Albert Camus: il dovere di uno scrittore
«Personalmente non potrei vivere senza la mia arte, ma non l’ho mai posta al di sopra di tutto: se mi è necessaria, è invece perché non si estranea da nessuno e mi permette di vivere come sono al livello di tutti. L’arte non è ai miei occhi gioia solitaria: è invece un mezzo per commuovere il maggior numero di uomini offrendo loro un’immagine privilegiata delle sofferenze e delle gioie di tutti.
L’arte obbliga dunque l’artista a non isolarsi e lo sottomette alla verità più umile e più universale. E spesso chi ha scelto il suo destino di artista perché si sentiva diverso dagli altri si accorge ben presto che potrà alimentare la sua arte e questo suo esser diverso solo confessando la sua somiglianza con tutti: l’artista si forma in questo rapporto perpetuo fra lui e gli altri, a mezza strada fra la bellezza di cui non può fare a meno e la comunità dalla quale non si può staccare. È per questa ragione che i veri artisti non disprezzano nulla e si sforzano di comprendere invece di giudicare: e se essi hanno un partito da prendere in questo mondo, non può essere altro che quello di una società in cui, secondo il gran motto di Nietzsche, non regnerà più il giudice, ma il creatore, sia esso lavoratore o intellettuale.
La missione dello scrittore è fatta ad un tempo di difficili doveri; per definizione, non può mettersi oggi al servizio di coloro che fanno la storia: è al servizio di quelli che la subiscono. O, in caso contrario, lo scrittore si ritrova solo e privo della sua arte. Tutti gli eserciti della tirannia con i loro milioni di uomini non lo strapperanno alla solitudine anche e soprattutto se si adatterà a tenere il loro passo. Ma il silenzio di un prigioniero sconosciuto ed umiliato all’altro capo del mondo sarà sufficiente a trarre lo scrittore dal suo esilio, ogni volta, almeno, che arriverà, pur nei privilegi della libertà, a non dimenticare questo silenzio e a divulgarlo con i mezzi dell’arte.
Nessuno di noi è abbastanza grande per una simile vocazione. Ma in tutte le circostanze della sua vita, ignorato o provvisoriamente celebre, imprigionato nella stretta della tirannia o per il momento libero di esprimersi, lo scrittore può ritrovare il sentimento di una comunità vivente che lo giustifichi, alla sola condizione che accetti, finché può, i due impegni che fanno la grandezza della sua missione: essere al servizio della verità e della libertà. Poiché la sua vocazione è quella di riunire il maggior numero possibile di uomini, egli non può valersi della menzogna e della schiavitù che, là dove regnano, fanno proliferare la solitudine. Qualunque siano le nostre debolezze personali, la nobiltà del nostro mestiere avrà sempre le sue radici in due difficili impegni: il rifiuto della menzogna e la resistenza all’oppressione.
Per più di vent’anni di storia folle, perduto e privo di soccorso, come tutti gli uomini della mia età, nelle convulsioni del tempo, sono stato sorretto dal sentimento oscuro che scrivere era oggi un onore, perché questo atto impegnava, e non impegnava a scrivere soltanto. Mi obbligava in particolare a portare, come potevo e secondo le mie forze, con tutti quelli che vivevano la stessa storia, la sventura e la speranza di cui eravamo partecipi. Questi uomini, nati all’inizio della prima guerra mondiale, che hanno avuto vent’anni quando si installavano ad un tempo il potere hitleriano e i primi processi rivoluzionari e che sono stati in seguito messi alla prova, per completare la loro educazione, nella guerra di Spagna, nella seconda guerra mondiale, nell’universo “concentrazionario”, nell’Europa della tortura e della prigione, debbono oggi allevare i loro figli e le loro opere in un mondo minacciato dalla distruzione nucleare. Nessuno, suppongo, può chieder loro di essere ottimisti. E sono convinto che dobbiamo comprendere, pur senza abbandonare la lotta contro di loro, l’errore di quelli che, per troppa disperazione, hanno rivendicato il diritto al disonore e si sono gettati a capofitto nel nichilismo del nostro tempo. Ma è anche vero che la maggior parte di noi, nel mio paese e in Europa, hanno rifiutato questo nichilismo e si sono messi alla ricerca di una legittimità; hanno dovuto costruirsi un’arte per vivere in tempi calamitosi, per nascere una seconda volta e lottare poi a viso scoperto contro l’istinto di morte sempre presente nella nostra storia.
Ogni generazione, senza dubbio, si crede destinata a rifare il mondo. La mia sa che non lo rifarà. Il suo compito è forse più grande: consiste nell’impedire che il mondo si distrugga. Erede di una storia corrotta in cui si fondono le rivoluzioni fallite e le tecniche impazzite, la morte degli dei e le ideologie portate al parossismo, in cui mediocri poteri, privi ormai di ogni forza di convincimento, sono in grado oggi di distruggere tutto, in cui l’intelligenza si è prostituita fino a farsi serva dell’odio e dell’oppressione, questa generazione ha dovuto restaurare, per se stessa e per gli altri, fondandosi sulle solo negazioni, un po’ di ciò che fa la dignità di vivere e di morire. Davanti ad un mondo minacciato di disintegrazione, sul quale i nostri grandi inquisitori rischiano di stabilire per sempre il dominio della morte, la nostra generazione sa bene che dovrebbe, in una corsa pazza contro il tempo, restaurare fra le nazioni una pace che non sia quella della servitù, riconciliare di nuovo lavoro e cultura e ricreare con tutti gli uomini un’arca di alleanza. Non è certo che essa possa mai portare a buon fine questo compito immenso ma è certo che, in tutto il mondo, è già impegnata nella sua doppia scommessa di verità e di libertà e che, all’occasione, saprà morire senza odio. Per questo merita quindi di essere salutata e incoraggiata dovunque si trovi e soprattutto là dove si sacrifica. È su di essa, comunque, che, certo del vostro assenso profondo, vorrei far ricadere l’onore che mi avete fatto.
