"Questo è l'errore di molti: sono soddisfatti della buccia del frutto, ma alla fine Arjuna e i suoi fratelli assaggeranno la polpa. Questo è il modo con cui si muove il fato: i giusti hanno sempre la vittoria finale, mentre i malvagi sembrano sempre prevalere, ma è solo per un breve periodo."
Krishna, Mahabharata - Libro V°- Udyoga Parva
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lunedì 30 giugno 2014
Krishna, Mahabharata. Questo è l'errore di molti: sono soddisfatti della buccia del frutto, ma alla fine Arjuna e i suoi fratelli assaggeranno la polpa. Questo è il modo con cui si muove il fato: i giusti hanno sempre la vittoria finale, mentre i malvagi sembrano sempre prevalere, ma è solo per un breve periodo.
Pina Bausch. Certe cose si possono dire con le parole, altre con i movimenti. Ci sono anche dei momenti in cui si rimane senza parole, completamente perduti e disorientati, non si sa più che cosa fare. A questo punto comincia la danza
"Certe cose si possono dire con le parole, altre con i movimenti.
Ci sono anche dei momenti in cui si rimane senza parole, completamente perduti e disorientati, non si sa più che cosa fare. A questo punto comincia la danza."
Pina Bausch, sublime ballerina e coreografa che morì il 30 giugno di 5 anni fa
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sabato 28 giugno 2014
Dion Fortune. Aiutare un paziente ad adattarsi meglio alla società non significa necessariamente curarlo ma trasmettergli le nevrosi della società stessa
"Aiutare un paziente ad adattarsi meglio alla società non significa necessariamente curarlo ma trasmettergli le nevrosi della società stessa."
Dion Fortune
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Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella. La casta. La Casta politica, una volta che sei dentro, ti permette quasi sempre di campare tutta la vita. Un po' in Parlamento, un po' nei consigli di amministrazione, un po' ai vertici delle municipalizzate, un po' nelle segreterie. Basta un po' di elasticità
"La Casta politica, una volta che sei dentro, ti permette quasi sempre di campare tutta la vita. Un po' in Parlamento, un po' nei consigli di amministrazione, un po' ai vertici delle municipalizzate, un po' nelle segreterie. Basta un po' di elasticità."
Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, La casta, 2006
Janine Puget. La psicoanalisi è nata sotto l'egida di un'ideologia borghese in cui prevaleva l'ipotesi di una realtà psichica costruita all'interno della relazione madre, padre, bambino. Quest'ipotesi poggiava su una teoria pulsionale, rispetto alla quale l'influenza del contesto sociale appariva secondaria. Ma è possibile pensare che la realtà sociale esterna, il non-io, non abbia rappresentazione nella realtà psichica?
"La psicoanalisi è nata sotto l'egida di un'ideologia borghese in cui prevaleva l'ipotesi di una realtà psichica costruita all'interno della relazione madre, padre, bambino. Quest'ipotesi poggiava su una teoria pulsionale, rispetto alla quale l'influenza del contesto sociale appariva secondaria. Ma è possibile pensare che la realtà sociale esterna, il non-io, non abbia rappresentazione nella realtà psichica?"
[...] "Riconoscere l'influenza del contesto sociale sulll'apparato psichico e sul setting terapeutico e scoprirne la rappresentazione mentale non è un approccio adottato facilmente dalla teoria psicoanalitica, per diverse ragioni. D'altro canto, in Argentina, sono ormai numerosi gli psicoanalisti impegnati nell'elaborazione di modelli teorici sugli effetti psicologici della repressione politica durante la dittatura." (pagg. 2 e 3).
Janine Puget, Stato di minaccia e psicoanalisi, in: Violenza di stato e psicoanalisi, di J,Puget, R.Kaes e altr*. 1989 Parigi,ed.it.1994.
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Cuius regio, eius religio. Legge secondo cui i sudditi seguono la religione del proprio governante.
Il 28 giugno 1519 CarloV è eletto imperatore del Sacro Romano Impero.
Regnante di un impero talmente esteso sul quale si dice che “non tramonti mai il sole” e che si estende dall’Europa all’America passando per l’Africa, il nuovo sovrano è figlio di Filippo il Bello d’Asburgo e Giovanna di Castiglia la Pazza.
Durante il suo regno dovrà affrontare i problemi legati al diffondersi del #Luteranesimo e dei suoi principi: la Pace di #Augusta del 1555 stabilirà il principio del “cuius regio, eius religio”, ovvero la legge secondo cui i sudditi seguono la religione del proprio governante.
Nel 1556 abdicherà spartendo i possedimenti tra il figlio Filippo II e il fratello Ferdinando. Morirà il 21 settembre 1558 a San Jerónimo de Yuste, in Spagna.
Ritratto di Carlo V con il cane, Tiziano
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giovedì 26 giugno 2014
Edouard Levé. Suicidio.
La tua vita è stata un’ipotesi. Chi muore da vecchio è un cumulo di passato.
Si pensa a lui, e compare ciò che è stato. Si pensa a te, e compare ciò che avresti potuto essere. Sei stato e rimarrai un cumulo di possibilità.
Sottovalutavi il valore della passività, che non è l’arte di piacere bensì quella di porsi.
Per essere nel posto giusto al momento giusto occorre accettare la lunga noia di minuti banali trascorsi in luoghi grigi. La tua impazienza ti ha precluso l’arte di rendere produttiva la noia.
Edouard Levé, SuicidioNon è male, triste, forse, ma davvero niente male. (Mescalero)
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Yoga. La pratica settimanale, per sedici settimane, porta ad una riduzione del dolore lombare pari al 64%, un aumento della funzionalità della colonna vertebrale del 77% e, soprattutto, una riduzione dell’assunzione dei farmaci dell’88% (Williams et al. 2005). Effetti positivi si sono riscontrati nella riduzione dell’emicrania (John et al. 2007) e delle osteo-artriti (Kolasinski et al. 2005). Non restano esclusi dall’elenco i problemi legati alle arterie coronarie, Yogendra e collaboratori (2004) riportano come, dopo un anno di pratica, si rilevava una riduzione del 23% nei livelli di colesterolo e del 26% dell’LDH sierico. Altre patologie in cui la pratica dello yoga si è mostrata efficace sono l’asma (Manocha et al. 2002) ed il diabete (Kosuri e Sridhar 2009). Come per la respirazione e la meditazione anche lo yoga si dimostra uno strumento molto efficace per favorire l’equilibrio psicofisico dell’organismo e agevolare il recupero post esercizio. Hegde e collaboratori hanno verificato l’efficacia dello Yoga nel contrastare lo stress ossidativo e i parametri glicemici in un persone affette da prediabete.
