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venerdì 8 marzo 2013

Fëdor Dostoevskij. Il sogno di un uomo ridicolo. I sogni, sappiamo, sono davvero strani: qualcosa magari ci appare straordinariamente chiaro, minuzioso come la cesellatura di un orafo, su altre cose invece si passa sopra senza notarle neppure, come per esempio lo spazio e il tempo. Credo che i sogni nascano non dalla ragione, ma dal desiderio, non dalla testa, ma dal cuore, anche se la mia ragione in sogno si è esibita qualche volta in ingegnosi voli non da poco.



E il sognatore fruga invano, come nella cenere, nei suoi vecchi sogni, cercando in quella cenere almeno una scintilla, per soffiarci sopra, per scaldare al fuoco rinnovato un cuore ormai freddo e ridestare in esso tutto ciò che prima gli era caro, che toccava l'anima, che faceva ribollire il sangue, che strappava le lacrime dagli occhi e ingannava tanto magnificamente.
Fëdor Michajlovič Dostoevskij




"I sogni, sappiamo, sono davvero strani: qualcosa magari ci appare straordinariamente chiaro, minuzioso come la cesellatura di un orafo, su altre cose invece si passa sopra senza notarle neppure, come per esempio lo spazio e il tempo. Credo che i sogni nascano non dalla ragione, ma dal desiderio, non dalla testa, ma dal cuore, anche se la mia ragione in sogno si è esibita qualche volta in ingegnosi voli non da poco.”
Fëdor Dostoevskij, Il sogno di un uomo ridicolo


I sogni, si sa, sono un fatto straordinariamente strano: una cosa la vediamo nella nostra mente con una chiarezza spaventosa, con una rifinitura dei dettagli minuziosa, da orefice, mentre altre le sorvoliamo senza notarle affatto, per esempio lo spazio e il tempo. I sogni sono mossi non dalla ragione, ma dal desiderio, non dalla testa, ma dal cuore, ma, ciononostante, quali ingegnosissime acrobazie ha compiuto talvolta la mia ragione in sogno! Tra parentesi ad essa in sogno accadono cose assolutamente inconcepibili. Mio fratello, per esempio, è morto cinque anni fa. Talvolta io lo vedo in sogno: egli partecipa vivamente alle mie faccende, noi siamo vivamente interessati l’uno all’altro, eppure durante tutta la durata del sogno io so e ricordo perfettamente che mio fratello è morto e seppellito. Come mai allora non mi meraviglio affatto che, benché sia morto, egli tuttavia sia lì accanto a me e si dia premura delle mie cose insieme a me? Perché la mia ragione ammette tutto questo?”
Fëdor Dostoevskij, “Il sogno di un uomo ridicolo”



Prima, invece, mi amareggiava molto il fatto di apparire ridicolo. Non di apparire, di essere ridicolo. Sono sempre stato ridicolo, e lo so, forse, fin da quando sono nato. Forse sapevo di essere ridicolo già fin da quando avevo sette anni. Poi ho studiato, prima a scuola, poi all'università, e quanto più studiavo, tanto più imparavo che ero ridicolo. Così che per me tutta la mia scienza universitaria, in fin dei conti, pareva esistere soltanto per dimostrarmi e spiegarmi, mano a mano che mi addentravo in essa, che ero ridicolo. Come nella scienza, così mi accadeva nella vita. Anno dopo anno cresceva e si rafforzava in me quella medesima consapevolezza del mio essere ridicolo sotto tutti gli aspetti. Di me ridevano tutti e sempre. Ma nessuno di loro sapeva né sospettava che se c'era al mondo una persona che meglio di tutti gli altri era consapevole di essere ridicola, quella ero io, e proprio questa era la cosa che mi faceva più rabbia, il fatto che essi non lo sapessero, benché di ciò fossi io il colpevole, infatti io sono sempre stato così orgoglioso che mai e per nulla al mondo ho voluto confessarlo a nessuno. Questo orgoglio è cresciuto in me con gli anni e se fosse avvenuto che davanti a chicchessia mi fossi lasciato andare a riconoscere che ero ridicolo, quella sera stessa, sui due piedi, mi sarei fracassato il cranio con una rivoltella...
Fëdor Dostoevskij, Il sogno di un uomo ridicolo