Nello stesso tempo, dopo aver proclamato la nobiltà del mestiere di scrivere, avrei ricollocato lo scrittore al suo vero posto, non godendo lui di altri titoli all’infuori di quelli che divide con i suoi compagni di lotta, vulnerabile ma ostinato, ingiusto e appassionato di giustizia, costruttore della sua opera senza vergogna né orgoglio al cospetto di tutti, diviso sempre fra il dolore e la bellezza votato infine a trarre dalla sua duplice esistenza le creazioni che ostinatamente tenta di edificare in mezzo al moto distruttore della storia. Chi, dopo tutto ciò, potrebbe attendere da lui soluzioni bell’e fatte e belle morali? La verità è misteriosa, sfuggente, sempre da conquistare. La libertà è pericolosa, dura da vivere quanto esaltante. Dobbiamo marciare verso questi due obiettivi, con fatica ma decisi, ben consci dei nostri errori in un così lungo cammino. Quale scrittore dunque oserebbe, in buona coscienza, farsi predicatore di virtù? Quanto a me devo dire una volta di più che non sono niente di tutto questo. non ho mai potuto rinunciare alla luce, alla felicità di esistere, alla vita libera in cui sono cresciuto. Ma benché questa nostalgia spieghi molti dei miei errori e delle mie colpe, essa mi ha aiutato senza dubbio a comprendere meglio il mio mestiere, mi aiuta ancor oggi a tenermi, ciecamente, vicino a tutti quegli uomini silenziosi che non sopportano nel mondo una vita che per loro è fatta soltanto del ricordo o del ritorno di brevi e libere gioie».
Dal dicorso per il conferimento del premio Nobel per la Letteratura nel 1957.
http://ilmestierediscrivere.wordpress.com/2011/06/06/albert-camus-il-dovere-di-uno-scrittore/
La mediocrità dell’Europa di oggi, spiegata da Albert Camus nel 1955.
Lo scrittore analizza un continente «borghese e individualista che pensa al proprio frigorifero».
Le frontiere? «Esistono solo per i doganieri».
Albert Camus, traduzione di Andrea Coccia
L'Europa sta vivendo uno dei momenti più complicati della sua storia: muri che si alzano in Ungheria, frontiere che si chiudono tra la Francia e l'Italia, paesi come la Grecia che rischiano di uscire da una comunità che hanno contribuito a creare e di cui sono, storicamente e culturalmente, una parte importante. E ancora, il nascere di movimenti nazionalisti forti e sempre più radicati in seno a quasi tutti i paesi europei, un livello di fiducia tra le popolazioni europee che sembra non essere è mai stato così basso negli ultimi sessant'anni. Tutte forze centrifughe che stanno mettendo in pericolo la costruzione unitaria, politica e culturale, che abbiamo ereditato dal Novecento.
Eppure tutti questi problemi che stiamo affrontando ora non sono una novità. Timori simili esistevano già sessant'anni fa, a pochi anni dalla fine della seconda guerra mondiale, nel 1955. A pochi mesi da quei trattati di Roma del 1957 che hanno posto le basi dell'Europa di oggi. A testimoniare questi timori sono le parole di uno dei più grandi intellettuali del Novecento europeo, lo scrittore francese Albert Camus, che ne discusse ampiamente durante una conferenza ad Atene — bizzarra coincidenza — il 28 aprile del 1955.
Sono passati sessant'anni da quel giorno, ma le parole di Albert Camus, come ha ricordato anche Giulio Tremonti citando questa conferenza in una lettera pubblicata sul Corriere della Sera il 17 giugno, non hanno perso potenza né lucidità. Per l'occasione siamo andati a rileggere le sue parole, traducendo i passi più potenti:
Se consideriamo che la civiltà occidentale si basa sull'umanizzazione della natura, ovvero sulla tecnica e sulla scienza, non soltanto dobbiamo convenire sul fatto che l'Europa abbia trionfato, ma anche sul fatto che le forze che oggi la minacciano sono forze che hanno acquisito la tecnica, o l'ambizione alla tecnica, proprio dall'Europa, insieme al suo metodo scientifico e di ragionamento. Da questo punto di vista, quindi, la civiltà europea non è affatto minacciata, se non dall'eventualità di un suicidio, dunque è minacciata da se stessa, in qualche modo.
«La civiltà europea non è affatto minacciata, se non dall'eventualità di un suicidio, dunque è minacciata da se stessa».
Se, invece, consideriamo che la nostra civiltà si costruisce intorno alla nozione di essere umano, questo punto di vista ci porta a una risposta completamente opposta. Perché probabilmente, e sottolineo probabilmente, è difficile trovare un'epoca in cui la quantità di persone emarginate sia elevata come oggi. Non direi tuttavia che questa nostra epoca sia particolarmente sdegnosa nei confronti dell'essere umano. Non c'è dubbio infatti che l'azione della coscienza collettiva e, in particolare, della coscienza dei diritti dell'uomo si sia estesa sempre di più negli ultimi secoli. È solo, però, che due guerre mondiali l'hanno un po' calpestata, e che quindi ora io credo che dobbiamo rispondere che sì, che da questo punto di vista la nostra civiltà è minacciata, e lo è nella misura in cui l'essere umano, che eravamo riusciti a mettere al centro della nostra riflessione, ora è umiliato un po' dovunque .
«La ragion tecnica, se messa al centro dell'Universo e considerata come il fattore più importante di una civiltà, finisce per provocare una sorta di perversione»
Quello che forse potremmo chiederci è se la riuscita della civiltà occidentale nel suo versante scientifico non sia anche in parte responsabile del suo contemporaneo scacco morale. Detto in altro modo: chiedersi se la fede assoluta, e in qualche modo cieca, nel potere della ragione razionalista, (diciamo la ragione cartesiana, per semplificare le cose, visto che è questa che è al centro del sapere contemporaneo), non sia in qualche modo responsabile del restringersi della sensibilità umana, una sensibilità che ha potuto, attraverso tappe che sarebbe lungo spiegare, portare poco a poco a questa degradazione dell'universo individuale. Il mondo della tecnica, di per sé, non è cattivo, e sono assolutamente contrario a tutti coloro che vorrebbero un ritorno alla civiltà dell'aratro. Ma la ragion tecnica, se messa al centro dell'Universo e considerata come il fattore più importante di una civiltà, finisce per provocare una sorta di perversione , sia nelle idee che nei costumi, che rischia di portarci allo scacco.
