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domenica 8 ottobre 2017

Alba de Céspedes, “A una certa età” seguitava “tutto ciò che abbiamo fatto non ci basta più; ha servito solo a renderci quelli che siamo. E così come siamo, ora che siamo veramente noi, quelli che abbiamo voluto o potuto essere vorremmo incominciare a vivere nuovamente, consapevolmente, secondo i nostri gusti di oggi. Invece, dobbiamo seguitare a vivere la vita che abbiamo scelto quando eravamo altri.” … Poi quasi pentito di essersi lasciato andare ha aggiunto ridendo che bisognerebbe stabilire un'età, “quarantacinque anni, mettiamo” oltre la quale si avesse diritto a essere soli al mondo, e a poter scegliere daccapo la propria vita…

“A una certa età” seguitava “tutto ciò che abbiamo fatto non ci basta più; ha servito solo a renderci quelli che siamo. E così come siamo, ora che siamo veramente noi, quelli che abbiamo voluto o potuto essere vorremmo incominciare a vivere nuovamente, consapevolmente, secondo i nostri gusti di oggi. Invece, dobbiamo seguitare a vivere la vita che abbiamo scelto quando eravamo altri.” 
… Poi quasi pentito di essersi lasciato andare ha aggiunto ridendo che bisognerebbe stabilire un'età, “quarantacinque anni, mettiamo” oltre la quale si avesse diritto a essere soli al mondo, e a poter scegliere daccapo la propria vita…
Alba de Céspedes, Quaderno proibito

“Era domenica e il tabaccaio non voleva vendermi il quaderno, rammento. Mi disse:”E’ proibito.” Allora fui colta da un desiderio irrefrenabile di possederlo, sperando che in esso avrei potuto esaurire senza colpa il mio segreto desiderio di essere ancora Valeria. Ma da allora invece è incominciata la mia inquietudine…..”
Alba de Céspedes, Quaderno proibito

“E’ strano: la nostra vita intima è ciò che più conta per ognuno di noi eppure dobbiamo sempre fingere di viverla senza quasi avvedersene, con disumana sicurezza.” [...]
Alba de Céspedes


“Sempre di più mi convinco che l’inquietudine si è impossessata di me dal giorno in cui ho comperato questo quaderno: in esso sembra nascosto uno spirito malvagio, il diavolo.”
Alba de Céspedes

Lo tenni sotto il cappotto lungo tutta la strada, fino a casa […] Ero rossa in viso nell’aprire la porta con la chiave: feci per andare in camera mia difilato, ma mi rammentai che Michele era ancora a letto. Intanto Mirella mi chiamava: «Mamma…». Riccardo chiedeva: «Hai comperato il giornale, mamma?». Ero agitata, confusa, temevo che non sarei riuscita a rimanere sola mentre mi toglievo il cappotto. “Lo metterò nell’armadio” pensavo, “no, Mirella lo apre spesso per prendere qualcosa di mio da indossare, un paio di guanti, o una camicetta. Il comò, Michele lo apre sempre. La scrivania è occupata ormai da Riccardo.” Consideravo che non avevo più in tutta la casa un cassetto, un ripostiglio che fosse rimasto mio. Mi proponevo di far valere da quel giorno i miei diritti.
Alba de Céspedes, Quaderno proibito

Avrei bisogno di essere sola, qualche volta; non oserei mai confessarlo a Michele, temendo di dargli un dispiacere, ma sogno di avere una camera tutta per me […] Invece non riesco mai a isolarmi e soltanto rinunziando al sonno trovo un po’ di tempo per scrivere in questo quaderno
Alba de Céspedes, Quaderno proibito

Ho pensato di portare il quaderno in ufficio, ma provo una inspiegabile riluttanza a farlo. Del resto neppure in ufficio avrei tempo e tranquillità, sebbene già da due anni goda di una stanza tutta per me. 
Alba de Céspedes, Quaderno proibito


«ogni volta che apro questo quaderno guardo il mio nome, scritto in prima pagina»
Alba de Céspedes, Quaderno proibito

«Ero sola nella casa vuota, nel silenzio domenicale, e mi pareva di aver perduto per sempre tutti quelli che amo se essi sono in realtà diversi da come li ho sempre immaginati. Se soprattutto io stessa sono diversa da come loro immaginano me.» 
Alba de Céspedes, Quaderno proibito


Prima dimenticavo subito ciò che accadeva in casa; adesso, invece, da quando ho cominciato a prendere nota degli avvenimenti quotidiani, li trattengo nella memoria e cerco di capire perché si siano prodotti. Se è vero che la nascosta presenza di questo quaderno dà sapore nuovo alla mia vita, debbo riconoscere che non serve a renderla più felice. In famiglia bisognerebbe fingere di non avvedersi mai di ciò che accade, o, almeno, non domandarsene il significato [27 dicembre]
Alba de Céspedes, Quaderno proibito


Per ritrovarmi quale ho sempre pensato di essere bisogna che eviti di rimaner sola: accanto a Michele e ai ragazzi riacquisto sempre quell’equilibrio che era una mia prerogativa. La strada invece mi stordisce, mi getta in una singolare inquietudine. Non so spiegarmi, ma insomma, fuori casa non sono più io. Uscita dal portone mi sembrerebbe naturale incominciare a vivere una vita diversa, sono invogliata a prendere strade che non sono nel mio itinerario quotidiano […] Neppure ora, sola col quaderno, mi riesce di capire: questo quaderno, con le sue pagine bianche, mi attrae e mi respinge, come la strada.
Alba de Céspedes, Quaderno proibito



