Un delinquente abituale, recidivo e dedito al crimine anche organizzato, visti i suoi sodali. Ideatore, organizzatore e utilizzatore finale dei crimini da lui commessi.
sen. Paola Taverna
http://www.serviziopubblico.it/2013/11/28/news/l_intervento_di_paola_taverna.html
Il vero potere risiede nelle mani di chi ha in mano i mass media.
Licio Gelli
Berlusconi è un uomo fuori dal comune. Ricordo bene che già allora, ai tempi dei nostri primi incontri, aveva questa caratteristica: sapeva realizzare i suoi progetti. Un uomo del fare. Di questo c'è bisogno in Italia: non di parole, di azioni.
Licio Gelli
Chi non grida la verità quando sa la verità, si fa complice dei falsari e degli imbroglioni.
Charles Peguy
Il primo gesto rivoluzionario è chiamare le cose con il loro vero nome.
Rosa Luxemburg
AVVERTENZE - IMPORTANTE: "Questo blog NON rappresenta una testata giornalistica poiché viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62/2001. Le immagini pubblicate, così come i testi, sono da intendersi come materiale di propaganda; qualora il loro utilizzo violasse diritti d’autore, lo si comunichi all’autore del blog, che provvederà alla loro pronta rimozione".
sabato 30 novembre 2013
venerdì 29 novembre 2013
Eric Kandel. l'Eta' dell'Inconscio '' di Eric Kandel...è un libro che secondo me dovrebbe essere messo come libro di testo nelle scuole...l'autore è uno scienziato premio Nobel in Medicina ...egli sceglie Kokoschka, Klimt, Schiele, Freud, Schnitzler, Nietzsche, come autori e pionieri del secolo corso per capire cosa ha influenzato il cambiamento dell'uomo nella psicologia, nella neurobiologia, nella letteratura, nell'arte..
ho letto'' l'Eta' dell'Inconscio '' di Eric Kandel... è un libro che secondo me dovrebbe essere messo come libro di testo nelle scuole...l'autore è uno scienziato premio Nobel in Medicina ...egli sceglie Kokoschka, Klimt, Schiele, Freud, Schnitzler, Nietzsche, come autori e pionieri del secolo corso per capire cosa ha influenzato il cambiamento dell'uomo nella psicologia, nella neurobiologia, nella letteratura, nell'arte...l'autore è uno scienziato ed è quindi rigoroso nella sua ricerca ed approfondisce ogni parte e teoria, ma ha nello stesso tempo la passione dell'uomo curioso e creativo...e l'interpretazione delle opere dei pittori è meravigliosa come tutto il resto.... fantastico... se mai avessi la curiosità di conoscere questo testo non ti deluderà...
Eric Kandel. l'Eta' dell'Inconscio.
"Il premio Nobel Eric Kandel usa le sue doti di divulgatore per portarci nella Vienna del Novecento, dove le figure più eminenti della scienza e dell'arte diedero l'avvio a una rivoluzione che avrebbe cambiato per sempre il modo di considerare la mente umana. Nei salotti viennesi dell'epoca si discutevano idee che avrebbero segnato una svolta nella psicologia, nella neurobiologia, nella letteratura e nell'arte. Tali idee portarono a progressi che esercitano ancora oggi la loro influenza. Sigmund Freud sconvolse il mondo mostrando come l'aggressività e i desideri erotici inconsci si esprimano simbolicamente nei sogni e nel comportamento. Arthur Schnitzler rivelò la sessualità inconscia delle donne con l'innovativo ricorso al monologo interiore. Gustav Klimt, Oskar Kokoschka e Egon Schiele diedero vita a opere di grande evocatività che esprimevano il piacere, il desiderio, l'angoscia e la paura. "L'età dell'inconscio" aiuta a capire i meccanismi cerebrali che rendono possibile la creatività nell'arte e nella scienza, aprendo una nuova dimensione nella storia intellettuale".
http://www.ibs.it/code/9788860304919/kandel-eric-r-/eta-dell-inconscio.html
Egon Schiele - Nudo femminile sdraiata per metà.
Splendido disegno erotico di Schiele, ancora fortemente influenzato dallo stile di Klimt, il quale incoraggiò in ogni modo il lavoro del giovane Egon che arriverà a dire esplicitamente "sono passato attraverso l'arte di Klimt". Schiele è sincero, una linea spesso nervosa, ma mai volgare, per dirla con le sue parole "nessuna opera d’arte erotica è una porcheria, quand’è artisticamente rilevante, diventa una porcheria solo tramite l’osservatore, se costui è un porco." 1910
Egon Schiele - Nudo femminile sdraiata per metà.
Splendido disegno erotico di Schiele, ancora fortemente influenzato dallo stile di Klimt, il quale incoraggiò in ogni modo il lavoro del giovane Egon che arriverà a dire esplicitamente "sono passato attraverso l'arte di Klimt". Schiele è sincero, una linea spesso nervosa, ma mai volgare, per dirla con le sue parole "nessuna opera d’arte erotica è una porcheria, quand’è artisticamente rilevante, diventa una porcheria solo tramite l’osservatore, se costui è un porco." 1910
Egon Schiele all'età di soli 17anni realizza questo dipinto, Il porto di Trieste, 1907.
Leopold Museum, Vienna
giovedì 28 novembre 2013
René Girard. Il capro espiatorio. Le persecuzioni che ci interessano si svolgono di preferenza durante periodi di crisi che comportano l'indebolimento delle istituzioni normali e favoriscono la formazione di folle, cioè di assembramenti popolari spontanei, suscettibili di sostituirsi interamente a istituzioni indebolite o di esercitare su queste una pressione decisiva [...] le crisi che scatenano le grandi persecuzioni collettive sono sempre vissute più o meno nello stesso modo da quelli che le subiscono. L'impressione più viva è invariabilmente quella di una radicale rovina del sociale stesso, la fine delle regole e delle differenze che definiscono ordini culturali
Le persecuzioni che ci interessano si svolgono di preferenza durante periodi di crisi che comportano l'indebolimento delle istituzioni normali e favoriscono la formazione di folle, cioè di assembramenti popolari spontanei, suscettibili di sostituirsi interamente a istituzioni indebolite o di esercitare su queste una pressione decisiva [...] le crisi che scatenano le grandi persecuzioni collettive sono sempre vissute più o meno nello stesso modo da quelli che le subiscono. L'impressione più viva è invariabilmente quella di una radicale rovina del sociale stesso, la fine delle regole e delle differenze che definiscono ordini culturali
René Girard. Il capro espiatorio
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domenica 24 novembre 2013
Anna Achmatova. Requiem. Ho saputo come si infossano i volti, come da sotto le palpebre appare la paura, come la sofferenza traccia sulle guance dure pagine di caratteri cuneiformi, come ciocche nere e color cenere diventano argentee all’improvviso, il sorriso avvizzisce su labbra sommesse, e in una secca risata trema lo spavento. Io prego non per me sola, ma per tutte quelle che erano là con me nel freddo spietato, nell’afa di luglio sotto la parete rossa accecata.
Anna Achmatova nel 1934 era nella casa di Osip Mandel ‘stam quando il poeta, colpevole di avere scritto versi feroci contro Stalin, fu arrestato. Più tardi si sarebbe messa in coda difronte al carcere di Leningrado insieme a centinaia di madri, mogli e figlie, per avere notizie del suo nuovo marito, lo storico dell’arte Nikolaj Punin, e del figlio Lev, nato dal suo matrimonio con Gumilev, entrambi arrestati durante le purghe staliniane. Fu in quell’occasione che qualcuno la riconobbe e una donna le bisbigliò in un orecchio: << Ma lei questo può descriverlo? >>. Rispose <<posso>> e mantenne la parola scrivendo, fra il 1935 e il 1940, Requiem. da REQUIEM – Epilogo Anna Achmatova:
Ho saputo come si infossano i volti,
come da sotto le palpebre appare la paura,
come la sofferenza traccia sulle guance
dure pagine di caratteri cuneiformi,
come ciocche nere e color cenere
diventano argentee all’improvviso,
il sorriso avvizzisce su labbra sommesse,
e in una secca risata trema lo spavento.
Io prego non per me sola,
ma per tutte quelle che erano là con me
nel freddo spietato, nell’afa di luglio
sotto la parete rossa accecata.
da REQUIEM – Epilogo di Anna Achmatova
Ho saputo come si infossano i volti,
come da sotto le palpebre appare la paura,
come la sofferenza traccia sulle guance
dure pagine di caratteri cuneiformi,
come ciocche nere e color cenere
diventano argentee all’improvviso,
il sorriso avvizzisce su labbra sommesse,
e in una secca risata trema lo spavento.
Io prego non per me sola,
ma per tutte quelle che erano là con me
nel freddo spietato, nell’afa di luglio
sotto la parete rossa accecata.
da REQUIEM – Epilogo di Anna Achmatova
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venerdì 22 novembre 2013
Alessandro Di Battista. Il tempo africano e il tempo della politica Ho una teoria sul perché gli africani siano ballerini eccezionali. E’ tutta questione di “tempo”. La musica è un modo per organizzare il tempo, per dargli forma, per dominarlo. Gli africani sanno dominare il tempo meglio di chiunque altro ed è per questo che danzano come divinità.