«La civiltà europea è prima di tutto una civiltà pluralista, è il luogo della diversità dei pensieri, delle opposizioni, dei valori contrastanti e della dialettica»
La civiltà europea è prima di tutto una civiltà pluralista. E con questo intendo che è il luogo della diversità dei pensieri, delle opposizioni, dei valori contrastanti e della dialettica infinita. La dialettica europea è quella che non approda a una sorta di ideologia che sia totalitaria, né ortodossa. Questo pluralismo che è sempre stato alla base della nozione europea di libertà, mi sembra l'apporto più grande della nostra civiltà. È questo che è effettivamente in pericolo oggi, ed è per preservarlo che bisogna assolutamente lottare. Il famoso detto, credo di Voltaire, che recitava «non la penso come voi, ma mi farei uccidere pur di difendere il vostro diritto di esprimere il vostro pensiero», è evidentemente uno dei grandi detti della civiltà europea. Non c'è dubbio che, sul piano della libertà intellettuale, questo principio sia sotto attacco e che, a parer mio, debba essere difeso.
«Le ideologie nelle quali viviamo immersi hanno cento anni di ritardo sulla storia.
E questo ritardo è dovuto al fatto che sono portare ad accettare molto male le innovazioni»
Dal VI al XVIII secolo la popolazione europea non ha mai superato i 180 milioni di abitanti. Dal 1800 al 1914, invece, nel giro di appena un secolo e poco più, siamo passati da 180 milioni di abitanti a 460. L'avvento della massa è eclatante in questi numeri. Accompagnato dalla accelerazione della Storia, questo avvento ci ha portato in una situazione che supera nettamente le strutture intellettuali e razionali che ne hanno permesso l'esistenza. Oggi, il nostro problema è prima di tutto l'adattamento delle nostre intelligenze alle nuove realtà che ci fornisce il mondo. Le ideologie nelle quali viviamo immersi sono delle ideologie che hanno cento anni di ritardo sulla storia. E questo ritardo è dovuto al fatto che sono portare ad accettare molto male le innovazioni. Non c'è niente di più sicuro della propria verità che un'ideologia scaduta.
La “misura” non è nient'altro, per noi intellettuali, che la diabolica moderazione dei borghesi. Ma in realtà non lo è per niente. La misura non è il rifiuto della contraddizione, come non ne è la soluzione. La misura, nell'ellenismo, se non mi sbaglio, si è sempre basata sul riconoscimento della contraddizione e sulla decisione di non cambiare atteggiamento, qualsiasi cosa accada. Una formula di questo genere non è soltanto una formula razionale, umanista e amabile. Essa sottintende in realtà un eroismo. Essa ha delle possibilità di fornirci non tanto una soluzione, perché non è questo che ci attendiamo, ma un metodo per affrontare lo studio dei problemi che ci si pongono e per dirigerci verso un futuro sostenibile.
«L'Europa borghese ha messo la vita a un livello così basso che non ha alcuna chance di prolungare la propria storia: vegeta, e nessuna società può vegetare per molto tempo»
Proviamo ad applicare questo metodo all'Europa contemporanea. C'è un'Europa borghese e individualista, è quella che pensa al proprio frigorifero, ai propri ristoranti gastronomici, quella che dice «io non voto». È l'Europa borghese, e non sembra voler sopravvivere. Senza dubbio dice il contrario, ma ha messo la vita a un livello così basso che non ha alcuna chance di prolungare la propria storia, vegeta, e nessuna società può vegetare per molto tempo . Ma non vedo nulla in tutto ciò che rimandi alla visione classica della misura. Vedo solo un nichilismo individualista, quello che consiste soltanto nel dire: «noi non vogliamo ne del romanticismo né degli eccessi, noi non vogliamo vivere ai confini, alle frontiere, noi non vogliamo conoscere lo strazio». Ma se voi non volete vivere alle frontiere, né conoscere lo strazio, voi non vivrete e anche la vostra società non vivrà. La grande lezione, e lo dico perché mi oppongo formalmente all'ideologia delle democrazie popolari, la grande lezione che ci viene dall'Est, è esattamente il senso della partecipazione a uno sforzo comune, e non c'è alcuna ragione per la quale noi dovremmo rifiutare questo esempio.
«I diritti dell'uomo sono un valore che dobbiamo assolutamente difendere, ma ciò non significa che dobbiamo negare l'esistenza dei doveri».
Da questo punto di vista, io non approvo in alcun modo l'Europa borghese. Ma voglio far mia, al contrario, una posizione che è questa che segue: «noi conosciamo l'estremo, noi l'abbiamo vissuto, noi lo rivivremo quando sarà necessario e possiamo dire di averlo vissuto perché abbiamo attraversato dei momenti che ci hanno permesso di conoscerlo». C'è stato un grande movimento di solidarietà nazionale francese, e ce n'è uno di solidarietà nazionale greca, e sono basati sulla sofferenza. Ma questa solidarietà noi la possiamo ritrovare sempre, non soltanto nei momenti di sofferenza. Se noi riflettessimo abbastanza sulla nostra esperienza sono sicuro che comprenderemmo meglio questa nozione di misura concepita come la conciliazione delle contraddizioni e, in modo particolare nel settore sociale e politico, come la conciliazioni dei diritti e dei doveri dell'individuo. La posizione dell'Europa borghese, infatti, arriva a rivendicare soltanto i diritti dell'uomo. I diritti dell'uomo sono un valore che dobbiamo assolutamente difendere, ma ciò non significa che dobbiamo negare l'esistenza dei doveri. E viceversa. I doveri dell'uomo di cui ci si vanta all'Est non sono dei doveri che noi accetteremo se significano la negazione di tutto ciò che costituisce il diritto dell'uomo ad essere ciò che è.
«La tendenza all'equilibrio deve essere uno sforzo e un coraggio permanente.
