qualcosa di miracoloso, che avevo sentito nella mia prima fanciullezza – sentimenti che certamente parevano sostenersi da se stessi ed essere relazionati solo superficialmente con un oggetto esteriore, una persona -. Ma qualunque siano state le prime emozioni che si siano sentite in relazione con le idee del Lavoro e la scoperta dell’esistenza di esso, per quanto straordinari siano stati i sentimenti sperimentati, non è bastante. Anche quando abbiamo un Centro Magnetico giusto, I SENTIMENTI E LE EMOZIONI CHE SORGONO DA ESSO NON PERDURANO. È NECESSARIO CONOSCERE L’OGGETTO DEL NOSTRO AMORE E RELAZIONARSI PRATICAMENTE CON ESSO. Questa nota si chiama Re nell’Ottava del Lavoro. La nota Re suona quando una persona comincia a studiare le idee del Lavoro e il suo insegnamento, e comincia ad applicare il Lavoro a se stesso. Questa NOTA RE SI CHIAMA ”APPLICAZIONE DEL LAVORO A SE STESSO”, e se la NOTA DO, che il Centro Magnetico fa suonare prima, non cambia di qualità, ma che prosegue semplicemente come un sentimento del miracoloso, la NOTA RE non suonerà con forza. Senza dubbio, nessuno potrà venire al Lavoro, se non ha un sentimento iniziale del miracoloso. Cioè, UN UOMO DEVE SENTIRE LA DIFFERENZA TRA LA VITA E IL LAVORO. In altra maniera il Lavoro, cadrà dentro di lui nel posto in cui cade la vita – cioè, in quelle parti dei centri che non possono ricevere il Lavoro e che non sono preparati per riceverli -. L’Uomo ha una parte dei centri per la vita e una parte dei centri per il Lavoro. Sono costruiti per la vita e per il Lavoro. E, se non si possiede il Centro Magnetico, riceverà le idee del Lavoro nelle parte dei centri destinati alla vita. Cercherà di aumentare il Lavoro direttamente dalla vita come fosse la stessa cosa. Verserà il vino nuovo negli otri vecchi, ripulirà il suo vecchio rifugio con un panno nuovo. La funzione del Centro Magnetico è quello d’impedirlo. A volte il Centro Magnetico si definisce come la capacità di distinguere tra l’influenza A e le influenze B, tra le influenze della vita, create nella vita meccanica e le influenze che provengono dall’esterno della vita e che sono seminate nella vita meccanica. Se non esistesse il Centro Magnetico, nulla sarebbe possibile per ciò che concerne l’evoluzione interiore. Non sarebbe possibile nessuna TRASFORMAZIONE DEL SENTIMENTO DELLA VITA o del sentimento di se stessi. Senza dubbio, come ho già detto, UNA VOLTA CHE IL CENTRO MAGNETICO HA FATTO IL SUO DOVERE, NON SERVE PIÙ. C’INTRODUCE IN UN NUOVO MONDO. E allora è necessario INCONTRARE LA VIA. Cioè, può portare un uomo al Lavoro ed offrirgli la possibilità di valorizzare il Lavoro, ma questo è tutto. Poi UN UOMO DEVE VALORIZZARE IL LAVORO DA SE STESSO ATTRAVERSO L’APPLICAZIONE DELLE IDEE DEL LAVORO A SE STESSO e dal suo punto di vista integrale, e questo fortificherà il Do in lui. Cioè, la nota Re farà più forte la nota Do in lui, e cambierà la sua qualità in una valorizzazione cosciente. Nel vedere la verità del Lavoro, un uomo lo valorizzerà ogni volta di più in modo cosciente, e questa valorizzazione farà più forte il Do dato dal Centro Magnetico che è in verità un Do il cui suono fu dato coscientemente.
LA TERZA NOTA NELL’OTTAVA DEL LAVORO, LA NOTA MI, È CHIAMATA ”COMPRENSIONE DELLE DIFFICOLTÀ PERSONALI. Comprenderete facilmente che i suoi aspetti sono molti, e molti anche i suoi significati per ogni persona. Ci sono, per esempio, difficoltà personali che appaiono in relazione col nostro essere. E ci sono difficoltà personali con la nostra conoscenza –cioè, l’accettazione di certi aspetti del Lavoro come conoscenza -Perché sono molte le idee strane che hanno a che vedere con l’aspetto conoscenza del Lavoro – idee che abbiamo sentito molte volte, ma che non abbiamo riconosciuto -. In questo Lavoro dobbiamo pensare in un modo nuovo. E ciò è possibile soltanto attraverso una nuova conoscenza, perché si penserà sempre nello stesso modo se non si ha una nuova conoscenza. Un pensiero nuovo esige una nuova conoscenza, ma una nuova conoscenza non farà pensare in un modo nuovo se non lo si riconosce. Tuttavia, è necessario pensare in un modo nuovo, perché in altra maniera non si vedrà la propria vita e mai si vedrà il significato del Lavoro. Il Lavoro sulla conoscenza è così difficile come il lavoro sull’essere. E persino più difficile. TUTTO QUESTO APPARTIENE ALLA COMPRENSIONE DELLE DIFFICOLTÀ PERSONALI – LA NOTA MI.

NEL LAVORO SI DICONO MOLTE COSE DIFFICILI. CIÒ SIGNIFICA CHE SI DICONO MOLTE COSE CHE URTANO CON LE NOSTRE FORME ABITUALI DI CONOSCENZA. Capita in tutte le forme d’insegnamento esoterico. Per esempio, CRISTO DICE MOLTE VOLTE AI SUOI DISCEPOLI: “SE POTESSI SOPPORTARLO”. E ciò significa che la conoscenza – la grande conoscenza -, la conoscenza sull’Uomo e la sua situazione sulla terra e le sue possibilità, non è qualcosa che si può comprendere facilmente, e che si possa mettere insieme alla conoscenza ordinaria pensando che è farneticante perché non corrisponde alle nostre opinioni. LA GRANDE CONOSCENZA ESIGE UN GRANDE SACRIFICIO ED UNA LUNGA LOTTA CON SE STESSI. Questa notte vi darò l’insegnamento del Lavoro sulla conoscenza stessa, che non è facile d’accettare e che deve essere meditata per molto tempo per farla arrivare ad essere una parte della nostra mente.
Commentari psicologici sull’insegnamento di Gurdjieff e Ouspensky
Dr. Maurice Nicoll VOLUME I Cap. 30a Birdlip, 27 dicembre, 1942



SULLA COSCIENZA MORALE RELIGIOSA. 
Da Incontri di uomini straordinari, Gurdjieff
YELOV
……. Quanto agli armeni, essi vengono chiamati « salati» perché è loro consuetudine, alla nascita di un bambino, cospargerlo di sale
Aggiungerò che, a mio avviso, questa usanza non è priva di valore. Alcune attente osservazioni mi hanno mostrato che presso gli altri popoli i neonati soffrono quasi sempre di eruzioni cutanee sulle parti del corpo che si ha l'abitudine di coprire di talco per evitare l'irritazione, mentre, tranne rare eccezioni, i bambini armeni che nascono nelle stessi regioni ne sono esenti, benché abbiano tutte le altre malattie infantili. Attribuisco questo fatto alla loro abitudine di cospargere di sale i neonati. 
Yelov rassomigliava poco ai suoi compatrioti; in particolare, era privo di un tratto tipico del loro carattere: benché fosse molto violento, non era vendicativo". Le sue rabbie erano di breve durata e se gli capitava di offendere qualcuno, una volta passato il furore, egli faceva di tutto per cancellare ciò che aveva detto. 
Si mostrava pieno di scrupoli verso la religione altrui. 
Un giorno, durante una conversazione sulla propaganda intensiva fatta a quei tempi dai missionari di quasi tutti i paesi d'Europa per convertire gli Aissori alle loro rispettive credenze, egli ci disse: 
« La questione non è di sapere a chi l'uomo rivolge le sue preghiere, ma qual è la sua fede.
La fede è la coscienza morale che mette le radici nell'uomo durante, l'infanzia. 
Se l'uomo cambia religione; egli perde la sua coscienza, e la coscienza è quanto di più prezioso vi sia nell'uomo. 
« lo rispetto la sua coscienza; e siccome la sua coscienza è sostenuta dalla sua fede, e la sua fede dalla sua religione, io rispetto la sua religione. E sarebbe per me un grande peccato giudicare la sua religione o togliergli le sue illusioni su di essa, e distruggere così in lui la coscienza morale, che può acquistarsi soltanto nell'infanzia ». 
Il giorno in cui Abram ci fece questo ragionamento, Pogossian gli chiese: 
«E perché dunque volevi diventare ufficiale?». Allora le guance di Abram si infuocarono ed egli gridò rabbiosamente: «Vattene al diavolo, tarantola salata ». 
Yelov dimostrava per i suoi amici un singolare attaccamento. Egli era pronto a dare l'anima per chi gli fosse legato. 
Quando ebbero fatto conoscenza, Yelov e Pogossian si attaccarono enormemente l'uno all'altro. Che Dio conceda a tutti i fratelli di avere fra loro rapporti simili!
Ma le manifestazioni esteriori di questa amicizia erano molto particolari, e difficili a spiegarsi. 
Quanto più si volevano bene, tanto più villani erano l'uno con l'altro. Ma sotto questi modi rudi si nascondeva un sentimento così tenero che non era possibile vederlo manifestarsi senza esserne toccati fino in fondo all'anima. A me, che sapevo ciò che queste parole grossolane nascondevano, capitò varie volte di non potermi trattenere, e dalla commozione le lacrime mi salivano agli occhi. Per esempio, davanti a scene di questo genere: 
Yelov è stato invitato da qualche parte. Gli hanno offerto dei dolci. La cortesia esigerebbe che li mangiasse per non offendere i suoi amici. Eppure Yelov, che adora i dolci, non li mangia per nessun motivo al mondo: se li nasconde in tasca per portarli a Pogossian. Ma invece di darglieli semplicemente, egli accompagna il suo gesto con canzonature di ogni genere e con una bordata di ingiurie. 
Di solito, succedeva così: durante la cena, nel 'corso della conversazione, egli faceva finta di trovarsi per caso dei dolci in fondo alla tasca, e ne porgeva un'intera manciata a Pogossian, dicendo: « Come diavolo mi è finito in tasca questo sudiciume? Su, pappati queste porcherie! 
È la tua specialità pappare tutto ciò che gli altri non vogliono più ».