Il tempo africano e il tempo della politica
Ho una teoria sul perché gli africani siano ballerini eccezionali. E’ tutta questione di “tempo”. La musica è un modo per organizzare il tempo, per dargli forma, per dominarlo. Gli africani sanno dominare il tempo meglio di chiunque altro ed è per questo che danzano come divinità. Ho visto spettacoli meravigliosi viaggiando per il mondo. Nel Chocò colombiano, nelle terre garifuna dell’Honduras o nei villaggi polverosi del Katanga, bimbetti di 4 anni mi hanno tolto il fiato con le loro movenze. Seppur distanti migliaia di km l’uno dall’altro ballavano allo stesso modo, come se avessero lo stesso coreografo. Gli africani trattano il tempo come un loro suddito, non lo vedono come una categoria che li schiaccia, che gli impone la fretta, la grande malattia che sta uccidendo l’occidente. Se una conferenza è prevista per le 18.00 a che ora inizia in Svizzera? Alle 18.00 in punto. A Milano alle 18.15, a Roma alle 18.30. In Africa inizia quando arriva la gente, se la gente non arriva la conferenza non si fa. E’ la scelta dell’uomo che determina lo svolgersi degli eventi e i loro orari. Si tratta di un modo completamente diverso di ragionare. «A che ora parte il bus?» domandavo nei villaggi del caribe colombiano. «Quando si riempie» mi rispondevano alcuni ragazzi neri dai sorrisi luminosi. Il bus non ha un orario, parte quando si riempie. Dovremmo imparare moltissimo dagli africani. Dovremmo capire che l’unica maniera per cambiare il mondo (e Dio se lo cambieremo) è dominare il tempo, ridurlo a una categoria a nostro servizio. Non ci occupiamo di politica perché non abbiamo il tempo ma non facciamo nulla per averne, preferiamo farci soggiogare dagli eventi, dai doveri spiccioli, dagli sfoghi che crediamo necessari. Ma l’unica nostra necessità, l’unico nostro reale bisogno è la relazione. La relazione viene prima dell’azione, per questo un africano prima di farti fare un lavoro ti offre il caffè e ti tiene ore a parlare di tutto il parentame. Perdita di tempo? Per qualcuno lo è, per me è un investimento. La politica è lo spazio della relazione, lo spazio in cui dominiamo il tempo, in cui pensiamo al futuro e lo facciamo assieme. La politica è la più alta attività che essere umano possa fare. Io ho scelto, coscientemente e liberamente, di investire in tutto ciò. Il tempo non mi fa paura. Vado a cena dagli sconosciuti il lunedì perché la relazione viene prima di ogni cosa. Ho scelto di non andare in TV (oggi mi ha chiamato la Innocenzi invitandomi gentilmente a Servizio Pubblico e io gentilmente ho rifiutato) e di girare tutti i fine settimana l’Italia perché la partecipazione vale più dei voti. Ho scelto una strada. Ho un obiettivo e ce l’ho chiarissimo in testa. Per raggiungerlo ci vuole tempo, costanza e occorre vedere la fretta come un nemico subdolo. Mi rendo conto che l’Italia non ha tempo ma credo altresì che l’assenza di partecipazione politica, causata anche da questo rapporto malsano che abbiamo con il tempo, sia stata la causa principale dello stato attuale delle cose. Quello che sto provando a fare (e con me tanti miei colleghi) oltre a “battagliare” in aula e presentare leggi è dare un contributo per creare coscienza. Questa è la sfida. Se noi cittadini partecipassimo di più alla vita politica (e la TV non crea alcuna partecipazione) riusciremmo a prendere, senza l’intermediazione dei partiti, ogni decisioni. Non sottovalutate l’importanza di tale obiettivo e quanto male possa fare al “sistema”. In fondo Pasolini è stato ammazzato proprio per la sua straordinaria capacità di creare coscienza. Noi valiamo più del tempo e dobbiamo imparare a dominarlo. La piazza, le agorà che facciamo in tutta Italia valgono più di una “comparsata a Ballarò” e la relazione è l’unico modo per poter cambiare. Io ho preso una decisione e non torno indietro. A riveder le stelle! Ho una teoria sul perché gli africani siano ballerini eccezionali. E’ tutta questione di “tempo”. La musica è un modo per organizzare il tempo, per dargli forma, per dominarlo. Gli africani sanno dominare il tempo meglio di chiunque altro ed è per questo che danzano come divinità. Ho visto spettacoli meravigliosi viaggiando per il mondo. Nel Chocò colombiano, nelle terre garifuna dell’Honduras o nei villaggi polverosi del Katanga, bimbetti di 4 anni mi hanno tolto il fiato con le loro movenze. Seppur distanti migliaia di km l’uno dall’altro ballavano allo stesso modo, come se avessero lo stesso coreografo. Gli africani trattano il tempo come un loro suddito, non lo vedono come una categoria che li schiaccia, che gli impone la fretta, la grande malattia che sta uccidendo l’occidente. Se una conferenza è prevista per le 18.00 a che ora inizia in Svizzera? Alle 18.00 in punto. A Milano alle 18.15, a Roma alle 18.30. In Africa inizia quando arriva la gente, se la gente non arriva la conferenza non si fa. E’ la scelta dell’uomo che determina lo svolgersi degli eventi e i loro orari. Si tratta di un modo completamente diverso di ragionare. «A che ora parte il bus?» domandavo nei villaggi del caribe colombiano. «Quando si riempie» mi rispondevano alcuni ragazzi neri dai sorrisi luminosi. Il bus non ha un orario, parte quando si riempie. Dovremmo imparare moltissimo dagli africani. Dovremmo capire che l’unica maniera per cambiare il mondo (e Dio se lo cambieremo) è dominare il tempo, ridurlo a una categoria a nostro servizio. Non ci occupiamo di politica perché non abbiamo il tempo ma non facciamo nulla per averne, preferiamo farci soggiogare dagli eventi, dai doveri spiccioli, dagli sfoghi che crediamo necessari. Ma l’unica nostra necessità, l’unico nostro reale bisogno è la relazione. La relazione viene prima dell’azione, per questo un africano prima di farti fare un lavoro ti offre il caffè e ti tiene ore a parlare di tutto il parentame. Perdita di tempo? Per qualcuno lo è, per me è un investimento. La politica è lo spazio della relazione, lo spazio in cui dominiamo il tempo, in cui pensiamo al futuro e lo facciamo assieme. La politica è la più alta attività che essere umano possa fare. Io ho scelto, coscientemente e liberamente, di investire in tutto ciò. Il tempo non mi fa paura. Vado a cena dagli sconosciuti il lunedì perché la relazione viene prima di ogni cosa. Ho scelto di non andare in TV (oggi mi ha chiamato la Innocenzi invitandomi gentilmente a Servizio Pubblico e io gentilmente ho rifiutato) e di girare tutti i fine settimana l’Italia perché la partecipazione vale più dei voti. Ho scelto una strada. Ho un obiettivo e ce l’ho chiarissimo in testa. Per raggiungerlo ci vuole tempo, costanza e occorre vedere la fretta come un nemico subdolo. Mi rendo conto che l’Italia non ha tempo ma credo altresì che l’assenza di partecipazione politica, causata anche da questo rapporto malsano che abbiamo con il tempo, sia stata la causa principale dello stato attuale delle cose. Quello che sto provando a fare (e con me tanti miei colleghi) oltre a “battagliare” in aula e presentare leggi è dare un contributo per creare coscienza. Questa è la sfida. Se noi cittadini partecipassimo di più alla vita politica (e la TV non crea alcuna partecipazione) riusciremmo a prendere, senza l’intermediazione dei partiti, ogni decisioni. Non sottovalutate l’importanza di tale obiettivo e quanto male possa fare al “sistema”. In fondo Pasolini è stato ammazzato proprio per la sua straordinaria capacità di creare coscienza. Noi valiamo più del tempo e dobbiamo imparare a dominarlo. La piazza, le agorà che facciamo in tutta Italia valgono più di una “comparsata a Ballarò” e la relazione è l’unico modo per poter cambiare. Io ho preso una decisione e non torno indietro. A riveder le stelle!
P.S. Questo fine settimana continuero’ i miei giretti per l’Italia.
- Sabato pomeriggio alle 17:00 sarò a Fano (Piazza XX Settembre – centro storico)
- Domenica mattina alle 10:00 a Pesaro (Serra degli Agrumi – Parco Mirafiore)
- Domenica pomeriggio alle 17:00 a Forlimpopoli (Piazza Garibaldi)
giovedì 21 novembre 2013
Pier Luigi Ighina - La legge del Ritmo. circa 15 anni or sono hanno determinato che il suono di fondo dell'Universo sono note di un flauto ..........
La Crepa nel muro
circa 15 anni or sono hanno determinato che il suono di fondo dell'Universo sono note di un flauto
Là "in fondo c'è un bellissimo giovane che suona ed affascina i mondi" suona e danza assieme alla Sua amata e gli universi si muovono al loro ritmo
Jaya Radhe Jaya Shyam
Non so quale sia il suono .. ma tutto è frequenza, tutto è suono, tutto è "musica", e noi balliamo e cantiamo, più o meno intonati ..
venerdì 22 novembre 2013
Pier Luigi Ighina - La legge del Ritmo
Alberto Tavanti
Penso di poter affermare senza ombre di dubbio, che tutto ciò che è vivo e vitale si esprime con funzioni ritmiche. Se non vi è Ritmo, non vi può essere vita. Ma cos’è il Ritmo in se stesso? Vi sono tanti tipi di ritmi in natura: il Ritmo diurno e notturno che alterna il passaggio della notte al giorno e viceversa; il Ritmo mensile della Luna; il Ritmo delle stagioni. Nell’uomo poi, vi è il Ritmo cardiaco, il Ritmo respiratorio, quello digestivo, ecc. ecc. Si può dire che la presenza del Ritmo caratterizza non solo l’esistenza degli esseri viventi, ma altresì di tutto ciò che appare nell’Universo creato.
Se si volesse dare una definizione il più possibile sintetica del Ritmo, dovremmo dire che esso consiste in un moto alterno esteriore, che può avere la forma di un moto ciclico, sia parabolico che spiraliforme, che esprime una Pulsazione interna che si espande e si contrae di continuo. Ora se la Pulsazione è l’aspetto interno e quindi nascosto del Ritmo, lo spostamento ritmico spaziale esteriore di aspetto variabile che lo manifesta in successione più o meno rapida, è tutto ciò che può essere conosciuto in maniera apparente dai sensi di un essere umano.
Ne deriva che i nostri sensi captano solo ciò che è esteriore e quindi superficiale del Ritmo e questo pone un limite notevolissimo fra l’uomo e la vera conoscenza di quanto lo circonda. Ighina ha portato sulla Terra la rivelazione di ciò che è il Ritmo nella sua interiorità, ma come sempre accade in questi casi, nessuno o quasi ha creduto alle sue parole, che implicavano una realtà sconosciuta alle percezioni sensoriali.
Come amico intimo e fedele collaboratore di Ighina, io cerco di portare avanti la sua opera di diffusione di queste importantissime verità, che se venissero comprese ed accettate, contribuirebbero a trasformare in modo evolutivo l’esistenza dell’umanità, indirizzandola verso un avvenire spirituale di salvezza.
Il sistema più semplice per comprendere le sue rivelazioni, consisterebbe nel Credere alle sue parole per Fede, così come ho fatto io e pochi altri a suo tempo, perché “sentivamo” interiormente che era la Verità quella che ci veniva proposta e solo in seguito ci siamo accorti che la ricompensa alla nostra fiducia, era una comprensione anche logica e razionale di tutti i fenomeni misteriosi che avvengono di continuo in noi e attorno a noi. Ma nel nostro tempo dominato da una mentalità materialistica che crede solo a ciò che vede e tocca con le mani, pur interpretandolo nei modi più diversi, chi crederà alle nostre parole, ad una visione energetica e quindi spirituale della vita, l’unica che può fondere nell’armoniosa Unità della Realtà tutti i contrasti e le contraddizioni?
La visione dell’Universo di Ighina è meravigliosa, perché spiega tutti i fenomeni in maniera semplice ed unitaria, perché fonde in sé in una visione di insieme, non solo ciò che si scopre nella natura coi mezzi di indagine scientifici, ma ne rivela le corrispondenze in campo religioso. Ighina affermava che non era possibile tener separata la Scienza dalla Religione, dal momento che entrambe rispondono a fondamentali esigenze dell’essere umano, che ha nella mente il desiderio di conoscere l’intima natura di ciò che lo circonda e percepisce tramite i sensi, e nel cuore il bisogno di credere che tutto ciò che esiste ha un Creatore ed uno scopo da realizzare anche per suo tramite.
Purtroppo ormai da millenni, si è realizzata nell’uomo questa dicotomia, che tiene separata la mente dal cuore dell’uomo, impedendogli di gustare appieno la meravigliosa Unità del Creato che tutto collega, tutto spiega e a tutto dà un significato. Ultimamente mi sono reso conto che forse è eccessivo pretendere di cambiare una erronea mentalità umana, consolidatasi nei secoli, con semplici argomentazioni ben fondate su prove, che in passato mi hanno spinto addirittura a desiderare di mettere in atto per convincere il mio prossimo, segni straordinari; ma poi ho eliminato da me questo ingenuo desiderio pensando a Gesù che di miracoli strepitosi ne ha compiuti tanti, senza tuttavia riuscire a cambiare la mentalità dominante del suo tempo, che si è liberata di Lui inchiodandoLo alla Croce.
