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venerdì 13 gennaio 2012

Friedrich Nietzsche. La Chiesa è esattamente ciò contro cui Gesù predicò e contro cui insegnò ai suoi discepoli a combattere.

“Ciò che mi divide nel modo più profondo dai metafisici è questo:
non concedo loro che l’«io» sia ciò che pensa; al contrario considero l’io stesso una costruzione del pensiero, dello stesso valore di «materia», «cosa», «sostanza», «individuo», «scopo», «numero»; quindi solo una finzione regolativa, col cui aiuto si introduce, si inventa, in un mondo del divenire una specie di stabilità e quindi di «conoscibilità»”.
Friedrich Nietzsche, Frammenti Postumi 1884-1885



Interessante definizione dell'impostura che è l'io.



I due grandi narcotici europei,
l’alcool e il cristianesimo.
Friedrich Nietzsche


Anche nella religiosità c'è il buongusto: e questo alla fine disse: "Basta con un simile dio! Meglio nessun dio, meglio crearsi un destino per conto proprio, meglio essere pazzi, meglio essere noi stessi dio!
Friedrich Nietzsche



La Chiesa è esattamente ciò contro cui Gesù predicò e contro cui insegnò ai suoi discepoli a combattere.
Friedrich Nietzsche



"La Chiesa é esattamente ciò contro cui Gesù predicò e contro cui insegnò ai suoi discepoli a combattere. Il cristianesimo primitivo è abolizione dello Stato: vieta il giuramento, il servizio militare, i tribunali, l'autodifesa e la difesa della comunità, la distinzione fra connazionali e stranieri: vieta pure l'ordinamento per ceti. I cristiani non hanno mai praticato le azioni che Gesù prescrisse loro, e la Chiesa non ebbe nè il coraggio, nè la volontà di compiere le opere che Gesù esigeva. Vengono ora in prima linea i concetti di "peccato", "perdono", "castigo", "premio" - tutte cose completamente ignorate e quasi escluse dal cristianesimo primitivo. Il cristianesimo "ipocondriaco", il tormento bestiale e la tortura della coscienza appartengono entrambi solo a un certo terreno nel quale i valori cristiani posero radice: non è il cristianesimo in quanto tale.
L'uomo, reso innocuo a sè e agli altri, reso debole, sprofondato nell'umiltà e nella modestia, consapevole della sua debolezza, il "peccatore" - è questo il tipo più desideraible, quello che si può anche "fabbricare" con un po' di chirurgia dell'anima. L'intera vita del cristiano è da ultimo esattamente la vita da cui Cristo insegnò a staccarsi. Gesù oppose una vita vera, una vita nella verità, alla vita comune: nulla è più lontano da lui che la goffa assurdità di un "Pietro eterno" e di una eterna sopravvivenza della persona. Ciò che combatte è il dare troppa importanza alla "persona": come avrebbe potuto voler eternamente proprio questa? Egli combatte parimenti la gerarchia in seno alla comunità: non promette un premio proporzionato alle azioni: come avrebbe potuto pensare a premi e pene nell'aldilà? Cristo che cosa rinnegò? Tutto ciò che oggi si chiama cristiano.
La preoccupazione di sè e per la propria "salvezza eterna" non è l'espresione di una natura ricca e sicura: infatti, a questa, di essere beata, gliene importa come il due di briscola; non le importa alcuna forma di felicità: è forza, azione, desiderio, impronta di sè le cose, si perde nelle cose. Il cristianesimo è un'ipocondria romantica di persone malferme sulle gambe.
Peccato originale. In breve: quando l'uomo ebbe creato un dissidio fra il proprio istinto e un mondo del bene puramente immaginario, finì per disprezzare se stesso in quanto incapace di compiere azioni "buone". ll cristianesimo dette da bere a Eros del veleno - costui in verità non ne morì, ma degenerò in vizio. Si erano dichiarati cattivi i motivi reali dell'agire: per poter ancora agire in generale, per poter prescrivere delle azioni, si dovettero descrivere come possibili azioni che non sono affatto possibili, e in certo qual modo, santificarle. Con la stessa falsità con cui si era calunniato, d'ora in poi si venerò e si idealizzò. La furia contro gli istinti vitali fu considerata "santa", venerabile. La castità assoluta, l'assoluta obbedienza, l'assoluta povertà: l'ideale del prete. L'elemosina, la compassione, il sacrificio, la negazione del bello, della ragione, della sensualità, uno sguardo scrigno per tutte le qualità forti che si posseggono: l'ideale del laico.
La Chiesa appartiene al trionfo dell'anticristiano così come lo Stato moderno. La Chiesa è l'imbarbarimento del cristianesimo. Il cristianesimo è ancora possibile a ogni istante. Non è legato a nessuno degli spudorati dogmi che si sono ornati del suo nome: non ha bisogno nè della dottrina di un Dio personale, nè del peccato, nè dell'mmortalità, nè della redenzione, nè della fede. Il cristianesimo è una prassi, non una dottrina di fede. Ci dice come dobbiamo agire, non cosa dobbiamo credere. Chi oggi dicesse: "non voglio fare il soldato", "non mi curo dei tribunali", "non pretendo i servizi della polizia", "non voglio fare nulla che disturbi la mia pace interiore, e, se devo soffrirne, nulla meglio che la sofferenza mi consereverà la pace" - costui sarebbe cristiano."
Friedrich Nietzsche, La Volontà di Potenza

"L'uomo non è affatto un coronamento della creazione: egli è l'animale peggio riuscito, il più infermiccio, quello più pericolosamente sviato dai propri istinti - cionondimeno, certo, anche il più interessante! Ciò che più mi sorprende quando getto uno sguardo sui grandi destini degli uomini è l'avere sempre davanti agli occhi il contrario di ciò che oggi vedono Darwin e la sua scuola, o piuttosto "vogliono" vedere: la selezione a favore dei più forti, dei meglio riusciti, il progresso della specie. Si tocca con mano precisamente l'opposto: la soppressione dei casi felici, l'inutilità dei tipi meglio riusciti, l'inevitabile dominio dei tipi medi, e persino dei tipi inferiori alla media. A meno che non ci si mostri il motivo per cui l'uomo costituisce l'eccezione fra le creature, io sono incline al pregiudizio secondo cui la scuola di Darwin si è ingannata su ogni punto. I più forti e i più fortunati sono deboli quando hanno contro di sè gli istinti del gregge organizzati, la pusillaminità dei deboli e la maggioranza numerica. Io vedo il contrario di quello che insegna la scuola di Darwin, ossia, vedo dappertutto stare in alto e rimanerci quelli che compromettono la vita, il valore della vita."
Friedrich Nietzsche, La Volontà di Potenza



-Quando, in un mattino di domenica, sentiamo suonare le vecchie campane, ci chiediamo: ma è possibile? tutto questo per un ebreo crocifisso duemila anni fa, che diceva di essere il figlio di Dio! La prova di questa affermazione manca. Senza dubbio, ai nostri tempi la religione cristiana è un'antichità che emerge da un'epoca remotissima, e il fatto che si presti fede a questa affermazione, mentre di solito si esamina con tanto rigore ogni pretesa, è forse il frammento più antico di questa eredità. Un Dio fa figli con una donna mortale; un saggio che esorta a non lavorare più, a non tener più tribunali, ma a pensare alla prossima fine del mondo; una giustizia che accetta l'innocente come capro espiatorio; qualcuno che comanda ai suoi discepoli di bere il suo sangue; preghiere per interventi miracolosi; peccati commessi contro un dio ed espiati da un dio; paura di un al di là, la porta del quale è la morte; il segno della croce come simbolo nel mezzo di un'epoca che non conosce più la condanna e l'umiliazione della croce: quanto orridamente ci alita contro tutto ciò, come dal sepolcro di un passato antichissimo! Dovremmo dunque credere che ancora si crede a questo?
Friedrich Nietzsche - Parte Terza. La Vita Religiosa.