La società che saprà avere questo coraggio è la vera società del futuro»
La misura è sempre qualcosa che che si trova tra due estremi e lotta contro questi due estremi; è per questo che sono d'accordo con voi nello stimare che il principio classico della misura implica la nozione di lotta continua, di una lotta creatrice di ogni individuo per trovare il suo equilibrio tra tutte le forze che lo circondano ed è certamente su questo concetto che potremo basare la soluzione occidentale della crisi. […] La tendenza all'equilibrio deve essere uno sforzo e un coraggio permanente. La società che saprà avere questo coraggio è la vera società del futuro. Una società di questo tipo, d'altronde, si incomincia a veder nascere in tante parti del mondo ed è proprio per questo che non riesco a dirmi pessimista. La speranza c'è. Ci è stata data dall'ellenismo che l'ha definita per la prima volta e che ce ne ha fornito gli esempi più vividi attraverso i secoli. Noi, oggi, possiamo sperare che questi semi daranno i loro frutti ancora una volta e ci aiuteranno a trovare la soluzione ai nostri problemi.
«L'Europa ha bisogno di respirare, di trovar sollievo, ha bisogno di idee che non siano provinciali come invece sono, oggi, tutte le nostre idee»
Anch'io, come voi, sono convinto che in questo momento l'Europa sia costretta da una miriade di lacci che non le permettono di respirare. In un momento come questo, in cui Atene è a 6 ore da Parigi, in cui andiamo a Roma in 3 ore, in cui le frontiere esistono soltanto per i doganieri e chi è sottoposto alla loro giurisdizione, eppure viviamo in uno stato feudale. L'Europa, che ha concepito tutte le ideologie che oggi dominano il mondo e che oggi se le vede ritornare contro, incarnate come sono in paesi più grandi e industrialmente più potenti, questa Europa che ha avuto il potere e la capacità di concepire queste ideologie ora può avere il potere e la capacità di inventarsi le nozioni che ci permetteranno di gestire o di equilibrare queste ideologie. Insomma, l'Europa ha bisogno di respirare, di trovar sollievo, ha bisogno di idee che non siano provinciali come invece sono, oggi, tutte le nostre idee. Le idee parigine sono delle idee provinciali; le idee ateniesi lo sono ugualmente, ed è in questo senso che stiamo vivendo la più grande difficoltà, perché non riusciamo a mischiare abbastanza tra loro le nostre idee per fare sì che si fecondino vicendevolmente i valori erranti, che ora sono isolati nei nostri rispettivi paesi. Ebbene, io credo che sia questo l'ideale al quale tutti noi dobbiamo tendere, che noi dobbiamo difendere, per il quale noi dobbiamo fare tutto ciò che ci è possibile, perché questo ideale noi non lo raggiungeremo tutto d'un colpo.
«La parola «sovranità» è da tempo immemore che mette i bastoni tra tutte le ruote della storia internazionale. E continuerà a farlo»
Prima avete pronunciato una parola decisiva, è la parola «sovranità». Questa parola, «sovranità», è da tempo immemore che mette i bastoni tra tutte le ruote della storia internazionale. E continuerà a farlo. Le ferite della guerra appena conclusa sono troppo fresche perché possiamo sperare che delle collettività nazionali facciano questo sforzo di cui sarebbero capaci soltanto degli individui superiori e che consiste nel dominare i propri risentimenti. Noi ci troviamo psicologicamente davanti a degli ostacoli che rendono questa realizzazione difficile. Detto questo, io la penso come voi, dobbiamo lottare per arrivare a superare questi ostacoli e fare l'Europa, un'Europa in cui Parigi, Roma, Atene e Berlino siano i centri nervosi di un “impero di mezzo” che in qualche modo possa giocare un ruolo nella storia di domani .
«Dobbiamo fare l'Europa, un'Europa in cui Parigi, Roma, Atene e Berlino siano i centri nervosi di un “impero di mezzo” che in qualche modo possa giocare un ruolo nella storia di domani»
Schematizzando un po' grossolanamente le cose, direi che oggi l'Occidente pretende di fare passare la libertà davanti alla giustizia, mentre l'Oriente invece pretende di far passare la giustizia davanti alla libertà. Non è questo il momento di capire se la libertà regni nell'Occidente e se la giustizia regni in Oriente, ci basterà registrare le pulsioni delle due società. È anche possibile che la giustizia, brandendo la bomba atomica e la libertà, brandendone un'altra, si distruggeranno a vicenda su un confine che è facilmente prevedibile. In questo caso, confesso di non avere abbastanza immaginazione per sapere cosa potrebbe mai seguire a una terza guerra mondiale atomica. E da parte mia considero come dei criminali quei capi di Stato che lasciano credere ai loro popoli che si possa immaginare un futuro dopo una guerra del genere. Tuttavia, se una tale guerra atomica, un tale suicidio non avrà luogo, noi ci troveremo sempre davanti alle due statue della libertà e della giustizia che si affronteranno testa a testa. Io credo che in questo momento il rapporto di forza sia in equilibrio, l'abbondanza di popolazione a Oriente è compensata, a Occidente, da un perfezione sempre più spinta della tecnica. Quindi credo che la storia, a cui tanta gente dà fiducia, alla fine confermerà questa fiducia e che, alla fine, giocheranno un ruolo importante proprio il valore della misura e della contraddizione. Perché questo valore si inscrive nella natura umana, e nella stessa natura della storia. Ci arriveremo, come ci sono già arrivate un certo numero di intelligenze europee: sapere che la libertà ha un limite, e che la giustizia anche ha un limite, che il limite della libertà si trova nella giustizia, ovvero nell'esistenza dell'altro e nel riconoscimento dell'altro, come il limite della giustizia si trova nella libertà, ovvero nel diritto di ogni persona ad esistere per quella che è all'interno di una collettività.
«C'è un'enorme differenza tra un abitante di Perpignan e uno di Roubaix. Ma ciò non ha impedito agli abitanti di Roubaix e di Perpignan di eleggere un governo comune»
L'armonia è una cosa eccellente, ma sfortunatamente non è sempre possibile.
