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sabato 16 febbraio 2019

Schopenhauer. (Francesco Lorenzoni)

ARTHUR SCHOPENHAUER (1788-1860) 
Nel primo Ottocento la filosofia di Hegel diventa quella prevalente. 
Non mancano tuttavia, seppur minoritari, filosofi contemporanei ad Hegel, in particolare Schopenhauer e Kierkegaard, che si oppongono alla filosofia hegeliana. 

Negano che la realtà sia costantemente razionale poiché, spesso, è invece irrazionale ed ingiusta. Perciò non va sempre giustificata ma bisogna anche cambiarla e migliorarla. L'ottimismo e la visione finalistica hegeliana della storia come continuo progresso sovente non corrisponde alla realtà effettiva. Affermano altresì che la filosofia non deve occuparsi di concetti generali ed astratti, quali i concetti di Idea o Spirito, ma deve soprattutto interessarsi delle condizioni di vita degli uomini concreti e non della generica umanità. L'Idealismo, con la sua concezione astratta di unità tra finito ed infinito, non riuscirà mai a spiegare la vita, l'ansia, l'angoscia e la sofferenza del singolo individuo finito. Al contrario di Hegel, il finito non è pensato congiunto all'infinito: tra finito ed infinito permane una differenza, un contrasto insuperabile.

Schopenhauer nasce a Danzica. 
Studia filosofia e segue le lezioni di Fichte. Insegna presso l'università di Berlino, conducendo corsi di studio in aperta polemica con Hegel ma con poco successo di pubblico. Viaggia in Italia ed infine si stabilisce a Francoforte, ove muore.

Opera principale: Il mondo come volontà e rappresentazione.

La filosofia di Schopenhauer è influenzata soprattutto dalla filosofia di Kant ma anche dalla filosofia orientale, indiana e buddista.

Animato da forti sentimenti romantici, Schopenhauer non si occupa, come Hegel, di questioni logico-metafisiche teoriche, ideali, bensì dei problemi tangibili dell'esistenza individuale, della pena, dell'insicurezza e precarietà della vita. Considera un'illusione l'idea del continuo progresso della storia. Contrappone all'ottimismo di Hegel un profondo pessimismo, un pessimismo "cosmico" come in Leopardi. Accusa Hegel di essere un'"sofista", cioè di fare filosofia al solo scopo di successo e di guadagno personale. Compito della filosofia non è di illudere l'uomo con false concezioni ottimistiche, ma di comprendere il male dell'esistenza per offrire all'uomo consolazione e liberazione dal dolore.

Il mondo come volontà e rappresentazione.
Il mondo, afferma Schopenhauer, è come noi lo vediamo, come ce lo rappresentiamo; è una nostra rappresentazione e non possiamo sapere se esso, in realtà, è proprio come percepito oppure diverso: nessuno di noi può uscire da se stesso, dal modo in cui vede le cose per osservare come in effetti siano e coglierle in sé. La rappresentazione nasce dal rapporto fra soggetto ed oggetto della rappresentazione. Per impostare in modo corretto il problema della conoscenza si deve dunque ritornare, ad avviso di Schopenhauer, al dualismo intrecciato di soggetto-oggetto della filosofia kantiana. L'oggetto della rappresentazione è condizionato dalle forme a priori dello spazio e del tempo e dalla categoria della causalità, che sono i modi in cui la sensibilità e l'intelletto umano operano e conoscono i fenomeni. Dalle forme a priori deriva la pluralità: ogni cosa esiste nello spazio e nel tempo suo proprio. Conseguono quindi rappresentazioni di cose molteplici e fra di esse diverse. Il soggetto è invece intero ed unico; è fuori dello spazio del tempo, che sono soltanto sue modalità mentali, suoi modi di rappresentarsi la realtà, tant’è che lo svanire del soggetto porterebbe con sé lo svanire del mondo come rappresentazione. Soggetto ed oggetto sono dunque distinti ma inseparabili: ognuno dei due termini non ha senso né esiste in sé se non attraverso l'altro. E’ condivisa in sostanza la gnoseologia kantiana che Schopenhauer, ammiratore di Kant, fa sua, sia pur riducendo le dodici categorie a quella di causalità, ritenuta la principale.

In conformità a dette premesse è perciò criticato sia il materialismo, perché non riconosce l'autonomia del soggetto, sia l'idealismo, perché non riconosce l'autonomia dell'oggetto, ovvero l'esistenza di cose indipendenti dalla mente, ma sia anche il realismo che ritiene la realtà essere proprio così come ce la rappresentiamo, mentre non possiamo invece sapere se è davvero tale: il mondo come rappresentazione è un mondo di soli fenomeni.