Quando diciamo di essere stanchi e avere bisogno di riposo o di vacanze, in realtà siamo depressi e abbiamo bisogno di liberare maggiori quantità di serotonina.
La serotonina è l'ormone del buon umore.
La serotonina è il precursore della melatonina, come quest'ultima è prodotta dalla ghiandola pineale, nel cervello.
Attivata dalla luce del giorno rende attenti e vigili, stimola l'apprendimento e la memoria, aumenta la coscienza e la concentrazione, regola l'equilibrio emozionale e stimola il buonumore, stimola la fisiologia del corpo, coordinandone il livello energetico.
Quando pratichiamo yoga risvegliamo e riequilibriamo sia i livelli di serotonina che di melatonina, è una delle magie di questa disciplina!
Facciamo yoga quindi
Recuperare con lo Yoga.
Lo Yoga è una pratica millenaria costituita da una serie di posizioni, chiamate asana, da eseguire rispettando un preciso ritmo respiratorio. Il numero di persone che si avvicina a questa disciplina è cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni convincendo anche quelli che ne avevano un’immagine legata al misticismo e all’esoterico. Anche la ricerca scientifica ha studiato gli effetti della pratica dello Yoga sull’organismo rilevando degli interessanti risvolti per quel che concerne il recupero psico-fisico. Come per la respirazione e la meditazione, lo Yoga si è dimostrato efficace nel contrastare gli effetti deleteri dello stress ossidativo (Sinha e al. 2007).
I ricercatori hanno monitorato il livello del glutatione e degli antiossidanti totali in un gruppo di militari praticanti Yoga da un semestre, dimostrando un incremento nel gruppo sperimentale. Bonura e Tenenbaum (2013) hanno indagato l’effetto di sei settimane di pratica dello Yoga su un gruppo di anziani di età compresa tra i 65 ed i 92 anni. Sono state somministrate diverse scale psicologiche (State Anger Expression Inventory, State Anxiety Inventory, Geriatric Depression Scale, Lawton’s PGC Morale Scale, General Self-Efficacy Scale, Chronic Disease Self-Efficacy Scales, and Self-Control Schedule) ed i risultati dimostrano come la pratica dello Yoga induca un deciso miglioramento della salute psicosociale. In una ricerca (Wolff et al. 2013) si sono indagati gli effetti dello Yoga su un gruppo di persone ipertese. Il parametro controllato era la pressione arteriosa ed i risultati mostrano come la pratica dello Yoga possa essere molto efficace come intervento preventivo e da affiancare alle normali routine farmacologiche. Chugh-Gupta e collaboratori (2013) hanno rilevato come la pratica dello Yoga possa essere utilmente introdotta negli stati d’ansia. In particolare nella gestione dello stress subito sul posto di lavoro. Sharma e collaboratori (2003) hanno dimostrato che, oltre ad un più incisivo intervento degli antiossidanti, anche il livello di produzione del lattato è più contenuto nei praticanti yoga che, come abbiamo considerato per la meditazione, significa una condizione atletica migliore. Lo Yoga contribuisce anche ad aumentare la performance sportiva con un incremento della capacità aerobica (Ray et al. 2001). Lo Yoga si è dimostrato efficace nello sviluppo dell’autopercezione ed autoconsapevolezza (Brisbon e Lowery 2009; Shelov et al. 2009), nell’aumento della resilienza e della gestione dello stress in ambiente lavorativo (Hartfiel et al. 2010; Cowen 2010), nella riduzione dell’ansia e della depressione (Michalsen et al. 2005; Uebelacker 2010). Khalsa (2004) ha dimostrato che lo yoga regolarizza il sonno aumentando il periodo di sonno profondo, associato alla riduzione della sostanza P, responsabile dei sintomi dolorosi, e ad un incremento dei livelli di serotonina che invece è come un antidolorifico endogeno (Field et al. 2002). La pratica settimanale, per sedici settimane, porta ad una riduzione del dolore lombare pari al 64%, un aumento della funzionalità della colonna vertebrale del 77% e, soprattutto, una riduzione dell’assunzione dei farmaci dell’88% (Williams et al. 2005). Effetti positivi si sono riscontrati nella riduzione dell’emicrania (John et al. 2007) e delle osteo-artriti (Kolasinski et al. 2005). Non restano esclusi dall’elenco i problemi legati alle arterie coronarie, Yogendra e collaboratori (2004) riportano come, dopo un anno di pratica, si rilevava una riduzione del 23% nei livelli di colesterolo e del 26% dell’LDH sierico. Altre patologie in cui la pratica dello yoga si è mostrata efficace sono l’asma (Manocha et al. 2002) ed il diabete (Kosuri e Sridhar 2009). Come per la respirazione e la meditazione anche lo yoga si dimostra uno strumento molto efficace per favorire l’equilibrio psicofisico dell’organismo e agevolare il recupero post esercizio. Hegde e collaboratori hanno verificato l’efficacia dello Yoga nel contrastare lo stress ossidativo e i parametri glicemici in un persone affette da prediabete. I risultati incoraggiano al pratica rilevando una diminuzione dello stress ossidativo, una riduzione del girovita, della pressione sanguigna e del livello di glucosio post prandiale. In un recente studio, Gopal e collaboratori (2011) hanno indagato l’effetto della pratica dello yoga su alcuni parametri biochimici legati allo stress. La ricerca ha dimostrato che il sistema immunitario dei praticanti Yoga risulta più reattivo rispetto al gruppo di controllo. A livello biochimico è emerso che il livelli di interferone (INF- γ) avevano un decrescita più contenuta, mentre quelli di interleuchina-4 (IL-4) e cortisolo sierico crescevano meno nel gruppo yoga rispetto al gruppo di controllo. Le interleuchine sono delle proteine secrete dal sistema immunitario che fungono da messaggeri cellulari regolando l’attività di altre cellule, il loro rapporto relativo è molto importante per il corretto funzionamento dell’organismo.
http://cristianocaporali.com/2014/04/30/recuperare-con-lo-yoga/#more-177
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mercoledì 25 giugno 2014
Franco Battiato. Beta. Dentro di me vivono la mia identica vita dei microrganismi che non sanno di appartenere al mio corpo... Io a quale corpo appartengo?
Dentro di me vivono la mia identica vita
dei microrganismi che non sanno
di appartenere al mio corpo...
Io a quale corpo appartengo?
Franco Battiato: "Beta"
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Indubbiamente l’uomo d’oggi vive in un tempo fittizio, determinato, più che dal corso delle stagioni o dai ritmi naturali, dai riti aberranti, da falsi cerimoniali (che sono l’ora solare, o l’inizio del riscaldamento quando non venga a mancare, gli orari dei treni, le scadenze delle tasse ecc.), che però lo imprigionano entro una rete di atti, di dati, di eventi dalla quale invano vorrebbe – se ancora lo vuole – liberarsi.