Pertanto ho deciso di ridimensionare le mie aspettative, rinunciando a voler convincere chicchessia della Verità contenuta nel profetico messaggio diIghina, ma accontentandomi solo di far nascere nella mente di chi legge quanto ormai da anni vado scrivendo, un ragionevole dubbio. Qualche tempo fa è venuto a farmi visita un caro amico, che si interessa molto di Ighina e dei suoi studi, ma che si chiude come un riccio quando tocco l’argomento Religione, che per lui non è altro che un infame retaggio di superstizioni instillate nei cuori semplici da parte di chi voleva dominare tramite l’ignoranza, la vita dei popoli.
E’ con lui che mi è venuto spontaneo iniziare un discorso, che invece di proporre cose nuove difficilmente accettabili, cerca di far vedere i limiti delle così dette “certezze scientifiche” che ormai sono entrate nel D.N.A mentale dell’odierna umanità.
Così ho iniziato a parlare di cinematografia, dicendo: “ Tu sai senz’altro che quando assistiamo alla proiezione di un film, riusciamo a vederlo solo in virtù della persistenza delle immagini sulla retina. Un improvviso lampo di luce può accecarci, ma anche la proiezione di un film ci “acceca”, dal momento che ci fa vedere come movimento continuo e coerente sullo schermo, ciò che in realtà è continuamente interrotto da “ombre” che si inseriscono fra i singoli fotogrammi.
La cinematografia esiste, perché sfrutta l’incapacità dei nostri occhi di cogliere la presenza di elementi estranei alla luce, nella proiezione del film. Infatti, nel momento in cui l’otturatore taglia il fascio luminoso del proiettore, nasconde allo sguardo l’intervallo che separa ogni singolo fotogramma da quello che lo segue, offrendoci così una continuità di visione del tutto falsa in se stessa. Quegli attimi di ombre non avvertite, ma che pur rappresentano una parte sostanziale del film a cui assistiamo, dal momento che hanno una durata quasi pari a quella in cui percepiamo le immagini luminose, dovrebbero farci riflettere seriamente e porci dei dubbi sulla validità della attendibilità dei nostri mezzi percettivi, sui quali tuttavia abbiamo fondato tutta la nostra vita, tutta la nostra mentalità.
Ighina affermava che noi vediamo solo una parte della realtà, dal momento che anche la luce del Sole è ritmica, pulsante, poichè riassorbe in sé come “ombre” inavvertite dai sensi umani, le riflessioni della sua luce che riceve non solo dai Pianeti, ma anche dal Firmamento, che è lo schermo su cui il Sole proietta il film della Creazione, che poi si evidenzia in modo apparente ed illusorio in virtù della persistenza retinica, come materia più o meno in moto nello Spazio. Dopo aver visto un film, dovremmo chiederci: “ Che cosa sarà successo in quella proiezione tenebrosa che pur si è verificata sotto i miei occhi, senza che io ne abbia avuto coscienza?
Ora, se anche la luce del Sole si comporta nella stessa maniera, sono costretto a dedurne che metà della mia vita mi viene sottratta, dal momento che non riesco ad averne coscienza e tanto meno ricordo! “ Ighina sosteneva che sono quelle inavvertite pause tenebrose, che ci nascondono il Mistero della Riflessione e del Riassorbimento della Luce, la parte ignota del Ritmo; ma chi crederà? L’amico al quale ho rivolto per primo questo discorso, mi ha confidato di non riuscire a liberarsi dal dubbio che possa essere vero quanto gli ho detto. La cosa mi ha fatto molto piacere e mi fa ben sperare che possa servirgli a distaccarsi da una concezione arida ed incompleta della vita, per aprirsi alla fecondità del Mistero che appare tenebroso, ma che contiene in sé i germi di Verità di una visione spirituale della vita.
Parte seconda
Nella prima parte di questa esposizione, parlando di cinematografia, ho cercato di mettere in evidenza alcune verità pienamente riconosciute come tali dalla Scienza Ufficiale, sia in campo fisico che tecnologico, ma le cui conseguenze a livello filosofico ed esistenziale sono completamente ignorate dalla quasi totalità degli esseri umani. Tutti assistono ogni giorno e per più ore, a trasmissioni televisive e a spettacoli cinematografici, ma nessuno si rende conto che ciò che si vede sul piccolo o grande schermo, non è reale (ovviamente non parlo della trama degli spettacoli, ma del mezzo che ne permette la percezione), ma una illusione scambiata per realtà dai nostri sensi, soprattutto dalla vista che viene ingannata di continuo dalla persistenza degli impulsi luminosi sulla retina, che trasforma una ritmica proiezione luminosa, frammentata da interruzioni tenebrose provocate dall’otturatore, in una continua e coerente successione di immagini in movimento collegate fra loro.
L’invenzione della cinematografia avrebbe dovuto provocare una crisi esistenziale di proporzioni mondiali nell’umanità, abituata a considerare le percezioni sensoriali come fedeli testimoni della realtà oggettiva e quindi come fondamento della comune mentalità basata sulla logica, che aveva ed ha tuttora nella supposta veridicità delle percezioni, il presupposto delle sue deduzioni. E’ stupefacente pensare come i fratelli Lumière (parola che in francese significa Luce), con la invenzione del cinematografo hanno rivelato al mondo il fondamento ritmico della creazione, ma praticamente nessuno ha compreso il vero significato di questa straordinaria realizzazione, che se da un lato insegna a creare illusioni talmente verosimili, da essere capaci di eccitare, commuovere, spaventare chi le guarda al pari dei più comuni avvenimenti della vita, dall’altro stimola a ricercare al di là delle apparenze sensoriali, la vera natura della realtà.
L’opera dei fratelli Lumière è stata un forte richiamo del tutto incompreso, alla revisione dei principi fondamentali della metodologia conoscitiva sensoriale, richiamo completamente ignorato e frainteso, ma solo considerato nel suo aspetto superficiale di semplice spettacolo. Dopo i Lumière, è stato il grande scienziato Heisemberg, a mettere in guardia la comunità scientifica internazionale sugli effetti provocati dalla luce nel campo delle indagini atomiche e sub atomiche.
Diceva Heisemberg: “ Per vedere è indispensabile la luce, ma la luce interferisce con gli atomi e ne altera posizione e moto.
NE CONSEGUE CHE NON SARA’ MAI POSSIBILE UNA INDAGINE SENSORIALE VERAMENTE OBBIETTIVA DELLA STRUTTURA ATOMICA.
Riassumendo, i fratelli Lumière hanno evidenziato la facilità con cui il senso della vista può essere ingannato, dal momento che reagisce ad uno stimolo luminoso per un tempo superiore alla durata dell’impulso stesso (persistenza), gettando le basi per una revisione della attendibilità delle percezioni soggettive. A sua volta Heisemberg ha messo in risalto le interferenze oggettive che la luce provoca nell’ambiente atomico – particellare, ma nessuno ha voluto rinunciare alle proprie ricerche per motivi di stupido orgoglio e si è cercato di sostituire alla luce le accelerazioni operate tramite enormi campi magnetici, come se questi non operassero sugli atomi influenze determinanti.
Poiché l’intero universo materiale è composto di atomi, doveva essere facile dedurne che i rapporti fra l’uomo e l’ambiente circostante, sono viziati dagli effetti provocati dalla luce sulla materia e che è impossibile scoprire con mezzi esteriori, ciò che avviene nel suo interno. Personalmente fin da quando ero un ragazzo, ho sempre osservato con stupore gli effetti provocati dalla luce sul radiometro, cioè su quella ampolla di vetro contenente delle palette di colore bianco e nero fra loro alternate, che ruotavano velocemente su un perno se venivano esposte alla luce.
Era più che evidente che il radiometro rivelava LA PRESSIONE DELLA LUCE SULLA MATERIA, ma in nessun libro di fisica o di astronomia ho mai riscontrato alcuna teoria che contemplasse gli inevitabili sviluppi di tale comprovata constatazione.
Quando ho conosciuto Pier Luigi Ighina e ne ho ascoltato e seguito gli insegnamenti, finalmente ho compreso la vera natura dei rapporti fra Luce e Materia e le conseguenti illusioni di cui sono vittime inconsapevoli tutti gli uomini. Da Ighina ho appreso la Legge del Ritmo, di cui Luce e Materia sono le contrapposte polarità di manifestazione e le cause dell’Effetto Stroboscopico, che è il “velo” che nasconde agli uomini la vera natura della Realtà.
Non conoscendo la fondamentale Legge del Ritmo, gli uomini credono che ciò che serve per conoscere ciò che è esteriore, serva anche per scoprire i segreti dell’interiorità e costruiscono teorie del tutto erronee. Cosa fa la luce quando entra all’interno di una camera oscura? Si inverte, cambia polarità e questo gli uomini lo sanno e nei processi di sviluppo fotografico agiscono di conseguenza; ma se andate a raccontare loro che per conoscere la realtà interiore devono invertire la propria mentalità, sono subito pronti a lapidarvi! Ighina affermava che esiste una sola Energia Fondamentale Creatrice da cui ogni cosa creata deriva; tale Energia di per sé omogenea e quindi indifferenziata, Ighina la chiamava Spirito.
Lo Spirito distaccando da Sé una parte di Sé, dava inizio con tale parte ad un ritmico rapporto d’Amore, sotto forma di invisibile Emanazione e susseguente Riflessione, che aumentava sempre più il reciproco Amore e quindi l’interiore Energia.
Tali ritmiche effusioni sempre più rapide ed intense, portavano ad uno stato di immobile Tensione, che poi esplodeva generando la Luce Creatrice. Si può dire quindi, che è la Luce il primo aspetto concreto e quindi visibile assunto dallo Spirito, la quale irradiandosi sotto forma di Aloni che si dilatavano allontanandosi e poi si contraevano verso il punto esplosivo di origine, davano inizio al Ritmo Creativo. Infatti la Luce dilatata ormai in via di contrazione, scontrandosi con quella ancora in fase di dilatazione, dava origine a tutti i tipi di materia, a seconda del punto dello Spazio in cui avveniva lo scontro.
Ecco dunque spiegata in rapida sintesi, l’Origine della Luce e della Materia, che in realtà sono forme diverse di una sola Energia Creatrice e che tramite il Ritmo si trasformano di continuo una nell’altra. Ora la Luce quando appare ai sensi, è sempre in fase dilatante, in quanto quando è in fase contraente in seguito alla Riflessione sul Limite che la contiene, assume un aspetto tenebroso e cioè non visibile. Luce e Tenebra si manifestano superficialmente con un moto spiraliforme di senso contrario uno all’altro e con una diversa velocità che è maggiore nella fase dilatante luminosa.
E’ questa diversa velocità che origina sulla superficie dei Pianeti la Pressione altrimenti detta Forza di Gravità, che si manifesta anche come Effetto Stroboscopico, che fa vedere in certi casi in movimento ciò che è fermo e fermo ciò che si muove nello Spazio. E qui anch’io mi fermo, perché ho deciso che è più importante evidenziare ciò che è sbagliato in ciò che si è creduto e si crede tuttora, al fine di suscitare ragionevoli dubbi, piuttosto che proporre rivoluzionarie teorie innovative, che per essere accettate richiedono il non facile abbandono di una mentalità superata, ma mantenuta in vita anche se cristallizzata, perché consolidata dalla tradizione e dalla abitudine.