Io sono nata poco dopo la guerra di Libia ed ero piccola, quando è scoppiata la prima guerra mondiale; poi, in collegio, ci arrampicavamo sulle inferriate delle finestre per vedere i fascisti che passavano con i teschi disegnati sulla camicia nera aperta fino alla cintola e le bombe a mano; eravamo sposati da pochi anni quando Michele è partito per l’Abissinia, e quando egli ha indossato di nuovo la divisa, nel ’40, portava ancora il lutto di suo fratello morto in Spagna.»; Riccardo aveva sette anni quando c’è stata la guerra d’Africa, dodici quando è scoppiata la guerra mondiale; per anni ha mangiato caciotta e dolci di vegetina. Le prime sigarette le ha avute in regalo dagli americani.
Alba de Céspedes, Quaderno proibito



"[...] e questo è un momento difficile per trovare lavoro, sai, Yves"
"È sempre un momento difficile [...]. Lo dicono i padroni affinché ci presentiamo a loro con la gola stretta, disposti ad accettare qualunque condizione, a cominciare dall'obbedienza cieca, dal silenzio. Per convincerci che il sistema sarà sempre più forte. Devono convincersi che questo è un momento difficile per trovare nuovi servi". 
Alba de Céspedes,  Nel buio della notte


Guardavo Guido che mi parlava, indifferente, giocando con l’accendisigari, e sentivo per lui un appassionato trasporto, misto a rancore. Provavo un cattivo desiderio di vederlo spendere molto per me, lo immaginavo contare biglietti e biglietti da mille, e il timore che egli potesse leggere nei miei pensieri mi invogliava a lasciare quel luogo, a tornare a casa mia. Mi pareva che anche il sogno di andare a Venezia, accarezzato per tanto tempo, in realtà non fosse altro che fame.
Alba de Céspedes



Incipit
Giulio non era abituato a trovarsi in strada a quell'ora. Aveva calcolato che la seduta sarebbe finita verso le otto, se andava bene, invece il costruttore aveva accettato la transazione e lui alle sette era già libero, con l'assegno nel portafogli. D'altronde passava tutto il pomeriggio in ufficio e la lampada accesa sul tavolo gli impediva d'avvedersi che a Roma fa buio molto tardi, alla fine di maggio. Pensò di aver sbagliato, congedando la sua segretaria prima del solito per compensarla delle sere in cui la tratteneva oltre l'orario.
Alba de Céspedes, La bambolona - Incipit


Il segreto del mio ottimismo consiste nel rinunziare a comprendere gli altri. 
Molti, a forza di analizzare il comportamento di coloro che li circondano, 
li riducono allo scheletro [...]. 
Alba de Céspedes, La bambolona p. 43


“Sono le due di notte, mi sono alzata per scrivere: non riuscivo a dormire. La colpa è, ancora una volta, di questo quaderno. Prima dimenticavo subito ciò che accadeva in casa; adesso, invece, da quando ho incominciato a prendere nota degli avvenimenti quotidiani, li trattengo nella memoria e tento di capire perché si siano prodotti. Se è vero che la nascosta presenza di questo quaderno dà un sapore nuovo alla mia vita, debbo riconoscere che non serve a renderla più felice” confessa Valeria.
Alba de Céspedes



"Tuttavia provava il bisogno di udire parole, parole, come ai primi tempi, portarsele di là, in cucina, a farle compagnia durante la giornata" 
Alba de Céspedes





Il tentativo della protagonista di liberare se stessa si concluderà in un fallimento e il diario verrà bruciato come conseguenza di questo fallimento. Al personaggio di Valeria, una donna comune in cui tante lettrici comuni potranno identificarsi, non sarà concesso di affermare quello che la sua autrice aveva confessato pubblicamente: «Non so immaginare la mia vita senza la scrittura». [...]
Dal romanzo sono stati tratti un testo teatrale (1962) e uno sceneggiato televisivo (1980) in cui il ruolo dei protagonisti è stato magistralmente interpretato da Lea Massari e Giancarlo Sbragia.
http://www.italialibri.net/opere/quadernoproibito.html


<<Sempre più mi convinco che l’inquietudine si è impossessata di me il giorno in cui ho comperato questo quaderno: in esso sembra nascosto uno spirito maligno>>.
Nero, lucido, spesso: è il quaderno che Valeria compra di nascosto trasgredendo il divieto di vendita domenicale. Nero, lucido, spesso: è il quaderno che Valeria brucerà dopo avergli dato vita con la sua anima. Le bugie bruceranno con esse, i segreti e le rimpiante ambizioni anche. Il fuoco purifica e permette una nuova rinascita.
https://losguardodiiskah.wordpress.com/2009/03/05/quaderno-proibito-di-alba-de-cespedes/


[...] La decisione finale di bruciare il quaderno è il segno della rinuncia di Valeria a vivere una vita diversa affermando il proprio sé, la chiusura di una parentesi che le ha fatto intravvedere anche nuove possibilità a livello affettivo nella storia con Guido, il datore di lavoro innamorato di lei. 
E’ la sua accettazione rassegnata alla propria condizione della quale ha pur preso pienamente coscienza. 
Sarà Mirella, la giovane figlia a rompere in modo anticonformista gli schemi consueti, legandosi ad un uomo sposato, senza pensare al vincolo del matrimonio e affermando la propria indipendenza attraverso il lavoro inteso come autorealizzazione. 
La sua scelta rappresenta il passaggio ad una nuova fase, un mondo nuovo che si intravede e  anche per questo sarà a lungo osteggiata dalla madre, inchiodata dai propri condizionamenti. 
Alla fine ne riceverà il consenso perché  in fondo rappresenta anche la materializzazione  di ciò che lei stessa si è negata .
http://recensione.blogspot.it/2014/06/quaderno-proibito-di-alba-de-cespedes.html