Da tempo Uspenskij andava cercando chi gli desse modo di rendere stabile, sicuro, uno stato interiore in cui l'ego fosse buttato in un angolo, in cui il tempo non fosse più irreversibile: voleva che un mago facesse di lui, per dirla col vocabolo allora di moda, un superuomo.
E in un caffè di San Pietroburgo trovò colui che sembrava in grado di compiere quel miracolo.
L'uomo dalle maniere rudi e sapienti, dall'eloquio popolaresco e dalla esperienza incomparabile, reduce dai luoghi di iniziazione dell'Asia centrale il cui accesso era vagheggiato, come meta insperabile, nei circoli che Uspenskij frequentava.
Ecco a disposizione il "suo" mago, terzo fra quelli che accendevano le fantasie e conquistavano cuori a San Pietroburgo: Rasputin e il medico mongolo Badmaev.
Da dove venisse Gurdjieff non si sa.
Elémire Zolla, "Uscite dal mondo"




Le parole di Ouspensky: “Ho aspettato tutti questi anni (prima di espandere il lavoro a Londra) perché volevo vedere cosa avrebbe fatto il signor Gurdjieff. Il suo lavoro non ha dato i risultati che speravamo. Sono ancora certo, come mai, che ci sia una grande fonte da cui il nostro sistema è provenuto. Gurdjieff deve aver avuto un contatto con quella Fonte ma non credo che sia stato un contatto completo. Manca qualcosa e lui non è stato in grado di trovarlo. Se non riusciamo a trovarlo per mezzo di lui, allora la nostra unica speranza è quella di avere un contatto diretto con la Fonte… La nostra unica speranza è che la fonte ci cerchi. È per questo che tengo queste conferenze a Londra”.







il maestro Gurdjieff, diceva che "il maestro" non è nient'altro che una barca, può essere quindi una piccola barca, una grande barca lussureggiante, una barca malandata, ecc.. l'unica cosa giusta e vera è che la barca serve a portarti da una riva all'altra del fiume... ad altro non serve...


Domanda: Come si fa a riconoscere un uomo superiore a noi stessi se non si sa come cercare?
Ouspensky: Quando sapremo meglio ciò che manca in noi, quali "qualità" attribuiamo a noi stessi ma che in realtà non possediamo, cominceremo a vedere qualcosa in questo senso; attualmente possiamo distinguere le persone di livello superiore soltanto dal loro sapere.
Se egli sa qualcosa che noi non sappiamo, se ci rendiamo conto che nessun altro lo sa, e che questa cosa non potrebbe essere appresa in nessuna maniera ordinaria, ciò può servirci da guida.


Uno può uscire dalla prigione, ma non da solo. 
Senza una Scuola uno non può farcela. Scuola significa persone che stanno evadendo o che, in ogni caso, si stanno preparando ad evadere.
La scuola non può cominciare senza l’aiuto di un’altra scuola, senza l’aiuto di quelli che sono già fuggiti prima. Da loro possiamo prendere determinate idee, determinati piani, una certa conoscenza: questi sono i nostri strumenti.
P. D. Ouspensky La Quarta Via
Mattia Preti (Il Cavalier Calabrese), St Peters Liberation from Prison.
Da notare che San Pietro è "cieco".



Esistono cause molto precise che impediscono all’uomo di scorgere la differenza tra un ruolo, o maschera, e un altro. Queste cause sono certe formazioni artificiali chiamate ‘respingenti’. ‘ Respingente’ è un ottimo nome per questi apparati.
I respingenti tra le carrozze ferroviarie impediscono le collisioni, attutiscono gli urti. Accade lo stesso con i respingenti tra i diversi ruoli e i diversi gruppi di ‘io’ o di personalitàLe persone possono vivere con personalità differenti senza che esse entrino in collisione e, se queste personalità non danno manifestazione esteriore,esistono ugualmente all'interno.
È utilissimo cercare di scoprire cosa sono i respingenti. Cercare di scoprire come uno mente a se stesso con l’aiuto dei respingenti. Supponiamo che uno dica:
Io non discuto mai”. Poi, se uno è veramente convinto di non discutere mai, egli discute finché ne ha voglia e non se ne accorge. Questo è il risultato di un respingente. Se uno ha un certo numero di buoni respingenti, è completamente al sicuro da spiacevoli contraddizioni.
I respingenti sono completamente meccanici; un respingente è come una cosa rigida che non si adatta, ma svolge la sua funzione molto bene: ci impedisce di vedere le contraddizioni.
D. Come sono creati i ruoli?
R. I ruoli non sono creati; essi non sono consci. Sono adattamenti alle circostanze.
D. E difficile smettere di recitare un ruolo?
R. Non è questione di smettere, è questione di non identificarsi.
D. I ruoli possono essere buoni?
R. Possiamo parlare soltanto di consapevolezza e meccanicitàSe un ruolo è meccanico, dobbiamo osservarlo e non identificarci con esso. La cosa più difficile è comportarsi consapevolmente. Cominciamo consapevolmente e poi di solito ci identifichiamo.
Ouspensky


Ouspensky
Non vi è nulla nel mondo, dal sistema solare fino all'uomo e dall'uomo fino all'atomo, che non salga o non scenda, che non si evolva o non degeneri, che non si sviluppi o non decada.
Mai nulla si evolve meccanicamente.
Solo la degenerazione e la distruzione procedono meccanicamente. Ciò che non può evolversi coscientemente, degenera. L'aiuto esterno non è possibile che nella misura in cui è apprezzato e accettato, anche se all'inizio esso lo è solo dal sentimento. Il linguaggio che permette la comprensione, si basa sulla conoscenza del rapporto dell'oggetto che si esamina con la sua evoluzione possibile, sulla conoscenza del suo posto nella scala evolutiva. A questo fine, un gran numero delle nostre idee comuni sono divise in conformità agli stadi diquesta evoluzione


L'uomo è una macchina e non può produrre alcuna azione da solo; è soltanto una stazione trasmittente, niente di più. In questo senso è una macchina (*). Se un uomo potesse avere un'idea o potesse far qualcosa senza che cause esterne agissero per lui, allora egli non sarebbe una macchina.
P. D. Ouspensky (La Quarta Via)
* Un apparecchio.


"Che cosa pensate della moderna psicologia?", domandai un giorno
a G. con l'intenzione di sollevare la questione della psicoanalisi, della
quale avevo diffidato fin dal primo giorno.
"Prima di parlare di psicologia, disse, dobbiamo capire chiaramente
di che cosa tratta o di che cosa non tratta questa scienza.
L'oggetto proprio alla psicologia sono gli uomini, gli esseri umani.
Di quale psicologia, ed egli accentuò questa parola, si può parlare quando non
si tratta che di macchine? È la meccanica che è necessaria per lo
studio delle macchine e non la psicologia. Ecco perché noi cominciamo
con la meccanica. Siamo ancora molto lontani dalla psicologia".
Domandai:
"Può un uomo smettere di essere una macchina?".
"Ah! È proprio questo il problema. Se voi aveste fatto più spesso
simili domande, forse le nostre conversazioni avrebbero potuto con-
durre a qualche cosa.
Sì, è possibile smettere di essere una macchina, ma, per questo, è necessario prima di tutto conoscere la macchina.
Una macchina, una vera macchina, non conosce se stessa e non può cono-
scersi.
Quando una macchina conosce se stessa, da quell'istante ha cessato di essere una macchina; per lo meno non è più la stessa macchina di prima.
Comincia già ad essere responsabile delle proprie azioni".
"Questo significa, secondo voi, che un uomo non è responsabile
delle proprie azioni?".
"Un uomo — ed egli sottolineò questa parola — è responsabile.
Una macchina no"
G. J. Gurdjieff “ Frammenti …..” di P. D. Ouspensky



Tutto il problema deriva dal fatto che diciamo troppe cose. Se ci limitassimo alle sole parole realmente indispensabili, soltanto questo potrebbe dirsi mantenere il silenzio. Così è per ogni cosa: per il nutrimento, per il piacere, per il sonnoper ogni cosa vi è un limite a ciò che è necessario. Al di là comincia il 'peccato'. Cercate di afferrare bene: il 'peccato' è tutto ciò che non è necessario.
Georges Ivanovic Gurdjieff




A cena con Gurdjieff – Oltre le abitudini *
Gurdjieff era solito offrire cibi strani che non avreste mai mangiato. Che avrebbero disturbato lo stomaco, creato disagio.
Quando viaggiava si portava dietro un camion di cibi strani. E i suoi discepoli avevano paura perché li costringeva a mangiare così tanto da diventare una tortura. Dalle 8 di sera a mezzanotte, 4 ore erano dedicate al cibo e lui era sempre presente. Continuava a insistere, a incitarli. E nessuno poteva dire no. Li costringeva a bere una tale quantità di alcool che normalmente li avrebbe resi inconsci, ma lui continuava. Voleva creare disagio interiore e poi diceva: “Lasciate che il disagio sia. Ricordate! Siate svegli!” Continuava a versare da bere e diceva: “Ricordate! Ricordate! Siate svegli!”.
Gurdjieff voleva immediatamente conoscere l’inconscio, perché il vero lavoro va fatto lì. Non perdeva tempo con la mente conscia. Quella era una maschera.
Se arrivava un discepolo che aveva l’abitudine di mangiare poco Gurdjieff gli dava tanto da mangiare e se arrivava un discepolo che aveva l’abitudine di mangiare troppo lui lo metteva a digiuno.
Lui distorce i vostri vecchi schemi, perché quando gli schemi vengono disturbati la vostra realtà viene a galla. E’ come cambiare marcia, quando passate da una marcia all’altra per un attimo siete in folle, nel mezzo, neutrale.
Se un giainista, che non ha mai mangiato carne in vita sua andrà da Gurdjieff, lui lo costringerà a mangiare carne. Questo significa distruggere la sua intera personalità. Per 50 anni non ha mai mangiato, né toccato, forse nemmeno visto, carne. Ora tutta la sua personalità si rivolterà Avrà la nausea. La sola idea gli metterà la nausea. Se una persona è costretta a mangiare carne, immaginate in che subbuglio si troverà. Sarà sottosopra, sarà la distruzione di tutti i suoi modelli di comportamento. Vomiterà, si ammalerà, avrà forse la febbre, avrà degli incubi, ma questo distruggerà tutti i comportamenti appresi e tornerà a essere come un bambino. E da lì il lavoro può iniziare.
E se una persona è abituata a mangiare carne e a bere, Gurdjieff lo metterà a dieta vegetariana. E gli dirà di non bere, lo costringerà a essere il più “santo” possibile.
La tecnica è la stessa, disturbare il passato, mettere le cose sottosopra in modo che la facciata non funzioni più e la maschera possa essere tolta e la realtà possa essere vista.
Attraverso questi disagi si crea una cristallizzazione interiore. Ti integri, diventi “uno”. E per questa unità, questa integrazione alchemica gli alchimisti usano la parola “oro”. Il metallo più vile è stato trasformato in uno più prezioso. Ora sei oro.
 Tratto da: idioti a Parigi