Indubbiamente l’uomo d’oggi vive in un tempo fittizio, determinato, più che dal corso delle stagioni o dai ritmi naturali, dai riti aberranti, da falsi cerimoniali (che sono l’ora solare, o l’inizio del riscaldamento quando non venga a mancare, gli orari dei treni, le scadenze delle tasse ecc.), che però lo imprigionano entro una rete di atti, di dati, di eventi dalla quale invano vorrebbe – se ancora lo vuole – liberarsi.
Gillo Dorfles
Morta Lorna Wing, la psichiatra che ha sfatato il mito della “madre frigorifero” e “battezzato” la Sindrome di Asperger. La sindrome è stata battezzata “Asperger” in onore dell’intuitivo pediatra austriaco si caratterizza come una forma di autismo ad “alto funzionamento” che non comporta ritardi nello sviluppo cognitivo e del linguaggio ma una persistente compromissione delle interazioni sociali insieme a schemi di comportamento ripetitivi e stereotipati e allo sviluppo di interessi molto ristretti.
Morta Lorna Wing, la psichiatra che ha sfatato il mito della “madre frigorifero” e “battezzato” la Sindrome di Asperger.
Se n’è andata Lorna Wing, la psichiatra inglese che ha dato un contributo fondamentale alla conoscenza e al trattamento delle persone con autismo nonché la prima, nel 1981, a classificare un sottogruppo di autismo definito da lei come sindrome di Asperger.
Fondatrice della “National Autistic Society” nel Regno Unito del 1962, la Wing riprese gli studi ormai dimenticati di Hans Asperger, un famoso pediatra austriaco che aveva individuato e studiato un gruppo di bambini accomunati da una serie di caratteristiche mai descritte negli anni prima ovvero negli anni Quaranta del secolo scorso.
Meriti
La sindrome è stata battezzata “Asperger” in onore dell’intuitivo pediatra austriaco si caratterizza come una forma di autismo ad “alto funzionamento” che non comporta ritardi nello sviluppo cognitivo e del linguaggio ma una persistente compromissione delle interazioni sociali insieme a schemi di comportamento ripetitivi e stereotipati e allo sviluppo di interessi molto ristretti.
“È stata una vera pioniera nel campo degli studi relativi all’intero spettro autistico – commenta Giovanni Valeri, neuropsichiatra presso l’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma –. È suo il merito di aver attuato le principali rivoluzioni nella conoscenza dell’autismo”.
Primi studi
Negli anni Settanta la Wing condusse infatti , nei dintorni di Londra, un primo studio epidemiologico riuscendo a sfatare l’idea di Leo Kanner (contemporaneo di Asperger e il primo ad utilizzare il termine “autismo”). Questa teoria prevedeva che la patologia fosse spesso associata a un’intelligenza sopraffina e alla presenza di genitori freddi e distaccati. Lo studio condotto dalla Wing mise infatti in evidenza tre punti fondamentali:
- L’autismo nel 70% dei casi si associa a ritardo mentale,
- Non dipende dalle caratteristiche della madre.
- Interessa tutti gli strati sociali.
“Insomma Lorna Wing — commenta Valeri— con il suo lavoro è riuscita a dare un contributo enorme alla pratica clinica, sfatando concetti pericolosi”.
I genitori “riabilitati”
Primo tra tutti il concetto di “madre frigorifero”, introdotto proprio con questi termini, negli anni Sessanta, da Bruno Bettelheim responsabile non solo di aver colpevolizzato intere generazioni di genitori, ma anche di aver minato alla radice la fiducia tra famiglie e i medici.
Grande il cordoglio espresso sulla pagina Facebook della National Autistic Society. Tra i primi a commentare l’accaduto un suo ex paziente, Ben che riporta “Ho conosciuto Lorna nel 1992 ed è stata lei a diagnosticarmi la sindrome di Asperger. Era una persona veramente speciale per me e la mia famiglia. Ci ha fatto capire cos’era la sindrome di Asperger e come condizionava le nostre vite. Era una donna gentile, affabile e piena di premure che abbiamo imparato ad amare e ad ammirare Siamo profondamente addolorati dal fatto che il mondo abbia perso una persona speciale come lei”.
Vogliamo ricordarla com’era : una donna umile e dedita al suo lavoro, riportiamo di seguito l’incipit nel libro diAdam Feinstein “Storia dell’autismo, conversazioni con i pionieri” in cui scrive: “Nulla è completamente originale. Tutto è influenzato da ciò che è stato prima”.
http://www.portale-autismo.it/news/morta-lorna-wing/3827.html
Nick Hornby. Alta Fedeltà. Io credevo che fossimo legati da un unico, semplice filo, cioè dalla nostra relazione, e se tagliavo quel filo era fatta. Così l'ho tagliato, ma non è stato come mi aspettavo. Non c'era solo un filo, erano centinaia, migliaia, ovunque mi girassi.
Io credevo che fossimo legati da un unico, semplice filo, cioè dalla nostra relazione, e se tagliavo quel filo era fatta. Così l'ho tagliato, ma non è stato come mi aspettavo. Non c'era solo un filo, erano centinaia, migliaia, ovunque mi girassi.
Nick Hornby, Alta Fedeltà
Praticamente era una ragnatela che imprigionava...
Non necessariamente imprigionava, almeno in senso stretto, Elisa ... intende dire che le relazioni sono alquanto più complesse, talvolta, di quello che si pensa, che non basta dire 'è finita' perché tutto svanisca (e non parlo del solo lato sentimentale).
In una psichiatria figlia della Rivoluzione francese, lo psichiatra Philippe Pinel inizia a distinguere la malattia dalla colpa, la cura dalla punizione, i malati dai delinquenti. Si direbbe che nasce in quell’occasione la psichiatria come atto di liberazione. Ma da cosa veramente libera Pinel? «Da un bel nulla», dirà più avanti il filosofo Michel Foucault
Michel Foucault storico e filosofo francese tra i grandi pensatori del XX secolo.
Il tema centrale del suo pensiero è la conoscenza. Ad essa Foucault lega la storia stessa della cultura dell'occidente. L’uso che della conoscenza ne fa la Chiesa o la scienza determina la struttura della società. La storia e’ dunque il risultato di momenti di grave crisi delle "verità" seguiti da periodi di relativa stabilità in cui una serie di "discorsi" domina su altri. I lavori di Foucault si concentrano sullo studio delle grandi organizzazioni sociali: prigioni, ospedali, e scuole, contenitori e luoghi discriminatori del “sapere”.