Nessuno torna indietro (1938), 
Dalla parte di lei (1949), 
Quaderno proibito (1952) 
e Nel buio della notte (1976)


«Il Rimorso» di Alba de Céspedes
«Lo so: dal momento in cui accetto i vantaggi di un determinato sistema economico – in qualunque proporzione, a qualsiasi livello – implicitamente rinuncio alla mia condizione di dissidente; così come, rifiutandoli, assumo quella del relitto sociale. In quest’ultimo caso, tra l’altro, rimarrei escluso da ogni compagnia stimolante; giacché oggi la maggior parte di coloro coi quali posso avere un utile scambio di idee, vive a un livello economico che, per mantenerlo, richiede la totalità o quasi del tempo disponibile. Inoltre l’ordinamento cosiddetto borghese non attribuisce alcun valore etico al rifiuto del continuo moltiplicarsi delle nostre necessità e dei nostri desideri: al contrario, lo reputa una colpa. 

< La giustificazione è nella mia condizione di scrittore, nella mia volontà di continuare ad esserlo > , ho detto: < Li conosci, no?, certi nostri amici, romanzieri, poeti – un tempo – e oggi funzionari: delle case editrici, della radio, della televisione, persino delle aziende industriali, o di quelle organizzazioni internazionali le cui sigle misteriose per molti non significano altro che un lauto stipendio. Sostengono di aver accettato quell’incarico per difendere certi interessi, certe idee: si dichiarano martiri dell’altruismo che li ha spinti a sacrificare la propria vocazione