ESERCIZIO DEL SILENZIO
da “Frammenti di un insegnamento sconosciuto”
di P. Ouspensky allievo di Gurdjieff
In ottobre, ero con G. a Mosca.
Il suo piccolo appartamento della Bolshaia di Dmitrovka mi stupì per la sua atmosfere.
Era arredato in stile orientale: pavimenti e muri sparivano sotto i tappeti, pure i soffitti erano rivestiti con scialli di seta. Le persone che vi entravano, tutti allievi di G., non avevano paura di stare in silenzio. Già questo era qualcosa di insolito. La gente entrava, si sedeva, fumava; non si sentiva una sola parola, talvolta per ore. E non vi era nulla di sgradevole né di opprimente in quel silenzio; anzi, c'era un sentimento di sicurezza tranquilla; ci si sentiva liberi dalla necessità di recitare una parte artificiale e forzata. Ma sui curiosi o sui visitatori casuali, quel silenzio produceva un'impressione molto strana. Essi si mettevano a parlare senza interruzione come se avessero paura di arrestarsi e di provare qualche cosa; oppure si offendevano immaginando che il 'silenzio' fosse diretto contro di loro, per far sentire come gli allievi di G. fossero loro superiori, e per far comprendere come non valesse neppur la pena di parlare con loro; altri trovavano quel silenzio stupido, comico, ‘innaturale’; ai loro occhi metteva in evidenza le nostre peggiori caratteristiche, particolarmente la nostra debolezza e la nostra subordinazione completa a G., che ci ‘tiranneggiava’.
G. decise persino di prendere nota delle ‘reazioni al silenzio, dei vari tipi di visitatori.
Mi resi conto allora che la gente temeva il silenzio più che ogni altra cosa, e che la tendenza a parlate senza posa non era che un riflesso di difesa, basato sul rifiuto di vedere qualche cosa, un rifiuto di confessare qualche cosa di sé stessi. Notai ben presto una proprietà ancora più strana dell'appartamento di G. In quel luogo non era possibile mentire. Una menzogna traspariva subito, diventava evidente, tangibile e certa. Una volta, vedemmo arrivare un uomo che G. conosceva vagamente. L'avevo già incontrato, poiché talvolta veniva ai gruppi di G. Eravamo tre o quattro nell' appartamento, G. non c'era. Dopo essere stato per un po’ in silenzio egli si mise e dire che aveva appena incontrato un unico che gli aveva dato notizie straordinariamente interessanti sulla guerre, sulle possibilità di pace, e così via.
All'improvviso, in modo completamente inatteso per me, sentii che quell'uomo mentiva. Non aveva incontrato nessuno, e nessuno gli aveva detto niente. Tutto si fabbricava nella sua testa sul momento, semplicemente perché il silenzio gli era insopportabile.
Io provavo un certo disagio e guardarlo. Mi sembrava che, se avesse potuto incontrare il mio sguardo, si sarebbe reso conto che io vedevo che egli mentiva. Sbirciai gli altri e vidi che sentivano come me, e potevano e malapena reprimere i loro sorrisi... Osservai allora colui che parlava e vidi che solo lui non notava nulla e continuava a parlate velocemente, trasportato sempre più dall'argomento, non rendendosi conto degli sguardi che, senza volerlo, ci scambiavamo fra noi.
Questo non fu l'unico caso. Mi ricordai allora degli sforzi che avevamo fatto per descrivere le nostre vite e delle ‘intonazioni’ che prendevano le nostre voci allorché cercavamo di nascondere certi fatti.
Mi resi conto che anche qui tutto stava nelle intonazioni. Allorché un uomo chiacchiera o semplicemente attende un'occasione per mettersi a parlare, egli non nota l'intonazione degli altri ed è incapace di distinguere le menzogne dalla verità. Ma appena si tranquillizza, ossia si sveglia un poco, egli, percepisce le differenze di intonazione e, comincia a discernere le menzogne degli altri.
Su questo argomento m'intrattenni sovente con gli altri allievi di G. Parlavo loro di ciò che era accaduto in Finlandia, e degli addormentati, che avevo visto nelle strade a Pietroburgo. Ciò che provavo qui, nell'appartamento di G., di fronte a coloro che mentivano meccanicamente, mi ricordava molto l'impressione provata riguardo agli ‘addormentati’.
Desideravo moltissimo presentare a G. qualcuno dei miei amici di Mosca, ma tra tutti coloro che incontrai durante il mio soggiorno, uno solo. Il mio vecchio amico giornalista V. A. A., mi diede l'impressione di essere sufficientemente vivo. Benché fosse come sempre sovraccarico di lavoro e pieno d'impegni, egli si mostrò molto interessato quando parlai di G. e l'invitai e pranzo da lui. G. convocò una quindicina dei suoi e organizzò un pranzo, sontuoso per quei tempi di guerra, zakouski, patés, shashlik, vini di khagheria ed altri splendori, in una parola, uno di quei festini alla moda del Caucaso, che cominciano a mezzogiorno e durano fino a sera. G. fece sedere A. vicino a sé, fu molto gentile. Si curò di lui tutto il tempo, versandogli lui stesso da bere. Il cuore mi venne meno all'improvviso quando compresi e quale test avevo esposto il mio amico. Il fatto era che noi tutti stavamo in silenzio. Per cinque minuti, egli si comportò da eroe, poi cominciò a parlare. Parlò della guerra, di tutti i nostri alleati, dei nostri nemici; ci comunicò l'opinione di tutti gli uomini più in vista di Mosca e di Pietroburgo su tutti i soggetti possibili; poi parlò dell'essiccazione dei legumi per l'esercito (di cui egli si stava attualmente occupando, oltre al suo lavoro di giornalista), in modo particolare dell'essiccazione delle cipolle; poi dei concimi artificiali, delle chimica applicata all’agricoltura e della chimica in generale, delle bonifiche dei terreni; dello spiritismo, della ‘materializzazione delle mani’ e di non so più che cos'altro. Né G., né alcuno di noi disse una sola parola. Ero sul punto di intervenire per paura che A. si offendesse, ma G. mi lanciò uno sguardo così feroce che mi fermai all'istante. D'altronde, i miei timori erano vani.
Il povero A. non notava nulla, era tutto contento di parlare, e talmente preso da ciò che diceva, dalla sua propria eloquenza, che non si interruppe per un solo istante sino alle quattro. Poi, con molto calore, strinse le mani di G. e lo ringraziò per la sua “conversazione molto interessante”. G. guardandomi ebbe un riso malizioso.
Ero veramente mortificato. Avevamo messo in ridicolo il povero A. non potendo certamente aspettarsi nulla di simile, era stato preso trappola. Compresi che G. aveva voluto dare ai suoi una dimostrazione.
“Avete visto? egli disse, quando A. fu uscito. È ciò che si può chiamare un uomo intelligente, ma non si sarebbe reso conto di nulla, anche se gli avessi tolto i pantaloni. Lasciatelo dunque parlare, egli non desidera che questo, e tutti sono così. Quest'uomo poi è migliore di tanti altri: non ha detto bugie. Conosceva realmente ciò di cui parlava, a modo suo, beninteso. Ma a che scopo? domando. Non è più giovane.
Ed era forse l'unica volta in vita sua che gli si offriva una possibilità di ascoltate la verità; ma egli ha parlato per tutto il tempo”.


Ciò che è necessario è la coscienza.
Noi non insegniamo la morale. Insegniamo come si può trovare la coscienza.
Alla gente non piace sentirselo dire. Dicono che non abbiamo amore, solo perché non incoraggiamo la debolezza e l'ipocrisia ma, al contrario, rimuoviamo tutte le maschere.
Chi desidera la verità non parlerà mai di amore o di cristianesimo, perché sa quanto ne è lontano.
Peter D. Ouspensky


COSA SIGNIFICA ESSERE SERI? 
Da “Frammenti di un insegnamento sconosciuto” di P. Ouspensky
Avere una attitudine seria verso le cose, disse qualcuno. È proprio quanto ciascuno pensa, disse G.; in realtà è esattamente il contrario. Avere una abitudine seria non significa assolutamente essere seri, essendo stabilito che tutta la questione è di sapere verso quali cose. Un grandissimo numero ha un atteggiamento serio per cose insignificanti. Si può forse dire che siano seri? Certamente no. [...] Se l'uomo potesse comprendere tutto l'ORRORE DELLA VITA DELLE PERSONE CHE GIRANO INTORNO A UN CERCHIO DI INTERESSI E DI SCOPI INSIGNIFICANTI, se potesse comprendere ciò che perdono, comprenderebbe che non vi può essere che una cosa solo seria per lui: fuggire dalla legge generale ed essere libero. Per un uomo in prigione e condannato a morte, cosa può esservi di serio? Solo una cosa; come salvarsi, come fuggire. Nient'altro è serio. [...] 
La questione è tutta qui: essere pronto a sacrificare la propria libertà disse G. L'uomo, in modo cosciente o incosciente, lotta per la libertà come la immagina ed è questo che le impedisce innanzitutto di raggiungere la vera libertà. 
Ma colui che è capace di raggiungere qualcosa arriva prima o poi alla conclusione che la sua libertà è una illusione, ed allora acconsente di sacrificare questa illusione. Diventa schiavo volontariamente. Fa ciò che gli si dice di fare, ripete ciò che gli si dice si ripetere, e pensa ciò che gli si dice di pensare. Non ha paura di perdere alcunché, perché sa che non possiede niente. [...] [...]
Quando un uomo arriva alla conclusione che non può vivere e che non desidera vivere più a lungo nel modo in cui è vissuto fino allora, quando vede realmente tutto ciò che costituisce la sua vita e decide di lavorare, deve essere sincero verso se stesso per non cadere in una situazione ancora peggiore. Perché non c'è niente di peggio che incominciare il lavoro su di se, poi lasciarlo e ritrovarsi su due sedie; sarebbe meglio non cominciare affatto. 


