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martedì 13 gennaio 2015

Puskin. Ridicolo è chi chiede al mondo affetti! Fredda la folla osserva il poeta, come un giocoliere di passaggio: se egli emette un gemito accorato, profondo, o un verso sofferto e appassionato, colpisce i cuori con inusitata forza, ed essa batte le mani, elogia, oppure scuote malevolmente il capo. Se il cantore è colto da sventura, è rovinato, cacciato, progioniero. “Meglio così!” Di pensieri e affetti nuovi noi sarem messi a parte. Ma del poeta la felicità li lascia indifferenti.

Ridicolo è chi chiede al mondo affetti!
Fredda la folla osserva il poeta, come un giocoliere di passaggio: se egli emette un gemito accorato, profondo, o un verso sofferto e appassionato, colpisce i cuori con inusitata forza, ed essa batte le mani, elogia, oppure scuote malevolmente il capo. Se il cantore è colto da sventura, è rovinato, cacciato, progioniero. “Meglio così!” Di pensieri e affetti nuovi noi sarem messi a parte. Ma del poeta la felicità li lascia indifferenti.
Alexander Puskin


"Il principio che ispirò l’opera di Puškin
fu quello che alle ‘basse verità‘ (della storia) è preferibile ‘la menzogna (poetica) che eleva‘".


“L'inganno che ci eleva, mi è più caro delle oscure e basse verità.”
Alexander Puskin



Dove non arriva la spada della legge, là giunge la frusta della satira.
Alexander Puskin





IDEOLOGIA E POETICA DI PUŠKIN.
Disse una volta il ricercatore americano W. N. Vickery:
"Alcuni paesi hanno avuto i loro Dante, i loro Goethe e i loro Shakespeare:
cioè un nome che, unico e assoluto, è stato considerato come una sorta di emblema d'una lingua, nonché d'un popolo. In Russia questo nome è Puškin... 
Egli ha detto cose che prima di lui nessuno aveva detto e nessuno dopo di lui ha mai dimenticato".

Puškin infatti è stato uno spartiacque fondamentale tra le letterature a lui precedenti e a lui successive:
i suoi più importanti discepoli, per loro stessa ammissione,
sono stati Tolstoi, Dostoievsky, Gogol, Turgenev...


Puskin
Nella letteratura mondiale Puškin ha goduto di una "simpatia universale", e di lui soprattutto hanno sempre stupito, anzi impressionato, la curiosità intellettuale e il sapere enciclopedico.

Egli infatti s'interessava di cose assai lontane tra loro e dalla stessa letteratura,
come p.es. l'origine delle cifre arabe, la sorte degli Indiani d'America, le ultime teorie monetarie ecc.

Puškin espresse giudizi alquanto originali su quasi tutti gli avvenimenti più importanti della storia e della cultura, dall'antichità fino agli anni '30 del XIX sec.
Non dimentichiamo che 1/3 della sua vasta biblioteca conteneva opere storiche.

Nella sua enorme produzione letteraria (considerato il breve periodo della sua vita) i generi letterari da lui usati sono stati diversissimi: dal romanzo storico a quello biografico, dai racconti su temi contemporanei ai drammi, dalle novelle alle favole, dalle note di viaggio ai saggi critici, dagli aforismi agli articoli giornalistici, per non parlare delle tantissime lettere che ci ha lasciato.

I racconti di Belkin, ch'egli scrisse nell'autunno del 1830 a Boldino, furono considerati da Tolstoi così originali che ne raccomandava la lettura approfondita a ogni scrittore. Di essi era nuovo soprattutto il realismo, in polemica con la letteratura romantica e sentimentale di quel tempo; molto particolare la struttura delle cinque novelle, così differenti tra loro, in un solo ciclo, grazie all'intervento del narratore; senza precedenti la forma della scrittura, che secondo la formula dello stesso Puškin doveva essere "semplice, breve e precisa" (una formula che verrà fatta sua soprattutto da Cechov).

Lo stile di Puškin aveva la sobrietà degli Annali di Tacito,
il carattere naturale dell'intonazione narrativa,
la vivacità del discorso parlato (senza rinunciare alle differenze tra parlato e scritto).

La precisione puškiniana era sia storica che artistica.
Lo storicismo del suo pensiero artistico, cioè il fatto che la realtà veniva vista attraverso l'azione delle forze storiche, è ben visibile nel Cavaliere di bronzo, nella Figlia del capitano, nella Dama di picche, nel Negro di Pietro il Grande, dove avvenimenti del XVIII sec. s'intrecciano con quelli del XIX.
La novella Kirdjali, p.es., evoca un brigante bulgaro che partecipò all'insurrezione greca contro i turchi. Puškin eresse a principio artistico la "fedeltà storica":
non a caso fu chiamato il "poeta della realtà".