Le critiche di Foucault a Freud
“Freud ha demistificato tutte le altre strutture dell’asilo: ha abolito il silenzio e lo sguardo, ha cancellato l’autoriconoscersi della follia, (...) ha fatto tacere le istanze della condanna. Ma in compenso ha sfruttato la struttura che avvolge il personaggio medico; ha ingrandito le sue virtù di taumaturgo, preparando uno statuto quasi divino alla sua onnipotenza. Ne ha fatto lo Sguardo assoluto, il Silenzio puro, il Giudice che punisce e ricompensa in un giudizio che non accondiscende neppure al linguaggio; ne ha fatto lo specchio in cui la follia, in un movimento quasi immobile, si innamora e si disinnamora di se stessa. (...) Ha liberato il malato da quell’esistenza nell’asilo alla quale l’avevano condannato i suoi liberatori (Tuke e Pinel); ma non l’ ha liberato da ciò che c’era d’essenziale in quell’esistenza; ne ha raggruppato i poteri e li ha tesi al massimo, annodandoli tra le mani del medico; ha determinato la situazione psicoanalitica, in cui, per un corto circuito geniale, l’alienazione sconfigge l’alienazione, inquantoché nel medico essa diventa soggetto. Il medico, come figura alienante, resta la chiave della psicoanalisi”.
Michel Foucault, Storia della follia nell'età classica
Michel Foucault e il potere
“Di modo che è assai difficile liberarsi dal potere, dato che, se il potere non avesse altra funzione che di escludere, di impedire o di punire, come un super-io freudiano, sarebbe sufficiente una presa di coscienza per sopprimere i suoi effetti o anche per sovvertirlo. Penso che il potere non si accontenti di funzionare come un super-io freudiano. Non si limita a reprimere, a limitare l’accesso alla realtà, a impedire la formulazione di un discorso: il potere lavora il corpo, penetra il comportamento, si mescola al desiderio e al piacere, ed è in questo lavoro che bisogna sorprenderlo, e questa analisi, che è difficile, è quella che va fatta”
Michel Foucault, Asili. Sessualità. Prigioni., in Archivio Foucault-2. 1971-1977
“Forse, un giorno, non sapremo più esattamente che cosa ha potuto essere la follia.” … Resterà soltanto un enigma di questa Esteriorità. Quale era dunque, ci si domanderà, questa strana delimitazione che è stata alla ribalta dal profondo Medioevo sino al ventesimo secolo e forse oltre? Perché la cultura occidentale ha respinto dalla parte dei confini proprio ciò in cui avrebbe potuto benissimo riconoscersi, in cui di fatto si è essa stessa riconosciuta in modo obliquo? Perché ha affermato con chiarezza a partire dal XIX secolo, ma anche già dall’età classica, che la follia era la verità denudata dell’uomo, e tuttavia l’ha posta in uno spazio neutralizzato e pallido ove era come annullata?”
Michel Foucault, Storia della follia nell'età classica
Le critiche di Foucault a Freud
“Freud ha demistificato tutte le altre strutture dell’asilo: ha abolito il silenzio e lo sguardo, ha cancellato l’autoriconoscersi della follia, (...) ha fatto tacere le istanze della condanna. Ma in compenso ha sfruttato la struttura che avvolge il personaggio medico; ha ingrandito le sue virtù di taumaturgo, preparando uno statuto quasi divino alla sua onnipotenza. Ne ha fatto lo Sguardo assoluto, il Silenzio puro, il Giudice che punisce e ricompensa in un giudizio che non accondiscende neppure al linguaggio; ne ha fatto lo specchio in cui la follia, in un movimento quasi immobile, si innamora e si disinnamora di se stessa. (...) Ha liberato il malato da quell’esistenza nell’asilo alla quale l’avevano condannato i suoi liberatori (Tuke e Pinel); ma non l’ ha liberato da ciò che c’era d’essenziale in quell’esistenza; ne ha raggruppato i poteri e li ha tesi al massimo, annodandoli tra le mani del medico; ha determinato la situazione psicoanalitica, in cui, per un corto circuito geniale, l’alienazione sconfigge l’alienazione, inquantoché nel medico essa diventa soggetto. Il medico, come figura alienante, resta la chiave della psicoanalisi”.
Michel Foucault, Storia della follia nell'età classica
Michel Foucault e il potere
“Di modo che è assai difficile liberarsi dal potere, dato che, se il potere non avesse altra funzione che di escludere, di impedire o di punire, come un super-io freudiano, sarebbe sufficiente una presa di coscienza per sopprimere i suoi effetti o anche per sovvertirlo. Penso che il potere non si accontenti di funzionare come un super-io freudiano. Non si limita a reprimere, a limitare l’accesso alla realtà, a impedire la formulazione di un discorso: il potere lavora il corpo, penetra il comportamento, si mescola al desiderio e al piacere, ed è in questo lavoro che bisogna sorprenderlo, e questa analisi, che è difficile, è quella che va fatta”
Michel Foucault, Asili. Sessualità. Prigioni., in Archivio Foucault-2. 1971-1977
"In una psichiatria figlia della Rivoluzione francese, lo psichiatra Philippe Pinel inizia a distinguere la malattia dalla colpa, la cura dalla punizione, i malati dai delinquenti. Si direbbe che nasce in quell’occasione la psichiatria come atto di liberazione. Ma da cosa veramente libera Pinel? «Da un bel nulla», dirà più avanti il filosofo Michel Foucault."
da "Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e il ruolo dell'informazione" di Anita Eusebi
“Forse, un giorno, non sapremo più esattamente che cosa ha potuto essere la follia.” … Resterà soltanto un enigma di questa Esteriorità. Quale era dunque, ci si domanderà, questa strana delimitazione che è stata alla ribalta dal profondo Medioevo sino al ventesimo secolo e forse oltre? Perché la cultura occidentale ha respinto dalla parte dei confini proprio ciò in cui avrebbe potuto benissimo riconoscersi, in cui di fatto si è essa stessa riconosciuta in modo obliquo? Perché ha affermato con chiarezza a partire dal XIX secolo, ma anche già dall’età classica, che la follia era la verità denudata dell’uomo, e tuttavia l’ha posta in uno spazio neutralizzato e pallido ove era come annullata?”