[...] Oggi si rimane a tavolino quanto basta a strappare un buon successo col primo romanzo. 
Poi, riscosso l’assegno dell’editore, il milione del premio letterario, talvolta i milioni dei diritti per il cinema, si entra – finalmente – a far parte dei funzionari: come se la letteratura servisse soltanto a fornire i titoli indispensabili per presentarsi ad un concorso. Cioè si entra a servizio di quegli stessi capitalisti contro i quali è stato scritto il primo libro, pieno di fame e di furore. Perché questo? Perché bisogna mantenersi al livello economico raggiunto, e apprezzato, dal giorno in cui sei entrato nel mondo letterario. Altrimenti, dopo un periodo di “affettuosa solidarietà”, di “attesa”, i nuovi amici ti escludono dal loro giro, non per malanimo ma perché non puoi più frequentare i medesimi ristoranti, gli alberghi dove essi trascorrono le vacanze; perché non hai una casa simile alla loro, con quegli aggeggi, quei cibi, quei liquori, dei quali non si può fare a meno, visto che ormai tutti li hanno. Una vita non eccessivamente dispendiosa, ma che non è facile sostenere col solo lavoro di scrittore. Io non potrei, mettiamo, venire a pranzo da te se mia moglie non fosse vestita in modo adeguato e io non possedessi altro che un maglione e un paio di pantaloni lisi. Mi escludereste, nel preparare la lista degli inviti: “Viani no, non è il caso. Un’altra volta”. 
E l’altra volta non verrebbe mai. Forse tu insisteresti debolmente, ma tua moglie…> […]
< E allora > , ho proseguito, < finisce che un giorno ti decidi: vai da un amico in uno di quei begli uffici caldi, comodi, con la moquette sul pavimento, l’aria condizionata – io scriverei così bene qui dentro, pensi, lontano da casa, dalla famiglia – e gli esponi il tuo caso, pregandolo di adoperarsi in tuo favore. Dopo qualche tempo, la segretaria del capo dell’azienda ti telefona di andare subito, oggi stesso: “Da lui, personalmente” dici a tua moglie. Un bellissimo ufficio, arredato con gusto, bei mobili, bei libri, quadri moderni alle pareti (“sono aggiornati, però, questi industriali”). Lui in primo luogo si preoccupa che tu abbia tempo per scrivere; ti assicura che rispetterà i diritti del tuo ingegno – usa proprio queste parole – che quando avrai voglia di scrivere potrai rimanere a casa oppure, perché no?, chiuderti nel tuo ufficio e lavorare tranquillamente. Intanto è arrivato il caffè, il whisky. “L’essenziale è che lei continui a scrivere. In-nan-za-tut-to. Io sono lieto di venirLe incontro, caro Viani, per appianare le Sue difficoltà, darLe modo, permetterLe” – conosci l’infinita varietà di questi sinonimi, vero Direttore? – finché Lei vorrà, potrà, stimerà opportuno concederci la Sua collaborazione. Senza orario fisso, naturalmente, di mattina, di pomeriggio, a Suo piacere. Ho già dato ordine all’amministrazione di prepararLe un contrattino, e di versarLe subito un cifra che….ma sì, ma sì, la sconteremo quando Lei vorrà, crederà, giudicherà…”
Tu ringrazi, commosso di aver trovato uno che capisce, e anche un uomo di cuore, diciamolo pure. Firmi scorrendo appena il contratto, c’è bisogno di contratti con un uomo come questo che ti viene incontro, che ti paga appunto e soltanto perché sei uno scrittore? Lo abbracci nel congedarti – gli Italiani sono facili alle effusioni – senza renderti conto che, in quel preciso istante, ti congedi dalla letteratura, da te stesso, dal piacere di rimanertene in casa a scrivere, in vestaglia, in pigiama, con la barba lunga. Rientri, abbracci tua moglie e le mostri l’assegno, trionfante: “Che uomo straordinario” lei si estasia, commossa: “parlano tanto male di questi capitalisti, di questi industriali, ma, dimmi un po’, hanno mai fatto niente per te i tuoi amici di sinistra? Io lo sapevo che sarebbe capitato qualcosa, che presto avresti ripreso a scrivere, con le spalle al sicuro” e nella sua gratitudine include anche Santa Rita, Padre Pio e una cartomante famosa, la quale aveva predetto che, infallibilmente, tra tre giorni, tre settimane o tre mesi, avresti avuto uno stipendio fisso, “uno stipendio che corre anche se tu non hai idee, se t’ammali” e tu torni ad abbracciarla giacché adesso non ti guarderà più con gli occhi sbarrati come certe sere in cui, tra le sue braccia, confessavi che ci sarebbe voluto almeno un anno ancora per finire il romanzo, lavorando tutto il giorno. “Scrivere è un lavoro lungo, sapessi; ma tu lo sai, sono anni che mi segui. Sai pure che ho il sistema nervoso debole, fragile, che basta un nulla, sai tutto”, le dicevi addormentandoti al suo fianco, gualcito dall’angoscia, fiaccato da un lavoro che avanza lentamente, suscitando una certa diffidenza tra i tuoi amici. (“Come, non è ancora finito? Quante pagine ti mancano?”)
Tua moglie sapeva tutto ma stava sveglia mentre tu dormivi perché sapeva anche che, al mattino, sarebbe venuto quel tale fornitore che minacciava una scenata. Adesso potrà dirgli “venga a riscuotere alla fine del mese”, con l’aria di chi ha danaro in tasca. Inoltre l’ufficio richiede davvero poco tempo benché, dapprincipio, i funzionari di un’azienda, anche quelli di un’azienda editoriale, diffidino di un letterato e tu vuoi dimostrare che non lei lì per favore, che un letterato è capace di cose ben più difficili di quelle che si fanno in un ufficio: perciò arrivi in orario, ricevi gente, parti, viaggi, sempre vestito di blu, anche in smoking quando è necessario, vai per la prima volta all’estero, il passaporto, l’aereo, i grandi alberghi, le donne che incontri e che inviti in quei ritrovi costosi che sono una cornice necessaria (“indispensabile, purtroppo”, pensi). Impari a conoscere i buoni indirizzi, i cibi raffinati, non tremi più di fronte alla lista dei vini. Sei attivo, euforico, ringiovanito, non hai più bisogno di simpamina per lavorare. Il primo anno hai anche pubblicato una raccolta di racconti (vecchi, ma riveduti) e la critica è stata particolarmente lusinghiera […]
Ma da quando hai preso la direzione di quella collana o di quel programma (c’è sempre più da fare in ufficio, rientri sfinito, e pranzi e cocktails e viaggi) la letteratura per te, rischia di diventare un hobby. Scrivi d’estate, al mare: nelle poche settimane in cui potresti alzarti tardi, non appena sveglio ti metti a scrivere tra la radio della stanza contigua,  i prendisole di tua moglie, le pinne e le maschere dei ragazzi. Gli altri escono, vanno alla spiaggia: “Tu rimani chiuso qui dentro, povero caro” sospira tua moglie che, ormai, ha adottato il linguaggio delle signore borghesi che frequenta. Non è più quella ragazza che aveva voluto conoscerti, in una festa per un premio letterario, che ti aveva chiesto la firma sul tuo primo romanzo, letto e riletto, segnato in margine; e che poi, nei caffè, nelle pizzerie, ti diceva fervidamente, guardandoti negli occhi: “Tu dovrai soltanto scrivere, a qualsiasi costo, anche a costo di fare la fame”. Non è più la giovane sposa che, invece del rossetto per le labbra, comprava carta e nastro da macchina. Adesso è la moglie di un funzionario: si serve dalle buone sarte, serena, potetta dall’assicurazione sulla tua vita cui ha provveduto l’azienda. Una signora che, ormai, non riceve gente come voi eravate. “Vestiti così, così impacciati” dice “si troverebbero male, non è il caso”. Tuttavia, lasciandoti solo in albergo, la sua voce si vena di rimprovero: “Lavora caro, tutti mi domandano perché non scrivi più, ora puoi lavorare tranquillo per un mese, non hai scuse, capito?”. Tu però hai la mente vuota: vai alla finestra, guardi le vele che si dondolano sul mare, pigramente, i sandolini nei quali uomini abbronzati portano ragazze che ridono, e vorresti uscire anche tu, funzionario che ha diritto alle sue vacanze, perché lavora otto il giorno, come il contabile, come l’usciere. E quando ti metti a tavolino, pieno di rabbia, invece del romanzo scrivi un articolo contro l’economia capitalistica, la società industriale, e il tuo datore di lavoro – un uomo spregiudicato, moderno – te lo lascia pubblicare, anzi ti dice “Bravo” e anche agli altri dice: “Bravissimo quel nostro funzionario, quel Viani. Coraggioso. Mi piace che scriva ciò che pensa, nella mia azienda tutti possono dire ciò che pensano”. Ma tu, nonostante quell’articolo, sai di non essere fedele alle tue idee e questo tarlo ti rode, ti avvelena, anche se il tuo datore di lavoro ti lascia frequentare gente che appartiene a partiti da lui considerati “perturbatori” poiché sa bene che i “perturbatori” diffidano di te; ti lascia discorrere al caffè, in trattoria; ti permette di firmare manifesti, di impegnarti: tanto l’unica firma che conti è sul vostro contratto, l’unico impegno cui adempi, è quello di sederti ogni mattina a un tavolo ingombro di manoscritti da leggere oppure di pratiche inerenti ai problemi che devi risolvere, ai dati che devi diffondere, per rafforzare la sua azienda. E, se esageri, un bel giorno suona il campanello e ti chiama e ti ricorda che “Lei, caro Viani, è in-nan-zi-tut-to un nostro funzionario…”. Tu non potresti ma, tornando a casa, urli che vuoi piantarlo e andartene in una baracca delle borgate, magari, dovunque sia, a scrivere i tuoi libri. Tua moglie impallidisce: “Sei pazzo? Proprio adesso che abbiamo mandato il maschio a studiare in Inghilterra, che la femmina si sposa? Le nozze, il corredo…Come faremmo? Scriverai dopo, sei ancora giovane, hai tanto tempo” ti dice, dolce, rassicurante. Così man mano, il libro che sognavi di scrivere si allontana nel tempo e anche nelle tue aspirazioni: la passione delle lettere, il piacere di stare a tavolino, sono stati sostituiti dalla passione del potere, dal prestigio sociale che credi di possedere perché sei uno scrittore e che, in certo modo, possiedi – come Carloni, di cui si cita sempre quel famoso saggio sull’Horderlin – ma è un cadavere sotto vetro: se tenti di esumarlo, si polverizza, svanisce. I sorrisi, gli inviti, la premura con la quale tutti ti riconoscono, ti riveriscono, la simpatia dei giovani, il loro accento deferente, non sono rivolti a te, ma al capo dell’azienda che tu vedi tutti i giorni e che loro non riescono a vedere sebbene abbiano un romanzo già finito, sebbene la loro ragazza voglia tradurre qualcosa; e anche i tuoi coetanei pensano che Viani, non si sa mai, bisogna tenerselo buono, nel caso di una grana col proprio editore. Insomma, hai barattato il potere intellettuale e morale dello scrittore contro il potere sociale e mondano di coloro che offrono ad altri la possibilità di scrivere. >