Da notare, en passant, che Il cavaliere di bronzo,
autentica metafora contro gli abusi del potere, 
compiuti ai danni dei cittadini e della stessa natura,
non fu mai pubblicato da Puškin,
convinto che la censura zarista non gliel'avrebbe permesso (1).

La prosa di Puškin è tutta permeata di poesia ed è comunque impossibile tracciare nella sua produzione una linea netta di demarcazione tra poesia e prosa. Per lui le principali qualità della prosa erano la precisione e la concisione, che venivano utilizzate per mettere in risalto la categoria della necessità storica, la forza delle cose o del destino.

La poesia invece era una sorta di ricerca cosciente di un ideale da raggiungere e come tale doveva servire per esaltare il mondo interiore del poeta, i suoi sentimenti. E' sulla base di tale biunivocità che va compreso il fatto che Puškin restituì al dramma russo il principio poetico shakespeariano e traspose in poesia i racconti popolari russi.

Il passaggio dalla poesia alla prosa gli fu dettato anche dalla necessità di divulgare il più possibile la letteratura in un paese analfabeta come la Russia. Egli, consapevole di svolgere un ruolo nazionale, utile all'intero paese, temeva che la poesia venisse apprezzata solo da un numero ristretto di persone colte e, per evitare ciò, invitata gli amici, poeti come lui, Viazemsky e Bestujev a non ignorare la prosa.

Puškin sapeva ritrovare nel carattere di personaggi vissuti in epoche molto lontane quei tratti essenziali che servivano a renderli sempre vivi e interessanti; e, viceversa, riusciva a interpretare il comportamento d'un personaggio storico a partire dalla psicologia dell'uomo del XIX secolo. Gli eroi della prosa puškiniana, dall'aspetto modesto, familiare, spesso sono indotti a vivere conflitti di portata storica (cfr p.es. Il Negro di Pietro il Grande, Roslavlev, Dubrovsky, La figlia del capitano).

Anche in un breve racconto come Il colpo di pistola (nei Racconti di Belkin) vi sono precise indicazioni di tempo, in quanto Silvio fu ucciso in una battaglia del 1821, descritta dallo stesso Puškin in Kirdjali). Il secondo racconto, La tormenta di neve, comincia col riferimento all'anno 1811, e così negli altri racconti.

Il pensiero storico di Puškin è sempre concreto, ma questo non gli impedisce di dare alle sue opere un senso molto più generale, azzardando intelligenti analogie. P. Nashchokin, amico di Puškin, raccontò che il soggetto di Dubrovsky fu suggerito dalla storia di un gentiluomo russo chiamato Ostrovsky (primo titolo del romanzo), il quale, in seguito a una questione legale con un suo confinante, fu spogliato delle sue terre, diventando così un brigante contadino. Puškin consultò tutti i dossier del caso e nel II capitolo inserì il testo del verdetto.

La stessa Dama [o Donna] di picche non è pura invenzione, in quanto è effettivamente esistita una principessa chiamata N. Golitsyna (Chernysheva) che secondo una leggenda s'incontrò a Parigi col conte di Saint-Germain, che le avrebbe rivelato il segreto delle tre carte. Viene inoltre descritta con molta precisione, nel racconto, la "casa d'architettura antica" di Pietroburgo (oggi in via Gogol 10), in cui Hermann entrò (il giovane col profilo di Napoleone e l'anima di Mefistofele) per cercare di carpire il segreto alla vecchia contessa, così vecchia che riuscì a vedere succedersi sul trono russo ben cinque zar.

Che Puškin fosse un uomo preciso, oltre che fantasioso, è documentato anche dal fatto che, pur essendo un grande ammiratore di Byron, non rinunciò a sottolineare tutte le imprecisioni di quest'ultimo, relative alla Russia, nel suo capolavoro Don Juan.

In Puškin l'artista e lo storico si completano a vicenda, anche se nella sua concezione poetica domina il principio secondo cui alle "basse verità" (della storia) è preferibile "la menzogna (poetica) che eleva". Di qui il suo, per così dire, "ostinato ottimismo", così diverso dalle tragedie degli scrittori russi della seconda metà dell'Ottocento.

Si trattava per l'appunto di un principio "poetico" non "storico":
era un privilegio dell'artista quello di andare oltre le "basse verità".
Basti vedere come viene trattata la figura di Pugachev nei due scritti:
La figlia del capitano (opera di un poeta) e Storia della rivolta di Pugachev (opera di uno storico). Puškin restò emotivamente colpito dalla sorte del sotto-tenente del reggimento dei granatieri Shvanvich (Shvabrin), che si alleò con le truppe di Pugachev dopo che questi l'aveva catturato.

Dapprima scrisse l'opera storica, che ebbe scarso successo (1834), 
poi si cimentò in quella poetica, che risultò un capolavoro (1836).
Le "basse verità" sul contadino Pugachev furono trasfigurate a livello poetico (p. es. con l'adozione dell'uso della prima persona). E l'operazione fu così riuscita che Gogol ebbe a dire che 
"la naturalezza e la purezza raggiungono nella Figlia del capitano una tale altezza che la verità stessa sembra artificiale e caricaturale". Cioè alla resa dei conti c'era più "verità" nel romanzo che non nel testo storico.