NON FATE COME LA STORIA DEL LUPO:
"C'era una volta un lupo che faceva grande massacro di pecore e seminava la desolazione nei villaggi. "A lungo andare, non so proprio perché, fu improvvisamente preso dai rimorsi e si pentì; così decise di cambiare e di non sgozzare più pecore. 
"Allo scopo di mantenere seriamente la sua promessa, andò a trovare il curato e gli domandò di celebrare per lui una messa di ringraziamento. 
"Il curato incominciò la cerimonia; il lupo vi assisteva singhiozzando e pregando. La messa durò a lungo. Poiché il lupo aveva distrutto molte pecore del curato, costui pregava con ardore affinché il lupo si ravvedesse davvero, Ad un tratto il lupo, volto lo sguardo alla finestra, vide le pecore che rientravano all'ovile. Non poteva più rimanere fermo al suo posto; ma il curato si dilungava nelle sue preghiere. "Alla fine il lupo non poté più trattenersi oltre e gridò: 
"Finiamola, curato! Altrimenti rientreranno tutte, e non avrò più niente per cena!". 
"È un racconto spiritoso, perché dipinge l'uomo in modo ammirevole: l'uomo è pronto a sacrificare tutto, ma se si tratta del suo pranzo quotidiano è un'altra faccenda ... 
"L'UOMO VUOL SEMPRE COMINCIARE DA QUALCOSA DI GRANDE. PURTROPPO È IMPOSSIBILE; NON ABBIAMO SCELTA: DOBBIAMO COMINCIARE CON LE COSE DI OGNI GIORNO".


Tutta la materia del mondo che ci circonda, il cibo che mangiamo, l'acqua che beviamo, l'aria che respiriamo, le pietre di cui sono costruite le nostre case, gli stessi nostri corpi, OGNI COSA È ATTRAVERSATA DA TUTTE LE MATERIE ESISTENTI NELL'UNIVERSO. Non è necessario studiare scientificamente il sole per scoprire la materia del mondo solare: questa materia esiste in noi stessi ed è il risultato della divisione dei nostri atomi. Allo stesso modo, abbiamo in noi la materia di tutti gli altri mondi. L'UOMO È UN 'UNIVERSO IN MINIATURA', nel vero senso della parola. In lui esistono tutte le materie di cui è formato l'universo. Le stesse forze, le stesse leggi che reggono la vita dell'universo agiscono in lui. Proprio per questo, STUDIANDO L'UOMO, CI È POSSIBILE STUDIARE L'UNIVERSO INTERO, ESATTAMENTE COME, STUDIANDO IL MONDO, POSSIAMO STUDIARE L'UOMO. "Ma un parallelo completo tra l'uomo e il mondo può essere stabilito soltanto se consideriamo l'uomo nel pieno senso di questa parola: un uomo in cui siano completamente sviluppati i poteri interiori inerenti. Un uomo non sviluppato, un uomo che non ha completato il corso della sua evoluzione, non può essere considerato come un'immagine completa o perfetta dell'universo: è un mondo non finito.
G. J. Gurdjieff da "Frammenti di un insegnamento sconosciuto"  di P.D. Ouspensky



Discorrevamo molto intorno all'idea di miracolo, e al fatto che l'Assoluto non può manifestare la sua volontà nel nostro mondo, che questa volontà si manifesta soltanto sotto forma di leggi meccaniche e non può manifestarsi violando queste leggi.
Non so più chi tra di noi ricordò per primo un aneddoto ben conosciuto, ma poco rispettoso, nel quale vedemmo immediatamente una illustrazione di questa legge.
Si trattava della storia del vecchio seminarista che al suo esame finale continua a non capire l'idea dell'onnipotenza divina.
"Bene, fatemi un esempio di qualche cosa che il Signore non possa fare", dice il vescovo esaminatore.
"Non ci vuol molto, Vostra Eminenza', risponde il seminarista.
"Tutti sanno che il Signore stesso non può prendere l'asso di briscola con un comunissimo due".
Nulla poteva essere più lampante.
Vi era più senso in questa sciocca storiella che in mille trattati di teologia. Le leggi del gioco costituiscono l'essenza di quel gioco. Una violazione di queste leggi distruggerebbe l'intero gioco. L'Assoluto non può interferire nella nostra vita e sostituire altri risultati a quelli naturali delle cose accidentalmente create da noi, o al di fuori di noi, più di quanto possa prendere l'asso di briscola con il due. Gurdjieff scrisse da qualche parte che tutte le preghiere ordinarie possono essere ridotte a questa: "Signore, fate che due più due non faccia quattro".
Il che è la stessa cosa dell'asso di briscola del seminarista.
FRAMMENTI DI UN INSEGNAMENTO SCONOSCIUTO
di P. D. OUSPENSKY




LA MECCANICITÀ –La meccanicità – La Quarta Via (cap. 2) parte 3 *
Postata da associazioneperankh
Può un uomo smettere di essere una macchina?
“Ah! È proprio questo il problema! (..) Sì, è possibile smettere di essere una macchina ma, per questo, è necessario prima di tutto conoscere la macchina. Una macchina, una vera macchina, non conosce se stessa e non può conoscersi. Quando una macchina conosce se stessa, da quell’istante ha cessato di essere una macchina; per lo meno non è più la stessa macchina di prima. Comincia già ad essere responsabile delle proprie azioni.” P.D. Ouspensky 1
La constatazione del sonno dell’uomo, e l’assenza di unità di esso, creano un’altra importantissima caratteristica e questa è la sua completa meccanicità.
L’essere umano è una macchina controllata da influenze esterne e non ha la possibilità né di resistere, né di distinguerle l’una dall’altra o di studiare se stesso al di fuori di queste cose. Egli si vede sempre in movimento e ha l’illusione, radicatasi in lui da molto tempo e fortissima, di essere libero di andare dove vuole, di potersi muovere in base ai propri desideri, di poter andare a destra o a sinistra.
Egli non lo può fare: se va a destra ciò significa che non poteva andare a sinistra. In questo senso il termine volontà è un’idea sbagliatissima: non esiste. La volontà può esistere soltanto nell’uomo che ha un io che controlla, ma finché ha parecchi io che non si conoscono tra loro, egli ha esattamente altrettante volontà diverse.2
Noi siamo delle macchine. Siamo totalmente condizionati dalle circostanze esteriori. Tutte le nostre azioni seguono la linea di minor resistenza alla pressione delle circostanze esterne. Fatene esperienza: potete comandare le vostre emozioni? No. Potete cercare di sopprimerle, o di cacciarne una con l’altra. Però voi non potete controllarle: al contrario, esse controllano voi.3
È necessario cominciare ad osservare che non si può produrre alcuna azione da soli: l’uomo è soltanto una stazione trasmittente, niente di più.
Quando sentiamo parlare di meccanicità spesso pensiamo che, sebbene l’uomo sia una macchina, non tutte le sue funzioni sono egualmente meccaniche, né lo sono tutte le sue attività. In realtà tutte le attività umane sono egualmente meccaniche, non esiste in questo senso differenza tra strofinare un pavimento e scrivere poesie.
In termini generali, bisogna comprendere che è necessaria una completa rivalutazione di tutti i valori sotto il profilo della loro utilità; senza rivalutazione non possiamo mai spostarci dal punto in cui ora ci troviamo. Abbiamo parecchi valori sbagliati: dobbiamo essere coraggiosi e cominciare questa rivalutazione.4
L’uomo è una macchina. Tutto quello che fa, tutte le sue azioni, le sue parole, pensieri, sentimenti, convinzioni, opinioni, abitudini, sono i risultati di influenze esteriori, di impressioni esteriori. Di per se stesso un uomo non può produrre un solo pensiero, una sola azione. Tutto quello che dice, fa, pensa, sente – accade.5
L’essere umano si rende conto di cosa sia la meccanicità quando vede, o scopre nella sua memoria, quanto del tutto meccanicamente può fare le cose più abominevoli, cose che in seguito non potrebbe comprendere come mai abbia potuto farle. Tutta la nostra vita facciamo meccanicamente ciò che non faremmo mai consapevolmente. Ciò è quanto dobbiamo comprendere. Se guardiamo attraverso la nostra vita, anno dopo anno, mese dopo mese, scorgiamo cose che non avremmo mai fatto consapevolmente, o cose che non abbiamo mai fatto e che avremmo fatto se fossimo stati consapevoli. Questo è il modo in cui occorre pensare circa la meccanicità.6
È un fatto innegabile che i primi sforzi che una persona compirà nella direzione di una maggiore consapevolezza di sé sguscino via, scompaiano, fino a ritrovarsi nuovamente senza nulla di compiuto. Ecco allora che ricomincerà ancora una volta con qualche sforzo consapevole, e di nuovo esso sfuggirà via. Il problema è come impedirgli di sparire. Nelle nostre ordinarie maniere di pensare e sentire le tendenze meccaniche ci indirizzano sempre nel solito modo. Vogliamo pensare in un’altra maniera, sentire in modo nuovo, ma nulla accade, perché ci sono tante vecchie tendenze che ci obbligano a fare marcia indietro. Ecco perché occorre studiare queste tendenze e gettare luce su di loro, prima tra tutte sull’inerzia della mente. Allora, se lo si farà, ventiquattro ore non saranno sufficienti e la vita diventerà pienissima.7
Se una persona vuole assicurarsi se è meccanica oppure no, è necessario che faccia qualcosa che una macchina non può fare: se è un collerico può provare a non arrabbiarsi per un mese, se è una vittima a non lamentarsi, se è un pigro a rimanere attivo e così via.
MECCANICITÀ E SINCERITÀ
Nel lavoro di scoperta e analisi della propria meccanicità diventa fondamentale una schietta e cruda sincerità con se stessi, dove per sincerità non s’intende un mero desiderio di esserlo (il solo desiderio di essere sinceri, infatti, non basta): la capacità di essere sinceri è una scienza. E persino la decisione di essere sinceri è difficilissima, in quanto ognuno di noi ha parecchie riserve.
Solamente la sincerità e il completo riconoscimento del fatto che siamo schiavi della meccanicità e dei suoi inevitabili risultati ci può aiutare a scoprire e ad annientare gli ostacoli con cui inganniamo noi stessi.8
L’osservazione di sé sconvolge completamente il modo di pensare di un uomo, e lo spoglia delle sue più piacevoli e tenere illusioni. All’inizio egli vede la propria totale impotenza di fronte a tutto, letteralmente tutto ciò che lo circonda. Tutto lo possiede, tutto lo domina. Egli non possiede, non domina nulla. Le cose lo attirano e lo respingono. Tutta la propria vita non è altro che una sottomissione alle proprie attrazioni e repulsioni.9
Come accennato precedentemente possiamo comprendere la meccanicità, e tutto il suo orrore, soltanto quando facciamo qualcosa di orribile e ci rendiamo pienamente conto che era la meccanicità in noi a farcelo fare. Ecco allora che per essere capaci di vedere ciò è necessario essere assai sinceri con se stessi. Se cerchiamo di coprirci, di scagionarci, di trovare scuse e spiegazioni, non ce ne renderemo mai conto. Questo ci può fare terribilmente male, ma dobbiamo sopportarlo e cercare di comprendere che solamente confessandolo interamente a noi stessi, possiamo evitare di continuare a ripeterlo. Possiamo addirittura cambiare i risultati mediante la comprensione piena e completa e mediante il non cercare di nasconderla.10
D’altronde l’attrito crea energia. Se le cose sono facili, non c’è attrito. Ma se si mettono i bastoni tra le ruote alla meccanicità, questo crea attrito, che a sua volta crea energia.11
Possiamo sottrarci ai tentacoli della meccanicità e infrangere il suo potere con grandi sofferenze. Se cerchiamo di evitare le sofferenze, se ne abbiamo paura, se cerchiamo di persuaderci che non è accaduto nulla di veramente cattivo, che, in fin dei conti, ciò non ha importanza e che le cose possono continuare ad andare come prima, non soltanto non ci sottrarremo, ma diverremo sempre più meccanici, e assai presto perverremo a uno stato in cui non ci sarà per noi una sola possibilità e una sola opportunità.12
Un uomo non è necessariamente quel che sembra, e non sono i fatti esteriori e le situazioni che contano, ma la struttura interna dell’uomo e il suo atteggiamento in rapporto a quei fatti.
Ma forse pensate che quanto abbiamo appena detto sia vero soltanto per le associazioni passeggere. Forse la situazione è diversa rispetto alle cose che l’uomo “conosce” (…). Ma, a dispetto di tutte queste conoscenze, non siamo spesso lontani dalla vita reale, e quindi disadattati? Noi siamo sviluppati a metà, come i girini, o, più spesso ancora, semplicemente “istruiti”, cioè in possesso di frammenti di informazioni su tante cose, ma tutte vaghe e inadeguate (…). Infatti un uomo “conosce” soltanto quando egli stesso “è” quella conoscenza.
(…) Ognuno di voi non è che un banale esemplare di automa animato. Probabilmente pensate che, per fare ciò che fate e per vivere come vivete, siano necessari un’”anima” e persino uno “spirito”. Ma forse basta una chiavetta per ricaricare questa molla e a rinnovare continuamente l’inutile sarabanda delle vostre associazioni.
Da questo sfondo emergono dei pensieri slegati, che voi cercate di connettere insieme presentandoli come preziosi e personali. E, altrettanto, coi sentimenti e le sensazioni passeggere, con gli umori e le esperienze vissute, ci creiamo il miraggio di una vita interiore. Ci vantiamo di essere coscienti, capaci di ragionamento, parliamo di Dio, dell’eternità, della vita eterna, e di argomenti elevati; parliamo di tutto ciò che si può immaginare; discutiamo, definiamo e valutiamo, ma omettiamo di parlare di noi stessi e del nostro reale valore oggettivo. Infatti siamo tutti convinti che se ci manca qualcosa, possiamo sicuramente acquisirlo.
Se con tutte le cose che ho detto sono riuscito a chiarire, anche minimamente, in quale caos vive quest’essere che chiamiamo uomo, voi stessi sarete in grado di trovare una risposta alla domanda di ciò che gli manca, di ciò che può aspettarsi restando com’è, di quali valori può aggiungere al valore che ha.
Ho già detto che certi uomini hanno fame e sete di verità: se un uomo del genere si interroga sui problemi della vita ed è sincero con se stesso, si convincerà presto che non gli è più possibile vivere come ha vissuto, né essere ciò che è stato finora; che ha bisogno ad ogni costo di trovare una via d’uscita da questa situazione, e che un uomo può sviluppare dei poteri e capacità nascoste soltanto ripulendo la propria macchina da ogni incrostazione accumulata nel corso della vita. 13
1 P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio, 1976 (pg. 23).
2 P.D. Ouspensky, La Quarta Via, Astrolabio, 1974 (pg. 24).
3 G.I. Gurdjieff, Vedute sul mondo del reale, Neri Pozza, 2000 (81).
4 P.D. Ouspensky, La Quarta Via, Astrolabio, 1974 (pg. 43).
5 P.D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio, 1976 (pg. 27).
6 P.D. Ouspensky, La Quarta Via, Astrolabio, 1974 (pg. 81).
7 P.D. Ouspensky, La Quarta Via, Astrolabio, 1974 (pg. 145).
8 P.D. Ouspensky, La Quarta Via, Astrolabio, 1974 (pg. 191).
9 G.I. Gurdjieff, Vedute sul mondo del reale, Neri Pozza, 2000 (78).
10 P.D. Ouspensky, La Quarta Via, Astrolabio, 1974 (pg. 192).
11 P.D. Ouspensky, La Quarta Via, Astrolabio, 1974 (pg. 300).
12 P.D. Ouspensky, La Quarta Via, Astrolabio, 1974 (pg. 192).
13 G.I. Gurdjieff, Vedute sul mondo del reale, Neri Pozza, 2000 (pgg. 55-56).