Ridevo, di un riso nervoso, isterico: < E arriva magari il giorno in cui tua moglie ti dice di aver saputo da fonte sicura che vogliono portarti deputato; infine te lo annunzia il tuo datore di lavoro, è cosa fatta, dice, tu ti schermisci: “No, no, ci mancherebbe altro, io devo scrivere; e poi, come farei con l’azienda?”, ma lui promette che ti verrà incontro, che gli interessi dell’azienda di fronte a quelli del Paese non contano, che in un momento come questo – è sempre “un momento come questo” – ognuno deve assumere le proprie responsabilità, sostenendo un partito progressista sì, ma moderato: “Lei sa che io Le ho sempre lasciato la più completa libertà. Le confesserò che anch’io sono un uomo di sinistra e non esiterei a scendere in piazza, però non è ancora il caso, non siamo ancora maturi” – non siamo mai maturi, hai notato, Direttore?, né per la libertà né per la repubblica né per il suffragio universale, nemmeno per la chiusura dei bordelli – “e Lei ha il dovere di sacrificare certe sue idee ancora inattuabili, di procrastinare finanche il suo lavoro personale, giacché, oggi, Lei è necessario alla nazione”, dichiara, ma non ti dice che è stato lui a combinare tutto, suggerendo a chi di dovere: “Ci vorrebbe un uomo come Viani, uno scrittore che ha avuto la sua ora di successo, una persona seria, che conosce tutti, che ha una bella casa, che riceve. Come faremmo noi senza Viani, me lo domando, ma di fronte all’interesse del Paese…”, perché ormai su te può contare e gli sarai più utile per gli affari ad alto livello dell’azienda che a capo di quella direzione, di quel programma, di quella collana , dove basta un giovane. “Anzi” egli confida ai suoi lavoratori “data l’aria che tira oggi ci vuole un giovane, uno che abbia un successo recente” e ha già scelto a chi dire, come a te, che vuole andargli incontro, risolvere le sue difficoltà, affinché possa scrivere tranquillo: è uno di quei giovani che ti parlano con deferenza, uno che non ha soldi per sposarsi con quella ragazza che vuole tradurre qualcosa. Di nuovo abbracci sulla porta, e, a casa, abbracci con i ragazzi – che ormai sono grandi e che, tra i loro coetanei, dicono che sei superato, che non ce la fai più a scrivere, che loro, in verità, i tuoi libri non li hanno mai letti – e abbracci con tua moglie che, poi, mentre viaggi col permanente nello scompartimento riservato ai deputati, se ne va alle esposizioni di pittura, ai concerti, con uno di quei vostri amici che non è il caso di invitare quando ricevete e gli dice con un sospiro: “Io avevo sposato un romanziere, capirà, un poeta…”. E tutto questo perché? > ho domandato ad Antaldi, guardandolo in faccia. < Per quei mobili, quegli elettrodomestici, quei vestiti, per quelle villeggiature a Capri o a Courmayer, dove tua moglie ti sballotta tra la gente, immusonito dalla difficoltà di telefonare, di ricevere posta dalla donna che ti piace, che ami. Per partecipare a giurie letterarie, a congressi, dove si premia e si discute ciò che altri scrivono. Ah, no! > ho concluso: < Dostoevskij dice che il potere non è dato che a chi si abbassa a prenderlo. Io voglio un potere soltanto: quello di rimanere nella mia condizione di scrittore, e di povero.>
Alba de Céspedes, Il Rimorso


fucsia e bianco per un ottimo Harmony!
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alba-de-cespedes
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quadernoproibito
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Alba de Céspedes - QUADERNO PROIBITO.
 Nel 1952 esce il primo volume della collana, ideata da Alberto Mondadori, Grandi Narratori Italiani e la scelta di aprire l'importante collana cade su Alba De Cespedes, legata da solida amicizia a Mondadori, che aveva edito il suo primo romanzo nel 1938 Nessuno torna indietro.