D'altra parte i principi della verità storica sono funzionali in Puškin non a una fedeltà fotografica ma a quella dell'arte autentica che, animando i fatti con idee elevate e potenza artistica, fa sì che la realtà, paragonata a questa arte, risulti quasi artificiale e debba anzi essere corretta per avvicinarsi a quelle regole di vita naturale cui Puškin stesso voleva attenersi.

La trama de La figlia del capitano è nota: il giovane cadetto Grinev viene inviato dal padre per punizione nella lontana fortezza di Orenburg. Lungo la strada, durante una tempesta di neve, incontra un contadino cosacco mezzo morto di freddo e lo trae in salvo. Giunto a destinazione, intreccia una storia d'amore con Masha, la figlia del capitano comandante la piazzaforte. Ma una grave pericolo incombe su Orenburg: la rivolta di Pugaciov, un cosacco che guida le popolazioni dell'Ural in una violenta insurrezione ai tempi della zarina Caterina II. La fortezza cade in mano ai ribelli, che impiccano i sopravissuti, incluso il padre di Masha. Anche Grinev sta per subire la stessa sorte, ma viene liberato all'ultimo momento proprio da Pugaciov, che mostra d'essere il contadino cui il giovane cadetto aveva salvato la vita.

La scrittura psicologica di Puškin ha influenzato i maggiori scrittori russi dell'Ottocento, il primo dei quali è stato Tolstoi. Basta mettere a confronto opere come La tempesta di neve e La figlia del capitano, I due Ussari e La donna di picche, Guerra e Pace e Eugenio Onegin...

L. Pasternak disse che Tolstoi era l'erede spirituale diretto di Puškin.
Egli infatti introdusse nei suoi racconti molti degli avvenimenti narrati da Puškin,
anzi sviluppò estesamente le idee storiche, filosofiche, sociali ed esistenziali del suo maestro.

In generale si può dire che in entrambi domina la figura positiva del nobile intellettuale del mondo rurale, dotato di senso morale e fondamentalmente altruista, generoso.

Tuttavia in Puškin è più presente l'ottimismo dell'uomo cosciente della propria unicità nel cosmo, dell'uomo che non si piega alle circostanze avverse, ma che anzi le utilizza per dare maggiore enfasi ai propri sentimenti. Il comportamento dei suoi "eroi" riposa su norme e idee tradizionali, capaci di resistere alla passione.

Tolstoi invece punta di più sulla passione che sconvolge i destini (p.es. in Anna Karenina),
ma c'è da dire che Tolstoi scrive mezzo secolo dopo Puškin, quando ormai il feudalesimo russo aveva perduto ogni possibilità di autoriformarsi.

Ciò che in Puškin era solo uno schizzo poetico, in Tolstoi diventa una composizione precisa ed esaustiva. Ciò che nell'uno era solo ironia leggera, nell'altro diventa franchezza categorica e satirica.

Stando a Belinskij, la prima opera veramente "russa", per forma e contenuto, di Puškin è la ballata Lo sposo, del 1825, anno in cui apparve il primo capitolo dell'Oneghin. Nei poemi Ruslan e Liudmila e I fratelli Masnadieri di russo v'era assai poco. Lo stesso Sposo fu superato, non nella forma ma nel contenuto, dal Canto dello zar Ivan Vasilevič di Lermontov.

Ma è soprattutto con l'Oneghin che Puškin rende poeticamente l'immagine della società russa.
E' con questo primo autentico poema nazionale russo che si desta finalmente l'autocoscienza sociale del popolo russo, che smette di sentirsi debitrice della letteratura straniera. In tal senso - osserva Belinskij - l'Oneghin è un poema pienamente "storico", benché tra i suoi personaggi non vi sia alcuna figura storica.


(1) "Il cavaliere di bronzo" è il tentativo di dimostrare che le buone intenzioni possono sortire un effetto contrario a quello sperato (nel caso dello zar Pietro il Grande, l'edificazione di una città, Pietrogrado, che avvicinasse la Russia all'Europa occidentale, borghese e capitalistica).

Ed è anche il tentativo di dimostrare che una fiacca resistenza agli abusi del potere politico non garantisce la propria sopravvivenza o incolumità; anzi, la mancanza di un allenamento costante alla resistenza può portare, quando poi si decide di esercitarla, ad atteggiamenti irrazionali o comunque innaturali. Puškin insomma fa capire che il piccolo-borghese s'illude di poter restare se stesso in un mondo ove domina l'arbitrio delle istituzioni. Tuttavia egli affida non alle masse ma alla forza della natura il compito di ridimensionare l'arroganza del potere.

http://www.homolaicus.com/letteratura/puskin/puskin4.htm

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