Michel Foucault, Storia della follia nell'età classica
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martedì 24 giugno 2014
Djuna Barnes, La foresta della notte. Questo romanzo, pubblicato nel 1936 con una presentazione di T.S. Eliot, ci appare oggi, fra i grandi libri del nostro secolo, come un essere solitario, esotico e fiero. Qui, sin dall’inizio, l’aria del tempo ci avvolge in una fosca cappa: siamo nella Parigi dissipata degli Anni Venti, che si abbandona alla «grande inquietudine detta divertimento», o ci aggiriamo per un’Europa che si offre come una polverosa, opulenta esposizione di bric-à-brac, in attesa dell’inventario. Ma presto avvertiamo che c’è anche una forte distanza dai tempi e dai luoghi: un vento metafisico turbina in queste pagine e solleva le immagini in mulinelli incessanti. La mescolanza intima fra crudezza e concettosità, che fu il prodigio degli Elisabettiani, risorge nella prosa della Barnes, dove le parole sembrano incurvarsi nelle spire di un puro delirio ornamentale, per trafiggere poi con sentenze mortali.
Questo romanzo, pubblicato nel 1936 con una presentazione di T.S. Eliot, ci appare oggi, fra i grandi libri del nostro secolo, come un essere solitario, esotico e fiero. Qui, sin dall’inizio, l’aria del tempo ci avvolge in una fosca cappa: siamo nella Parigi dissipata degli Anni Venti, che si abbandona alla «grande inquietudine detta divertimento», o ci aggiriamo per un’Europa che si offre come una polverosa, opulenta esposizione di bric-à-brac, in attesa dell’inventario. Ma presto avvertiamo che c’è anche una forte distanza dai tempi e dai luoghi: un vento metafisico turbina in queste pagine e solleva le immagini in mulinelli incessanti. La mescolanza intima fra crudezza e concettosità, che fu il prodigio degli Elisabettiani, risorge nella prosa della Barnes, dove le parole sembrano incurvarsi nelle spire di un puro delirio ornamentale, per trafiggere poi con sentenze mortali.
Al centro della Foresta della Notte dorme la Bella Schizofrenica, in un letto dell’Hôtel Récamier. È Robin: la sua carne ha una «grana arborea», il suo corpo esala il «profumo dei funghi», la sua epidermide è azzurrata, come da un fluido sottocutaneo. «Creatura selvaggia intrappolata in una pelle di donna», Robin porta ovunque la calamità e la fascinazione, procedendo con passo da sonnambula sempre più in là nella sua depravata innocenza. Intorno a lei vediamo disporsi, come in un quadrilatero di polene abbandonate, gli altri personaggi del romanzo: Nora, che cela nel suo cuore «il fossile di Robin», quasi una memoria ancestrale; la rapace Jenny; il falso Barone Volkbein, pateticamente devoto a una nobiltà fantomatica. Ma su tutti torreggia il dottor Matthew O’Connor, ciarlatano mistico, Guardiano della Notte, il cui sontuoso e corrusco blaterare si contrappone alle rare e monche parole di Robin. Il dottor O’Connor ci viene incontro come un cliente pittoresco del Café de la Mairie du VI° e sentiamo, per così dire, la sua voce echeggiare da tutti i bar perduti degli Anni Venti. Ma nella sua apparizione riconosciamo anche una voce perenne, penetrante, ossessiva, che continuerà a parlare «finché la furia della notte non avrà fatto marcire fino in fondo il proprio fuoco». È una figura indelebile, un dottore non della malattia, piuttosto del «male universale»: quel male che non guarisce, ma vuole disperatamente chiamarsi per nome – e quel nome è la letteratura.
Djuna Barnes, La foresta della notte
Djuna Barnes fu uno degli incontri "fatali" di E. Zolla, che le dedica un capitolo in Filosofia perenne e mente naturale: gli altri due sono il Marchese de Sade e I.P.Culianu. Il libro è straordinario.
John Dryden. I più sono stati sviati dall'istruzione; credono a questo e quello perché così li hanno educati. II prete continua ciò che iniziò la balia, e in tal modo il bambino inganna l'uomo
"I più sono stati sviati dall'istruzione; credono a questo e quello perché così li hanno educati.
II prete continua ciò che iniziò la balia, e in tal modo il bambino inganna l'uomo".
John Dryden
II prete continua ciò che iniziò la balia, e in tal modo il bambino inganna l'uomo".
John Dryden
LO YOGIN E IL FOLLE Nasrudin, il maestro folle della tradizione sufi, passa davanti a una grotta, vede uno yogin immerso in meditazione e gli domanda che cosa stia cercando. - Contemplo gli animali, e da loro ho appreso molte lezioni che possono trasformare la vita di un uomo – dice lo yogin. - Insegnami ciò che sai. E io ti insegnerò ciò che ho appreso, giacché un pesce mi ha salvato la vita – risponde Nasrudin. Lo yogin si meraviglia: solo un santo può avere la vita salvata da un pesce. E decide di insegnargli tutto ciò che conosce. Quando termina, dice a Nasrudin: - Ora che ti ho insegnato tutto, sarei orgoglioso di sapere come un pesce ti ha salvato la vita. - E’ semplice. Stavo quasi per morire di fame quando l’ho pescato, e grazie ad esso ho potuto sopravvivere tre giorni.
LO YOGIN E IL FOLLE
Nasrudin, il maestro folle della tradizione sufi, passa davanti a una grotta, vede uno yogin immerso in meditazione e gli domanda che cosa stia cercando.
- Contemplo gli animali, e da loro ho appreso molte lezioni che possono trasformare la vita di un uomo – dice lo yogin.
- Insegnami ciò che sai. E io ti insegnerò ciò che ho appreso, giacché un pesce mi ha salvato la vita – risponde Nasrudin.
Lo yogin si meraviglia: solo un santo può avere la vita salvata da un pesce. E decide di insegnargli tutto ciò che conosce.
Quando termina, dice a Nasrudin:
- Ora che ti ho insegnato tutto, sarei orgoglioso di sapere come un pesce ti ha salvato la vita.
- E’ semplice. Stavo quasi per morire di fame quando l’ho pescato, e grazie ad esso ho potuto sopravvivere tre giorni.
martedì 17 giugno 2014
IL COLONIALISMO IMPERIALE INGLESE - UN ESEMPIO DI SOTTOMISSIONE LINGUISTICO-CULTURALE. Durante tutto il diciannovesimo secolo, nel sistema educativo del Galles regnava l'imperativo "Welsh not!", ovvero, era severamente proibito l'impiego della lingua gallese all'interno degli edifici scolastici; soltanto l'inglese poteva essere utilizzato, persino durante i momenti di gioco o di ricreazione. Chi veniva sorpreso a comunicare servendosi del gallese era costretto ad indossare un collare di legno per punizione e quando un altro bambino veniva colto a parlare in gallese, il collare veniva trasferito al compagno. Alla fine delle ore di lezione il bambino che indossava il collare riceveva una ventina di bacchettate.