Gurdjieff – un padre della psicosintesi 
 di Fabio Guidi

Gurdjieff – un padre della psicosintesi di Fabio Guidi
di Fabio Guidi
In principio fu…
Carl Gustav Jung, in una lettera dell’aprile del 1909 a Freud, ebbe ad affermare, in disaccordo con il maestro viennese, che “se esiste una psicoanalisi, dev’esserci anche una psicosintesi”, orientata al futuro della psiche e non semplicemente al suo passato. Ciò sta a indicare che l’espressione ‘psicosintesi’, seppur affermatasi a partire dall’opera di Roberto Assagioli non può essere circoscritta al movimento omonimo inaugurato dallo psichiatra fiorentino, così come l’espressione ‘psicoanalisi’ – che ormai conta innumerevoli approcci al proprio interno – non può certamente essere ridotta al metodo classico elaborato da Freud.
Assagioli, per la preparazione della sua tesi di laurea in medicina, si trasferì alla fine del 1907 (aveva appena 19 anni!) alla clinica psichiatrica universitaria di Zurigo, il Burgholzli, dove ebbe modo di conoscere Jung. È del tutto plausibile che l’assunzione del termine ‘psicosintesi’ da parte di Assagioli si debba alla cordiale frequentazione negli anni successivi con lo psichiatra svizzero – tanto più che in quel periodo Assagioli utilizzava il termine «psicagogia» per riferirsi al suo nuovo orientamento.
Alcuni anni dopo, nel 1926, Assagioli pubblicò un opuscolo in lingua inglese, Psychosyntesis – A new method of Healing, e, finalmente, nel 1933 la scuola da lui fondata a Roma prese il nome ufficiale di Istituto di Psicosintesi. Molti anni dopo, nel 1966, in una lezione tenuta all’Istituto, lo psichiatra fiorentino affermerà che “Jung è fra tutti gli psicoterapeuti quello che è più affine e vicino alle posizioni e alla prassi della Psicosintesi”.

Psicosintesi, la prima tappa della crescita interiore
La ‘psicosintesi’, in definitiva, costituisce non tanto una particolare scuola psicologica, quanto una tappa determinata del lavoro di crescita interiore. Jung fu il primo a osservare che, dopo una fase analitica, qualora il trattamento arrivi a un punto morto, la «cura dell’anima» deve aprirsi a una nuova fase psicosintetica. Da questa idea nasce l’intero geniale lavoro dello psichiatra svizzero, il quale una volta osservò, durante una sua conferenza, “ciò che io ho da dire inizia dove la cura finisce e inizia lo sviluppo”.
Ecco, la ‘psicosintesi’, di per sé, non si occupa di terapia in senso stretto, ma di tutto quanto riguarda l’evoluzione interiore dell’uomo, cioè il pieno sviluppo delle sue potenzialità, la realizzazione della sua Essenza. È evidente, pertanto, come la ‘psicosintesi’ rappresenti un contenitore molto vasto in cui possono essere fatte rientrare scuole apparentemente assai diversificate.
Ora, se la relazione tra Jung e Assagioli, in ordine alla teoria e alla prassi psicosintetica, è fuori discussione, non molti sanno che nell’Inghilterra all’inizio degli anni Venti, il «mondo della psicosintesi» – così come viene riferito da James Moore – si raccolse intorno a un personaggio di primo rilievo, vale a dire l’ineffabile maestro armeno George Ivanovitch Gurdjieff. Soprattutto è da segnalare la figura dello psichiatra Maurice Nicoll, che era stato prima intimo amico, collaboratore e probabile successore di Jung, ma in seguito si era trasferito presso l’Istituto per lo Sviluppo Armonico dell’Uomo, fondato da Gurdjieff nei pressi di Parigi, diventandone allievo per un intero anno (1922-1923). Può essere interessante anche osservare che lo stesso Jung – a detta di H. J. Sharp – pare abbia intrattenuto almeno in un’occasio ne una conversazione privata con Gurdjieff, anche se non esistono documenti letterari che testimonino il rapporto tra i due.
Queste note introduttive di tipo storico, diciamo così, ci sono utili per indagare il significato intimo del termine ‘psicosintesi’. A questo scopo, dobbiamo anzitutto osservare che le idee fondamentali di Gurdjieff riguardo al ‘Lavoro’ si ritrovano in modo sorprendente all’interno della Psicologia Transpersonale, nell’elaborazione assagioliana della Psicosintesi. Vediamo un po’ meglio questo punto.