"La morale cristiana è la forma più maligna della volontà di menzogna, la vera Circe dell'umanità, quella che l'ha rovinata. Non è l'errore in sé a spaventarmi, né la millenaria mancanza di "buona volontà", di disciplina, di decoro, di valore nelle cose dello spirito, che è tradita dalla sua vittoria: è invece la mancanza di natura, l'inquietante fatto che l'andare contro-natura venne elevato a legge morale con i più alti onori e come tale dominò sugli uomini, come un imperativo categorico... [...]
Hanno insegnato a disprezzare i principali istinti della vita; è stato falsamente inventato il concetto di "anima", "spirito", allo scopo di distruggere il corpo; hanno insegnato a considerare la premessa della vita, la sessualità, come qualcosa di impuro, e nella più profonda necessità di crescita, nel severo amore di sé stessi (la parola stessa è già calunniosa!), hanno voluto vedere un cattivo principio; mentre, al contrario, il segno tipico della degenerazione e della contraddizione degli istinti, la perdita dell'equilibrio e della personalità, l'"amore del prossimo", (mania del prossimo), viene esaltato come il più alto valore, anzi, che dico! Il valore per eccellenza"
Friedrich Nietzsche, "Ecce homo"


Il prete asceta deve essere considerato da noi come il predestinato salvatore, pastore e difensore del gregge malato: solo così comprendiamo la sua enorme missione storica. Il dominio sui sofferenti è il suo regno, a esso lo rinvia il suo istinto, in esso possiede la sua vera arte, la sua maestria, la sua specie di felicità. Deve essere lui stesso malato, deve essere fondamentalmente affine ai malati e ai tarati per comprenderli – per intendersi con loro; ma deve anche essere forte, ancor più padrone di sé che di altri, particolarmente indenne nella sua volontà di potenza, per poter essere per costoro appoggio, resistenza, puntello, costrizione, correttore, tiranno, dio. (Il prete asceta) reca con sé unguenti e balsami, non v'è dubbio; ma ha prima bisogno di ferire per poter essere medico; quindi mentre lenisce il dolore cagionato dalla ferita, avvelena al tempo stesso la ferita – giacché in ciò è soprattutto abile, questo incantatore e domatore di belve, intorno al quale tutto ciò che è sano diventa necessariamente malato e tutto ciò che è malato diventa necessariamente mansuefatto.
Friedrich Nietzsche, Genealogia della morale



«Verità», come intende questa parola ogni profeta, ogni settario, ogni libero pensatore, ogni socialista, ogni uomo di Chiesa, è una completa dimostrazione del fatto che non si è ancora neppure intrapresa quella disciplina dello spirito e quel superamento di sé, che sono necessari per trovare una qualsiasi piccola, anche assai piccola verità. Le morti di martiri sono state una grande calamità nella storia: esse sedussero… Fu questa la stupidità di tutti i persecutori, dare cioè alla causa avversaria l’apparenza dell’onorabilità – recare in dono a essa la suggestione del martirio… Ancor oggi la donna si prostra in ginocchio dinanzi a un errore, perché le è stato detto che qualcuno per questo morì in croce. È dunque la croce un argomento? Ma il sangue è il testimone peggiore della verità; il sangue avvelena anche la dottrina più pura e la trasforma in delirio e in odio dei cuori. E se uno va attraverso il fuoco a favore della sua dottrina – che mai prova ciò! Cosa maggiore è che la dottrina propria venga dal rogo di se stessi.
Friedrich Nietzsche, L’anticristo


- Solo noi, spiriti liberati, possediamo il presupposto per intendere qualcosa che diciannove secoli hanno frainteso - questa rettitudinedivenuta istinto e passione, che alla <<menzogna sacra>> ancor più che a qualsiasi altra fa la guerra... Si è stati indicibilmente distanti dalla nostra amorevole e prudente neutralità, da quella educazione dello spirito con la quale sola diventa possibile cogliere così strane, così delicate cose: in ogni tempo si volle, con spudorato egoismo, solo il proprio tornaconto, la Chiesa è stata edificata sulla negazione del Vangelo....
Chi andasse in cerca di indizi del fatto che dietro il grande gioco dei mondi, muove le dita un'ironica divinità, troverebbe un non piccolo appiglio nel gigantesco punto interrogativo che ha nome cristianesimo. Che l'umanità sia inginocchiata davanti all'antitesi di ciò che era l'origine, il senso, la giustezza del Vangelo, che nell'idea di <<Chiesa>> essa abbia santificato proprio ciò che il <<buon nunzio>> sentiva sotto di sé - invano si cerca una forma più grande di "ironia storico-mondiale. --
Friedrich Nietzsche - L'Anticristo - 36


L’uomo di fede, il “credente” di ogni specie, è necessariamente un uomo dipendente − un uomo che non può disporre se stesso come scopo, che non può in generale disporre scopi derivandoli da se stesso. Il “credente” non si appartiene, egli può essere soltanto un mezzo, egli deve essere usato, sente la necessità che qualcuno lo usi.
Friedrich Nietzsche, L’Anticristo, 1888


Il bisogno di fede é una esigenza della "debolezza". L'uomo di fede, il "credente" di ogni tipo, é, necessariamente, un uomo tributario, uno che non sa porre "se stesso" come scopo, che non sa affatto porre scopi a partire da se stesso. Il "credente" non si appartiene, egli può solo essere strumento, egli deve essere "adoperato", ha bisogno di qualcuno che lo usi. Ogni tipo di fede é espressione di autorinuncia, di autolalienazione.
Friedrich Nietzsche, "L'anticristo"


[....] Ogni vera fede è veramente infallibile; realizza ciò che il credente spera trovarvi, ma non offre il minimo appiglio alla verità obbiettiva. Qui si separano le vie degli uomini: cerchi la pace dell'anima e la felicità, credi; vuoi la verità per guida, ebbene, cerca.
Friedrich Wilhelm Nietzsche. LETTERA ALLA SORELLA: SULLA FEDE RELIGIOSA 




Il cristianesimo diede da bere a Eros del veleno - costui in verità non ne morì, ma degenerò in vizio.
Friedrich Nietzsche


Le convinzioni profonde sono nemiche più pericolose della verità che non le menzogne
Friedrich Wilhelm Nietzsche


Una critica che scaturisce dalla convinzione che le convinzioni siano negative.
Le parole si prestano ad interpretazioni non sempre univoche risentono molto del contesto e del momento storico. Come afferma Nietzsche: Dio è morto e l'uomo non possiede la verità assoluta.