Possiamo dire, per esempio, che il matrimonio è un'istituzione eccellente, ma a condizione che i due interessati siano entrambi d'accordo. Ma succede anche che non lo siano e che il matrimonio diventi, in questi casi, una catastrofe. Se noi dunque contiamo sulla sola buona volontà dei popoli europei, che certamente è necessaria per avanzare, dobbiamo sapere che questa non sarà sufficiente. Servono delle istituzioni. La vostra obiezione all'esistenza di queste istituzioni, che sarebbero ovviamente delle istituzioni comuni, è che la differenza di costumi e di modi di vivere dei popoli europei le renderebbero impossibili. Io non sono d'accordo, e vi porto l'esempio della Francia. Un marsigliese è certamente più simile a un napoletano che un abitante di Brest. C'è un'enorme differenza tra un abitante di Perpignan e uno di Roubaix. Ma ciò non ha impedito agli abitanti di Roubaix e di Perpignan di eleggere un governo comune, che sia questo un buon governo o uno cattivo.
Io credo che la scoperta dell'irrazionalità da parte della scienza contemporanea sia un progresso. Lo è perché se la scienza contemporanea arrivasse a dimostrare il determinismo totale, quello che gli corrisponderebbe, dal punto di vista delle strutture della di potere della nostra civiltà, sarebbe una forma di totalitarismo. […] Per quanto riguarda il razionalismo cartesiano, di cui ho parlato prima, esso fa parte della nostra civiltà. Ma io credo che proprio a causa dell'interpretazione che ne abbiamo fatto, della nozione dell'individuo che ci abbiamo costruito sopra, questo razionalismo cartesiano sia alla base di una certa degenerazione della società occidentale. Intendiamoci, non si tratta di una critica a Cartesio in se stesso. I filosofi restano delle grandi personalità e dei grandi uomini, ma quello che prendiamo da loro non è la parte migliore, è sempre la peggiore.
«Una delle debolezze della civiltà occidentale, in ogni caso, è proprio la costituzione di un individuo separato dalla comunità, dell'individuo considerato come il Tutto»
Una delle debolezze della civiltà occidentale, in ogni caso, è proprio la costituzione di un individuo separato dalla comunità, dell'individuo considerato come il Tutto. Per riassumere quello che ho già detto prima, forse un po' malamente, credo che la società occidentale stia oggi morendo per un eccessivo individualismo, mentre quella orientale non sia neppure ancora nata a causa del contrario, ovvero di un eccessivo collettivismo. Il mondo progredirà nella misura in cui noi saremo capaci di riportare il nostro individualismo verso una nozione più chiara dei doveri verso la comunità e, parallelamente, se il collettivismo orientale vedrà sorgere al proprio interno i primi fermenti della libertà individuale.
«La libertà senza limiti è quella che esercitano i tiranni: Hitler era un uomo relativamente libero, ma era il solo ad esserlo in tutto il suo impero»
La libertà in cui credo è una libertà limitata. Perché la libertà senza limiti è il contrario della libertà. La libertà senza limiti è quella che esercitano i tiranni: Hitler era un uomo relativamente libero, ma era il solo ad esserlo in tutto il suo impero. Se vogliamo esercitare una reale libertà, questa non si può esercitare soltanto nell'interesse dell'individuo che la esercita. La libertà ha avuto sempre come limite la libertà degli altri. Perché una libertà che comportasse soltanto doveri non sarebbe una vera libertà, sarebbe un'onnipotenza, una tirannide. Mentre una libertà che ha sia diritti che doveri è una libertà che ha un contenuto e in cui possiamo vivere. Il resto, ovvero una libertà che non ha limiti, non può sopravvivere, o, al limite, sopravvive grazie alla morte degli altri. La libertà limitata è l'unica che permette di vivere sia coloro che la esercitano sia coloro verso la quale è esercitata.
http://www.linkiesta.it/futuro-crisi-europa-albert-camus-grecia-1955
La mediocrità dell’Europa di oggi, spiegata da Albert Camus nel 1955.
Lo scrittore analizza un continente «borghese e individualista che pensa al proprio frigorifero».
Le frontiere? «Esistono solo per i doganieri».
Albert Camus, traduzione di Andrea Coccia
L'Europa sta vivendo uno dei momenti più complicati della sua storia: muri che si alzano in Ungheria, frontiere che si chiudono tra la Francia e l'Italia, paesi come la Grecia che rischiano di uscire da una comunità che hanno contribuito a creare e di cui sono, storicamente e culturalmente, una parte importante. E ancora, il nascere di movimenti nazionalisti forti e sempre più radicati in seno a quasi tutti i paesi europei, un livello di fiducia tra le popolazioni europee che sembra non essere è mai stato così basso negli ultimi sessant'anni. Tutte forze centrifughe che stanno mettendo in pericolo la costruzione unitaria, politica e culturale, che abbiamo ereditato dal Novecento.
Eppure tutti questi problemi che stiamo affrontando ora non sono una novità. Timori simili esistevano già sessant'anni fa, a pochi anni dalla fine della seconda guerra mondiale, nel 1955. A pochi mesi da quei trattati di Roma del 1957 che hanno posto le basi dell'Europa di oggi. A testimoniare questi timori sono le parole di uno dei più grandi intellettuali del Novecento europeo, lo scrittore francese Albert Camus, che ne discusse ampiamente durante una conferenza ad Atene — bizzarra coincidenza — il 28 aprile del 1955.
Sono passati sessant'anni da quel giorno, ma le parole di Albert Camus, come ha ricordato anche Giulio Tremonti citando questa conferenza in una lettera pubblicata sul Corriere della Sera il 17 giugno, non hanno perso potenza né lucidità. Per l'occasione siamo andati a rileggere le sue parole, traducendo i passi più potenti:
Se consideriamo che la civiltà occidentale si basa sull'umanizzazione della natura, ovvero sulla tecnica e sulla scienza, non soltanto dobbiamo convenire sul fatto che l'Europa abbia trionfato, ma anche sul fatto che le forze che oggi la minacciano sono forze che hanno acquisito la tecnica, o l'ambizione alla tecnica, proprio dall'Europa, insieme al suo metodo scientifico e di ragionamento. Da questo punto di vista, quindi, la civiltà europea non è affatto minacciata, se non dall'eventualità di un suicidio, dunque è minacciata da se stessa, in qualche modo.