Terza parte
Per non scandalizzarvi troppo, sottopongo con gradualità alla vostra attenzione, le logiche conseguenze che si possono trarre da un dato di fatto incontrovertibile, citato nella prima parte di questa esposizione e cioè che LA DURATA DI UNO STIMOLO LUMINOSO SULLA RETINA DEGLI OCCHI UMANI, IN VIRTU’ DEL FENOMENO DELLA PERSISTENZA, E’ PIU’ LUNGA DI QUELLA DELLO STIMOLO STESSO. Visto che si tratta di logiche conseguenze desunte da una realtà riconosciuta tale dalla Scienza Ufficiale, sembrerebbe assurdo il timore di scandalizzare coloro che credono nel valore e nella importanza della logica come Metodo conoscitivo; ma purtroppo il fenomeno fisico della Persistenza luminosa, ha equivalenti analogici in quello della Caparbietà psicologica, che di per sé è completamente irrazionale.
Volete costringere una persona a reagire in maniera violenta del tutto immotivata? Mettetela con le spalle al muro, tentando di cambiare le sue convinzioni con prove documentate e argomentazioni logiche: diventerà una belva. Per molti anni sia Ighina che io, abbiamo cercato di far cambiare mentalità ad un grande numero di persone senza riuscirci; così ci siamo resi conto che non esiste una sola Logica valida per tutti, ma che esistono tante Logiche quanti sono i presupposti su cui esse sono fondate. Ora, dal momento che non esistono presupposti per così dire “asettici”, ma tutti sono più o meno coscientemente inquinati da elementi estranei tenebrosi, che derivano dal subconscio di persone solo in apparenza equilibrate e degne di stima morale e professionale, vi sono ben poche speranze di cambiare o aprire varchi con argomentazioni razionali, in mentalità chiuse nelle prigioni di logiche egoistiche basate su motivazioni e presupposti per lo più inconsci.
In teoria, dovrebbe essere possibile ad una mente che ama la Verità e quindi la conosce, riuscire a modificare un’altra mente che “mente” inconsciamente a se stessa, per far comunque sopravvivere l’orgoglio che ne ha determinato la formazione. Ma in realtà riuscirvi è quasi impossibile, dal momento che nessuno è disposto a cedere alle migliori ragioni di un’altro, per cui reagisce con odio e invidia, cioè in modo del tutto irrazionale ed istintivo. A conclusione di tali premesse, stiliamo la sentenza di morte della validità della Logica come metodo conoscitivo, con queste parole:
“ Dal momento che ogni conclusione di un percorso logico di causa – effetto, dipende dal presupposto su cui è fondato e che tutti i presupposti anche se in apparenza simili, sono inquinati da “ombre” soggettive ignote alla coscienza, che al pari del senso della vista ignora la ritmicità implicita nelle sue percezioni sensoriali, si decreta la condanna a morte della Logica, che per tanti secoli ha ingannato l’umanità, separando e contrapponendo gli uomini fra loro, provocando di continuo lunghe e sanguinose guerre fratricide, illudendo gli schieramenti avversi di essere entrambi nel vero e di avere ragione.
Si raccomanda a tutti gli uomini che vogliono vivere nell’armonia e nella pace, di adottare come sistema conoscitivo e di giudizio LA LEGGE DEL RITMO che ha un valore universale, dal momento che sottintende non solo tutte le funzioni vitali, ma anche tutto ciò che esiste nell’intero universo.” La Legge del Ritmo è semplice nel suo ricorrente dinamismo; non si comporta stupidamente come la Logica, che una volta stabilito un presupposto, si precipita come una valanga lungo la china degli inevitabili effetti con risultati disastrosi, sempre in disaccordo con quanto implicito nel presupposto stesso.
A differenza della Logica che ha come punto di partenza più o meno visibile, un presupposto di origine esteriore e materiale, scelto per motivi non sempre chiari o in base a percezioni sensoriali quasi sempre errate o incomplete, il Metodo di conoscenza Ritmico parte sempre da un Centro Spirituale invisibile, scelto per Fede o per Amore, da cui si irradia un concetto di cui si “sente” interiormente con certezza la validità. Tale concetto che all’origine è sempre abbastanza vago e indistinto, parte dal Centro da cui nasce e con un moto convettivo o parabolico, ritorna di continuo al suo punto di partenza, che aggiorna con l’esperienza del suo viaggio e dove si ritempra assorbendo nuove forze per un ulteriore viaggio più esteso e proficuo.
Naturalmente tutto ciò avviene con ritmo rapidissimo che a livello psicologico si conclude in breve tempo in modo chiaro, con una illuminazione di tipo intuitivo. C’è da dire che nel processo Ritmico – Intuitivo, a differenza di ciò che avviene nel processo Logico – Deduttivo, il Tempo non esiste, se non in modo provvisorio, in quanto pur nascendo dal Centro e identificandosi nel Moto Convettivo ascendente che crea il Tempo che passa verso il Futuro, una volta toccato il vertice della Parabola questo Tempo cessa di esistere, dal momento che comincia a regredire nel moto discendente che rappresenta il viaggio verso il Passato fino al Centro in cui viene riassorbito, prima di venir riemanato per un nuovo viaggio verso un futuro del tutto relativo, data la sua brevissima durata; ma di tutto ciò gli esseri umani non hanno assolutamente coscienza.
Infatti non riuscendo a percepire gli intervalli che caratterizzano lo svolgersi del Tempo, così come non percepiscono i ritmici intervalli esistenti nella luce del Sole o in una proiezione cinematografica, essi attribuiscono al Tempo una continuità ed una direzione unilaterale che esso non possiede assolutamente. Quindi nel Processo Ritmico di conoscenza, il Tempo nasce e muore di continuo dall’Eterno e nell’Eterno Presente Divino di un Centro Spirituale.
Il sole è come un proiettore cinematografico che proietta la sua rotazione
Il Metodo di conoscenza Ritmico, offre a chi lo pratica e crede con Fede certa nella sua validità, dei vantaggi straordinari, primo fra tutti il contatto con Dio che è Verità e Unica Realtà; poi la possibilità di viaggiare, in teoria, nello spazio e nel tempo sia in avanti che a ritroso, dal momento che nell’Eterno Presente di Dio, tutto è già accaduto e nel contempo tutto deve ancora accadere, offrendo così all’uomo che si identifica pienamente nell’Attimo Presente, l’incredibile possibilità di modificare sia il Passato che il Futuro. Ma per riuscire in questo, non è sufficiente credere nella realtà di un simile potere. Per questo ho scritto “in teoria”, dal momento che nonostante io creda senza ombra dubbio, nella Verità assoluta di quanto ho enunciato, al momento attuale non sono ancora riuscito a concretizzarla.
Infatti non basta conoscere la Verità per avere il potere di modificare a proprio piacimento la ritmica Realtà dell’esistenza, ma è necessario
DIVENTARE LA VERITA’, RINUNCIANDO A TUTTE LE ILLUSIONI CHE CI MANTENGONO SEPARATI DALLA REALTA’.
LA VERITA’ E’ UN ESSERE VIVENTE CHE SI IDENTIFICA NELLA REALTA’ DIVINA, COSI’ COME CI HA INSEGNATO IL CRISTO, QUANDO HA DETTO:
“ IL PADRE ED IO SIAMO UNA COSA SOLA.”
E’ NECESSARIO CHE L’UOMO RINUNCI ALL’ILLUSIONE DELLA SEPARAZIONE E GIUNGA ALL’IDENTIFICAZIONE CON DIO, DAL MOMENTO CHE E’ STATO DA LUI CREATO A SUA IMMAGINE E SOMIGLIANZA.
E’ QUESTO IL VERO SCOPO DELLA VITA, ED IO SPERO DI ESSER RIUSCITO A SUSCITARE IN CHI HA LETTO QUESTE PAROLE, UN RAGIONEVOLE DUBBIO.
Alberto Tavanti, ha collaborato con PierLuigi Ighina per 40 anni, dal 1964 fino alla sua morte.
Un link molto utile per chi vuole approfondire:
Documentazione reperibile su Internet su PierLuigi Ighina con disegni, libri e brevetti
lunedì 18 novembre 2013
Voto di Scambio e Corruzione.
Voti ogni volta che fai la spesa
Alex Zanotelli (missionario)
Voto di Scambio
SE NON VAI A VOTARE
Un Politico compra 1.000 voti da n Mafioso. Se 2.000 persone vanno a votare il 50% dei voti è in mano alla MAFIA e ad un sistema Politico Corrotto.
SE VAI A VOTARE
Se 100.000 persone vanno a votare il Politico possiede solo l'1% dei voti.
Alex Zanotelli - Il voto che vale
Dal mensile "Partecipazione" maggio-giugno 1996 della Comunità di Capodarco
Rendetevi attivi e state attenti che voi non votate solo il 21 aprile: voi votate ogni volta che fate la spesa, votate ogni volta che schiacciate il telecomando, ogni volta che andate in banca sono voti che date al sistema. Quando Berlusconi o la Rai vi chiedono dieci milioni di televisioni accese, e' il momento di spegnere perche' sono voti quelli che vi chiedono. Non basta la richiesta del Papa di digiuno televisivo in Quaresima: bisognerebbe arrivare al punto che la famiglia italiana riuscisse a spegnere il televisore una settimana al mese almeno, e di metterlo via per parlare, per pulirsi la testa.
Dopo questo voto, la cosa pericolosa e' che non e' nato nulla dal basso e che dunque abbiamo sventato il pericolo della destra, ma che dietro questa coalizione c'e' il vuoto. Girando l'Italia dal Trentino a Palermo, dalle prostitute di Rimini, ai magistrati, agli industriali, ai politici, ho due nette impressioni: ovunque c'e' tantissima gente sana, minoranza ma consistente, poi c'e' una grande, bella base fatta di associazioni, comunita', gruppi, gruppetti, gruppuscoli. Nessuna grande nazione d'Europa ne ha tante e belle.
Tutto questo rimane sommerso, non fa opinione e questo e' grave. lo vi chiedo che in ogni regione venga individuata una segreteria gia' operante di qualche movimento e che accettasse di fare da punto di riferimento per i gruppi e le associazioni della regione e perche' la loro posizione venisse rimpallata ai giornali, alle televisioni, alla stampa con dieci, cento, mille firme in calce.
Usate le armi del nemico. Avete Internet, passatevi le informazioni con la telematica. Don Dante Clauser, mio amico qui presente, dice sempre che quel Gesù di Galilea non era mica uno stupido, ci ha detto di essere furbi come i serpenti, di usare tutte le armi. Guardate cosa è successo nel caso del Chiapas, con lo sciopero telematico. Migliaia di internettisti hanno chiesto di essere accolti dalle banche dati del ministero Esteri e dalla Banca nazionale del Messico e hanno bloccato il Messico per due ore intere al giorno, impedendo loro qualsiasi contatto col mondo.
Dobbiamo far vincere davvero la vita.