Gurdieff, l’unione tra  psicosintesi e spiritualità
Gurdjieff non parla mai, in riferimento al suo «Lavoro», di spiritualità. Dice solo che l’uomo ordinario è profondamente addormentato e che ha bisogno di una serie di sveglie, sempre più potenti, per poter attingere a un qualche grado di coscienza di sé. Per far questo l’uomo ha bisogno di lavorare all’interno di un gruppo, sotto le direttive di qualcuno che, in base alla sua esperienza di lavoro svolto precedentemente su di sé, sia in grado di organizzare l’attività. “Il lavoro comincia di solito con un piccolo gruppo. Questo gruppo è generalmente in rapporto con tutta una serie di gruppi analoghi di differenti livelli che costituiscono, presi nel loro insieme, ciò che può essere chiamato una scuola preparatoria.”
Una ‘scuola preparatoria’ è ciò che costituisce l’impegno necessario per poter poi accedere al lavoro spirituale vero e proprio. Anche una scuola preparatoria non è consentita a tutti, ma solo a coloro che dimostrano di essere sufficientemente ‘adulti’. Gurdjieff, in una lezione tenuta nel 1923 agli allievi del Prieuré, ricordava loro che “qui facciamo solo cose che si addicono a persone adulte”, intendendo che la scuola era riservata solo a chi fosse in grado di mantenere il distacco – da sé e dalle proprie nevrosi – necessario a mantenere la giusta motivazione e l’impegno preso a portare avanti il Lavoro. Colui che manifesta atteggiamenti infantili è più adatto alla terapia, almeno fino a quando non diventi sufficientemente centrato.
Per indicare questa fase preparatoria al lavoro spirituale vero e proprio, Assagioli parla di «psicosintesi autoformativa», che – a differenza della terapia – è rivolta a coloro che, sufficientemente liberi dalla sofferenza psichica, “vogliono diventare i signori del proprio reame interno”.
In pieno accordo con il Lavoro gurdjieffiano, la psicosintesi di Assagioli è, di per sé, “una concezione dinamica e, si potrebbe dire, drammatica della vita psichica , quale lotta fra una molteplicità di forze ribelli e contrastanti e un Centro unificatore che tende a dominarle, a comporle in armonia, a impiegarle nei modi più utili e creativi. La psicosintesi è poi un insieme di metodi di azione psicologica volti a favorire e a promuovere quell’integrazione e armonia della personalità umana”.
Tale armonizzazione renderà possibile uno sviluppo successivo sul piano spirituale, meta della psicosintesi transpersonale, ciò che Gurdjieff definisce, semplicemente, la Via.
Cambia il linguaggio, così come l’accento su certi strumenti piuttosto che altri, ma il modello di fondo rimane lo stesso. Tale «modello psicosintetico», successivo al lavoro psicoanalitico e preparatorio a quello spirituale, può essere riassunto in breve, soffermandoci su alcuni sostanziali aspetti gurdjieffiani della Psicosintesi di Assagioli. Del resto, è assodato che lo psichiatra fiorentino conoscesse la «Quarta Via» di Gurdjieff, attraverso gli scritti del suo più brillante espositore, Ouspensky.
La constatazione di base riguarda la fondamentale molteplicità dell’essere umano. Gurdjieff è chiaro in proposito: “L’uomo è un essere multiplo. Solitamente, parlando di noi stessi, diciamo ‘io’. Diciamo: io faccio questo, io penso quello, io voglio fare quell’altro. Ma è un errore. Questo io non esiste o, meglio, in ciascuno di noi ci sono centinaia, migliaia di piccoli io.” Assagioli, analogamente, parla di «sub-personalità» – un concetto fondamentale della Psicosintesi – affermando che, per risvegliarci, “occorre innanzitutto fare un atto di coraggio e guardare in faccia la realtà; occorre riconoscere la molteplicità psicologica che è in noi, le varie sub-personalità che in noi coesistono.”
Dalla prima costatazione deriva automaticamente la seconda: l’uomo è un essere impotente, incapace di ‘fare’ alcunché, fino a quando non sviluppa una vera volontà. Gurdjieff non nutre un particolare ottimismo nei confronti dell’uomo ordinario: “Noi siamo delle macchine. Siamo totalmente condizionati dalle circostanze esteriori. Tutte le nostre azioni seguono la linea di minor resistenza alla pressione delle circostanze esterne.” Anche per Assagioli non è possibile parlare di una volontà, se prima l’individuo non ha raggiunto un centro sufficientemente stabile. “L’Io e la volontà sono intimamente legati”, egli afferma, il che significa che in assenza di un Io centrale (il gurdjieffiano «centro di gravità permanente»), si fanno strada solo gl’innumerevoli impulsi e desideri dei diversi e contrastanti piccoli io, o subpersonalità.

Conosci te stesso e conquisterai il mondo
Il primo passo per ottenere un reale possesso di sé e la libertà interiore consiste nel seguire il motto socratico del «conosci te stesso». “Ciò che è più vicino a noi è l’uomo e, tra tutti gli uomini, tu sei quello più vicino a te stesso. Inizia a studiare te stesso; ricorda il detto «Conosci te stesso»”, ci ricorda Gurdjieff, nel senso di un’osservazione attenta e sistematica di ogni aspetto dei nostri condizionamenti caratteriali. È risaputo che il motto della Psicosintesi assagioliana è «Conosci possiedi trasforma te stesso» e che, al suo interno, “il primo passo, perciò, consiste nell’accorgersi di tutto quello che esiste e si agita in noi.” Solamente attraverso la conoscenza di sé possiamo aspirare all’acquisizione di un dominio interiore e, infine, alla trasformazione della nostra personalità in accordo con il Sé profondo.
Il lavoro su di sé prevede la comprensione profonda degli elementi fisico, emotivo e mentale della personalità, in modo da sviluppare gli aspetti carenti e integrarli successivamente intorno a un centro superiore. Gurdjieff descrive questi tre elementi (o «centri») attraverso l’analogia della carrozza: “Forse rammentate che avevo paragonato l’uomo a una carrozza con un padrone, un cocchiere, un cavallo e una vettura. Il padrone è fuori discussione perché non c’è.” La vettura rappresenta il centro fisico, il cavallo il centro emotivo e il cocchiere quello mentale. Il padrone, che rappresenta la vera soggettività, non è preso in considerazione da Gurdjieff, in quanto l’uomo ordinario – come già abbiamo avuto modo di notare – non possiede un vero Io. Ugualmente, Assagioli divide la personalità umana nelle sue componenti fisica, emotiva e mentale, a cui si aggiunge la componente spirituale, il Sé profondo, che potrà affermarsi solo dopo aver raggiunto lo sviluppo e l’armonizzazione dei primi tre aspetti.

Il nutrimento essenziale è quello del proprio sé
La conoscenza delle leggi dello psichismo deve orientare l’intera esistenza, dal momento che il «lavoro» su di sé non può essere limitato all’esercizio di certe attività e alla pratica di alcune tecniche. Gurdjieff ci invita a porre una continua attenzione a tutto ciò che contribuisce a determinare il nostro ‘livello d’essere’: “L’organismo umano riceve tre tipi di nutrimento: 1) il cibo che mangiamo; 2) l’aria che respiriamo; 3) le nostre impressioni. Non è difficile capire che l’aria è un genere di alimento per l’organismo, ma può apparire difficile, a prima vista, comprendere come le impressioni possano essere un nutrimento. Dobbiamo tuttavia ricordarci che ogni impressione esterna, sia che prenda la forma di suono, di visione, di odore, noi riceviamo dall’esterno una certa quantità [e qualità, NdA] di energia, un certo numero di vibrazioni. Questa energia che dall’esterno penetra nell’organismo è un nutrimento.”
Anche Assagioli sottolinea l’importanza di coltivare “un atteggiamento generale verso la vita di ogni giorno”, attraverso l’utilizzo sapiente delle «leggi psicologiche». Una vera e propria coscienza psico-ecologica è consapevole delle energie che inevitabilmente assorbiamo attraverso le persone o gli ambienti che frequentiamo, delle immagini, della musica e delle informazioni che riceviamo, delle letture che facciamo, dell’influenza dei nostri atteggiamenti corporei sulla nostra psiche, e così via.
Per concludere, ogni serio lavoro che rispetti i punti precedenti, può a ben ragione definirsi ‘psicosintesi’. Analogamente, un intervento che intenda collocarsi all’interno della scuola assagioliana e non li onori, rimane al di fuori dello spirito psicosintetico e si riduce a pura ‘imitazione’, un guscio vuoto.





http://www.artediessere.com/gurdjieff-un-padre-della-psicosintesi/



Brani scelti da

Discorsi e Scritti di G. I. Gurdjeff


Ogni ramo della scienza cerca di elaborare e stabilire un linguaggio esatto per se stesso. Non vi è però un linguaggio universale. Per una comprensione esatta è necessario un linguaggio esatto…. Questo nuovo linguaggio si basa sul principio della relatività; vale a dire che introduce la relatività in tutti i concetti e perciò rende possibile un’accurata determinazione dell’angolatura di pensiero – rendendo possibile stabilire immediatamente ciò che si sta dicendo, da quale punto di vista ed in relazione a che cosa. In questo nuovo linguaggio, tutte le idee sono concentrate attorno ad una sola idea. Quest’idea centrale è l’idea di evoluzione…. e l’evoluzione dell’uomo è l’evoluzione della sua coscienza.
FRAMMENTI DI UN INSEGNAMENTO SCONOSCIUTO

Filosofia e Religione

ESISTONO MENTI CHE SI INTERROGANO, che desiderano la verità del cuore, la cercano, si sforzano di risolvere i problemi generati dalla vita, cercano di penetrare l’essenza delle cose e dei fenomeni, e di penetrare in loro stesse. Se un uomo ragiona e pensa bene, non ha importanza quale cammino egli segua per risolvere questi problemi, deve inevitabilmente ritornare a se stesso, ed incominciare dalla soluzione del problema di che cosa egli stesso sia e di quale sia il suo posto nel mondo attorno a lui. Perché senza questa conoscenza egli non avrà un punto focale nella sua ricerca. Le parole di Socrate “Conosci te stesso” perdurano per tutti coloro che cercano la vera conoscenza ed il vero essere.
VEDUTE DAL MONDO REALE


LA LIBERAZIONE CONDUCE ALLA LIBERAZIONE. Queste sono le prime parole di verità, non una verità fra virgolette, la verità nel vero senso della parola; verità che non è solo teorica, non semplicemente una parola, ma verità che può essere compresa in pratica. Il significato che sta dietro a queste parole può essere spiegato così: 
     Per liberazione si intende la liberazione che è lo scopo di tutte le scuole, di tutte le religioni, in ogni tempo. 
     Questa liberazione può di fatto essere molto grande. Tutti gli uomini la desiderano e si sforzano per averla. Essa però non può essere ottenuta senza la prima liberazione, una liberazione minore. La grande liberazione è la liberazione dalle influenze all’esterno di noi. La liberazione minore è la liberazione dalle influenze dentro di noi.