«La civiltà europea non è affatto minacciata, se non dall'eventualità di un suicidio, dunque è minacciata da se stessa».
Se, invece, consideriamo che la nostra civiltà si costruisce intorno alla nozione di essere umano, questo punto di vista ci porta a una risposta completamente opposta. Perché probabilmente, e sottolineo probabilmente, è difficile trovare un'epoca in cui la quantità di persone emarginate sia elevata come oggi. Non direi tuttavia che questa nostra epoca sia particolarmente sdegnosa nei confronti dell'essere umano. Non c'è dubbio infatti che l'azione della coscienza collettiva e, in particolare, della coscienza dei diritti dell'uomo si sia estesa sempre di più negli ultimi secoli. È solo, però, che due guerre mondiali l'hanno un po' calpestata, e che quindi ora io credo che dobbiamo rispondere che sì, che da questo punto di vista la nostra civiltà è minacciata, e lo è nella misura in cui l'essere umano, che eravamo riusciti a mettere al centro della nostra riflessione, ora è umiliato un po' dovunque .
«La ragion tecnica, se messa al centro dell'Universo e considerata come il fattore più importante di una civiltà, finisce per provocare una sorta di perversione»
Quello che forse potremmo chiederci è se la riuscita della civiltà occidentale nel suo versante scientifico non sia anche in parte responsabile del suo contemporaneo scacco morale. Detto in altro modo: chiedersi se la fede assoluta, e in qualche modo cieca, nel potere della ragione razionalista, (diciamo la ragione cartesiana, per semplificare le cose, visto che è questa che è al centro del sapere contemporaneo), non sia in qualche modo responsabile del restringersi della sensibilità umana, una sensibilità che ha potuto, attraverso tappe che sarebbe lungo spiegare, portare poco a poco a questa degradazione dell'universo individuale. Il mondo della tecnica, di per sé, non è cattivo, e sono assolutamente contrario a tutti coloro che vorrebbero un ritorno alla civiltà dell'aratro. Ma la ragion tecnica, se messa al centro dell'Universo e considerata come il fattore più importante di una civiltà, finisce per provocare una sorta di perversione , sia nelle idee che nei costumi, che rischia di portarci allo scacco.
«La civiltà europea è prima di tutto una civiltà pluralista, è il luogo della diversità dei pensieri, delle opposizioni, dei valori contrastanti e della dialettica»
La civiltà europea è prima di tutto una civiltà pluralista. E con questo intendo che è il luogo della diversità dei pensieri, delle opposizioni, dei valori contrastanti e della dialettica infinita. La dialettica europea è quella che non approda a una sorta di ideologia che sia totalitaria, né ortodossa. Questo pluralismo che è sempre stato alla base della nozione europea di libertà, mi sembra l'apporto più grande della nostra civiltà. È questo che è effettivamente in pericolo oggi, ed è per preservarlo che bisogna assolutamente lottare. Il famoso detto, credo di Voltaire, che recitava «non la penso come voi, ma mi farei uccidere pur di difendere il vostro diritto di esprimere il vostro pensiero», è evidentemente uno dei grandi detti della civiltà europea. Non c'è dubbio che, sul piano della libertà intellettuale, questo principio sia sotto attacco e che, a parer mio, debba essere difeso.
«Le ideologie nelle quali viviamo immersi hanno cento anni di ritardo sulla storia.
E questo ritardo è dovuto al fatto che sono portare ad accettare molto male le innovazioni»
Dal VI al XVIII secolo la popolazione europea non ha mai superato i 180 milioni di abitanti. Dal 1800 al 1914, invece, nel giro di appena un secolo e poco più, siamo passati da 180 milioni di abitanti a 460. L'avvento della massa è eclatante in questi numeri. Accompagnato dalla accelerazione della Storia, questo avvento ci ha portato in una situazione che supera nettamente le strutture intellettuali e razionali che ne hanno permesso l'esistenza. Oggi, il nostro problema è prima di tutto l'adattamento delle nostre intelligenze alle nuove realtà che ci fornisce il mondo. Le ideologie nelle quali viviamo immersi sono delle ideologie che hanno cento anni di ritardo sulla storia. E questo ritardo è dovuto al fatto che sono portare ad accettare molto male le innovazioni. Non c'è niente di più sicuro della propria verità che un'ideologia scaduta.
La “misura” non è nient'altro, per noi intellettuali, che la diabolica moderazione dei borghesi. Ma in realtà non lo è per niente. La misura non è il rifiuto della contraddizione, come non ne è la soluzione. La misura, nell'ellenismo, se non mi sbaglio, si è sempre basata sul riconoscimento della contraddizione e sulla decisione di non cambiare atteggiamento, qualsiasi cosa accada. Una formula di questo genere non è soltanto una formula razionale, umanista e amabile. Essa sottintende in realtà un eroismo. Essa ha delle possibilità di fornirci non tanto una soluzione, perché non è questo che ci attendiamo, ma un metodo per affrontare lo studio dei problemi che ci si pongono e per dirigerci verso un futuro sostenibile.
«L'Europa borghese ha messo la vita a un livello così basso che non ha alcuna chance di prolungare la propria storia: vegeta, e nessuna società può vegetare per molto tempo»
Proviamo ad applicare questo metodo all'Europa contemporanea. C'è un'Europa borghese e individualista, è quella che pensa al proprio frigorifero, ai propri ristoranti gastronomici, quella che dice «io non voto». È l'Europa borghese, e non sembra voler sopravvivere. Senza dubbio dice il contrario, ma ha messo la vita a un livello così basso che non ha alcuna chance di prolungare la propria storia, vegeta, e nessuna società può vegetare per molto tempo . Ma non vedo nulla in tutto ciò che rimandi alla visione classica della misura. Vedo solo un nichilismo individualista, quello che consiste soltanto nel dire: «noi non vogliamo ne del romanticismo né degli eccessi, noi non vogliamo vivere ai confini, alle frontiere, noi non vogliamo conoscere lo strazio». Ma se voi non volete vivere alle frontiere, né conoscere lo strazio, voi non vivrete e anche la vostra società non vivrà. La grande lezione, e lo dico perché mi oppongo formalmente all'ideologia delle democrazie popolari, la grande lezione che ci viene dall'Est, è esattamente il senso della partecipazione a uno sforzo comune, e non c'è alcuna ragione per la quale noi dovremmo rifiutare questo esempio.