L'ateismo [...] non è un risultato, e tanto meno un avvenimento - come tale non lo conosco: io lo intendo per istinto. Sono troppo curioso, troppo problematico, troppo tracotante, perché possa piacermi una risposta grossolana. Dio è una risposta grossolana, una indelicatezza verso noi pensatori -, in fondo è solo un grossolano divieto che ci vien fatto: non dovete pensare!
F. Nietzsche, "Ecce Homo"

Da quando mi stancai di cercare io imparai a trovare. 
Da quando un vento m’avversò la rotta faccio vela con tutti i venti.
Friedrich Nietzsche

Si odono solo le domande alle quali si è in condizione di trovare una risposta
Friedrich Nietzsche. La Gaia Scienza

Chi ha un perché abbastanza forte, può superare qualsiasi come
Friedrich Nietzsche


Le persone a cui la loro vita quotidiana sembra troppo vuota e monotona, divengono facilmente religiose: ciò è comprensibile e perdonabile; solo esse non hanno alcun diritto di esigere religiosità da coloro per i quali la vita quotidiana non scorre vuota e monotona.
Friedrich Nietzsche, Umano, troppo umano, 1878


Nessuna religione ha mai finora contenuto, né direttamente né indirettamente, né come dogma né come allegoria, una verità. Poiché ciascuna è nata dalla paura e dal bisogno e si è insinuata nell'esistenza fondandosi su errori della ragione.
Friedrich Nietzsche

«La "ragione" nel linguaggio: oh, vecchia infida baldracca! Temo che non ci libereremo di Dio perché crediamo ancora nella grammatica..»
Friedrich Nietzsche, Crepuscolo degli idoli


Il bisogno di fede é una esigenza della "debolezza".
L'uomo di fede, il "credente" di ogni tipo, é, necessariamente, un uomo tributario, uno che non sa porre "se stesso" come scopo, che non sa affatto porre scopi a partire da se stesso.
Il "credente" non si appartiene, egli può solo essere strumento, egli deve essere "adoperato", ha bisogno di qualcuno che lo usi. Ogni tipo di fede é espressione di autorinuncia, di autolalienazione.
Friedrich Nietzsche, "L'anticristo"


Le convinzioni sono prigioni.
Non vedono abbastanza lontano, non vedono "al di sotto" di sé.
Uno spirito che voglia grandi cose, che voglia anche i mezzi per esse, é, necessariamente, uno scettico. La libertà da ogni sorta di convinzioni, il "saper" guardare liberamente é "elemento costitutivo" della forza.
Friedrich Nietzsche, "L'antictisto"


Io chiamo bugia il "non" voler vedere qualcosa che si vede, il non voler vedere qualcosa "così" come lo vediamo.
Ora, questo "non" voler vedere ciò che si vede, questo non voler vedere "così" come si vede é condizione prima per tutti quelli che, in qualsiasi senso, sono "partito":
l'uomo di fazione diviene, di necessità, bugiardo.
Friedrich Nietzsche,  "L'anticristo"

Dopo che Buddha fu morto, si continuò per secoli ad additare la sua ombra in una caverna – un'immensa orribile ombra. Dio è morto: ma stando alla natura degli uomini, ci saranno forse ancora per millenni caverne nelle quali si additerà la sua ombra. – E noi – noi dobbiamo vincere anche la sua ombra!.
Friedrich Nietzsche. La Gaia Scienza, 1882Aforisma 108. 

La preghiera è stata inventata per quel genere di uomini che di per se stessi non hanno mai propriamente dei pensieri e ai quali è ignota, ovverosia passa inosservata, un’elevazione dell’anima: che mai potranno fare costoro nei luoghi sacri e in tutte le situazioni importanti della vita che esigono pacatezza e una sorta di solennità? Perché almeno non rechino disturbo, la saggezza di tutti i fondatori di religioni, piccoli e grandi, ha loro prescritto la formula della preghiera, come un lungo meccanico lavoro delle labbra, collegato a uno sforzo della memoria e a un eguale atteggiamento rigorosamente fissato di mani e piedi e occhi!
Friedrich Nietzsche. La Gaia Scienza


Troppo orientale. – Come? Un dio che ama gli uomini a patto che questi credano in lui, e che scaglia le sue terribili occhiate e le sue minacce contro chi non creda in questo amore! Come? Un amore racchiuso nelle clausole sarebbe nel sentire di un dio onnipotente! Un amore che nemmeno ha saputo dominare il sentimento dell’onore e l’eccitata sete di vendetta! Come è orientale tutto ciò! 
Friedrich Nietzsche, La Gaia Scienza, §141



"L'uomo folle. Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: "Cerco Dio! Cerco Dio!". E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. " E' forse perduto?" disse uno. "Si è perduto come un bambino?" fece un altro. "Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? 'E emigrato?" - gridavano e ridevano in una gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: "Dove se n'è andato Dio? :- gridò - ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all'ultima goccia? Chi ci dette la spugna per cancellare l'intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov'è che si muove ora? Dov'è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all'indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatori, quali giuochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un'azione più grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtù di questa azione, ad una storia più alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!". A questo punto il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch'essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense."Vengo troppo presto - proseguì - non è ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate.Quest'azione è ancor sempre più lontana da loro delle più lontane costellazioni: eppure son loro che l'hanno compiuta!". Si racconta ancora che l'uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in questo modo: "Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?".
Frederick Nietzsche, La morte di Dio
125. L’uomo folle. – Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!”. E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. “È forse perduto?” disse uno. “Si è perduto come un bambino?” fece un altro. “Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?” – gridavano e ridevano in una gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: “Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dètte la spugna per strusciar via l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto piú freddo? Non seguita a venire notte, sempre piú notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di piú sacro e di piú possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatòri, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un’azione piú grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtú di questa azione, ad una storia piú alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!”. A questo punto il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch’essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense. “Vengo troppo presto – proseguì – non è ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate. Quest’azione è ancora sempre piú lontana da loro delle piú lontane costellazioni: eppure son loro che l’hanno compiuta!”. Si racconta ancora che l’uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in questo modo: “Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?”.
Friedrich Nietzsche. La gaia scienza. Aforisma 125



No. La vita non mi ha disilluso. Di anno in anno la trovo invece più ricca, più desiderabile e più misteriosa. Da quel giorno in cui venne a me il grande liberatore, quel pensiero cioè che la vita potrebbe essere un esperimento di chi è volto alla conoscenza, e non un dovere, non una fatalità, non una frode. E la conoscenza stessa può anche essere per altri qualcosa di diverso, per esempio un giaciglio di riposo o la via ad un giaciglio di riposo, oppure uno svago o un ozio, ma per me essa è un mondo di pericoli e di vittorie, in cui anche i sentimenti eroici hanno le loro arene per la danza e per la lotta. "La vita come mezzo della conoscenza", con questo principio nel cuore si può non soltanto valorosamente, ma perfino gioiosamente vivere e gioiosamente ridere. E chi saprebbe ridere e vivere bene, senza intendersi prima di guerra e di vittoria?
Friedrich Nietzsche. La Gaia Scienza


Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: "Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma OGNI DOLORE E OGNI PIACERE E OGNI PENSIERO E SOSPIRO, E OGNI INDICIBILMENTE PICCOLA E GRANDE COSA DELLA TUA VITA DOVRÀ FARE RITORNO A TE, E TUTTE NELLA STESSA SEQUENZA E SUCCESSIONE – e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L'ETERNA CLESSIDRA DELL'ESISTENZA VIENE SEMPRE DI NUOVO CAPOVOLTA E TU CON ESSA, GRANELLO DI POLVERE!". Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: "Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina"? Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe; la domanda per qualsiasi cosa: "Vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?" graverebbe sul tuo agire come il peso più grande!
Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare più alcun'altra cosa che questa ultima eterna sanzione, questo suggello?
Friedrich Wilhelm Nietzsche, La gaia scienza, aforisma 341


Temo che gli animali vedano nell'uomo un essere loro uguale che ha perduto in maniera estremamente pericolosa il sano intelletto animale: vedano cioè in lui l'animale delirante, l'animale che ride, l'animale che piange, l'animale infelice. 
Friedrich Wilhelm Nietzsche. La gaia scienza. 1882 





Questo, tra l'altro, è un animale molto intelligente, il cui sistema nervoso non ha nulla da invidiare al nostro. E' talmente sviluppato che è come se avesse tanti cervelli situati in ogni parte del corpo che lo fanno reagire ad ogni stimolazione esterna. La vista è super sviluppata e vedono meglio di noi. Gli scienziati non hanno ancora capito come fa a cambiare colore e li stanno studiando da anni. Lo stanno studiano nella robotica per il movimento dei robot. Loro sono nati così e noi che ci crediamo superiori..