IL COLONIALISMO IMPERIALE INGLESE -
UN ESEMPIO DI SOTTOMISSIONE LINGUISTICO-CULTURALE
Una delle prime armi per sottomettere un popolo è privarlo della propria lingua e della propria cultura, essendo peraltro le due cose strettamente collegate. La lingua infatti condiziona in una certa maniera il modo di vedere la realtà circostante, costituendo una ricchezza culturale da tutelare per alimentare una visione corrispondente alla complessità del reale.
Di seguito riportiamo un esempio di colonialismo culturale attuato dagli inglesi in Galles nell'800, ricordando come in tale periodo gli inglesi dominassero attraverso il proprio impero un quarto dei territori del mondo, con possedimenti diretti in Asia, Africa, Oceania e Americhe. Se queste pratiche venivano attuate a pochi chilometri da Londra potete immaginare cosa veniva fatto nel resto del mondo presso le popolazioni che gli inglesi consideravano "inferiori":
"durante tutto il diciannovesimo secolo, nel sistema educativo del Galles regnava l'imperativo "Welsh not!", ovvero, era severamente proibito l'impiego della lingua gallese all'interno degli edifici scolastici; soltanto l'inglese poteva essere utilizzato, persino durante i momenti di gioco o di ricreazione.
Chi veniva sorpreso a comunicare servendosi del gallese era costretto ad indossare un collare di legno per punizione e quando un altro bambino veniva colto a parlare in gallese, il collare veniva trasferito al compagno. Alla fine delle ore di lezione il bambino che indossava il collare riceveva una ventina di bacchettate."
[fonte: S. Dal Negro & F. Guerini, Contatto. Dinamiche ed esiti del plurilinguismo, pp. 134-135]
lunedì 16 giugno 2014
Il Faust e il Golem sono probabilmente le uniche due mitografie moderne ed entrambe sottendono il rapporto fra l'uomo e la hybris della conoscenza, del sapere. La leggenda del Golem si forma nell'ambito della mistica ebraica ed è ormai inscindibilmente legata alla Praga magica di Rodolfo d'Asburgo, ma proietta la sua inquietante presenza fino alla Praga di Meyrink e di Kafka, per arrivare fino a noi anche attraverso la letteratura a fumetti più intrigante e colta. Chi è il Golem o, per meglio dire, cosa è un Golem? Si tratta di robot, un umanoide impastato nell'argilla come Adàm, il primo uomo della Bibbia a cui la vita fu insufflata dall’ "alito" divino e che prima di diventare un essere umano, fu un Golem. Nel caso del Golem della tradizione mistica, la vita gli è suscitata attraverso arti cabalistiche la cui fonte è il sefer hayetziràh, il libro della creazione e che culminano con l'apposizione di un cartiglio su cui è vergata la parola ebraica emet, verità, sulla fronte o a all’altezza del cuore. La creazione del Golem più celebre della storia, è attribuita al grande rabbino praghese Yehudà ben Bezalel, noto anche come Rabbi Yehudà Löv, il Maharal. Il Golem è insieme potentissimo e fragile. Può prestarsi ad essere un umile servitore per i lavori più ingrati, ma può trasformarsi in un formidabile difensore contro le persecuzioni grazie alla sua tremenda forza. La sua natura di materia manipolata, lo porta tuttavia ad essere instabile, sofferente e confuso ed è necessario disattivarlo il Sabato, giorno della santità, perché non diventi distruttivo verso coloro che dovrebbe proteggere. Questo mito mistico, allude all'intera problematica del rapporto fra l'umano e il sapere che può manipolare la materia e gli habitat in ciascuna delle loro forme.
Il Golem della comunicazione
"Il Faust e il Golem sono probabilmente le uniche due mitografie moderne ed entrambe sottendono il rapporto fra l'uomo e la hybris della conoscenza, del sapere. La leggenda del Golem si forma nell'ambito della mistica ebraica ed è ormai inscindibilmente legata alla Praga magica di Rodolfo d'Asburgo, ma proietta la sua inquietante presenza fino alla Praga di Meyrink e di Kafka, per arrivare fino a noi anche attraverso la letteratura a fumetti più intrigante e colta. Chi è il Golem o, per meglio dire, cosa è un Golem? Si tratta di robot, un umanoide impastato nell'argilla come Adàm, il primo uomo della Bibbia a cui la vita fu insufflata dall’ "alito" divino e che prima di diventare un essere umano, fu un Golem. Nel caso del Golem della tradizione mistica, la vita gli è suscitata attraverso arti cabalistiche la cui fonte è il sefer hayetziràh, il libro della creazione e che culminano con l'apposizione di un cartiglio su cui è vergata la parola ebraica emet, verità, sulla fronte o a all’altezza del cuore. La creazione del Golem più celebre della storia, è attribuita al grande rabbino praghese Yehudà ben Bezalel, noto anche come Rabbi Yehudà Löv, il Maharal. Il Golem è insieme potentissimo e fragile. Può prestarsi ad essere un umile servitore per i lavori più ingrati, ma può trasformarsi in un formidabile difensore contro le persecuzioni grazie alla sua tremenda forza. La sua natura di materia manipolata, lo porta tuttavia ad essere instabile, sofferente e confuso ed è necessario disattivarlo il Sabato, giorno della santità, perché non diventi distruttivo verso coloro che dovrebbe proteggere. Questo mito mistico, allude all'intera problematica del rapporto fra l'umano e il sapere che può manipolare la materia e gli habitat in ciascuna delle loro forme.
Ho ripensato angosciosamente a questa leggenda mitografica, riflettendo sull'immenso ed ipertrofico Golem comunicativo che abbiamo generato per servirci e per difenderci, come straordinario mezzo di informazione e come formidabile strumento di democrazia, ma non ci siamo preoccupati di contemperarlo con la pietas sabbatica, con il tempo del ricongiungimento a noi stessi, dell'uguaglianza e di quel senso primo che è l'integrità della vita per ció che essa è per sé. Senso di relazione con l'altro che passa per l'accoglienza, per il rispetto, per la contemplazione del suo splendore senza che venga sfregiato dalla pletoricità egocentrica della grafomania, della sua aggressività talora violenta, irresponsabile, perché protetta dalla pretesa neutralità del medium. Impariamo a frenare la bulimia autoreferenziale dell'esserci a tutti i costi hic et nunc, a lasciare spazio al silenzio, alla riflessione interiore, alla percezione dell'esistenza intima che ci circonda. Facciamolo prima che la nostra vita diventi solo sopraffazione".
Moni Ovadia
L'Unità - Voce d'Autore del 14 giugno 2014
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Carlson. Non analizzare la tua vita proprio quando sei di malumore: è un metodo emotivamente suicida
"Non analizzare la tua vita proprio quando sei di malumore: è un metodo emotivamente suicida."