«I diritti dell'uomo sono un valore che dobbiamo assolutamente difendere, ma ciò non significa che dobbiamo negare l'esistenza dei doveri».
Da questo punto di vista, io non approvo in alcun modo l'Europa borghese. Ma voglio far mia, al contrario, una posizione che è questa che segue: «noi conosciamo l'estremo, noi l'abbiamo vissuto, noi lo rivivremo quando sarà necessario e possiamo dire di averlo vissuto perché abbiamo attraversato dei momenti che ci hanno permesso di conoscerlo». C'è stato un grande movimento di solidarietà nazionale francese, e ce n'è uno di solidarietà nazionale greca, e sono basati sulla sofferenza. Ma questa solidarietà noi la possiamo ritrovare sempre, non soltanto nei momenti di sofferenza. Se noi riflettessimo abbastanza sulla nostra esperienza sono sicuro che comprenderemmo meglio questa nozione di misura concepita come la conciliazione delle contraddizioni e, in modo particolare nel settore sociale e politico, come la conciliazioni dei diritti e dei doveri dell'individuo. La posizione dell'Europa borghese, infatti, arriva a rivendicare soltanto i diritti dell'uomo. I diritti dell'uomo sono un valore che dobbiamo assolutamente difendere, ma ciò non significa che dobbiamo negare l'esistenza dei doveri. E viceversa. I doveri dell'uomo di cui ci si vanta all'Est non sono dei doveri che noi accetteremo se significano la negazione di tutto ciò che costituisce il diritto dell'uomo ad essere ciò che è.
«La tendenza all'equilibrio deve essere uno sforzo e un coraggio permanente.
La società che saprà avere questo coraggio è la vera società del futuro»
La misura è sempre qualcosa che che si trova tra due estremi e lotta contro questi due estremi; è per questo che sono d'accordo con voi nello stimare che il principio classico della misura implica la nozione di lotta continua, di una lotta creatrice di ogni individuo per trovare il suo equilibrio tra tutte le forze che lo circondano ed è certamente su questo concetto che potremo basare la soluzione occidentale della crisi. […] La tendenza all'equilibrio deve essere uno sforzo e un coraggio permanente. La società che saprà avere questo coraggio è la vera società del futuro. Una società di questo tipo, d'altronde, si incomincia a veder nascere in tante parti del mondo ed è proprio per questo che non riesco a dirmi pessimista. La speranza c'è. Ci è stata data dall'ellenismo che l'ha definita per la prima volta e che ce ne ha fornito gli esempi più vividi attraverso i secoli. Noi, oggi, possiamo sperare che questi semi daranno i loro frutti ancora una volta e ci aiuteranno a trovare la soluzione ai nostri problemi.
«L'Europa ha bisogno di respirare, di trovar sollievo, ha bisogno di idee che non siano provinciali come invece sono, oggi, tutte le nostre idee»
Anch'io, come voi, sono convinto che in questo momento l'Europa sia costretta da una miriade di lacci che non le permettono di respirare. In un momento come questo, in cui Atene è a 6 ore da Parigi, in cui andiamo a Roma in 3 ore, in cui le frontiere esistono soltanto per i doganieri e chi è sottoposto alla loro giurisdizione, eppure viviamo in uno stato feudale. L'Europa, che ha concepito tutte le ideologie che oggi dominano il mondo e che oggi se le vede ritornare contro, incarnate come sono in paesi più grandi e industrialmente più potenti, questa Europa che ha avuto il potere e la capacità di concepire queste ideologie ora può avere il potere e la capacità di inventarsi le nozioni che ci permetteranno di gestire o di equilibrare queste ideologie. Insomma, l'Europa ha bisogno di respirare, di trovar sollievo, ha bisogno di idee che non siano provinciali come invece sono, oggi, tutte le nostre idee. Le idee parigine sono delle idee provinciali; le idee ateniesi lo sono ugualmente, ed è in questo senso che stiamo vivendo la più grande difficoltà, perché non riusciamo a mischiare abbastanza tra loro le nostre idee per fare sì che si fecondino vicendevolmente i valori erranti, che ora sono isolati nei nostri rispettivi paesi. Ebbene, io credo che sia questo l'ideale al quale tutti noi dobbiamo tendere, che noi dobbiamo difendere, per il quale noi dobbiamo fare tutto ciò che ci è possibile, perché questo ideale noi non lo raggiungeremo tutto d'un colpo.
«La parola «sovranità» è da tempo immemore che mette i bastoni tra tutte le ruote della storia internazionale. E continuerà a farlo»
Prima avete pronunciato una parola decisiva, è la parola «sovranità». Questa parola, «sovranità», è da tempo immemore che mette i bastoni tra tutte le ruote della storia internazionale. E continuerà a farlo. Le ferite della guerra appena conclusa sono troppo fresche perché possiamo sperare che delle collettività nazionali facciano questo sforzo di cui sarebbero capaci soltanto degli individui superiori e che consiste nel dominare i propri risentimenti. Noi ci troviamo psicologicamente davanti a degli ostacoli che rendono questa realizzazione difficile. Detto questo, io la penso come voi, dobbiamo lottare per arrivare a superare questi ostacoli e fare l'Europa, un'Europa in cui Parigi, Roma, Atene e Berlino siano i centri nervosi di un “impero di mezzo” che in qualche modo possa giocare un ruolo nella storia di domani .
