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lunedì 16 marzo 2015

Nel villaggio Himba, dove le donne si tingono di rosso l’acqua è degli uomini Esiste un posto in Africa che è una «Svizzera d’Africa». Un’Africa che parla inglese e tedesco, un’Africa pulita, dove – mi dicono- si vive bene. Ma, in realtà, viaggiando in questo posto in Africa, grande più del doppio della Germania intera, mi rendo conto che proprio Svizzera non è. È un paese vasto e bellissimo, ma la povertà si vede. È un paese dove essere mezzi neri e mezzi bianchi è un vanto: con orgoglio, i mulatti si autoproclamano «bastards». E c’è un altro tipo di orgoglio, l’orgoglio Herero: donne con sottane lunghe e colorate, bambini che si aggrappano alle gonne. Nelle città le donne sono felici, le ragazzine ballano con la divisa di scuola.



Nel villaggio Himba, dove le donne si tingono di rosso l’acqua è degli uomini
Esiste un posto in Africa che è una «Svizzera d’Africa». 
Un’Africa che parla inglese e tedesco, un’Africa pulita, dove – mi dicono- si vive bene. 
Ma, in realtà, viaggiando in questo posto in Africa, grande più del doppio della Germania intera, mi rendo conto che proprio Svizzera non è. È un paese vasto e bellissimo, ma la povertà si vede. È un paese dove essere mezzi neri e mezzi bianchi è un vanto: con orgoglio, i mulatti si autoproclamano «bastards». E c’è un altro tipo di orgoglio, l’orgoglio Herero: donne con sottane lunghe e colorate, bambini che si aggrappano alle gonne. Nelle città le donne sono felici, le ragazzine ballano con la divisa di scuola.
Ma esiste un villaggio, dentro questo immenso paese, nel cuore Himba, il cuore nero e segreto della Namibia. Il villaggio è raggiungibile via sterrato, un villaggio ricco, dove c’è anche un bagno funzionante. Un villaggio profondamente animista, in cui vivono le regole e le tradizioni, che la scolarizzazione non ha toccato. Una specie di riserva. E quel villaggio è costruito attorno ad un recinto per le bestie. Le bestie sono una ricchezza, per un villaggio Himba. L’erba non cresce, i bambini girano scalzi sulla terra battuta, le donne seminude e con la pelle tinta di rosso. Le donne non parlano, le donne osservano, le donne allattano. Le donne lavorano, le donne tengono acceso il fuoco sacro che non si deve spegnere mai. Gli uomini amministrano i soldi. Gli uomini le vogliono rosse. Allora, le donne si pitturano il corpo con unguenti di bellezza. Battono il latte di capra, lo trasformano in burro, lo mischiano alla terra rossa e si cospargono l’una con l’altra. Le donne partoriscono figli ma, non toccano l’acqua.
Sì, perché questo villaggio è ricco: c’è un lavabo scrostato con acqua corrente dove gli uomini si lavano, si rinfrescano il corpo. La calura è arida e secca. Volano le mosche. Ma, l’acqua è degli uomini. L’accesso al villaggio si paga. Uomini vestiti intascano soldi d’occidente, donne seminude non parlano.
Entro in una capanna: una donna mostra ai miei occhi occidentali il suo rituale per lavarsi. Prende dei pezzi di erbe aromatiche e, con il fuoco crea un braciere. Lo lascia bruciare bene. Il profumo è aspro. Il calore, a contatto con le parti intime, brucia e disinfetta: tiene lontani i parassiti. Lei prende i carboni ardenti e li passa sul corpo. Sudore. I suoi occhi incutono rispetto e mi dicono che, nonostante tutto, è una regina.
All’aria aperta, altre donne mi riempiono le braccia di braccialetti, mi pitturano il viso, si accalcano attorno a me con i loro bambini nudi. Ma, lei, la regina muta di questo villaggio d’Africa, scompare.
Mentre noi, donne occidentali, discutiamo e combattiamo per i nostri diritti e, nonostante questo, viviamo in un mondo dove la parità è ancora lontana, esistono donne che non arrivano nemmeno a immaginare le nostre battaglie. Queste donne, come tante donne nel mondo, non possono neanche accedere alla cultura per migliorare le proprie condizioni e lottare. Queste donne non conoscono altro e considerano il proprio modo di vivere «normale», sono donne che non possono lavarsi con l’acqua perché l’acqua è degli uomini. Sono donne che sono donne comunque. Sono donne che hanno occhi che fanno riflettere.
Di Sara Mauri



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