I volti delle vittime
Volevo chiudere questa chiacchierata leggendovi un piccolo passo di Brueggemann, un biblista americano. "E' fondamentale fare vedere a tutti la grande menzogna che domina il mondo. E che è all'origine della violenza strutturale che miete vittime senza fine. Il vedere i volti delle vittime del nostro sistema deve farci indignare. Senza indignazione, senza passione non potrò mai succedere nulla di nuovo in questo mondo. La passione, la capacità di soffrire sono i nemici del mondo imperiale. L'economia imperiale è escogitata a bella posta per mantenere la gente sazia cosi' che non veda.
La politica imperiale è fatta a bella posta per impedire che il grido degli emarginati arrivi fino a noi. La religione imperiale è un oppio, cosicché nessuno si accorga della sofferenza reale nel cuore di quel Dio". C'è sofferenza nel cuore di Dio che dice nelle Scritture: "ho udito il grido del mio popolo". perché oggi l'immagine di Dio è spesso un volto materno, quello di una donna che da' alla luce i suoi figli e quindi non può fare a meno di sentirne la sofferenza.
E' nelle parole di Turoldo, "anche Dio è infelice", forse perché davvero questo è un Dio che cammina con noi, che lotta con noi, che vuole un mondo altro da quello che abbiamo tra le mani. Ed ecco che io chiedo alle donne di non vendersi a questo sistema maschilista che schiaccia e uccide. Dentro di loro hanno l'amore per la vita, un senso profondo di non violenza, di tenerezza. Fate diventare preponderanti questi vostri valori, questi vostri doni.
Allora ci sarà speranza. Tocca voi compiere questo processo. E Brueggemann conclude dicendo che "Dio è il Dio senza credenziali nell'impero, sconosciuto nelle corti dei re, rifiutato nel tempio. La storia di questo Dio inizia quando ha prestato attenzione al grido degli emarginati. Egli e' una persona capace di piangere, di soffrire con loro".
Vi dico, con le parole di Gutierrez, "Guai a coloro che il Signore trovera' con gli occhi asciutti".
http://web.peacelink.it/africa/document/zan_5.html
sabato 16 novembre 2013
Marinetti. Ogni idea politica è un organismo vivo. I partiti sono quasi sempre destinati a diventare dei grandi cadaveri gloriosi
Ogni idea politica è un organismo vivo. I partiti sono quasi sempre destinati a diventare dei grandi cadaveri gloriosi
Filippo Tommaso Marinetti
lunedì 11 novembre 2013
Quinto potere. Voglio che vi alziate in questo istante. Alzatevi, andate alla finestra, apritela, mettete fuori la testa e urlate: "Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!" Le cose devono cambiare, ma prima vi dovete incazzare. Dovete dire: "Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!" Allora penseremo a cosa fare per combattere la crisi e l'inflazione e la crisi energetica, ma Cristo, alzatevi dalle vostre sedie, andate alla finestra, mettete fuori la testa e ditelo, gridatelo: "Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!".
La televisione non è la verità! La televisione è un maledetto parco di divertimenti, la televisione è un circo, un carnevale, una troupe viaggiante di acrobati, cantastorie, ballerini, cantanti, giocolieri, fenomeni da baraccone, domatori di leoni, giocatori di calcio! Ammazzare la noia è il nostro solo mestiere.
Peter Finch, in Quinto potere, 1976
"L'unica verità che conoscete è quella che ricevete alla TV. Attualmente, c'è da noi un'intera generazione che non ha mai saputo niente che non fosse trasmesso alla TV! La TV è la loro Bibbia, la suprema rivelazione. La TV può creare o distruggere presidenti, papi, primi ministri. La TV è la più spaventosa, maledettissima forza di questo mondo senza Dio, e poveri noi, se cadesse nelle mani degli uomini sbagliati. E quando una fra le più grandi corporazioni del mondo controlla la più efficiente macchina per una propaganda fasulla e vuota, io non so quali altre cavolate verranno spacciate per verità, qui.
Quindi ascoltatemi. Ascoltatemi! La televisione non è la verità! La televisione è un maledetto parco di divertimenti, la televisione è un circo, un carnevale, una troupe viaggiante di acrobati, cantastorie, ballerini, cantanti, giocolieri, fenomeni da baraccone, domatori di leoni e giocatori di calcio! Ammazzare la noia è il nostro solo mestiere, da noi non potrete ottenere mai la verità: vi diremo tutto quello che volete sentire mentendo senza vergogna, vi diremo qualsiasi cazzata vogliate sentire.
Noi commerciamo illusioni, niente di tutto questo è vero, ma voi tutti ve ne state seduti là, giorno dopo giorno, notte dopo notte, di ogni età, razza, fede... conoscete soltanto noi! Già cominciate a credere alle illusioni che fabbrichiamo qui, cominciate a credere che la TV è la realtà e che le vostre vite sono irreali. Voi fate tutto quello che la TV vi dice: vi vestite come in TV, mangiate come in TV, tirate su bambini come in TV, persino pensate come in TV! Questa è pazzia di massa, siete tutti matti! In nome di Dio, siete voialtri la realtà: noi siamo le illusioni! Quindi spegnete i vostri televisori, spegneteli ora, spegneteli immediatamente, spegneteli e lasciateli spenti!"
Howard Beale, Quinto Potere
Peter Finch, in Quinto potere, 1976
"L'unica verità che conoscete è quella che ricevete alla TV. Attualmente, c'è da noi un'intera generazione che non ha mai saputo niente che non fosse trasmesso alla TV! La TV è la loro Bibbia, la suprema rivelazione. La TV può creare o distruggere presidenti, papi, primi ministri. La TV è la più spaventosa, maledettissima forza di questo mondo senza Dio, e poveri noi, se cadesse nelle mani degli uomini sbagliati. E quando una fra le più grandi corporazioni del mondo controlla la più efficiente macchina per una propaganda fasulla e vuota, io non so quali altre cavolate verranno spacciate per verità, qui.
Quindi ascoltatemi. Ascoltatemi! La televisione non è la verità! La televisione è un maledetto parco di divertimenti, la televisione è un circo, un carnevale, una troupe viaggiante di acrobati, cantastorie, ballerini, cantanti, giocolieri, fenomeni da baraccone, domatori di leoni e giocatori di calcio! Ammazzare la noia è il nostro solo mestiere, da noi non potrete ottenere mai la verità: vi diremo tutto quello che volete sentire mentendo senza vergogna, vi diremo qualsiasi cazzata vogliate sentire.
Noi commerciamo illusioni, niente di tutto questo è vero, ma voi tutti ve ne state seduti là, giorno dopo giorno, notte dopo notte, di ogni età, razza, fede... conoscete soltanto noi! Già cominciate a credere alle illusioni che fabbrichiamo qui, cominciate a credere che la TV è la realtà e che le vostre vite sono irreali. Voi fate tutto quello che la TV vi dice: vi vestite come in TV, mangiate come in TV, tirate su bambini come in TV, persino pensate come in TV! Questa è pazzia di massa, siete tutti matti! In nome di Dio, siete voialtri la realtà: noi siamo le illusioni! Quindi spegnete i vostri televisori, spegneteli ora, spegneteli immediatamente, spegneteli e lasciateli spenti!"
Howard Beale, Quinto Potere
Non serve dirvi che le cose vanno male, tutti quanti sanno che vanno male. Abbiamo una crisi. Molti non hanno un lavoro, e chi ce l'ha vive con la paura di perderlo. Il potere d'acquisto del dollaro è zero. Le banche stanno fallendo, i negozianti hanno il fucile nascosto sotto il banco, i teppisti scorrazzano per le strade e non c'è nessuno che sappia cosa fare e non se ne vede la fine.
Sappiamo che l'aria ormai è irrespirabile e che il nostro cibo è immangiabile. Stiamo seduti a guardare la TV mentre il nostro telecronista locale ci dice che oggi ci sono stati quindici omicidi e sessantatré reati di violenza come se tutto questo fosse normale, sappiamo che le cose vanno male, più che male!
È la follia! È come se tutto dovunque fosse impazzito così che noi non usciamo più. Ce ne stiamo in casa e lentamente il mondo in cui viviamo diventa più piccolo e diciamo soltanto: "Almeno lasciateci tranquilli nei nostri salotti per piacere! Lasciatemi il mio tostapane, la mia TV, la mia vecchia bicicletta e io non dirò niente ma... ma lasciatemi tranquillo!".
Beh!, io non vi lascerò tranquilli. Io voglio che voi vi incazziate. Non voglio che protestiate, non voglio che vi ribelliate, non voglio che scriviate al vostro senatore, perché non saprei cosa dirvi di scrivere: io non so cosa fare per combattere la crisi e l'inflazione e i russi e la violenza per le strade. Io so soltanto che prima dovete incazzarvi. Dovete dire: "Sono un essere umano, porca puttana! La mia vita ha un valore!".
Quindi io voglio che ora voi vi alziate. Voglio che tutti voi vi alziate dalle vostre sedie. Voglio che vi alziate proprio adesso, che andiate alla finestra e l'apriate e vi affacciate tutti ed urliate: "Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!".
Voglio che vi alziate in questo istante. Alzatevi, andate alla finestra, apritela, mettete fuori la testa e urlate: "Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!" Le cose devono cambiare, ma prima vi dovete incazzare. Dovete dire: "Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!" Allora penseremo a cosa fare per combattere la crisi e l'inflazione e la crisi energetica, ma Cristo, alzatevi dalle vostre sedie, andate alla finestra, mettete fuori la testa e ditelo, gridatelo: "Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!".
Quinto potere
Network, Sidney Lumet, 1976
Sono incazzato nero!
Peter Finch nella parte di Howard Beale
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domenica 10 novembre 2013
Cristina Campo. Qualcuno avrà notato con quale ipnotica lentezza battano le ciglia di un bambino che ascolta un vecchio rievocare; come le labbra si schiudano febbrili, la saliva passi lenta attraverso la gola. Non è di ilarità la sua espressione, mentre tutto il corpo si stringe contro le antiche ginocchia. C'è in lui la tensione immobile degli animali in muda, degli insetti in metamorfosi; è forse simile agli usignoli in pieno canto che si dice hanno una forte temperatura e il fragile piumaggio tutto arruffato. Egli sta crescendo, in quegli attimi; sta bevendo con voluttà e tremore alla fontana della memoria; l'acqua fulgida e cupa da cui ha vita la percezione sottile.
«Se qualche volta scrivo è perché certe cose non vogliono separarsi da me come io non voglio separarmi da loro. Nell’atto di scriverle esse penetrano in me per sempre – attraverso la penna e la mano – come per osmosi».
Cristina Campo, nata a Bologna il 29 aprile 1923
«Eccessiva per natura, lei vive d’ardenti entusiasmi e di cupe disperazioni.»
Queste sono le parole con cui Guido Guerrini, famoso compositore italiano e padre di Vittoria Guerrini, parla di sua figlia, meglio conosciuta con lo pseudonimo di Cristina Campo (1923 – 1977).
[...] Il difetto cardiaco che l’accompagnerà per tutta la vita
le impedisce di frequentare regolarmente la scuola
(«Fortuna immensa», commenterà Elémire Zolla)
e anche questo contribuisce a fare di lei una persona speciale.
Studia da autodidatta sotto la guida del padre e di insegnanti privati.
Impara le lingue leggendo Proust, Cervantes, Shakespeare...