«Dobbiamo fare l'Europa, un'Europa in cui Parigi, Roma, Atene e Berlino siano i centri nervosi di un “impero di mezzo” che in qualche modo possa giocare un ruolo nella storia di domani»
Schematizzando un po' grossolanamente le cose, direi che oggi l'Occidente pretende di fare passare la libertà davanti alla giustizia, mentre l'Oriente invece pretende di far passare la giustizia davanti alla libertà. Non è questo il momento di capire se la libertà regni nell'Occidente e se la giustizia regni in Oriente, ci basterà registrare le pulsioni delle due società. È anche possibile che la giustizia, brandendo la bomba atomica e la libertà, brandendone un'altra, si distruggeranno a vicenda su un confine che è facilmente prevedibile. In questo caso, confesso di non avere abbastanza immaginazione per sapere cosa potrebbe mai seguire a una terza guerra mondiale atomica. E da parte mia considero come dei criminali quei capi di Stato che lasciano credere ai loro popoli che si possa immaginare un futuro dopo una guerra del genere. Tuttavia, se una tale guerra atomica, un tale suicidio non avrà luogo, noi ci troveremo sempre davanti alle due statue della libertà e della giustizia che si affronteranno testa a testa. Io credo che in questo momento il rapporto di forza sia in equilibrio, l'abbondanza di popolazione a Oriente è compensata, a Occidente, da un perfezione sempre più spinta della tecnica. Quindi credo che la storia, a cui tanta gente dà fiducia, alla fine confermerà questa fiducia e che, alla fine, giocheranno un ruolo importante proprio il valore della misura e della contraddizione. Perché questo valore si inscrive nella natura umana, e nella stessa natura della storia. Ci arriveremo, come ci sono già arrivate un certo numero di intelligenze europee: sapere che la libertà ha un limite, e che la giustizia anche ha un limite, che il limite della libertà si trova nella giustizia, ovvero nell'esistenza dell'altro e nel riconoscimento dell'altro, come il limite della giustizia si trova nella libertà, ovvero nel diritto di ogni persona ad esistere per quella che è all'interno di una collettività.
«C'è un'enorme differenza tra un abitante di Perpignan e uno di Roubaix. Ma ciò non ha impedito agli abitanti di Roubaix e di Perpignan di eleggere un governo comune»
L'armonia è una cosa eccellente, ma sfortunatamente non è sempre possibile.
Possiamo dire, per esempio, che il matrimonio è un'istituzione eccellente, ma a condizione che i due interessati siano entrambi d'accordo. Ma succede anche che non lo siano e che il matrimonio diventi, in questi casi, una catastrofe. Se noi dunque contiamo sulla sola buona volontà dei popoli europei, che certamente è necessaria per avanzare, dobbiamo sapere che questa non sarà sufficiente. Servono delle istituzioni. La vostra obiezione all'esistenza di queste istituzioni, che sarebbero ovviamente delle istituzioni comuni, è che la differenza di costumi e di modi di vivere dei popoli europei le renderebbero impossibili. Io non sono d'accordo, e vi porto l'esempio della Francia. Un marsigliese è certamente più simile a un napoletano che un abitante di Brest. C'è un'enorme differenza tra un abitante di Perpignan e uno di Roubaix. Ma ciò non ha impedito agli abitanti di Roubaix e di Perpignan di eleggere un governo comune, che sia questo un buon governo o uno cattivo.
Io credo che la scoperta dell'irrazionalità da parte della scienza contemporanea sia un progresso. Lo è perché se la scienza contemporanea arrivasse a dimostrare il determinismo totale, quello che gli corrisponderebbe, dal punto di vista delle strutture della di potere della nostra civiltà, sarebbe una forma di totalitarismo. […] Per quanto riguarda il razionalismo cartesiano, di cui ho parlato prima, esso fa parte della nostra civiltà. Ma io credo che proprio a causa dell'interpretazione che ne abbiamo fatto, della nozione dell'individuo che ci abbiamo costruito sopra, questo razionalismo cartesiano sia alla base di una certa degenerazione della società occidentale. Intendiamoci, non si tratta di una critica a Cartesio in se stesso. I filosofi restano delle grandi personalità e dei grandi uomini, ma quello che prendiamo da loro non è la parte migliore, è sempre la peggiore.
«Una delle debolezze della civiltà occidentale, in ogni caso, è proprio la costituzione di un individuo separato dalla comunità, dell'individuo considerato come il Tutto»
Una delle debolezze della civiltà occidentale, in ogni caso, è proprio la costituzione di un individuo separato dalla comunità, dell'individuo considerato come il Tutto. Per riassumere quello che ho già detto prima, forse un po' malamente, credo che la società occidentale stia oggi morendo per un eccessivo individualismo, mentre quella orientale non sia neppure ancora nata a causa del contrario, ovvero di un eccessivo collettivismo. Il mondo progredirà nella misura in cui noi saremo capaci di riportare il nostro individualismo verso una nozione più chiara dei doveri verso la comunità e, parallelamente, se il collettivismo orientale vedrà sorgere al proprio interno i primi fermenti della libertà individuale.
«La libertà senza limiti è quella che esercitano i tiranni: Hitler era un uomo relativamente libero, ma era il solo ad esserlo in tutto il suo impero»
La libertà in cui credo è una libertà limitata. Perché la libertà senza limiti è il contrario della libertà. La libertà senza limiti è quella che esercitano i tiranni: Hitler era un uomo relativamente libero, ma era il solo ad esserlo in tutto il suo impero. Se vogliamo esercitare una reale libertà, questa non si può esercitare soltanto nell'interesse dell'individuo che la esercita. La libertà ha avuto sempre come limite la libertà degli altri. Perché una libertà che comportasse soltanto doveri non sarebbe una vera libertà, sarebbe un'onnipotenza, una tirannide. Mentre una libertà che ha sia diritti che doveri è una libertà che ha un contenuto e in cui possiamo vivere. Il resto, ovvero una libertà che non ha limiti, non può sopravvivere, o, al limite, sopravvive grazie alla morte degli altri. La libertà limitata è l'unica che permette di vivere sia coloro che la esercitano sia coloro verso la quale è esercitata.
http://www.linkiesta.it/futuro-crisi-europa-albert-camus-grecia-1955
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