R. Carlson
R. Carlson
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sabato 14 giugno 2014
Le Moire. Igino ed Esiodo le dicono figlie della Notte, ne fissano il numero a tre (numero sacro), e ne danno anche i nomi: Cloto, la "filatrice" del filo della vita che si avvolge intorno alla conocchia; Lachesi, la "fissatrice", che dà a ciascuno quello che gli spetta in sorte; Atropo, l'"irremovibile", l'inevitabile fatalità della morte nel momento stabilito.
"(…) L’altro stringe fra le braccia Sonno, il fratello di Morte, e la malvagia notte, avvolta in una nuvola vaporosa. E là i figli della nera Notte hanno la loro dimora, Sonno e Morte, terribili dei."
Esiodo, Teogonia, 755
LE MOIRE
Dalla genitura molto controversa. Infatti, Igino ed Esiodo le dicono figlie della Notte, ne fissano il numero a tre (numero sacro), e ne danno anche i nomi: Cloto, la "filatrice" del filo della vita che si avvolge intorno alla conocchia; Lachesi, la "fissatrice", che dà a ciascuno quello che gli spetta in sorte; Atropo, l'"irremovibile", l'inevitabile fatalità della morte nel momento stabilito.
Ma un'altra tradizione mitica molto antica, per riportarle al mondo divino di Zeus e inserirle nel quadro dell'Olimpo, le considera come figlie di Zeus e di Temi.
La teogonia orfica le dice figlie di Urano e di Gea.
Le Moire non ebbero mai un'esatta limitazione: ora appaiono sottoposte a Zeus, ora sono una forza incontrollabile, tenebrosa, che sovrasta tutti gli dèi, non eccettuato Zeus.
Zeus che pesa sulla bilancia le vite degli uomini e informa le Moire delle sue decisioni, può, si dice, cambiar parere e intervenire in favore di chi vuole, anche se il filo della vita di costui, filato dal fuso di Cloto e misurato da Lachesi, sta per essere reciso dalle forbici di Atropo.
Anzi, gli uomini sostengono addirittura di poter salvarsi, entro certi limiti, modificando il proprio destino grazie alla prudenza nell'evitare inutili rischi.
Ci dice HILLMAN nel "Codice dell'anima" :
"Il termine greco per indicare il FATO, MOIRA, significa <parte assegnata, porzione>.
Così come il fato ha solo una parte in ciò che succede, allo stesso modo il DAIMON, l'aspetto personale, interiorizzato della Moira, occupa solo una porzione della nostra vita, la chiama , ma non la possiede.
Moira deriva dalla radice indoeuropea SMER o MER , "ponderare, pensare, meditare, considerare, curare".
Ci chiede di analizzare da vicino gli eventi per determinare quale porzione viene dall' esterno ed é inspiegabile e quale mi appartiene , attiene a ciò che ho fatto io, avrei potuto fare, posso ancora fare.
La Moira non é in mano mia, é vero, ma é solo una porzione.
Non posso abbandonare le mie azioni o le mie capacità e la loro realizzazione, nonché la loro frustrazione o fallimento, a loro, agli dei e dee o al volere della ghianda daimonica
Il fato non mi solleva dalla responsabilità; anzi me ne richiede molta di più".
venerdì 13 giugno 2014
Willigis Jäger. Ad esempio, perché le nostre braccia e le nostre gambe si sviluppano proprio in questa forma? Le sostanze e le reazioni chimiche non forniscono di per sé alcuna spiegazione della forma che si sviluppa. Quando un architetto analizza le pietre, la malta e il legno di un edificio, non sa ancora nulla della struttura dell'edificio stesso. Con gli stessi mattoni, con la stessa malta, con lo stesso legno si può costruire anche un edificio completamente diverso.... . Gli organismi sono dotati di campi invisibili che determinano la loro forma. Il biologo Sheldrake chiama "campi morfogenetici" queste meta-strutture che, in ultima analisi, conferiscono agli esseri viventi la loro forma. Non siamo dunque in prima istanza esseri fisiologici e biologici, ma esseri con una struttura fondamentale d'ordine spirituale
Così come un campo cristallino organizza i modi secondo cui molecole e atomi si ordinano all’interno di un cristallo. [...] un campo sociale organizza e coordina il comportamento degli individui che lo compongono, per esempio il modo in cui ciascun uccello vola all'interno dello stormo.
Sheldrake R., 1999
Noi ci affezioniamo molto a cani, gatti e cavalli, ci prendiamo cura di loro e quando muoiono viviamo un autentico lutto. Ma ai maiali, ai vitelli, alle galline riserviamo un trattamento brutale, di sfruttamento, lontano da qualsiasi forma di affetto, essendo essi parte di un sistema produttivo, il cui unico scopo è produrre la maggior quantità di cibo al minor costo. Per giustificare questo comportamento, gli animali sfavoriti devono essere considerati inferiori, indegni di un attaccamento affettivo. Se dovesse sorgere il dubbio che anche gli animali sfruttati abbiano un certo valore proprio, nascerebbe un conflitto irrisolvibile. Un modo sicuro per evitare il sorgere di tale conflitto è tenere le due categorie di animali, privilegiati e sfruttati, in ambiti della nostra mente completamente separati.
Rupert Sheldrake, "I poteri straordinari degli animali", Mondadori-Oscar
Sheldrake R., 1999
Noi ci affezioniamo molto a cani, gatti e cavalli, ci prendiamo cura di loro e quando muoiono viviamo un autentico lutto. Ma ai maiali, ai vitelli, alle galline riserviamo un trattamento brutale, di sfruttamento, lontano da qualsiasi forma di affetto, essendo essi parte di un sistema produttivo, il cui unico scopo è produrre la maggior quantità di cibo al minor costo. Per giustificare questo comportamento, gli animali sfavoriti devono essere considerati inferiori, indegni di un attaccamento affettivo. Se dovesse sorgere il dubbio che anche gli animali sfruttati abbiano un certo valore proprio, nascerebbe un conflitto irrisolvibile. Un modo sicuro per evitare il sorgere di tale conflitto è tenere le due categorie di animali, privilegiati e sfruttati, in ambiti della nostra mente completamente separati.
Rupert Sheldrake, "I poteri straordinari degli animali", Mondadori-Oscar
Ad esempio, perché le nostre braccia e le nostre gambe si sviluppano proprio in questa forma? Le sostanze e le reazioni chimiche non forniscono di per sé alcuna spiegazione della forma che si sviluppa. Quando un architetto analizza le pietre, la malta e il legno di un edificio, non sa ancora nulla della struttura dell'edificio stesso. Con gli stessi mattoni, con la stessa malta, con lo stesso legno si può costruire anche un edificio completamente diverso.... .