Friedrich Wilhelm Nietzsche. Corruzione superstizione illuminismo.
“ ‘GLI INDIZI DELLA CORRUZIONE’. In relazione a quelle situazioni della società, che si creano ogni tanto inevitabilmente, e sono designate con la parola «corruzione», si ponga mente agli indizi seguenti. Non appena in qualche luogo fa il suo ingresso la corruzione, prende il sopravvento una variopinta ‘superstizione’, contro la quale tutte le credenze di un popolo esistenti fino a quel momento impallidiscono e perdono vigore: la superstizione è, per così dire, una libertà di pensiero di second’ordine – chi si dà in braccio a quella, elegge certe forme e formule a suo talento e si concede il diritto di scelta. IL SUPERSTIZIOSO È, RISPETTO AL RELIGIOSO, SEMPRE PIÙ «PERSONA» DI QUESTO, E UNA SOCIETÀ SUPERSTIZIOSA SARÀ QUELLA IN CUI ESISTONO GIÀ MOLTI INDIVIDUI E IL PIACERE DELL’INDIVIDUALITÀ. Da questo punto di vista, LA SUPERSTIZIONE APPARE SEMPRE COME UN ‘PROGRESSO’ RISPETTO ALLA FEDE E COME UN SEGNO DEL FATTO CHE L’INTELLETTO DIVIENE PIÙ INDIPENDENTE E VUOLE AVERE I SUOI DIRITTI. I VENERATORI DELLA VECCHIA RELIGIONE E RELIGIOSITÀ LAMENTANO LA CORRUZIONE – ESSI HANNO FINO AD OGGI DEFINITO ANCHE LINGUISTICAMENTE E DIFFAMATO LA SUPERSTIZIONE PERSINO PRESSO GLI SPIRITI PIÙ LIBERI. Si sappia che essa è un sintomo dello ‘spirito illuminato’.”
[Nella I ed., Ferruccio Masini traduce ‘Aufklärung’ con ‘illuminismo’]
FRIEDRICH WILHELM NIETZSCHE (1844 – 1900), “La gaia scienza («La gaya scienza»)”, in “Opere di Friedrich Nietzsche” ed. italiana condotta sul testo critico originale stabilito da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, vol. V, t. II, a cura di Mario Carpitella, versione di Ferruccio Masini, Adelphi, Milano 1991 nuova edizione riveduta (I ed. 1965), Libro primo, 23, p. 65.


 Nietzsche. Il buddhismo.
“Il buddhismo [...] incarna l’eredità di una maniera oggettiva e ardita nel porre problemi [...]. Il buddhismo è la sola religione veramente positivistica che ci mostri la storia [...], esso non dice più «lotta contro il peccato», bensì, dando completamente ragione alla realtà, «lotta contro il dolore». [...] Esso ha già dietro di sé l’autoimpostura dei concetti morali – esso sta, parlando nella mia lingua al di là del bene e del male. [...] Depressione: contro di essa Buddha [...] mette in pratica la vita all’aperto, la vita errante; la moderazione e la scelta nei cibi; la cautela verso tutti gli alcolici; e similmente la cautela verso gli affetti che producono la bile e infiammano il sangue; nessuna preoccupazione né per sé, né per gli altri. Egli esige rappresentazioni che diano quiete oppure rasserenino – escogita mezzi per disabituarsi dalle altre. Concepisce la bontà, l’essere buoni, come un incremento positivo per la salute. La preghiera è esclusa, così come l’ascesi; nessun imperativo categorico, nessuna costrizione in genere [...] Egli non richiede alcuna lotta contro coloro che pensano diversamente; ciò da cui maggiormente si difende la sua dottrina, è il sentimento della vendetta, dell’avversione, del ressentiment (- «l’inimicizia non ha termine coll’inimicizia»; è questo il toccante ritornello dell’intero buddhismo...). [...]
Un clima molto mite, una grande pacatezza e liberalità di costumi, nessun militarismo sono i presupposti del buddhismo [...]. Si vuole come meta suprema la serenità, la quiete, l’assenza di desideri, e si raggiunge questa meta”.
Friedrich Wilhelm Nietzsche, L'Anticristo, nn. 20-21






Il superstizioso, secondo l'etimologia della parola, è il superstite, colui che vuole sopravvive rispetto a qualcosa da superare, in questo caso, la fede. E lo fa facendo emergere la sua individualità. Invece il religioso è colui che tende a re-ligare, cioè unire insieme, ergo conservare, i vecchi valori condivisi dalla comunità che invece si sente minacciata dall'individualità, considerata fonte di corruzione.





Alla superstizione si partecipa (la si applica anche nella condizione dell'isolamento: lo specchio dell'individuo), alla fede ci si abbandona.






La 'superstizione' è, superstizione proprio perchè la si paragona ad un'altra superstizione detta 'fede' che sia sul piano filosofico, che ontologico ha lo stesso valore. Quello di 'abbandonarsi' non e' qualcosa in più della fede rispetto alla superstizione, o a qualsiasi altro sistema ci credenze, ma qualcosa in meno: quando il dito indica la Luna, lo stupido guarda il dito. Qui [Nietzsche] precorre Feyerabend, anche se Feyerabend non è certo uno sviluppo di Nietzsche, ma in fondo tutte le strade portano [...] a Roma





La superstizione è un dio personale? Divertente come molti atei siano superstiziosi...la superstizione è un io personificato, non ancora assorbito dalla persona.





L’Anticristo.
La verità insita in queste parole è comprensibile, se si pensa che il suo pensiero è stato frainteso per oltre mezzo secolo dopo la sua morte e che si è cominciato a capirlo solo grazie alle recenti interpretazioni date della sua opera da m. HeideggerLODE DUNQUE A QUEL PAZZO CHE RIESCE A PENSARE AD UN’UMANITÀ FINALMENTE LIBERA DA VINCOLI MORALI. Ma che cosa significa pensare ad una umanità libera da vincoli morali? Significa si "trasvalutazione di tutti i valori", ma anche significa per Nietzsche la difficile e implacabile necessità di dover interrogarsi sul proprio posto nella storia, significa divisione profonda tra un corpo che vive in un’epoca e una mente che vive molto oltre, significa RIESAMINARE IL PROCESSO DELLA CONOSCENZA CHE VA RIVISTO E RISISTEMATO IN UNA LOGICA CHE PROCEDE OLTRE KANT, OLTRE HEGEL, OLTRE OGNI TEMPO E OGNI PENSIERO. Anche la sua stessa malattia dimostra quello che È UN PILASTRO DEL SUO PENSIERO, CIOÈ CHE NON ESISTONO FATTI, MA SOLO INTERPRETAZIONI: si può interpretare la malattia come sofferenza o come mediocrità fisica e spirituale, ma si può interpretare la malattia anche come un destino di genio, come un’avventura intellettuale senza precedenti.

Così parlò Zarathustra è un’opera concepita in quattro parti:
la prima è dedicata alla DISTRUZIONE DELLA MORALE PLATONICO - CRISTIANA, CHE È UNA MORALE DI DOMINIO, la seconda parte è dedicata alla REDENZIONE, la terza e la quarta alla DOTTRINA DEL RITORNO. Già nelle opere giovanili NIETZSCHE METTE IN LUCE L’ESSENZA CONTRADDITTORIA DELLA RATIO SOCRATICA, che si è con il tempo trasferita nella morale cristiana e nella metafisicaPer Nietzsche l’autentico pensiero è quello che va da Talete ai Sofisti, viene condannata invece totalmente la filosofia greca da Socrate in poi. Socrate, l’eroe anti - tragico per eccellenza, instauratore della dialettica, filosofo della decadenza, rappresenta la negazione della cultura ellenica e il fondatore della morale in quanto porta nella mentalità greca una visione razionale del mondo e delle vicende umane, secondo la quale "al giusto non può accadere nulla di male".