Prima di parlare del romanzo, che ho riletto in questi giorni con rinnovato piacere, mi preme ricordare quel momento di crisi che investì i rapporti tra la De Cespedes e la Mondadori , nei primi anni '60. All'epoca lavoravo ancora alla Mondadori di Roma e negli uffici si parlava apertamente di questo fatto. Era accaduto che Niccolò Gallo nel preparare il risvolto di copertina per la riedizione del romanzo della De Cespedes Dalla parte di lei per la collana Il Bosco, aveva usato espressioni che sembravano relegare il romanzo nel genere rosa.

La reazione di Alba De Cespedes fu immediata e con una dura lettera a Niccolò Gallo chiese la rescissione del contratto con la Mondadori. Per capire il grande carattere di questa scrittrice, vale la penna leggere parte di quella lettera:

...Vi ho trovato un'abbondanza di espressioni che io escludo dal mio vocabolario (per es: "tormento interiore", "riflettono il suo cuore", "sfumato e dolce") e che mi dispiacciono tanto più in quanto sono adoperate per definire, criticamente, la mia opera. In compenso qualcosa manca in quel testo: ed è il consenso alla validità artistica della mia opera, al contenuto etico - non soltanto polemico - di essa, alla forma, cioè allo stile, che tale contenuto riveste ed esprime. La mia risoluzione è definitiva: propormi, eventualmente, di rifare o mutare il testo del risvolto non servirebbe a niente. Non è la presentazione ai lettori che importa: è quello che Lei pensa.
La reazione della De Cespedes può sembrare eccessiva, se non si considera quale fosse l'atteggiamento del mondo culturale negli anni '60 nei confronti della letteratura al femminile: un misto di sufficienza snobistica che le relegava di fatto a ruoli marginali, rubriche di cuori infranti o letteratura rosa.

Altro che romanzetto rosa!
Quaderno proibito è un manifesto per la liberazione della donna dall'oppressione non del sistema ma della famiglia, del marito, dei figli. E anche una denuncia dell'impossibilità di comunicare all'interno della famiglia e tanto altro ancora.

Il romanzo, in forma di diario, è ambientato a Roma e si svolge dal 26 novembre del 1950 al 27 maggio dell'anno successivo, all'interno di una famiglia piccolo-borghese. Interessante, per chi avesse voglia di leggere (o ri-leggere) il romanzo, fare una piccola ricerca sul web per capire cosa era l'Italia degli anni '50, quale il ruolo della donna e lo spirito dell'epoca.

http://giorgio-illettoreimpenitente.blogspot.it/2011/03/alba-de-cespedes-quaderno-proibito.html




Alba De Céspedes, Quaderno proibito

“questo quaderno, con le sue pagine bianche, 
mi attrae e allo stesso tempo mi sgomenta, come la strada.” [20 gennaio ]

“A quarantatré anni, se tutto quello che possediamo ci viene meno è troppo difficile cominciare a vivere. Eppure vi sono momenti in cui la possibilità di farlo mi appare invece attraentissima.”
[2 febbraio]

“Per scrivere il diario trascuro i miei doveri. 
Il fatto è che mi pare d’essere stata io stessa a inventare molti obblighi per vincolarmi da essi.”
[5 febbraio].

“Sempre più mi convinco che l’inquietudine si è impossessata di me dal giorno in cui ho comprato questo quaderno: in esso sembra nascosto uno spirito maligno, il diavolo.”
[7 marzo]

“Ogni volta che apro questo quaderno mi tornano in mente le ansie che provavo quando ho incominciato a scrivervi. Ero assillata da rimorsi che avvelenavano tutta la mia giornata. Avevo sempre paura che il quaderno venisse scoperto, anche se allora conteneva nulla che potesse giudicato colpevole”. Ma ormai è diverso: in esso ho registrato la cronaca di questi ultimi tempi, il modo in cui, a poco a poco, mi sono lasciata trascinare verso atti che condanno e dei quali, tuttavia, come di questo quaderno, mi sembra di non potere fare più a meno. [17 aprile]

“Sarebbe stato bello avere un momento di rivolta e accettare tutte le tentazioni, tutte le follie, dire – basta, oh, basta – entrare nei negozi, comperare tutte le borse ed essere guardata da tutti gli uomini come da quello che ho incontrato ieri nel portone dell’ufficio”. [24 gennaio]

“…ho fatto una cosa che non facevo da gran tempo. Ho preso un tassì e mi sono fatta portare a casa, ho lasciato una generosa mancia, forse eccessiva, – Tenga pure – . Ero proprio soddisfatta di aver buttato via cinquecento lire.”

“Non avevo mai considerato prima d’ora che a causa dell’esiguità della nostra casa e dell’orario d’ufficio, io ho raramente occasione di rimanere sola” [10 dicembre].