[...] è ben attenta a fuggire qualsiasi commercio con l’attualità.
Evita gli autori che vanno per la maggiore (gli aborriti contemporanei i cui libri definisce “pezzi di carogna”) e inoltre non accetta né tagli né modifiche agli articoli, né compromessi di altro genere.
Rimane, pertanto, un’isolata e diventa un’imperdonabile sulla scia di poeti senza mezze misure quali Ezra Pound e Marianne Moore, quest’ultima definita «meticolosa, speciosa, inflessibile», tre aggettivi per scegliere i quali dev’essersi guardata allo specchio.
Nella Capitale conosce Elémire Zolla, studioso fra esoterismo e Tradizione, sposato con la poetessa Maria Luisa Spaziani e quindi con difficoltà a contraccambiare il sentimento appena nato. Ma i due finiscono col convivere e a coagulare un piccolo nucleo di eccentrici, il poeta italoargentino Juan Rodolfo Wilcock, il dissidente polacco Gustaw Herling, i tre giovani anticonformisti Guido Ceronetti, Alfredo Cattabiani, Roberto Calasso (gli ultimi due saranno i suoi editori, rispettivamente in Rusconi e in Adelphi).
Nel ‘65, dopo la morte del padre, Cristina si ritira sull’Aventino.
Abita con Zolla a Villa Sant’Anselmo, un piccolo albergo sull’omonima piazza a pochi passi dall’omonima abbazia, dove spesso si rifugia a pregare. Sul colle famoso per la secessione plebea, Cristina attua la sua secessione aristocratica da un mondo che le piace ogni giorno di meno.
Il colpo definitivo lo riceve dal Concilio Vaticano II, che cancella la messa in latino e il canto gregoriano, suoi grandi conforti.
http://www.150anni.it/webi/stampa.php?wid=1944&stampa=1
Qualcuno avrà notato con quale ipnotica lentezza battano le ciglia di un bambino che ascolta un vecchio rievocare; come le labbra si schiudano febbrili, la saliva passi lenta attraverso la gola. Non è di ilarità la sua espressione, mentre tutto il corpo si stringe contro le antiche ginocchia. C'è in lui la tensione immobile degli animali in muda, degli insetti in metamorfosi; è forse simile agli usignoli in pieno canto che si dice hanno una forte temperatura e il fragile piumaggio tutto arruffato. Egli sta crescendo, in quegli attimi; sta bevendo con voluttà e tremore alla fontana della memoria; l'acqua fulgida e cupa da cui ha vita la percezione sottile.
Cristina Campo, nata a Bologna il 29 aprile 1923
«Eccessiva per natura, lei vive d’ardenti entusiasmi e di cupe disperazioni.»
Queste sono le parole con cui Guido Guerrini, famoso compositore italiano e padre di Vittoria Guerrini, parla di sua figlia, meglio conosciuta con lo pseudonimo di Cristina Campo (1923 – 1977).
[...] Il difetto cardiaco che l’accompagnerà per tutta la vita
le impedisce di frequentare regolarmente la scuola
(«Fortuna immensa», commenterà Elémire Zolla)
e anche questo contribuisce a fare di lei una persona speciale.
Studia da autodidatta sotto la guida del padre e di insegnanti privati.
Impara le lingue leggendo Proust, Cervantes, Shakespeare...
[...] è ben attenta a fuggire qualsiasi commercio con l’attualità.
Evita gli autori che vanno per la maggiore (gli aborriti contemporanei i cui libri definisce “pezzi di carogna”) e inoltre non accetta né tagli né modifiche agli articoli, né compromessi di altro genere.
Rimane, pertanto, un’isolata e diventa un’imperdonabile sulla scia di poeti senza mezze misure quali Ezra Pound e Marianne Moore, quest’ultima definita «meticolosa, speciosa, inflessibile», tre aggettivi per scegliere i quali dev’essersi guardata allo specchio.
Nella Capitale conosce Elémire Zolla, studioso fra esoterismo e Tradizione, sposato con la poetessa Maria Luisa Spaziani e quindi con difficoltà a contraccambiare il sentimento appena nato. Ma i due finiscono col convivere e a coagulare un piccolo nucleo di eccentrici, il poeta italoargentino Juan Rodolfo Wilcock, il dissidente polacco Gustaw Herling, i tre giovani anticonformisti Guido Ceronetti, Alfredo Cattabiani, Roberto Calasso (gli ultimi due saranno i suoi editori, rispettivamente in Rusconi e in Adelphi).
Nel ‘65, dopo la morte del padre, Cristina si ritira sull’Aventino.
Abita con Zolla a Villa Sant’Anselmo, un piccolo albergo sull’omonima piazza a pochi passi dall’omonima abbazia, dove spesso si rifugia a pregare. Sul colle famoso per la secessione plebea, Cristina attua la sua secessione aristocratica da un mondo che le piace ogni giorno di meno.
Il colpo definitivo lo riceve dal Concilio Vaticano II, che cancella la messa in latino e il canto gregoriano, suoi grandi conforti.
http://www.150anni.it/webi/stampa.php?wid=1944&stampa=1
Qualcuno avrà notato con quale ipnotica lentezza battano le ciglia di un bambino che ascolta un vecchio rievocare; come le labbra si schiudano febbrili, la saliva passi lenta attraverso la gola. Non è di ilarità la sua espressione, mentre tutto il corpo si stringe contro le antiche ginocchia. C'è in lui la tensione immobile degli animali in muda, degli insetti in metamorfosi; è forse simile agli usignoli in pieno canto che si dice hanno una forte temperatura e il fragile piumaggio tutto arruffato. Egli sta crescendo, in quegli attimi; sta bevendo con voluttà e tremore alla fontana della memoria; l'acqua fulgida e cupa da cui ha vita la percezione sottile.
Cristina Campo, Gli imperdonabili
Vivere, certo, mio caro amico. Non c’è nulla di più - nulla di meno - da fare.
Quanto ad esser felici, questo è il terribilmente difficile, estenuante.
Come portare in bilico sulla testa una preziosa pagoda, tutta di vetro soffiato, adorna di campanelli e di fragili fiamme accese; e continuare a compiere ora per ora i mille oscuri e pesanti movimenti della giornata senza che un lumicino si spenga, che un campanello dia una nota turbata.
Come portare in bilico sulla testa una preziosa pagoda, tutta di vetro soffiato, adorna di campanelli e di fragili fiamme accese; e continuare a compiere ora per ora i mille oscuri e pesanti movimenti della giornata senza che un lumicino si spenga, che un campanello dia una nota turbata.
Cristina Campo, stralcio di lettera contenuta in "Il mio pensiero non vi lascia"
UNA ROSA
«Come fu così agghindata, ella salì in carrozza; ma la madrina le raccomandò sopra ogni cosa di non passar mezzanotte, avvertendola che se restasse più lungamente al ballo la sua carrozza ridiverrebbe zucca, i suoi cavalli sorci, i lacchè lucertole, e che le sue belle vesti riprenderebbero l'antica forma».
Cenerentola.
Il mistero del tempo e la legge del miracolo sono indicati in queste poche parole con leggerezza estrema e tuttavia con quale risolutezza. A che può condurre l'infrazione di un limite se non al regresso tragico nel tempo, al risveglio, sulle ceneri fredde? Cenerentola sfiora, nella terza e più gloriosa notte di ballo, quel precipizio: e per schivarlo, fuggendo all'impazzata, non si cura di perdere il suo scarpino di vaio, di rinunciare a un lembo del gratuito, estatico presente del quale una potenza l'ha rivestita. Ma ecco: sarà proprio quel filo, lo scarpino di vaio, a ricondurla al principe. La sua perdita volontaria diverrà il suo guadagno. [...]
fu Belinda a suscitare il suo Principe, di lontano e senza saperlo.
Fu quando chiese a suo padre che infilava la staffa, invece di un gioiello o di una veste sfarzosa, quel suo folle regalo:
«una rosa, solo una rosa», in pieno inverno.
Cristina Campo, Gli imperdonabili
Rebus di limiti illimitati, l'infanzia.
[...]Oggi un contadino qualsiasi,
per indicare una qualsiasi direzione,
parlerà come uno gnomo o una fata,
ti aprirà con un gesto la strada,
mille volte sfiorata senza sospettarla, [...]
Bastano pochi lembi di visione:
Un frantoio, cavato da una sola, grande rovere...
[...]... A otto anni mi regalarono un cavallino,
un baio bruciato balzano da tre.
Balzan da tre caval da re, disse il mozzo di scuderia.
A mia sorella invece due anatrelle mute...
[...] Di non svegliarti ancora ti chiediamo:
qui non c'è nulla al di fuori
di questa fratta in mezzo a un prato.
La brezza del mattino muove tra i pini.
Una fratta selvaggia, oscura e vuota.
Cristina Campo, Gli imperdonabili
Chi abbia avuto la ventura di nascere in campagna (o almeno in un giardino abbastanza vasto da non saperne troppo bene i confini) porterà per tutta la vita il sentimento di un arcano e pure preciso linguaggio, di uno svolgersi musicale di frasi che, mentre colma i sensi di sovrabbondante letizia, annuncia alla mente un ultimo disegno, sempre di nuovo promesso e differito. Come la soluzione di un rebus [...].
Rebus di limiti illimitati, l'infanzia.
Di confini malcerti, magnificati dalla piccola statura (proprio come le magiche parole, compitate a rilento nel libro delle fiabe).
Era il dosso, vellutato da una linea di sole e inaccessibile ai passetti minuti, oltre il quale doveva stendersi il prato incomparabile, la radura di Brocelianda.
Era il cancello sempre chiuso, il boschetto solo sfiorato, il viale senza termine. Era, durante la passeggiata al crepuscolo, la rovina di un castello vertiginoso e statico che girava tramutando con i tornanti della strada. Era la grotta, appunto, il muschio indovinato, l'acqua nascosta. Era la fin du pare. [...]
Non a caso la lettura delle fiabe, lingua segreta dei vecchi, è così spesso l'evento indelebile dell'infanzia. Per il bambino che le abbia lette in un paesaggio vivente, esse varranno già una prima iniziazione, se non al significato al potere dei simboli.
Uno scrittore dotato di arcano, Corrado Alvaro, assimilò la fiaba all'infanzia del mondo, quando i viaggi si compivano a piedi o sul dorso di animali.
[...] Abolita come a un tocco di verga la geometria di tempo e spazio, si cammina per ore senza uscire da un cerchio, o al contrario si tocca in pochi passi l'orlo dell'illimitato.
Cristina Campo, Gli imperdonabili
“Accade in ogni fiaba che, partiti per avere una cosa,
se ne ricava misteriosamente un’altra”.
Cristina Campo
“Di certe pesche si dice in italiano che hanno “l’anima spicca”, il nocciolo, cioè, ben distaccato dalla polpa. A spiccarsi del pari il cuore dalla carne o, se vogliamo, l’anima dal cuore, è chiamato l’eroe di fiaba, poiché con cuore legato non si entra nell’impossibile.