VEDUTE DAL MONDO REALE


RELIGIONE E’ FARE; un uomo non si limita a pensare alla propria religione o a sentirla con l’emozione, egli “vive” la sua religione per quanto gli riesce, altrimenti non è religione ma fantasia o filosofia. Gli piaccia o meno, egli mostra il suo atteggiamento nei riguardi della religione con le sue azioni e può mostrare il suo atteggiamento solo con le sue azioni. Perciò, se le sue azioni sono opposte a quelle che sono richieste da una data religione, egli non può sostenere di far parte di quella religione.
FRAMMENTI DI UN INSEGNAMENTO SCONOSCIUTO


SI DEVE IMPARARE A PREGARE, COSI’ COME SI DEVE IMPARARE TUTTO IL RESTO. Chiunque sappia come pregare e sia in grado di concentrarsi nel modo corretto, avrà risultati dalla sua preghiera. Va compreso però che vi sono diverse preghiere e che il loro risultato è diverso. E’ un qualcosa che si conosce anche con la liturgia ordinaria. Quando però parliamo di preghiera o del risultato della preghiera, intendiamo sempre solo un tipo di preghiera, la richiesta, oppure riteniamo che la richiesta possa essere messa insieme a tutti gli altri generi di preghiere…. La maggior parte delle preghiere non ha nulla in comune con le richieste. Parlo di antiche preghiere, molte di esse sono molto più antiche del Cristianesimo. Queste preghiere sono, per dire così, ricapitolazioni; ripetendole ad alta voce o dentro di sé un uomo cerca di comprendere che cosa vi sia in esse, il loro intero contenuto, con la sua mente e con le sue emozioni.
FRAMMENTI DI UN INSEGNAMENTO SCONOSCIUTO


IL COMANDAMENTO INCULCATOMI NELL’INFANZIA, che ingiunge che “l’obiettivo ed il senso più elevato della vita umana è sforzarsi di raggiungere il benessere del proprio prossimo” e ciò è possibile solo mediante la rinuncia cosciente al proprio benessere.
I RACCONTI DI BELZEBÙ


TUTTI GLI ESSERI DI QUESTO PIANETA INCOMINCIARONO ALLORA A LAVORARE per avere nella loro coscienza questa funzione Divina di genuina coscienza e, a questo scopo, come ovunque nell’Universo, essi transustanziarono in loro stessi quelli che sono chiamati i “partldogdoveri esserici” che consistono nei seguenti cinque: 
     Il primo dovere: avere nel proprio essere-esistenza tutto quanto soddisfi e sia veramente necessario per il proprio corpo planetario. 
     Il secondo dovere: avere un bisogno istintivo, costante ed inflessibile, per l’auto-perfezione nel senso dell’essere. 
     Il terzo: lo sforzo cosciente di conoscere sempre di più sulle leggi della creazione del Mondo e del mantenimento del Mondo. 
     Il quarto: lo sforzo, dall’inizio della propria esistenza, di pagare al più presto il debito del proprio nascere e della propria individualità, in modo di essere liberi di alleviare il più possibile il Dolore del nostro Padre Comune. 
     Ed il quinto: lo sforzo di prestare sempre assistenza al perfezionamento più rapido possibile di altri esseri, sia quelli simili sia a quelli di altre forme, fino al grado del sacro ‘Martfotai,’ ovvero fino al grado dell’auto-individualità.

I RACCONTI DI BELZEBÙ


E’ MOLTO DIFFICILE SPIEGARE CHE COSA AVVIENE IN ME Quando vedo o odo un qualcosa di maestoso che non lascia dubbi al fatto che esso venga dall’attualizzazione del Nostro Fattore Creatore. Ogni volta, le mie lacrime sgorgano da sole. Piango, ovvero, esso piange in me, non per dolore, no, ma come se fosse tenerezza. Sono divenuto così gradualmente, dopo aver incontrato Padre Giovanni… 
     Dopo quell’incontro, tutto il mio mondo interno ed esterno è divenuto per me molto differente. Nella visione definita che si era andata radicandosi in me nel corso della mia vita, si è verificata, come fosse avvenuta da sola, una rivalutazione di tutti i valori. 
     Prima di quella riunione, ero un uomo interamente immerso nei miei interessi e piaceri personali, ed anche negli interessi e piaceri dei miei figli. Sono sempre stato occupato in pensieri volti a come soddisfare al meglio le mie necessità, e quelle dei miei figli. 
     Prima, si può dire, tutto il mio essere era posseduto dall’egoismo. Tutte le mie manifestazioni ed esperienze fluivano dalla mia vanità. L’incontro con Padre Giovanni ha ucciso tutto ciò, e da allora è gradualmente cresciuto in me quel “qualcosa” che ha portato tutto di me all’incrollabile convinzione che, a parte le vanità della vita, esista “qualcos’altro” che deve essere lo scopo e l’ideale di tutti gli uomini che pensino più o meno, e che è solo questo qualcos’altro che può rendere un uomo veramente felice e dargli valori reali, invece dei “beni” illusori di cui egli è pieno sempre ed in ogni cosa nella vita ordinaria.

Il Professor Skridlov, INCONTRI CON UOMINI STRAORDINARI



SI,’ PROFESSORE, LA CONOSCENZA E LA COMPRENSIONE SONO MOLTO DIFFERENTI. Solo la comprensione può condurre ad essere, mentre la conoscenza è solo una presenza di passaggio in esso. La nuova conoscenza prende il posto della vecchia ed il risultato è come se fosse versare del nulla nel vuoto. 
     Bisogna sforzarsi di comprendere; solo questo può condurci al Signore nostro Dio. 
     E per essere in grado di comprendere i fenomeni della natura, conformi o non conformi alle leggi, che si verificano attorno a noi, si deve in primo luogo percepire coscientemente ed assimilare una massa di informazioni relative alla verità oggettiva ed agli eventi reali che sono avvenuti sulla terra in passato; e, in secondo luogo, si deve tenere in se stesso tutti i risultati di tutti i tipi di esperienze volontarie ed involontarie.

INCONTRI CON UOMINI STRAORDINARI


LA FEDE NON PUO’ ESSERE DATA ALL’UOMO. La fede sorge in un uomo ed aumenta nelle sue azioni in lui non per effetto di un apprendimento automatico, ovvero non da una qualunque forma di accertamento di altezza, larghezza, spessore, forma e peso, o dalla percezione di qualcosa mediante la vista, l’udito, il tatto, l’olfatto o il gusto, ma dalla comprensione. 
     La comprensione è l’essenza ottenuta da informazioni apprese intenzionalmente e da tutti i tipi di esperienza personalmente esperimentati.

INCONTRI CON UOMINI STRAORDINARI


TUTTE LE RELIGIONI PARLANO DI MORTE DURANTE QUESTA VITA SULLA TERRA. Prima della rinascita deve avvenire la morte. Ma che cosa deve morire? La falsa fiducia nella propria conoscenza, l’amor proprio e l’egoismo. Il nostro egoismo deve essere rotto. Dobbiamo comprendere che siamo macchine molto complicate, e perciò questo processo di rottura sarà necessariamente un compito lungo e difficile. Prima che la crescita vera e propria divenga possibile, la nostra personalità deve morire.
VEDUTE DAL MONDO REALE




LA VOLONTA’ E’ UN SEGNO DI UN ESSERE DI UN ORDINE DI ESISTENZA MOLTO ELEVATO rispetto all’essere di un uomo ordinario. Solo gli uomini in possesso di un essere di questo tipo sono in grado di “fare.” Tutti gli altri uomini sono semplicemente degli automi, messi in azione da forze esterne come macchine o giocattolini a molla, che agiscono nel modo e per il tempo in cui agisce il caricamento della molla, ed incapaci di aggiungere alcunché alla sua forza.
VEDUTE DAL MONDO REALE



La Fede della coscienza è libertà 
La Fede del sentimento è debolezza 
La Fede del corpo è stupidità.


L’Amore della coscienza richiama lo stesso in risposta 
L’Amore del sentimento richiama l’opposto 
L’Amore del corpo dipende solo dal tipo e dalla polarità.


La Speranza della coscienza è forza 
La Speranza del sentimento è schiavitù 
La Speranza del corpo è malattia.
I RACCONTI DI BELZEBÙ


Scienza e Psicologia

NELLA GIUSTA CONOSCENZA, lo studio dell’uomo deve procedere su linee parallele allo studio del mondo, e lo studio del mondo deve procedere in parallelo allo studio dell’uomo. Le leggi sono le stesse ovunque, nel modo come nell’uomo. Dopo esserci impadroniti dei principi di una qualunque legge, dobbiamo cercarne la manifestazione nello stesso tempo nel mondo e nell’uomo… Questo studio parallelo del mondo e dell’uomo mostra allo studente l’unità fondamentale di ogni cosa e lo aiuta a trovare analogie in fenomeni di ordine differente.
FRAMMENTI DI UN INSEGNAMENTO SCONOSCIUTO


POICHE’ TUTTO NELL’UNIVERSO E’ UNO, perciò, di conseguenza, ogni cosa ha uguali diritti, perciò da questo punto di vista la conoscenza può essere acquisita da uno studio appropriato e completo, indipendentemente da quale sia il punto di partenza. Solo, si deve sapere come “imparare.” Ciò che è più vicino a noi è l’uomo; e di tutti gli uomini, tu sei quello più vicino a te stesso. Incomincia con lo studio di te stesso; ricorda il detto “Conosci te stesso.”
VEDUTE DAL MONDO REALE


LA CONOSCENZA OGGETTIVA, PERO’, COMPRESA L’IDEA DI UNITA’ , appartiene alla coscienza oggettiva. Le forme che esprimono questa conoscenza, quando sono percepite dalla coscienza oggettiva, sono inevitabilmente distorte e, invece della verità, esse creano ancora più illusioni. Con la coscienza oggettiva è possibile vedere e percepire l’unità di ogni cosa. Per la coscienza soggettiva, però, il mondo è suddiviso in milioni di fenomeni separati e non collegati fra di loro. I tentativi di collegare questi fenomeni in una qualche sorta di sistema in modo scientifico o filosofico non conducono a nulla poiché l’uomo non può ricostruire l’idea del tutto a partire da fatti separati e non si possono scoprire i principi della divisione del tutto senza conoscere le leggi su cui si basa questa divisione.
FRAMMENTI DI UN INSEGNAMENTO SCONOSCIUTO


OGNI FENOMENO, SU QUALUNQUE SCALA ed in qualunque mondo possa avvenire, dai fenomeni molecolari a quelli cosmici, è il risultato della combinazione o dell’incontro di tre forze differenti o opposte. Il pensiero contemporaneo comprende l’esistenza di due forze, e la necessità di queste due forze per la produzione di un fenomeno: forza e resistenza, magnetismo positivo e negativo, elettricità positiva e negativa, cellule maschili e femminili, e via di seguito. Non osserva però neppure queste due forze sempre e dovunque. Non si è mai sollevata una questione rispetto alla terza forza, oppure se la questione è stata sollevata, non è quasi stata udita.
FRAMMENTI DI UN INSEGNAMENTO SCONOSCIUTO