Conseguenza di tale contraddizione è l’AFFERMARSI DEI CONCETTI DI VERO E FALSOBUONO E CATTIVO, concetti finalizzati alle esigenze sociali, anzi è proprio su di essi che si regge la società. Basta infatti pensare come I "PECCATI", OSSIA CIÒ CHE È CONSIDERATO CATTIVO, SI IDENTIFICANO SEMPRE CON UNA QUALCHE VIOLAZIONE SOCIALE, ad esempio la lussuria mina la stabilità dell’unità basilare della società cristiana, cioè della famiglia, e per questo INCULCANDO NELLA GENTE CHE LA LUSSURIA È "PECCATO" SI OPERA UN VERO E PROPRIO CONTROLLO SOCIALEÈ SU QUESTO MONDO DI FINZIONI E DI ERRORI DI BASE CHE NASCE IL MONDO MORALE ATTRAVERSO IL QUALE LA SOCIETÀ IMPONE LE SUE ESIGENZE CHE POI ,ATTRAVERSO L’ABITUDINE E L’EREDITÀ VENGONO INTERIORIZZATE COME IMPERATIVI CATEGORICI.   

La prima parte dello Zarathustra dunque è centrata sulla NECESSITÀ DI DEMOLIRE QUESTO MONDO FATTO DI ERRORI E LA MORTE DI DIO È IL PRIMO EVENTO NECESSARIO PER LA COSTRUZIONE DI UN NUOVO MONDO:

“Ah fratelli, questo dio che creai era opera e follia umana, come tutti gli dei! Uomo era, e solo un povero frammento di uomo e di io: dalla mia cenere e dalla mia vampa venne a me, questo fantasma: E in verità non mi venne dall’aldilà! Ma che avvenne fratelli? Superai me stesso, me stesso sofferente, portai la mia cenere al monte, trovai per me una fiamma più limpida. Ed ecco! Il fantasma si allontanò da me! ...Un nuovo orgoglio mi insegnò il mio io, e io lo insegno agli uomini: non nascondere più la testa nella sabbia delle cose celesti, ma portala libera e scoperta, una testa terrena che crea un senso alla terra....Malati e moribondi erano quelli che disprezzavano corpo e terra e inventarono il cielo e le redentrici gocce di sangue”
 Zarathustra, Dei transmondani

MA ASSIEME A DIO OCCORRE ANCHE DISTRUGGERE TUTTO CIÒ CHE DIO HA SIGNIFICATO NELLA STORIA DELL’UOMO, OSSIA I VARI ASPETTI DELLA RATIO SOCRATICA: MORALE, METAFISICA, RELIGIONE, ARTE, ma anche ad esempio LA GARANZIA E LA SANZIONE SOPRANNATURALE DI OGNI AUTORITÀ e di ogni ordine che si vuole stabile:
“Stato si chiama il più freddo di tutti i freddi mostri. Ed è freddo anche nel suo mentire e dalla sua bocca striscia questa menzogna: "Io, io Stato sono il popolo". E’ una menzogna”.

..."Sulla terra non c’è nulla di più grande di me: io sono il dito ordinatore di Dio" così strepita la bestia.

...Guardate questi superflui! Rubano per sé le opere degli inventori e i tesori dei saggi: cultura chiamano il loro furto, e tutto diventa per loro malattia e molestia!

Guardate questi superflui! Sono sempre ammalati vomitano la loro bile e la chiamano giornale. S’inghiottono a vicenda e non riescono nemmeno a digerirsi ( Zarathustra, Del nuovo idolo)

L’uomo deve dunque liberarsi da tutte le strutture metafisiche autoritarie - paterne di una logica di dominio. La critica di Nietzsche alla morale diventa anche critica alla metafisica come "prodotto" della morale, in quanto si origina sulla base degli stessi bisogni di sicurezza e in quanto entrambe mettono a disposizione dell’uomo un sapere rassicurante. In realtà metafisica e morale perpetuano l’insicurezza, mascherandola in vari modi. Ad esempio l’uomo borghese - cristiano è legato a strutture conflittuali causate tutte da una logica di dominio: anche la giustizia che predica di dare a ciascuno il suo, la carità, la generosità, sono modo di prevaricare, di mostrarsi superiori:

Distruttore della morale mi chiamano i buoni e i giusti: la mia storia è immorale. Se avete un nemico, non ripagategli il male col bene: poiché farebbe vergogna. Dimostrate bensì che anche lui vi ha fatto qualcosa di bene. Ed è meglio che colpiate con l’ira piuttosto che con la vergogna! E quando vi si maledice, non mi piace che vogliate benedire. Meglio che malediciate un po’ anche voi ( Z. Del morso della vipera)

.....similmente occorre liberarsi delle istituzioni:

Questo sia il senso e la verità del tuo matrimonio. Ma ciò che i troppi chiamano matrimonio, questi superflui, ah, come lo chiamo io? Ah questa povertà di anima in due! Ah questo sudiciume in due! Ah, questo misero piacere in due! Matrimonio lo chiamano loro tutto questo; e dicono che i loro matrimoni sono sanciti in cielo. Ebbene io non amo questo cielo dei superflui! No, io non li amo questi animali impigliati nella rete celeste! Lungi da me il dio che si accosta zoppicando a benedire ciò che egli non ha unito! (Zarathustra, Del figlio e del matrimonio)

Ma la più grande liberazione deve riguardare l’idea cristiana della morte, idea strutturata secondo il modello cristiano - borghese di dominio. La paura della morte è la paura della sanzione finale dell’insensatezza dell’esistenza:

Molti muoiono troppo tardi, e alcuni muoiono troppo presto. Suona ancora strano l’insegnamento: "muori al momento giusto!". Muori al momento giusto: questo insegna Zarathustra. In verità, chi non vive al momento giusto, come potrebbe morire al momento giusto? Bisognerebbe che non fosse mai nato! Questo consiglio ai superflui.