Questa provincia mediana della fiaba, tra prova e liberazione, è, se mai ve ne fu uno, mondo di specchi. Come in una antica danza di corte, bene e male vi si scambiano le maschere, e che la sorridente regina fosse una negromante, che nella stamberga del menestrello si celasse il magnanimo re Barba-di-Tordo
non si appaleserà se non in quel sopramondo delle scadenze imponderabili a cui la fiaba conduce: là dove le figure rovesciate si ricomporranno nel tessuto splendente, nell’atlante perfetto dei significati. E tuttavia l’eroe di fiaba è chiamato sin dal principio a leggere in qualche modo quel sopramondo in filigrana, ad assecondarne le leggi recondite nelle sue scelte, nei suoi dinieghi. Gli si chiede nulla di meno che appartenere, simultaneamente, sonnambolicamente a due mondi.”
Cristina Campo, Gli imperdonabili, 1987
Nelle fiabe, come si sa, non ci sono strade.
Si cammina davanti a sé, la linea è retta all'apparenza.
Alla fine quella linea si svelerà un labirinto, un cerchio perfetto, una spirale, una stella - o addirittura un punto immobile dal quale l'anima non partì mai, mentre il corpo e la mente faticavano nel loro viaggio apparente.
Di rado si sa verso dove si vada, o anche solo verso che cosa si vada; perché non si può sapere che cosa siano in realtà
l'Acqua Ballerina, la Mela Canterina, l'Uccello che indovina.
[...] Gli antichi navigatori, dopo avere perduto la rotta per traversie di mare, al momento di ritrovarla, spesso dal lato opposto, chiamavano la manovra avanzare di ritorno.
Cristina Campo, Gli imperdonabili
Non a caso la fiaba, questa figura del viaggio, si chiude per lo più come un anello allo stesso punto nel quale era cominciata. Il termine raggiunto, al di là dei sette monti e dei sette mari, è la casa paterna; il parco familiare o il giardino dove nel frattempo sono cresciute alte erbe. Là il re canuto attende di poter cedere la corona a suo figlio, il principe prodigo. [...]
Cristina Campo, Gli imperdonabili
«Val più un vecchio nel canto del fuoco
che un giovane nel campo»
Cristina Campo, Gli imperdonabili
13 novembre 2016 0:25
"è stato detto che solo per l'infanzia si accede al regno dei cieli"
Cristina Campo, Gli imperdonabili
"Si sa che la vecchiezza, spesso dimentica di tanta parte della vita trascorsa, ricorda con limpidità sempre maggiore l'infanzia.
E poiché è stato detto che solo per l'infanzia si accede al regno dei cieli, sembra giusto spogliarsi di ogni altro bene per quel solo possesso. Un possesso che forse si compirà con la morte.
Il vecchio più smarrito si riveste della segretezza di un augure se incominci a narrare della sua fanciullezza. La vita rallenterà il suo ritmo intorno a lui, strani silenzi lo circonderanno, né il bambino più smanioso potrà resistergli. Egli sembra dotato, in quegli attimi, di potere augurale.
Infatti sta indicando al fanciullo una meta: non già il proprio passato, ma il suo futuro, il futuro della sua memoria di adulto.
Né l'uno né l'altro lo sa, se non per la qualità numinosa delle parole che avvolge l'uno e l'altro nella stessa fascinazione.
Come semplici quelle parole. E tuttavia si sente spesso il bambino interrompere, volerne saper di più, insistere sulla forma di quella focaccia, la grandezza di quel giardino, il colore dell'abito della bisnonna durante quella passeggiata o quella festa". [...]
Qualcuno avrà notato con quale ipnotica lentezza battano le ciglia di un bambino che ascolta un vecchio rievocare; come le labbra si schiudano febbrili, la saliva passi lenta attraverso la gola. Non è di ilarità la sua espressione, mentre tutto il corpo si stringe contro le antiche ginocchia. C'è in lui la tensione immobile degli animali in muda, degli insetti in metamorfosi; è forse simile agli usignoli in pieno canto che si dice hanno una forte temperatura e il fragile piumaggio tutto arruffato. Egli sta crescendo, in quegli attimi; sta bevendo con voluttà e tremore alla fontana della memoria; l'acqua fulgida e cupa da cui ha vita la percezione sottile.
Cristina Campo, Gli imperdonabili
[...] la narrazione più semplice di un vecchio assume andatura di parabola, in parabole si esprimevano volentieri i vecchi di un tempo e sempre la raccontatrice di fiabe - questi evangeli che così leggermente si dicono moralità - fu la nonna:
la decana di casa, la donna di buon consiglio, dama che fosse o contadina. Allusivo suona il proverbio italiano:
«Val più un vecchio nel canto del fuoco
che un giovane nel campo»,
se pensiamo alla figura del raccontafiabe di cui mio padre potè ancora ascoltare la voce: l'uomo misterioso che si imitava alle veglie, nelle profonde notti veglie, nelle profonde notti dell'inverno, come un celebrante o un aruspice; il vecchio dalla pipa di coccio che viveva della sua parola e intorno al quale la sala o la cucina si spartiva da sé, come una cappella, in gineceo di filatrici, di ricamatrici da un lato, in androceo di fumatori dall'altro.
In Toscana la fiaba fu sempre chiamata «la novella», proprio come tra i popoli furono detti i Vangeli. Mentre al raccontafiabe era riserbata la casa, il fuoco al centro della casa -antico luogo d'incontro con i morti, con gli spiriti della stirpe - il cantastorie, storico di gesta laiche, era ascoltato in piazza. [...] il raccontafiabe, sdegnoso di strofette, di cartelloni patetici, passava misteriosamente di casa in casa come un portatore di tesori. I bambini se lo raffiguravano volentieri con un sacco pieno di parole, in tutto simile al sacco del Sonno dispensatore di sogni. Per secoli si crearono leggende sul raccontafiabe che non ha più (o non vuol più raccontare) fiabe: dono celeste, sempre revocabile. [...]
Cristina Campo, Gli imperdonabili
«La nostalgia mi ruba i colori della vita»
Cristina Campo, le lettere agli amici del periodo fiorentino
Tra le creature viventi, amava soprattutto i gatti e gli amici.
I gatti erano quattro: nella poltrona vicino al suo letto,
si stendeva un grosso, giovane gatto innocente;
e nella stanzetta sopra la cucina, abbracciate,
«tre piccole fate dai più delicati toni di grigio».
Gli amici erano innumerevoli; e ancora oggi appaiono alla luce lettere, frammenti di lettere, tenerezze, ricordi di tenerezze,
amicizie che dopo quaranta o cinquanta anni non si possono sradicare.
Cercava nei suoi amici fedeltà, freschezza, meraviglia, sorpresa: una cerchia strettissima di complicità, che ricordasse un poco ai suoi occhi le cerchia degli antichi amici dello Stilnovo.
Voleva sapere tutto di loro - che mobili c'erano nella STANZA, che alberi si riflettevano nei vetri.
Nel 1999, Margherita Pieracci Harwell pubblicò le Lettere a Mita (Adelphi): un capolavoro della letteratura italiana del secolo scorso.
In questi giorni, la stessa Pieracci raccoglie e commenta
Il mio pensiero non vi lascia.
Lettere a Gianfranco Draghi e ad altri amici del periodo fiorentino (Adelphi, pp. 278, 24).
Pietro Citati
5 gennaio 2012 (modifica il 9 gennaio 2012)
Il libro di Cristina Campo (Bologna, 1923 - Roma, 1977; nella foto), «Il mio pensiero non vi lascia. Lettere a Gianfranco Draghi e ad altri amici del periodo fiorentino», edito da Adelphi (pp. 278, e 24),
http://www.corriere.it/cultura/libri/12_gennaio_05/campo-il-mio-pensiero-non-vi-lascia_a2471dc4-3788-11e1-8a56-e1065941ff6d.shtml
UNA ROSA
«Come fu così agghindata, ella salì in carrozza; ma la madrina le raccomandò sopra ogni cosa di non passar mezzanotte, avvertendola che se restasse più lungamente al ballo la sua carrozza ridiverrebbe zucca, i suoi cavalli sorci, i lacchè lucertole, e che le sue belle vesti riprenderebbero l'antica forma».
Cenerentola.
Il mistero del tempo e la legge del miracolo sono indicati in queste poche parole con leggerezza estrema e tuttavia con quale risolutezza. A che può condurre l'infrazione di un limite se non al regresso tragico nel tempo, al risveglio, sulle ceneri fredde? Cenerentola sfiora, nella terza e più gloriosa notte di ballo, quel precipizio: e per schivarlo, fuggendo all'impazzata, non si cura di perdere il suo scarpino di vaio, di rinunciare a un lembo del gratuito, estatico presente del quale una potenza l'ha rivestita. Ma ecco: sarà proprio quel filo, lo scarpino di vaio, a ricondurla al principe. La sua perdita volontaria diverrà il suo guadagno. [...]
fu Belinda a suscitare il suo Principe, di lontano e senza saperlo.
Fu quando chiese a suo padre che infilava la staffa, invece di un gioiello o di una veste sfarzosa, quel suo folle regalo:
«una rosa, solo una rosa», in pieno inverno.
Cristina Campo, Gli imperdonabili
Rebus di limiti illimitati, l'infanzia.
[...]Oggi un contadino qualsiasi,
per indicare una qualsiasi direzione,
parlerà come uno gnomo o una fata,
ti aprirà con un gesto la strada,
mille volte sfiorata senza sospettarla, [...]
Bastano pochi lembi di visione:
Un frantoio, cavato da una sola, grande rovere...
[...]... A otto anni mi regalarono un cavallino,
un baio bruciato balzano da tre.
Balzan da tre caval da re, disse il mozzo di scuderia.
A mia sorella invece due anatrelle mute...
[...] Di non svegliarti ancora ti chiediamo:
qui non c'è nulla al di fuori
di questa fratta in mezzo a un prato.
La brezza del mattino muove tra i pini.
Una fratta selvaggia, oscura e vuota.
Cristina Campo, Gli imperdonabili
Chi abbia avuto la ventura di nascere in campagna (o almeno in un giardino abbastanza vasto da non saperne troppo bene i confini) porterà per tutta la vita il sentimento di un arcano e pure preciso linguaggio, di uno svolgersi musicale di frasi che, mentre colma i sensi di sovrabbondante letizia, annuncia alla mente un ultimo disegno, sempre di nuovo promesso e differito. Come la soluzione di un rebus [...].
Rebus di limiti illimitati, l'infanzia.
Di confini malcerti, magnificati dalla piccola statura (proprio come le magiche parole, compitate a rilento nel libro delle fiabe).
Era il dosso, vellutato da una linea di sole e inaccessibile ai passetti minuti, oltre il quale doveva stendersi il prato incomparabile, la radura di Brocelianda.
Era il cancello sempre chiuso, il boschetto solo sfiorato, il viale senza termine. Era, durante la passeggiata al crepuscolo, la rovina di un castello vertiginoso e statico che girava tramutando con i tornanti della strada. Era la grotta, appunto, il muschio indovinato, l'acqua nascosta. Era la fin du pare. [...]
Non a caso la lettura delle fiabe, lingua segreta dei vecchi, è così spesso l'evento indelebile dell'infanzia. Per il bambino che le abbia lette in un paesaggio vivente, esse varranno già una prima iniziazione, se non al significato al potere dei simboli.
Uno scrittore dotato di arcano, Corrado Alvaro, assimilò la fiaba all'infanzia del mondo, quando i viaggi si compivano a piedi o sul dorso di animali.