Cominciò la lotta per la divisione, per la segregazione, per la persona, per il mio e per il tuo.
Essi cominciarono a parlare lingue diverse. Conobbero il dolore, che diede loro piacere.
Desiderarono soffrire poiché, dicevano, la verità si ottiene solo soffrendo.
Allora tra loro comparve la scienza. Quando divennero cattivi cominciarono a parlare di fratellanza e umanità comprendendone i concetti. Quando diventarono criminali, allora istituirono la giustizia e si imposero interi codici per difenderla, e per garantire l'osservanza dei codici inventarono la ghigliottina.
Fëdor Dostoevskij, Il sogno di un uomo ridicolo



Mi rispondevano: «Sì, è vero: siamo bugiardi, cattivi e ingiusti, ma lo sappiamo e piangiamo per questo, soffriamo e ci tormentiamo per questo, punendoci forse perfino più di quanto farebbe un giudice clemente di cui non conosceremmo neppure il nome. Ma noi possiamo avvalerci della scienza e attraverso di essa ritrovare in modo consapevole la veritàla conoscenza è superiore al sentimento e la coscienza della vita è superiore alla vita stessa. La scienza ci darà la saggezza, la saggezza ci aprirà alle leggi, e la conoscenza delle leggi della felicità è superiore alla felicità». Ecco che cosa dicevano, e dopo tali parole ognuno amò solo se stesso più di tutti gli altri, e d'altronde non potevano ormai fare altrimenti. Ognuno di loro diventò così geloso della propria personalità che si affannò in tutti i modi a sminuire e a sottomettere quella altrui, facendone il presupposto di tutta la loro propria vita. Apparve la schiavitù, perfino la schiavitù volontaria: i deboli si sottomisero di buon grado ai più forti solo per essere aiutati a opprimere coloro che erano ancora più deboli. Apparvero i giusti che andavano da quella gente con le lacrime agli occhi e che parlavano della dignità, dell'equilibrio e dell'armonia smarrita e della perdita della vergogna. Essi venivano derisi o lapidati. Fu versato sangue santo sulle soglie dei templi. Comparvero però degli uomini che si misero a ideare come unirsi di nuovo tutti insieme affinché ognuno, senza smettere di amare se stesso più di tutti gli altri, allo stesso tempo non desse alcun fastidio, per vivere così insieme in una società in cui tutti andavano d'accordo.
Fëdor Dostoevskij, Il sogno di un uomo ridicolo


Sono un uomo ridicolo. Adesso poi loro dicono che sono pazzo. Sarebbe un avanzamento di grado, se per loro non rimanessi pur sempre ridicolo come prima. Ma adesso ormai non mi arrabbio più, adesso li trovo tutti cari, anche quando ridono di me, allora, anzi, li trovo persino per qualche motivo particolarmente cari. Mi metterei addirittura a ridere anch'io assieme a loro, non di me stesso, ma per amor loro, se non provassi tanta tristezza a guardarli. Provo tristezza perché essi non conoscono la verità, mentre io la conosco. Oh, che pesante fardello è essere i soli a conoscere la verità! Ma loro questo non lo capirebbero. No, non lo capirebbero.
Fëdor Dostoevskij, Il sogno di un uomo ridicolo




La cosa principale è: ama gli altri come te stesso, ecco che cosa è importante, ed è tutto, non occorre proprio nient’altro: sarebbe subito possibile mettere tutto in ordine. Ma questa è soltanto una vecchia verità, che è stata ripetuta e letta un miliardo di volte, ma che non ha messo radici!
Fëdor Dostoevskij, Il sogno di un uomo ridicolo












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