TUTTO CIO’ E MOLTE ALTRE COSE POSSONO ESSERE SPIEGATE SOLO CON L’AIUTO DELLA LEGGE DELL’OTTAVA unitamente ad una comprensione del ruolo e dei significati degli “intervalli” che fanno sì che la linea di sviluppo della forza cambi costantemente, proceda per linee interrotte, giri in tondo, divenga il proprio opposto, e via di seguito. 
     Un tale corso delle cose, ovvero, un cambiamento di direzione, lo possiamo osservare ovunque. Dopo un certo periodo di attività energetica o di forte emozione, o una corretta comprensione, giunge una reazione, il lavoro diviene tedioso e stancante; nell’emozione si insinuano momenti di fatica o di indifferenza; invece di un pensiero corretto si inizia la ricerca di compromessi; la soppressione, l’evasione da questioni difficili. 
     La linea però continua a svilupparsi sebbene non nella stessa direzione dell’inizio. Il lavoro diviene meccanico, il sentimento diviene sempre più debole, scende al livello dei comuni eventi del giorno, il pensiero diviene dogmatico, letterale. Tutto procede in questo modo per un certo periodo, poi nuovamente vi è una reazione , di nuovo un arresto, di nuovo una deviazione. La forza può continuare a svilupparsi, ma il lavoro che si era iniziato con grande zelo ed entusiasmo è divenuta una formalità obbligatoria ed inutile; nel sentimento si è insinuata una grande quantità di elementi estranei: considerazione, malumore, irritazione, ostilità; il pensiero gira in tondo, ripetendo ciò che si conosceva prima, e si perde sempre più la via d’uscita che era stata trovata. Lo stesso avviene in tutte le sfere dell’attività umana. Possiamo osservare nella letteratura, nella scienza, nell’arte, nella filosofia, nella religione, nella vita individuale e soprattutto sociale e politica come la linea dello sviluppo di forze devii dalla propria direzione originaria e, dopo un certo tempo, vada in una direzione diametralmente opposta, pur conservando il nome precedente.

FRAMMENTI DI UN INSEGNAMENTO SCONOSCIUTO


VI CHIEDO DI NON CREDERE A NULLA che non possiate verificare voi stessi.
VEDUTE DAL MONDO REALE


L’EVOLUZIONE DELL’UOMO PUO’ ESSERE CONSIDERATA COME LO SVILUPPO IN LUI di quei poteri e quelle possibilità che non si sviluppano mai da sole, ovvero in modo meccanico. Solo questo tipo di sviluppo, solo questo tipo di crescita consente una reale evoluzione dell’uomo. Non vi è, né vi può essere un qualsiasi altro tipo di evoluzione… 
     Parlando di evoluzione, è necessario comprendere fin dall’inizio che non è possibile alcuna evoluzione meccanica. L’evoluzione dell’uomo è l’evoluzione della sua coscienza.E la coscienza non può evolvere incoscientemente. L’evoluzione dell’uomo è l’evoluzione della sua volontà, e la “volontà” non può evolvere involontariamente. L’evoluzione dell’uomo è l’evoluzione del suo potere di fare e “fare” non può essere il risultato di cose che “succedono.”

FRAMMENTI DI UN INSEGNAMENTO SCONOSCIUTO


L’ESSERE DI DUE PERSONE DIFFERISCE PERO’ l’uno dall’altro molto di più che non l’essere di un minerale e di un animale. Questo è esattamente ciò che la gente non comprende. Essi non comprendono che la conoscenza dipende dall’essere. Non solo essi non comprendono quest’ultima cosa, ma non intendono assolutamente comprenderla. Soprattutto nella cultura occidentale si considera che un uomo possa possedere una grande conoscenza, ad esempio possa essere uno scienziato, fare delle scoperte, far progredire la scienza, ed allo stesso tempo esso possa essere, ed abbia il diritto di essere, un uomo meschino, egoista, cavilloso, cattivo, invidioso, vano, ingenuo e distratto. Sembra che qui si ritenga che un professore debba sempre dimenticare il proprio ombrello dappertutto.
FRAMMENTI DI UN INSEGNAMENTO SCONOSCIUTO


VI SONO DUE LINEE LUNGO LE QUALI PROCEDE LO SVILUPPO DELL’UOMO, la linea della conoscenza e la linea dell’essere. Nella giusta evoluzione, la linea della conoscenza e la linea dell’essere si sviluppano simultaneamente, in parallelo, e si aiutano l’una con l’altra. Se però la linea della conoscenza va troppo più in avanti della linea dell’essere, o se la linea dell’essere va in avanti rispetto alla linea della conoscenza, lo sviluppo dell’uomo non procede in modo corretto, e prima o poi giungerà ad un punto morto.
FRAMMENTI DI UN INSEGNAMENTO SCONOSCIUTO


IL POTERE DI CAMBIARE SE STESSI NON E’ NELLA MENTE, ma nel corpo e nei sentimenti. Purtroppo, però, il nostro corpo ed i nostri sentimenti sono costituiti in modo tale che ad essi non importa un’acca di nulla fino a che sono contenti. Vivono il momento ed hanno memoria corta. Solo la mente vive per domani. Ciascuno ha i propri aspetti positivi. L’aspetto positivo della mente è che guarda in avanti. Sono solo gli altri due, però, a poter “fare.”
VEDUTE DAL MONDO REALE


DURANTE IL MIO ANNO DI ATTENTA OSSERVAZIONE di tutte le loro manifestazioni e percezioni, giunsi alla categorica chiarezza in me stesso che sebbene i fattori per generare nella loro presenza gli impulsi esserici sacri di Fede, Speranza ed Amore siano già molto degenerati negli esseri di questo pianeta, tuttavia, il fattore che dovrebbe generare questo impulso esserico su cui si basa generalmente tutta la psiche degli esseri tricerebrali, impulso che esiste sotto il nome di Coscienza Obiettiva, non è ancora atrofizzato in essi, ma rimane nelle loro presenze quasi nel suo stato primordiale.
I RACCONTI DI BELZEBÙ


LA PSICHE GENERALE DELL’UOMO NELLA SUA FORMA DEFINITIVA è considerata essere il risultato della conformità a questi tre mondi indipendenti. Il primo è il mondo esterno, in altre parole tutto ciò che avviene al suo esterno, ciò che egli può vedere e percepire, nonché ciò che è per lui invisibile ed intangibile. Il secondo è il mondo interiore, in altre parole tutti i processi automatici della sua natura e le ripercussioni meccaniche di questi processi. Il terzo mondo è il suo proprio mondo, che non dipende né dal suo “mondo esteriore” né dal suo “mondo interiore”; il che vuol dire che è indipendente dai capricci dei processi che fluiscono in lui come pure dalle imperfezioni nei processi che li generano. Un uomo che non sia in possesso del proprio mondo non può fare nulla di sua iniziativa: tutte le sue azioni “si fanno” in lui. Può avere una sua propria iniziativa per le percezioni e manifestazioni solo colui nella cui presenza si sia formata, in modo indipendente ed intenzionale, la totalità dei fattori necessari per il funzionamento di questo terzo mondo.
LA VITA REALE


UNO DEI GRAVI ERRORI DELL’UOMO, di cui ci si deve ricordare, è la sua illusione riguardo al suoi Io. 
     L’uomo così come lo conosciamo, la “macchina-uomo,” l’uomo che non può “fare” e con cui ed attraverso cui tutto “accade” non può avere un Io permanente e singolo. Il suo Io cambia con la stessa rapidità dei suoi pensieri, sentimenti ed umori, ed egli commette un grave errore nel considerare se stesso sempre una sola stessa persona; in realtà, egli èsempre una persona differente, non quella che egli era un attimo fa. 
     L’uomo non ha un Io permanente ed immutabile. Ogni pensiero, ogni umore, ogni desiderio, ogni sensazione dice “Io.” Ed in ogni caso sembra si prenda per scontato che questo Io appartenga al Tutto, all’uomo intero, e che un pensiero, un desiderio o un’avversione siano espressi da questo Tutto. Nella realtà dei fatti, questa supposizione non ha alcun fondamento, Ogni pensiero e desiderio dell’uomo compare e vive in modo del tutto separato ed indipendente dal Tutto. Ed il tutto non si esprime mai, per la semplice ragione che esso esiste, di per sé, solo fisicamente in quanto cosa, ed in astratto quale concetto. L’uomo non ha un Io individuale. Vi sono, invece, centinaia di migliaia di piccoli Io separati, molto spesso interamente sconosciuti gli uni agli altri, che non vengono mai in contatto oppure, al contrario, ostili l’uno all’altro, reciprocamente esclusivi ed incompatibili. Ogni minuto, ogni istante, l’uomo dice o pensa, “Io.” E ad ogni istante “Io” è differente. Ora è un pensiero, ora è un desiderio, ora una sensazione, ora un altro pensiero, e via di seguito, senza fine. L’uomo è una pluralità. Il nome dell’uomo è legione.

FRAMMENTI DI UN INSEGNAMENTO SCONOSCIUTO


CERCATE DI COMPRENDERE CHE CIO’ CHE NORMALEMENTE CHIAMATE “IO” NON E’ IO; vi sono molti “Io,” ed ogni “Io” ha un desiderio differente. Cercate di verificarlo. Voi desiderate cambiare, ma quale parte di voi ha questo desiderio? Molte parti di voi vogliono molte cose, ma solo una parte è reale. Sarebbe molto utile per voi cercare di essere sinceri con voi stessi. La sincerità è la chiave che aprirà le porte attraverso le quali vedrete le vostre parti separate, e vedrete qualcosa di nuovo. Dovete continuare a cercare di essere sinceri. Ogni giorno indossate una maschera, e dovete toglierla poco a poco.
VEDUTE DAL MONDO REALE


DAL MIO PUNTO DI VISTA, PUO’ ESSERE CHIAMATO STRAORDINARIO un uomo che si distingua da coloro che stanno attorno a lui per le risorse della sua mente, e che sappia quanto egli sia limitato nelle manifestazioni che procedono dalla sua natura, e che allo stesso tempo si comporti in modo giusto e tollerante nei confronti delle debolezze degli altri.
INCONTRI CON UOMINI STRAORDINARI



Questi estratti sono stati precedentemente pubblicati quale parte di un libretto di programma realizzato in occasione della “Ideas of Gurdjeff Conference” sponsorizzata dal Far West Institute di San Rafael, California, nel Novembre 1996 e sono riprodotte con il loro gentile permesso.

Traduzione di Marco Bonello
English Copyright © 1996 Far West Institute
Questa pagina web © 2001 Gurdjieff Electronic Publishing
Revisione: 1° Ottobre 2001
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