Questa pagina richiede una accurata analisi, in quanto è lecito ipotizzare che stia in essa la vera chiave interpretativa del superamento della morale e della metafisica iniziato da Nietzsche e mai portato a termine. Il superamento della morale e della metafisica non si è ancora compiuto perché in definitiva non si è mai arrivati al superamento della paura della morte e nemmeno Nietzsche, con la sua teoria dell’eterno ritorno, riesce concretamente a trovare la chiave di tale superamento. "Muori al momento giusto", questa è la vera via del superamento, via appena abbozzata da Nietzsche ma mai approfondita al punto tale da dare un senso rassicurante ma non metafisico alla morte. Heidegger riprende il tema per il verso giusto quando afferma che "occorre trasformare la morte in una possibilità esistenziale, cioè in un elemento che entri nella progettualità dell’essere", ma poi si perde in trattazioni squisitamente filosofiche, troppo lontane dalla concretezza dell’esistenza, e del resto Heidegger non possiede l’affascinante dialettica di Nietzsche ! Allora l’uomo continua ad affidare alla morale e alla metafisica la soluzione dei suoi mali, senza peraltro riuscire a trovare in questo piena accettazione della idea della morte. Ma ciò che spaventa l’uomo non è certo la morte in sé, quanto il dolore fisico che da questa deriva. E’ allora tanto strana una società che alla religione sostituisce la progettualità della morte con lo scopo di evitare il dolore? E’ tanto strana una società che sa vedere l’essere umano come una entità biologica simile a quella di tutti gli altri animali, con i quali condivide una straordinaria affinità organica? O gli uomini fino alla fine della loro esistenza sono condannati a vivere preda del loro assurdo antropocentrismo che prevede la vita dopo la morte per loro, ma non per il loro cane? Eppure questa è l’unica soluzione possibile e non sarà difficile per un bambino che nasce in questa società adattarvisi perfettamente: fin da piccolo vedrebbe parenti e amici discutere sulla sistemazione dei propri beni e sulla scelta della data della loro morte e tutto sembrerà naturale.  Certamente tutto questo implica una radicale trasformazione dell’uomo, una "redenzione", come la chiama Nietzsche. La seconda parte dello Zarathustra affronta infatti il problema della redenzione.  Il paragrafo intitolato appunto "Della redenzione" inizia con una situazione di intonazione evangelica: degli uomini storpi si affollano intorno a Zarathustra e chiedono di essere aiutati.  Questa scena ricorda Gesù che in più occasioni si avvicina ai malati che vogliono essere guariti, in particolare ricorda l’episodio del cieco in cui il problema, prima di essere quello della guarigione, è quello del "perché" della sua infermità. Certamente Nietzsche vuole alludere alla inespressa domanda se il cieco sia tale per colpe proprie o dei suoi antenati, infatti lo sviluppo di questo discorso porta a scoprire lo spirito di vendetta che, in tutte le situazioni, porta alla ricerca del responsabile di situazioni non volute. I richiami al vangelo dunque non sono affatto occasionali, ma servono a portare a dire che l’infermità è l’emblema di ciò di cui non riusciamo a dare un senso ma che ci si impone come un fatto: dolore, imperfezione, malattia, sofferenza, non possono essere inquadrati in una interpretazione globale convincente e perciò occorre liberarsi dallo spirito di vendetta, dalla rivolta impotente contro il passato per dare una unità di senso tra essere e significato. L’infermità è solo un aspetto di un problema ben più grande, che è quello del problema della "deformità" come carattere generale dell’uomo della nostra civiltà: l’uomo moderno è deforme perché non equilibrato, infatti il suo essere, la sua esistenza, i suoi istinti, si pongono in un modo e tale modo è in contraddizione col significato che si dà di questo essere e di questa esistenza, significato imposto da regole morali innaturali.

Quando io uscii dalla mia solitudine e percorsi per la prima volta questo ponte non credevo ai miei occhi, e guardavo e guardavo,, e alla fine dissi: "Questo è un orecchio! Un orecchio grande come un uomo!" Guardai meglio: e in realtà sotto l’orecchio si muoveva ancora qualcosa, piccolo misero e malcilento da far pietà. In verità l’enorme orecchio posava su esilissimo gambo, ma il gambo era un uomo! Chi si fosse messo una lente davanti all’occhio avrebbe potuto riconoscere anche un visetto invidioso e che sul gambo penzolava anche un’animuccia enfiata. Ma il popolo mi disse che il grande orecchio non era soltanto un uomo, bensì un grande uomo, un genio. Ma io non credetti mai al popolo quando parlava di grandi uomini, e continuai a credere che si trattasse di un disgraziato alla rovescia, che aveva troppo poco di tutto e troppo di una cosa sola (Zarathustra, Della redenzione)

Ma a loro volta le regole morali derivano da una logica di "dominio" che nel mondo ha sempre creato supremazie e subordinazioni. Qui vi è un forte richiamo alle teorie di Marx che Nietzsche non condivide in quanto portano l’uomo a non essere in grado di gestire il proprio destino, ma vi è anche un forte richiamo alla società cristiano - borghese occidentale che genera una divisione del lavoro producendo appunto ancora una volta quelle supremazie e quelle subordinazioni tipici della logica di dominio. Ciò che rende difficoltoso il processo di unificazione di senso tra essere e significato è dunque alla fine l’esistenza di rapporti di dominio perpetrati dalla forma in cui viene concepito il passato, ossia come pura dimensione temporale del "già stato". E allora ai nostri occhi appare una umanità passata che non ha saputo rovesciare il peso del "così fu" e così siamo portati a sentire questo problema come insuperabile. Il passato assume così una configurazione autoritaria e la storia così concepita diventa una costruzione "edipica" del tempo. Il passato, la storia, è un susseguirsi dello stabilirsi di supremazie e soggezioni entro le quali l’uomo si viene via via sempre più deformando. E’ naturale che lo spirito di vendetta sia la reazione legittima della volontà contro l’imporsi del "già stato" come ciò che non si può modificare né ridurre in proprio potere.

Ecco, questa è la spelonca della tarantola! Vuoi proprio vederla? Qui è sospesa la sua tela: toccala, che tremi. Eccola venire di buona voglia: benvenuta, tarantola! Nero hai sul dorso il tuo triangolo e contrassegno, e so anche quel che hai nell’anima. Vendetta hai nell’anima: dove mordi cresce una crosta nera; con la vendetta il tuo veleno fa turbinare l’anima! Così parlo a voi con una similitudine, voi che fate turbinare le anime, voi predicatori dell’uguaglianza! Tarantole siete per me e nascostamente vendicativi! Ma io voglio portare alla luce i vostri nascondigli, perciò vi rido in faccia il mio riso dell’altitudine. Perciò do strappi alla vostra tela, perché la vostra rabbia vi attiri fuori dalla vostra spelonca di menzogne, e la vostra vendetta salti fuori dietro la vostra parola "giustizia". Infatti che l’uomo sia redento dalla vendetta è per me il ponte verso la più alta speranza e un arcobaleno dopo lunghi temporali. (Zarathustra II "Delle tarantole")

La sostanza del passato dell’umanità dunque si può ricondurre tutta alla lotta contro il dominio che favorisce lo spirito di vendetta, lotta che, non trovando possibilità di vittoria, assume forme deviate per trovare rassicurazioni e compensazioni ed è in questo contesto che trovano posto tutti i vari aspetti della metafisica, dalla morale alla filosofia, dalla religione e all’arte. Dunque la ricostruzione della storia della metafisica che Nietzsche fa, consiste in questa sua rigorosa riduzione ad un unico principio motore che è appunto l’istinto di vendetta e cioè alla struttura di dominio e di divisione tra potenti ed oppressi come centro di tutta la storia dell’umanità. La riappropriazione di sé implica innanzi tutto il liberarsi dai simboli prestabiliti. Attività simbolica è tutta l’attività con cui l’uomo si impadronisce delle cose e plasma il mondo secondo la propria ragione e la propria immagine, dunque liberarsi dai simboli equivale a sottrarsi ad ogni autorità, togliendo la trascendenza a punti di riferimento fissi e stabili, primo tra tutti va modificato il modo di concepire il passato come "già stato", la metafisica e la morale. Il nuovo modo di essere dell’uomo nei confronti del simbolo significa nuovo modo di essere dell’uomo nei confronti della realtà. Si tratta di abbandonare l’uso di simboli mascheranti e lasciare libero sfogo ai simboli dell’arte. Per un periodo della sua vita dunque Nietzsche sogna una rigenerazione estetica dell’umanità operata dall’arte, ed è per questo che nel periodo delle opere giovanili adora l’arte wagneriana (La nascita della tragedia). Però ben presto giunge alla conclusione che non è nemmeno nell’arte che si riesce a realizzare una liberazione dal simbolico, perché nell’arte il simbolo è solo ancora "possibilità" perché ancora troppo subordinato al mondo reale, sfigurato dalle esigenze della produzione e quindi non è esente dalla logica di insicurezza e di dominio. L’arte è sempre stata nella sua essenza, aspirazione del simbolo alla propria libertà, ma tale aspirazione non ha mai potuto essere soddisfatta perché il simbolo è ancora troppo legato al mondo reale (Umano, troppo umano). Vedremo che solo con l’annunciarsi dell’eterno ritorno l’arte che abbiamo conosciuto nella società della ratio è destinata a tramontare, perché diventa arte, cioè libera produzione simbolica, tutta l’attività dell’uomo. In questa nuova società il simbolo non nasce più dalla insicurezza originaria o dalla sublimazione connessa con la repressione sociale degli impulsi, sarà così possibile produrre simboli per pura esuberanza interiore derivante dalla trasformazione di ogni fatto in interpretazione. Nella seconda parte dello Zarathustra vediamo anche evolversi la nozione di volontà di potenza, che è strettamente collegata alla liberazione dal simbolico. Già nel discorso "Della redenzione" si parla di volontà di redenzione, volontà di liberarsi dal peso del passato, ma è nel discorso "Della vittoria su sé stessi" che si interpreta la volontà di verità come volontà di potenza.