Gli organismi sono dotati di campi invisibili che determinano la loro forma. Il biologo Sheldrake chiama "campi morfogenetici" queste meta-strutture che, in ultima analisi, conferiscono agli esseri viventi la loro forma. Non siamo dunque in prima istanza esseri fisiologici e biologici, ma esseri con una struttura fondamentale d'ordine spirituale.
Willigis Jäger
Canetti - Socrate. “Ciò che più mi ripugna dei filosofi è il processo di evacuazione del loro pensiero. Quanto più frequentemente e abilmente usano i loro termini fondamentali, tanto meno rimane del mondo intorno a loro. Sono come barbari in un nobile e vasto palazzo pieno di opere meravigliose. Se ne stanno là, in maniche di camicia e gettano tutto dalla finestra, metodici e irremovibili: poltrone, quadri, piatti, animali, bambini finchè non rimane altro che stanza vuote. Talvolta, alla fine, vengono scaraventate fuori anche le porte e le finestre. Rimane la casa nuda e si immaginano che queste devastazioni abbiano portato un miglioramento”.
Pillole di filosofia: lo schizofrenico che faceva troppe domande
Atene, giugno 410 a.C.. E’ sera, ma il sole rimbalza sulle case bianche e sulle strade lastricate ancora roventi. In fondo ai gradini che state scendendo c’è un uomo, basso e tarchiato, bruttino, con il naso a patata e un odore non propriamente piacevole. Il suo aspetto è trasandato ma i suoi occhi brillano. Lo potreste definire un bizzarro barbone graziato da una qualche luce carismatica.
Quest’uomo pone domande, incessantemente, continuamente. Sembra una macchinetta inceppata che ripete sempre all’infinito “Che cos’è?”. I più lo squadrano infastiditi e lo scacciano come si fa con un insetto. Con un tafano, per la precisione. L’uomo che sta per diventare il padre del pensiero razionalista occidentale e il primo grande martire della filosofia è un attempato e strambo signore che passa il suo tempo ciondolando al mercato e facendo ai passanti domande imbarazzanti. Tutto qui.
Beh, più o meno. Prima di tutto c’è da dire che queste domande erano veramente acute e perfettamente, paradigmaticamente, filosofiche. Le domande di Socrate atomizzavano il pensiero. Analiticamente sminuzzava le frasi per ridurle in primitive particelle linguistiche e poter così, procedendo come un riduzionista ante litteram, smascherare le false verità. Non crearne di nuove, sia ben chiaro. Sin dai suoi albori la filosofia si mostra come la scienza che non può e non vuole sviscerare nuovi elementi dalla realtà ma come la disciplina preposta a sbugiardare in pubblica piazza, e spesso in modo poco cortese, le fallacie logiche, i pregiudizi dogmatici e le illusioni mendaci.
E’ questo suo lavoro puramente in negativo che la renderà spesso malvista, maltrattata e malmenata e che farà dire al poeta Bulgaro Canetti circa 2400 anni dopo “Ciò che più mi ripugna dei filosofi è il processo di evacuazione del loro pensiero. Quanto più frequentemente e abilmente usano i loro termini fondamentali, tanto meno rimane del mondo intorno a loro. Sono come barbari in un nobile e vasto palazzo pieno di opere meravigliose. Se ne stanno là, in maniche di camicia e gettano tutto dalla finestra, metodici e irremovibili: poltrone, quadri, piatti, animali, bambini finchè non rimane altro che stanza vuote. Talvolta, alla fine, vengono scaraventate fuori anche le porte e le finestre. Rimane la casa nuda e si immaginano che queste devastazioni abbiano portato un miglioramento”.
Vicoli ciechi, assurdi logici e autocontraddizioni. Finire nel vortice delle domande di Socrate doveva essere un’esperienza poco piacevole e decisamente sconfortante. Il filosofo sentiva che la sua vocazione era quella di svelare i limiti di tutto quelle che le persone davano per scontato e mettere in discussione le fondamenta stesse delle credenze su cui avevano basato la loro vita. Non si sarebbe fermato finché il malcapitato non avesse ammesso in realtà di non sapere un bel niente. Quest’idea di Socrate è più che opinabile, in molti hanno sostenuto che nell’ottica di una vita serena e felice abbiamo bisogno di una corazza di illusioni e di certezze più o meno auto costruite. Ma il filosofo era convinto che fosse molto meglio non sapere nulla piuttosto che continuare a credere di sapere qualcosa che in realtà si ignora. La vita, sosteneva, vale la pena di essere vissuta solo se si pensa a ciò che si sta facendo.
Oggi Socrate sarebbe stato probabilmente diagnosticato come schizofrenico, se non altro per la sua convinzione di convivere con un dàimon, un demone interiore che stimolava la sua ragione e lo dissuadeva dal prendere decisioni sbagliate. Ma anche ai suoi tempi non se la passava troppo bene e in molti lo ritenevano un vero e proprio problema di ordine pubblico. Testimoniando e predicando l’uso della ragione senza riserve, Socrate induceva le menti dei giovani ateniesi a mettere in dubbio lo stato politico attuale e soprattutto la religione tradizionale con tutto lo schema comportamentale e morale che essa implicava.
Nel 399 a.C., quando aveva ormai settant’anni, un cittadino di nome Mileto lo denunciò, accusandolo di empietà e corruzione dei giovani. Il primo filosofo morì come era vissuto. Coerentemente con la sua figura di personaggio scomodo, non tentò neanche di difendersi o di accattivarsi la giuria che doveva deliberare sulla sua condanna. Indorare e deformare i fatti era proprio dei sofisti, i retori persuasori bistrattatori della verità, non certo di Socrate che accettò di bere la cicuta e andò serenamente incontro alla morte.
A questo personaggio a dir poco pittoresco, che preferì morire piuttosto che smettere di pensare alla vera natura delle cose, dobbiamo moltissimo. Non ha debellato malattie, non ha inventato niente di direttamente utile, non ha scritto poesie meravigliose, eppure possiamo dire che ha fatto molto di più. Ha spronato gli uomini del suo tempo e tutti quelli che sono venuti dopo a conoscere a non fermarsi all’apparenza delle cose e a diffidare delle facili soluzioni. A non accettare questo labirinto intricato del mondo come un dato di fatto ma a avventurarcisi senza pregiudizi o illusioni, sempre accompagnati dall’uso spregiudicato della razionalità. In una parola, ci ha insegnato la Filosofia. Ed è da quella che, poi, scende tutto il resto.
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