“Sono costretta a scrivere di notte, durante il giorno non ho mai pace. Il fato che soltanto a quest’ora mi riesce di rimanere sola per scrivere mi a comprendere che adesso per la prima volta, in ventitré anni di matrimonio, io dedico un po’ di tempo a me” [24 gennaio].

“Pensavo di possedere il tempo che ho investito nei figli, come un capitale; ma adesso essi se lo rubano, se lo portano via. In realtà io non possiedo che il tempo investito nel lavoro: solo quando sono in ufficio mi sento libera e non ho l’impressione di mentire”.
[24 febbraio]

Viviamo ancora nella stessa casa dove Michele ed io siamo venuti ad abitare appena sposi. 
E’ divenuta troppo stretta; per dare la camera a Mirella abbiamo dovuto rinunciare al salotto..
[14 gennaio]

“Avrei bisogno di essere sola, qualche volta; non oserei mai confessarlo a Michele, temendo di dargli un dispiacere, ma sogno di avere una camera tutta per me…io mi accontenterei di uno sgabuzzino” [27 gennaio]

“Ormai la casa mi sembra una gabbia, una prigione. Eppure vorrei poter sprangare gli usci, le finestre, vorrei essere costretta a rimanere giorno dopo giorno qui dentro.” 
[1 aprile].

“Eppure sembrava naturale che mi chiamasse così da fidanzata e nei primi anni del nostro matrimonio, e nelle lettere che mi scriveva quando era in guerra, in Africa. – Valeria mia -, scriveva sempre.”

“…Michele, oggi, a tavola, lodandomi, mi diceva: – eh, sei proprio diversa dalle altre, mammà – e mi sorrideva come a una bambina. L’ho pregato di non chiamarmi mammà, ma Valeria. Va benissimo, Valeria, egli ha detto subito, in tono di affettata premura. Ma il mio nome, pronunziato da lui dopo tanto tempo, mi ha procurato un’impressione tanto bizzarra che, ridendo, ho soggiunto: – scherzavo…” [28 gennaio].

“Ho incominciato a piangere e lui mi consolava. Non far così, mammà. Nell’udirmi chiamare in tal modo ero invece incoraggiata a piangere; giacché ormai per lui, da anni, io impersono soltanto questa figura che ora sta naufragando e mi trascina con sé.”

“Non so spiegarmi, ma, insomma, fuori di casa non sono più io.
Uscita dal portone mi sembrerebbe naturale incominciare a vivere una vita tutta diversa da quella consueta, sono invogliata di prendere strade che non sono nel mio itinerario quotidiano, incontrare persone nuove, a me finora sconosciute, con le quali per essere allegra, ridere.” 
[20 gennaio]

“Se fossimo soli potremmo are anche un piccolo viaggio, lo desideriamo da tanto tempo, lui dice che vorrebbe andare a Milano, per vedere ciò che è stato ricostruito dopo la guerra.
Io invece, vorrei andare a Venezia, dove andammo in viaggio di nozze.
E’ assurdo, ma proprio in questi giorni, in cui sono tanto angustiata mi capita di tornare spesso a Venezia col pensiero; mi vedo in gondola, o in piazza San Marco tra i colombi, e la luce attorno è giallo e grigio smaglianti, come in quel mese d’ottobre. Non sono più tornata a Venezia d’allora.” 
[3 febbraio]

“Ieri volevo domandargli: – Mi ami ancora? – Sono tanti anni che non glielo chiedo, un invincibile pudore mi ha trattenuto dal farlo. – Mi vuoi bene Michele? – gli ho chiesto.
– Che cosa temi mammà? – ha detto lui con un sorriso: – dovresti saperlo ormai. –
Con fare scherzoso mi ha dmomandato se fossi gelosa e io, arrossendo, ho risposto di no.
Con maggiore chiarezza su questa negazione dell’amore, Valeria si chiede: “comincio a domandarmi che cosa significhi per me la parola “amore”, riferita a Michele, e insomma a quali sentimenti voglia alludere quando dico: “Amo mio marito”. 
[24 aprile]

“Temo che, ammettendo di aver goduto sia per un breve riposo, uno svago, perderei la fama che possiedo di dedicare ogni attimo del mio tempo alla famiglia”. 
[1 gennaio].

“Ogni anno dichiaro di non voler andare al solito the che, in occasione del suo compleanno, ella offre ad alcune compagne di collegio con le quali è restata in amicizia. Dico che ho troppo da fare per assentarmi dall’ufficio, sostengo che, se potessi farlo, ne approfitterei per cose più importanti.” 
[3 gennaio].

“Il mio cappello di feltro nero scompare di fronte ai cappelli di raso colorato delle amiche”…”non sapevo a che cosa attribuire la nostra diversità, che ogni anno sento più profonda”..”comprendevo che…io non potrò mai più intendermi con Giuliana e le altre amiche”.

 “…osservavo Mirella: china sulla scrivania era intenta a verniciarsi le unghie con lo smalto rosso. 
Ha una mano lunga, fine, bellissima: la teneva appoggiata a un grosso volume di economia politica”.

“…non ricordo bene come fossero davvero i miei vent’anni e inoltre, se voglio essere sincera, mi sembrano molto diversi dai suoi. Io non rammento di essere stata padrona di scegliere tra il mio bene e il mio male, come ella è oggi; e non a causa di tante usanze che sono mutate, ma proprio per una mia condizione intima. Nei miei vent’anni c’erano già Michele e i bambini, prima ancora che incontrassi lui e che essi nascessero; erano nella mia sorte, più ancora che nella mia vocazione. 
Non avevo che da affidarmi, ubbidire” 
[25 gennaio].