Ogni volta che ho trovato un essere vivente, ho anche trovato volontà di potenza; e anche nella volontà di colui che serve ho trovato la volontà di essere padrone (Della vittoria su sé stessi)

La vita è volontà di potenza in quanto è il continuo necessario superamento di se stessa, e ciò può realizzarsi solo con la trasformazione completa dei fatti in interpretazioni. Il mondo nel quale ogni evento è interpretazione è di fatto un mondo costituito esclusivamente di simboli e di segni. Interpretare vuol dire non prendere per buono ciò che appare, ma volere in qualche modo andare oltre. Qui appare tutta la modernità del pensiero di Nietzsche, che riesce così a prevedere il senso dei mali della nostra società contemporanea, che crede di arrivare alla soluzione dei propri problemi attraverso l’incondizionata fiducia nel sapere scientifico e tecnologico. In effetti attualmente assistiamo ad uno sviluppo sociale chiaramente reazionario causato proprio dalla massificazione delle conoscenze tecniche e scientifiche in una società che non ha ancora superato il problema della metafisica e della trascendenza. A questo è dovuto l’imponente fenomeno di rinascita di superstizioni, rituali magici e religiosi, credenze esoteriche e chi più ne ha più ne metta. A questo è dovuto anche la diffidenza verso la medicina ufficiale e il ricorso sempre più frequente a guaritori e a medicine alternative. La terza parte dello Zarathustra parla dell’eterno ritorno, teoria che ha lo scopo di arrivare a pensare ad un uomo non più metafisico, che arrivi cioè a dare unità di senso a "essere" e "significato".Esso si articola in tre momenti fondamentali: rovesciamento della struttura rigida del tempo; liberazione del passato come dominio; liberazione dal simbolico. Si parla per la prima volta di eterno ritorno nel quarto libro della Gaia scienza ma è dopo il 1881 che questo pensiero si impadronisce completamente del pensiero e dell’opera di Nietzsche. Parte fondamentale a questo proposito è il discorso iniziale della terza parte dello Zarathustra "La visione e l’enigma" che ci porta al pensiero centrale di tutta l’opera. Zarathustra nella sua prima visione vede una porta carraia sotto la quale si incontrano due sentieri: sono le dimensione del passato e del futuro :

Guarda questa porta carraia, nano: essa ha due volti. Due sentieri convergono qui: nessuno li ha mai percorsi fino alla fine.....si contraddicono a vicenda questi sentieri; sbattono la testa l’un contro l’altro e qui, a questa porta carraia essi convergono. In alto sta scritto il nome della porta :"attimo". Ma chi ne percorresse uno dei due - sempre più avanti e sempre più lontano: credi tu nano che si contraddicano in eterno? "Tutte le cose diritte mentono, borbottò sprezzante il nano. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo"

Il nano affermando che tutto è circolarità vuole dire che tutte le cose "dritte", ossia che hanno una direzione, bello o brutto, buono o cattivo, mentono, cioè si rivelano in tutta la loro insensatezza. Passato e futuro si saldano in un circolo e per questo può essere che le cose che devono ancora accadere possano in realtà già essere accadute.

Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: "Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione - e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!". Non ti rovesceresti a terra digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: "Tu sei un Dio e mai intesi cosa più divina"? Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe; la domanda per qualsiasi cosa: "Vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?" graverebbe sul tuo agire come il peso più grande! Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare più alcun’altra cosa che questa ultima eterna sanzione, questo suggello?" (La gaia scienza - 341)

No si tratta di agire in modo da volere che una certa azione si ripeta eternamente in senso Kantiano, ma si può volere che tutto si ripeta solo se l’uomo arriva alla felicità grazie alla piena coincidenza di senso ed esistenza vissuta, senza la tensione di vivere il tempo in modo angoscioso per il compimento di qualche cosa a venire, ossia della trascendenza. Ciò implica l’esistenza di un uomo nuovo che neghi la trascendenza e la metafisica tradizionale e che si liberi dalla tradizione platonico - cristiana che ha una struttura del tempo lineare e che si riappropri del passato guardandolo libero dalla trascendenza. La temporalità lineare, quella che si articola in presente, passato e futuro, ciascuno irripetibile, implica che ogni momento ha senso solo in funzione degli altri: da qui il sottile gioco che in ogni società, e prima ancora in ogni famiglia, si instaura il "già stato" che pretende di imporre i propri modelli di esistenza in una struttura sociale che si mantiene e si sviluppa solo con la violenza mediante cui il passato assoggetta i nuovi membri di essa secondo una logica di dominio. Si verifica così una rigida distribuzione dei ruoli che porta prima o poi al risentimento e alla ribellione dei sottomessi verso i dominatori. Ciò che l’eterno ritorno vuole dunque, non è la negazione del tempo in sé, inteso quantitativamente, e nemmeno vuole considerare a ritroso lo scorrere del tempo, ma semplicemente implica che quello che è già stato e già voluto da altri, non debba imporsi al singolo come limitazione della propria creatività. La morale è dunque il prodotto di questo risentimento, ossia del risentimento di coloro che soccombono alla logica di dominio dei più forti. Tale meccanismo, originatosi inizialmente dalla lotta tra la casta cavalleresco - aristocratica e quella sacerdotale, ha finito col diventare nel tempo una miriade di norme archetipiche incise a fuoco fin nei più intimi recessi psichici dell’umanità.

Si sarà già intuito che i criteri di valutazione dei sacerdoti possono facilmente separarsi da quelli cavalleresco - aristocratici, fino a diventare il loro opposto. I giudizi di valore cavalleresco - aristocratici presuppongono una prestanza fisica, una salute florida, ricca, debordante e insieme tutto ciò che ne condiziona il mantenimento, guerra, avventura, caccia, danza, tornei, insomma tutto quello che comporta una vita attiva, forte, libera, serena. I criteri di valutazione sacerdotali hanno altri presupposti. ..C’è qualcosa di malsano in queste aristocrazie sacerdotali e nelle abitudini che le dominano, aliene all’azione, parte sentimentalmente esplosive e parte malinconicamente assopite, qualcosa la cui conseguenza pare essere quella nevrastenia e quella cagionevolezza intestinale che sembra inevitabilmente endemica tra i sacerdoti di ogni tempo... I sacerdoti sono, come è noto, i nemici più crudeli. E per quale ragione poi? Perché sono i più impotenti. L’impotenza genera in loro un odio che arriva a diventare mostruoso e sinistro, spiritualissimo e tossico al massimo grado. Nella storia universale coloro che più degli altri sono stati capaci di odio, e di genialità nell’odio, sono sempre stati i preti - a paragone della genialità della vendetta sacerdotale, ogni altra dote intellettuale può appena essere presa in considerazione. ..gli Ebrei, quel popolo sacerdotale che non ritenne di aver ricevuto la dovuta soddisfazione dai propri nemici e sopraffattori, se non dopo averne radicalmente ribaltato i valori, cioè solo grazie ad un atto della più spirituale vendetta. Sono stati gli Ebrei che hanno osato ribaltare e mantenere, stringendo i denti dell’odio più abissale (l’odio dell’impotenza), l’equazione aristocratica di valore buono = aristocratico in "i miserabili solo sono i buoni, i poveri, gli impotenti, i sofferenti, gli indigenti, i malati, i brutti sono gli unici ad essere pii, beati in Dio, solo a loro è concessa la beatitudine - là dove voi, al contrario - voi, nobili e potenti, voi sarete per l’eternità i malvagi, i crudeli, i corrotti, gli insaziabili, gli empi, e sarete anche per l’eternità infelici, dannati e maledetti" (Genealogia della morale, 8)

