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venerdì 13 gennaio 2012

Maria Luisa Valenti. Dialogare con la sofferenza. L’incontro con la sofferenza altrui richiede una compostezza interiore sulla quale è opportuno riflettere con molta attenzione. Può sembrare paradossale, ma spesso le sofferenze altrui ci fanno pensare più alle “nostre” sofferenze, o per identificazione o per contrapposizione. Per identificazione, quando ci fanno pensare a sofferenze analoghe, che abbiamo vissuto in prima persona nel passato. Per contrapposizione quando suscitano in noi un’istintiva repulsione, un “disturbo” che altera il nostro equilibrio e ci porta o alla fuga (non vogliamo neppure lontanamente sentire certe “notizie”), o ad avvertire un “senso di sollievo” perchè la sofferenza dell’altro o degli altri non è “capitata” a noi. In ambedue i casi si potrebbe dire che noi osserviamo le sofferenze degli altri con le lenti del nostro egoismo: pensiamo più a tutelare noi stessi piuttosto che “ascoltare” l’altro che soffre. Ciò accade anche quando vogliamo a tutti i costi trovare “magiche” frasi a effetto per lenire la sofferenza altrui. In questo caso è come se “catturassimo” l’altro nella tela di ragno del nostro narcisismo. Altrettanto insidioso è il narcisismo che ci porta a “farci carico” delle sofferenze degli altri come se fossero nostre, fino al punto di farsene “perforare”. Talvolta, in questi casi, l’altruismo è solo apparente, perchè in realtà agisce un “nostro” bisogno, più che una reale risposta ad un bisogno dell’altro. La sofferenza umana richiede, invece, condivisione profonda e persino silenziosa : il silenzio dell’umiltà dinanzi al mistero insolubile del dolore.


"Dialogare con la sofferenza". A cura di Maria Luisa Valenti


L’incontro con la sofferenza altrui richiede una compostezza interiore sulla quale è opportuno riflettere con molta attenzione. Può sembrare paradossale, ma spesso le sofferenze altrui ci fanno pensare più alle “nostre” sofferenze, o per identificazione o per contrapposizione.
Per identificazione, quando ci fanno pensare a sofferenze analoghe, che abbiamo vissuto in prima persona nel passato. Per contrapposizione quando suscitano in noi un’istintiva repulsione, un “disturbo” che altera il nostro equilibrio e ci porta o alla fuga (non vogliamo neppure lontanamente sentire certe “notizie”), o ad avvertire un “senso di sollievo” perchè la sofferenza dell’altro o degli altri non è “capitata” a noi.
In ambedue i casi si potrebbe dire che noi osserviamo le sofferenze degli altri con le lenti del nostro egoismo: pensiamo più a tutelare noi stessi piuttosto che “ascoltare” l’altro che soffre.
Ciò accade anche quando vogliamo a tutti i costi trovare “magiche” frasi a effetto per lenire la sofferenza altrui. In questo caso è come se “catturassimo” l’altro nella tela di ragno del nostro narcisismo.
Altrettanto insidioso è il narcisismo che ci porta a “farci carico” delle sofferenze degli altri come se fossero nostre, fino al punto di farsene “perforare”. Talvolta, in questi casi, l’altruismo è solo apparente, perchè in realtà agisce un “nostro” bisogno, più che una reale risposta ad un bisogno dell’altro.
La sofferenza umana richiede, invece, condivisione profonda e persino silenziosa : il silenzio dell’umiltà dinanzi al mistero insolubile del dolore.

http://rolandociofi.wordpress.com/2011/11/05/dialogare-con-la-sofferenza-a-cura-di-maria-luisa-valenti/



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