“…mi pareva di aver perduto per sempre tutti quello che amo se essi, in realtà, sono diversi da come li ho sempre immaginati. Se, soprattutto”, io stessa sono diversa da come loro immaginano me.”

“a momenti mi pare che Michele mi guardi con sospetto, o che, fingendo indifferenza, mi spii quando parlo al telefono come faccio io con Mirella per sapere con chi parla e che dice.” 
[10 febbraio]

“Oggi mi è accaduto qualcosa di insolito, una sciocchezza che mi vergognerei finanche di annotare se non ossi sicura che nessuno leggerà mai ciò che scrivo in questo quaderno. Nel pomeriggio, entrando nel portone del mio ufficio, ho visto un uomo alto, elegante…non ha staccato lo sguardo da me, mi fissava con uno stupore come se d’improvviso avesse visto un’apparizione gradita. Quando gli sono passata accanto ha sussurrato qualcosa che non ho capito…forse egli supponeva che io avessi due figli già grandi, mi vien voglia di ridere solo a pensarci, ma insomma ha detto “affascinante”.
“tuttavia ora posso confessare che questo episodio mi ha messo addosso un’allegria che non provavo più da quando ero ragazza”. 
[19 gennaio].

“…Adesso lei conosce un mio segreto: io torno sempre in ufficio, il sabato pomeriggio, proprio per far nulla, riposare. Naturalmente se mi capita, scrivo qualche lettera. Non lo dico a nessuno perché non oso confessare che mi trovo perduto, quando non sono in ufficio.
La domenica è un supplizio.
Del resto fuori, non trovo gran che d’interessante…”

“Il sabato c’è più movimento del solito, i ragazzi invitano sempre i loro amici, fanno chiasso. 
Io dico che ho un appuntamento in ufficio, ed esco”.

“Qui, Mirella, il mercato, i piatti sporchi, non potevano raggiungermi”.
[10 febbraio].


“oggi ho avuto una giornata piacevole forse perché, dopo colazione,sono andata dal parrucchiere. Quando esco dal parrucchiere, mi sembra di essere più giovane; mi propongo di tornarvi ogni settimana e poi non ho tempo né, soprattutto, danaro da buttar via.”
“Per la strada c’era un’aria frizzante. Mi sentivo così contenta e attiva che ho pensato di sfruttare il mio entusiasmo, andando in ufficio a evadere alcune pratiche arretrate.”
[17 febbraio].


“Da un po’ di tempo in qua qualcosa di irragionevole desiderio di vacanza s’impossessa di me, mi suggerisce di spalancare la finestra, sentire aria fresca sul visto, mi riporta alla memoria boschi, campagna, paesaggi marini e alla fine, sempre, Venezia.
Mi basta rientrare in casa perché questo festoso impulso si disperda. 
A casa, non so perché, ho sempre voglia di chiedere scusa.” 
[24 febbraio]

“è mezzanotte, sono obbligata ad aspettare che rincasi Mirella”.
[17 febbraio].

“Se Mirella o Riccardo ricevono alcuni amici e io entro nella stanza ove sono riuniti, tutti subito tacciono e s’alzano in piedi con quel fare tra rispettoso e diffidente che si assume quando la maestra entra nell’aula. Eppure io mi mostro affettuosa, gioviale, tendo di rendermi gradita offrendo loro qualche dolciume e il caffe…essi mi guardano incerti, studiandosi di indovinare quale inganno vi sia sotto la mia premura. Talvolta…discorro con loro…assumo atteggiamenti liberali, sperando così di avvicinarmi al loro modo di pensare, alla loro età. Ma più mi allontano dall’idea che essi hanno dei genitori…più li sconcerto e li intimidisco” 
[27 febbraio].

“Vedo Mirella che esce di casa con il suo diario nella borsetta, Michele che torna in banca, il sabato, per scrivere in pace il soggetto, Riccardo che ha incollato sulla parete della sua camera la fotografia delle montagne argentine e mi sembra che, pur volendoci tanto bene, ci difendiamo l’un l’altro come nemici”.
[27 febbraio]

“Mi basterebbe poter parlare a qualcuno dell’esistenza di questo quaderno e il sentimento di colpa che mi opprime si dissiperebbe. Certe volte vado a trovare mia madre, decisa a parlargliene…vorrei parlarle anche del pomeriggio di sabato. Anzi, è di quello che vorrei parlarle più ancora che del quaderno. Invece, non so perché, appena entro incomincio a lagnarmi di Michele, del suo umore, della sua indifferenza verso i problemi dei ragazzi.”
[14 marzo]


“Mi sorrideva dicendo: – Ti amo -. Io guardandolo fisso, mormoravo: – Ti amo – . Era la prima volta che lo dicevo…”… “Non potevo potevo staccare gli occhi dal suo viso e in me tutto er un bene che doleva. –
Lo sai, Guido, che non partiremo mai? “…”Saremmo lì in prigione” ho replicato – come lo siamo qui, o nella tua macchina, o nel caffè quando ci guardiamo attorno. Dietro sbarre che non possiamo abbattere perché non sono fuori di noi, ma in noi stessi.”

Il tema del proibito nel “quaderno proibito”
Published by  Giovanni D'Iàpico 
http://www.audiofollia.it/il-tema-del-proibito-nel-quaderno-proibito.html

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