Il Dio originario degli Ebrei è la naturale espressione della potenza del popolo ebraico ed è pertanto concepito antropomorficamente come padre e come re, potente e vendicativo. Ma nel tempo questa potenza viene meno e a man mano che Dio appare sempre meno reale, anche il concetto di Dio subisce un processo di moralizzazione e di purificazione: viene introdotta l’idea di peccato, colpa, aldilà che trasforma la sua decadenza, la sua morte sulla croce, in un nuovo dio, il Dio dei cristiani. In questo modo la sconfitta storica di Gesù, la sua morte sulla croce, è spacciata per una vittoria e il progetto storico del cristianesimo è una gigantesca mistificazione per cui i più nichilisti, i più impotenti diventano i padroni del mondo in nome di una entità inesistente che loro stessi gestiscono e amministrano.  Ciò avviene inculcando agli uomini un perverso sistema di divieti, di giudizi e di scale di valori assolutamente arbitrari con lo scopo di spegnere i essi tutte le reattività, indebolirlo, renderlo simile a loro reprimendo le pulsioni naturali. L’uomo, spinto a soffocare i propri impulsi e a vergognarsene, trova il suo sfogo nel mondo interiore dove trovano spazio angoscia e inquietudine. L’uomo, che crede di essere arrivato sul gradino più alto dell’evoluzione, è destinato a diventare sempre più malato, come sempre più malata è la sua produzione artistica e letteraria, piena com’è di lacrimevoli retoriche su pentimenti, rimorsi, problemi di coscienza e problemi esistenziali. La morale ha riempito l’uomo di mostri interiori e lo ha trasformato in una povera bestia acculturata. Chiunque pensi che il disprezzo di Nietzsche per la morale, per il cristianesimo, per la cultura, sia un elogio alla violenza, dimostra di non avere capito nulla. Nietzsche non è il filosofo del potere, ma il filosofo del divenire, ed è per questo che accanto al cristianesimo combatte il socialismo, l’anarchismo, il femminismo e il concetto stesso di ideologia. Ogni ideologia nasce da uno stato di malessere e di "risentimento", al pari del cristianesimo. L’idea ebraica e cristiana del libro che cambia la vita è ereditata dal socialismo in cui gli intellettuali prendono il posto dei preti ed è ereditata dal femminismo in cui le donne prendono il posto dei preti e degli intellettuali e così via. Le ideologie sono teorie sempre confutabili che hanno in comune il fatto di proporre libri programmatici, precetti, ideali nella cui genericità e universalità nessuno si riconosce. Queste considerazioni permettono a Nietzsche di interpretare il processo storico e filosofico dell’età moderna in modo profindamente originale. Il movimento che da Lutero e dalla Riforma protestante porta a Leibniz, a Kant, alla filosofia tedesca, assume qui un significato regressivo: la rivolta del mondo tedesco contro Roma è la rivincita della teologia e della morale nei confronti di quel sano scetticismo veramente progressivo e creativo del Rinascimenti italiano. L’importanza fondamentale dell’ Italia e della sua cultura consiste nel fatto che in questo paese si è tentato di uccidere Dio prima che in qualsiasi altro luogo, proprio nel Rinascimento, quando si è riconosciuto il carattere temporale e politico dei condizionamenti metafisici.

L’umanità non rappresenta uno sviluppo verso il migliore, o il più forte o il superiore, così come oggi si crede. Il "progresso" non è altro che una idea moderna, vale a dire una idea sbagliata. L’europeo di oggi rimane, nel suo valore, profondamente al di sotto dell’europeo del Rinascimento; sviluppo non è assolutamente, per chissà quale necessità, elevazione, crescita, rafforzamento (L’Anticristo)

Delle ideologie Nietzsche critica ogni struttura di pensiero che pretende di inquadrare la realtà in schemi custodi di presunte verità. E’ questo che lo fa sentire un "destino" nella storia della conoscenza, responsabile di portare l’uomo a capire l’affermazione dionisiaca del divenire, farlo uscire dal dominio culturale dei più forti, superare la fiducia di un progresso automatico che ricorda l’ingenuità della provvidenza manzoniana. E’ in questa prospettiva di sviluppo che va collocato il suo pensiero, il suo linguaggio "forte" e anche il suo attacco alla cultura:

In qualche angolo remoto dell’universo che fiammeggia e si estende in infiniti sistemi solari, c’era una volta un corpo celeste sul quale alcuni animali intelligenti scoprirono la conoscenza. Fu il minuto puù tracotante e menzognero della "storia universale": e tuttavia non si trattò che di un minuto. Dopo pochi sussulti della natura, quel corpo celeste si irrigidì, e gli animali intelligenti dovettero morire (Verità e menzogna in senso extramorale)

E in questa prospettiva va collocato anche il suo attacco ai tedeschi dei quali l’idealismo e la mistificazione come strumenti di consenso e di potere del nuovo Reich. Sottovalutare la portata di questa polemica, alla luce dell’esperienza storica successiva, non è possibile.








“ ‘Die Anzeichen der Corruption’. — Man beachte an jenen von Zeit zu Zeit nothwendigen Zuständen der Gesellschaft, welche mit dem Wort ‘Corruption’ bezeichnet werden, folgende Anzeichen. Sobald irgend wo die Corruption eintritt, nimmt ein bunter Aberglaube überhand und der bisherige Gesammtglaube eines Volkes wird blass und ohnmächtig dagegen: der Aberglaube ist nämlich die Freigeisterei zweiten Ranges, — wer sich ihm ergiebt, wählt gewisse ihm zusagende Formen und Formeln aus und erlaubt sich ein Recht der Wahl. Der Abergläubische ist, im Vergleich mit dem Religiösen, immer viel mehr ‘Person’, als dieser, und eine abergläubische Gesellschaft wird eine solche sein, in der es schon viele Individuen und Lust am Individuellen giebt. Von diesem Standpuncte aus gesehen, erscheint der Aberglaube immer als ein Fortschritt gegen den Glauben und als Zeichen dafür, dass der Intellect unabhängiger wird und sein Recht haben will. Ueber Corruption klagen dann die Verehrer der alten Religion und Religiosität, — sie haben bisher auch den Sprachgebrauch bestimmt und dem Aberglauben eine üble Nachrede selbst bei den freiesten Geistern gemacht. Lernen wir, dass er ein Symptom der Aufklärung ist.”
FRIEDRICH WILHELM NIETZSCHE, “Die fröhliche Wissenschaft (‘la gaya scienza’)”, Neue Ausgabe mit einem 

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