[...] Abolita come a un tocco di verga la geometria di tempo e spazio, si cammina per ore senza uscire da un cerchio, o al contrario si tocca in pochi passi l'orlo dell'illimitato.
Cristina Campo, Gli imperdonabili
“Accade in ogni fiaba che, partiti per avere una cosa,
se ne ricava misteriosamente un’altra”.
Cristina Campo
“Di certe pesche si dice in italiano che hanno “l’anima spicca”, il nocciolo, cioè, ben distaccato dalla polpa. A spiccarsi del pari il cuore dalla carne o, se vogliamo, l’anima dal cuore, è chiamato l’eroe di fiaba, poiché con cuore legato non si entra nell’impossibile.
Questa provincia mediana della fiaba, tra prova e liberazione, è, se mai ve ne fu uno, mondo di specchi. Come in una antica danza di corte, bene e male vi si scambiano le maschere, e che la sorridente regina fosse una negromante, che nella stamberga del menestrello si celasse il magnanimo re Barba-di-Tordo
non si appaleserà se non in quel sopramondo delle scadenze imponderabili a cui la fiaba conduce: là dove le figure rovesciate si ricomporranno nel tessuto splendente, nell’atlante perfetto dei significati. E tuttavia l’eroe di fiaba è chiamato sin dal principio a leggere in qualche modo quel sopramondo in filigrana, ad assecondarne le leggi recondite nelle sue scelte, nei suoi dinieghi. Gli si chiede nulla di meno che appartenere, simultaneamente, sonnambolicamente a due mondi.”
Cristina Campo, Gli imperdonabili, 1987
Nelle fiabe, come si sa, non ci sono strade.
Si cammina davanti a sé, la linea è retta all'apparenza.
Alla fine quella linea si svelerà un labirinto, un cerchio perfetto, una spirale, una stella - o addirittura un punto immobile dal quale l'anima non partì mai, mentre il corpo e la mente faticavano nel loro viaggio apparente.
Di rado si sa verso dove si vada, o anche solo verso che cosa si vada; perché non si può sapere che cosa siano in realtà
l'Acqua Ballerina, la Mela Canterina, l'Uccello che indovina.
[...] Gli antichi navigatori, dopo avere perduto la rotta per traversie di mare, al momento di ritrovarla, spesso dal lato opposto, chiamavano la manovra avanzare di ritorno.
Cristina Campo, Gli imperdonabili
Non a caso la fiaba, questa figura del viaggio, si chiude per lo più come un anello allo stesso punto nel quale era cominciata. Il termine raggiunto, al di là dei sette monti e dei sette mari, è la casa paterna; il parco familiare o il giardino dove nel frattempo sono cresciute alte erbe. Là il re canuto attende di poter cedere la corona a suo figlio, il principe prodigo. [...]
Cristina Campo, Gli imperdonabili
«Val più un vecchio nel canto del fuoco
che un giovane nel campo»
Cristina Campo, Gli imperdonabili
13 novembre 2016 0:25
"è stato detto che solo per l'infanzia si accede al regno dei cieli"
Cristina Campo, Gli imperdonabili
"Si sa che la vecchiezza, spesso dimentica di tanta parte della vita trascorsa, ricorda con limpidità sempre maggiore l'infanzia.
E poiché è stato detto che solo per l'infanzia si accede al regno dei cieli, sembra giusto spogliarsi di ogni altro bene per quel solo possesso. Un possesso che forse si compirà con la morte.
Il vecchio più smarrito si riveste della segretezza di un augure se incominci a narrare della sua fanciullezza. La vita rallenterà il suo ritmo intorno a lui, strani silenzi lo circonderanno, né il bambino più smanioso potrà resistergli. Egli sembra dotato, in quegli attimi, di potere augurale.
Infatti sta indicando al fanciullo una meta: non già il proprio passato, ma il suo futuro, il futuro della sua memoria di adulto.
Né l'uno né l'altro lo sa, se non per la qualità numinosa delle parole che avvolge l'uno e l'altro nella stessa fascinazione.
Come semplici quelle parole. E tuttavia si sente spesso il bambino interrompere, volerne saper di più, insistere sulla forma di quella focaccia, la grandezza di quel giardino, il colore dell'abito della bisnonna durante quella passeggiata o quella festa". [...]
Qualcuno avrà notato con quale ipnotica lentezza battano le ciglia di un bambino che ascolta un vecchio rievocare; come le labbra si schiudano febbrili, la saliva passi lenta attraverso la gola. Non è di ilarità la sua espressione, mentre tutto il corpo si stringe contro le antiche ginocchia. C'è in lui la tensione immobile degli animali in muda, degli insetti in metamorfosi; è forse simile agli usignoli in pieno canto che si dice hanno una forte temperatura e il fragile piumaggio tutto arruffato. Egli sta crescendo, in quegli attimi; sta bevendo con voluttà e tremore alla fontana della memoria; l'acqua fulgida e cupa da cui ha vita la percezione sottile.
Cristina Campo, Gli imperdonabili
[...] la narrazione più semplice di un vecchio assume andatura di parabola, in parabole si esprimevano volentieri i vecchi di un tempo e sempre la raccontatrice di fiabe - questi evangeli che così leggermente si dicono moralità - fu la nonna:
la decana di casa, la donna di buon consiglio, dama che fosse o contadina. Allusivo suona il proverbio italiano:
«Val più un vecchio nel canto del fuoco
che un giovane nel campo»,
se pensiamo alla figura del raccontafiabe di cui mio padre potè ancora ascoltare la voce: l'uomo misterioso che si imitava alle veglie, nelle profonde notti veglie, nelle profonde notti dell'inverno, come un celebrante o un aruspice; il vecchio dalla pipa di coccio che viveva della sua parola e intorno al quale la sala o la cucina si spartiva da sé, come una cappella, in gineceo di filatrici, di ricamatrici da un lato, in androceo di fumatori dall'altro.
In Toscana la fiaba fu sempre chiamata «la novella», proprio come tra i popoli furono detti i Vangeli. Mentre al raccontafiabe era riserbata la casa, il fuoco al centro della casa -antico luogo d'incontro con i morti, con gli spiriti della stirpe - il cantastorie, storico di gesta laiche, era ascoltato in piazza. [...] il raccontafiabe, sdegnoso di strofette, di cartelloni patetici, passava misteriosamente di casa in casa come un portatore di tesori. I bambini se lo raffiguravano volentieri con un sacco pieno di parole, in tutto simile al sacco del Sonno dispensatore di sogni. Per secoli si crearono leggende sul raccontafiabe che non ha più (o non vuol più raccontare) fiabe: dono celeste, sempre revocabile. [...]
Cristina Campo, Gli imperdonabili
«La nostalgia mi ruba i colori della vita»
Cristina Campo, le lettere agli amici del periodo fiorentino
Tra le creature viventi, amava soprattutto i gatti e gli amici.
I gatti erano quattro: nella poltrona vicino al suo letto,
si stendeva un grosso, giovane gatto innocente;
e nella stanzetta sopra la cucina, abbracciate,
«tre piccole fate dai più delicati toni di grigio».
Gli amici erano innumerevoli; e ancora oggi appaiono alla luce lettere, frammenti di lettere, tenerezze, ricordi di tenerezze,
amicizie che dopo quaranta o cinquanta anni non si possono sradicare.
Cercava nei suoi amici fedeltà, freschezza, meraviglia, sorpresa: una cerchia strettissima di complicità, che ricordasse un poco ai suoi occhi le cerchia degli antichi amici dello Stilnovo.
Voleva sapere tutto di loro - che mobili c'erano nella STANZA, che alberi si riflettevano nei vetri.
Nel 1999, Margherita Pieracci Harwell pubblicò le Lettere a Mita (Adelphi): un capolavoro della letteratura italiana del secolo scorso.
In questi giorni, la stessa Pieracci raccoglie e commenta
Il mio pensiero non vi lascia.
Lettere a Gianfranco Draghi e ad altri amici del periodo fiorentino (Adelphi, pp. 278, 24).
Pietro Citati
5 gennaio 2012 (modifica il 9 gennaio 2012)
Il libro di Cristina Campo (Bologna, 1923 - Roma, 1977; nella foto), «Il mio pensiero non vi lascia. Lettere a Gianfranco Draghi e ad altri amici del periodo fiorentino», edito da Adelphi (pp. 278, e 24),
http://www.corriere.it/cultura/libri/12_gennaio_05/campo-il-mio-pensiero-non-vi-lascia_a2471dc4-3788-11e1-8a56-e1065941ff6d.shtml
Cristina Campo.
Dopo la morte del padre e della madre - strazio per lei indicibile -
andò ad abitare a piazza Sant'Anselmo, sull'Aventino.
Dapprima nella STANZA di un piccolo albergo,
dove tutto sapeva di Emily Dickinson;
e poi in un incantevole appartamento in fondo alla piazza, sempre sotto la protezione dell'immensa abbazia, «L'abbazia - scriveva nell'agosto 1965 a Maria Zambrano - è quasi disabitata:
non c'è Musica né Liturgia: solo pochi conversi e i sacerdoti rimangono. Ma la Messa del mattino, col suo sepolcrale silenzio, la Compieta al tramonto, il suono delle campane che ordina il giorno, accompagna dolcemente la notte - questa esistenza, infine, quasi di oblati in ritiro - è puro olio soave sull'anima e il corpo».
Nell'ultimo periodo della vita, Cristina Campo ebbe l'impressione che Dio l'avesse completamente abbandonata. Dio si occupava di altri: chissà di chi - ma mai di lei. Temeva di non essere degna. Temeva di smarrire quell'olio soave che l'aveva incantata. Le chiavi del cielo continuavano ad aprire porte inattese - ma dietro la porta non c'era niente o nessuno che le parlasse. «Ormai è tardi», scriveva.
La mattina dell'11 gennaio 1977, alle cinque, mi telefonò Elémire Zolla.
«Vittoria è morta dieci minuti fa», mi disse. Era ancora buio. Mia moglie ed io corremmo in macchina all'Aventino. Vittoria era distesa sul letto: il viso era trasformato, deformato, stravolto; non avevo mai visto un essere umano così violentemente e ferocemente aggredito dalla morte, che l'aveva colpita dove era più indifesa: nel cuore. Tutto era stato inutile: la fede, la grazia, l'attenzione, l'amore, la discrezione, la vocazione, la tenacia, l'ardore, la dolcezza, persino la crudeltà - tutto quello che aveva fatto di lei una creatura incomparabile, era stato spazzato via con un gesto. Per un momento non riuscii a pensare ad altro. Poi nella memoria risorse il lieve splendore della voce di Vittoria, la grazia della scrittura di Cristina, e il verso incessante di Dylan Thomas: «E la morte non avrà più dominio».
Pietro Citati
5 gennaio 2012 (modifica il 9 gennaio 2012)
Il libro di Cristina Campo (Bologna, 1923 - Roma, 1977; nella foto), «Il mio pensiero non vi lascia. Lettere a Gianfranco Draghi e ad altri amici del periodo fiorentino», edito da Adelphi (pp. 278, e 24),
http://www.corriere.it/cultura/libri/12_gennaio_05/campo-il-mio-pensiero-non-vi-lascia_a2471dc4-3788-11e1-8a56-e1065941ff6d.shtml
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