Sennonché per Schopenhauer il fenomeno, e qui diversamente da Kant, non è l'unico aspetto conoscibile della realtà perché, egli aggiunge, può essere anche colto, intuito, il noumeno fondamentale, la fondamentale cosa in sé, ovvero la sostanziale essenza del mondo. I fenomeni sono come ricoperti da un velo, che Schopenhauer denomina con l’appellativo di "velo di Maya", il velo ingannatore di cui parla la filosofia indiana, il quale nasconde l'essenza della realtà che soggiace ai fenomeni. Ma questo velo può essere sollevato e l'essenza del mondo, il noumeno fondamentale, può essere colto e avvertito, sebbene non in termini di conoscenza razionale bensì mediante un'intuizione diretta e immediata.

Per scoprire l'essenza della realtà e scoprire cosa c'è dietro le nostre rappresentazioni, cosa c'è al di là e al di sotto dei fenomeni, dobbiamo partire dal soggetto conoscente, da noi stessi, dall'uomo. L'uomo inizialmente conosce se stesso come corpo. Il corpo, così come tutti gli altri oggetti, è percepito e conosciuto come fenomeno allorché ci fermiamo ai soli aspetti fisiologici. Ma il corpo, precisa Schopenhauer, non è solo rappresentazione fenomenica. Del corpo, del "mio" corpo ho anche un'intuizione immediata, ne ho diretta coscienza che non è solo conoscenza fenomenica. Noi possiamo guardare al nostro corpo e parlarne come di un qualsiasi altro oggetto, ed in questo caso esso è fenomeno. Ma ascoltando noi stessi, riflettendo dentro di noi, sentiamo che nel nostro corpo esiste una forza profonda che guida tutti i nostri atti, sentiamo in noi una spinta ad esistere, a desiderare e a volere. Avvertiamo che dentro di noi agisce una volontà che è volontà di vivere, di affermarci, tesa ad imporre la propria superiorità sugli altri uomini, sulle cose e sul mondo; è quindi una volontà di vivere e realizzarci che è volontà di dominio. Intravediamo che il fondo del nostro essere, più che la razionalità, è proprio questa volontà che sentiamo come cosa in sé, come noumeno fondamentale, facendoci intuire la vera essenza di tutta la realtà e consentendo in tal modo di squarciare "il velo di Maya" che occulta ciò che sottostà alla molteplicità delle rappresentazioni fenomeniche. Di più, scopriamo che questa volontà di vivere e di dominio è l'essenza che caratterizza non solo l'uomo ma l’intera realtà, tutti gli esseri, viventi e non viventi. Riusciamo a scoprire e sentire che siamo parte di un'unica volontà universale, sottostante ai fenomeni, che è la vera causa del loro accadere poiché ogni essere, animato ed inanimato, è mosso e si trasforma per effetto proprio di questa volontà di affermarsi ed imporsi. E’ così chiarito il titolo dell'opera "Il mondo come volontà e rappresentazione": come fenomeno e apparenza il mondo è rappresentazione; come cosa in sé, nella sua essenza di fondo, esso è volontà, che si sostanzia come principio metafisico noumenico. 
Come noumeno, cosa in sé, l'universale volontà di vivere e di dominio è al di là dei fenomeni e al di fuori delle forme a priori di spazio, tempo e causalità. Essendo al di là dello spazio, questa volontà è infinita; essendo oltre il tempo è eterna, immutabile; essendo al di là del principio di causalità è anche incausata, priva di un'origine esterna. Per tutto ciò è allora unica, universale. È altresì volontà inconscia, colta per intuizione ma di cui l'intelletto non ha conoscenza razionale. Essa è impulso inconsapevole, energia che sospinge tutte le cose. La volontà di vivere e di dominio non ha alcun fine; suo unico scopo è solo di affermare ed imporre se stessa, di espandersi sempre di più. Perciò è una forza cieca, irrazionale, insaziabile e crudele che permea tutto l'universo. Da qui il pessimismo cosmico di Schopenhauer. La natura non possiede quella struttura razionale concepita dai filosofi platonici e dall'idealismo; è piuttosto una natura matrigna, così come concepita da Leopardi: la vita è dolore ed il piacere è solo momentanea scomparsa del dolore.

Questa volontà si manifesta nella natura in gradi diversi, da quelli inferiori a quello superiore costituito dall'uomo. Nel mondo inorganico si manifesta come forza di gravità e come forza di attrazione e repulsione; nel mondo vegetale si manifesta come istinto di nutrizione e di crescita; nel mondo animale si manifesta come sensibilità; infine, nell'uomo si manifesta come consapevolezza ma non contrastabile: l'uomo riesce a percepire l'esistenza di questa spietata volontà universale ma non riesce a controbatterla e vincerla. È questa volontà universale che ha comportato l'avvento del male nel mondo. Unica mira della natura è la sopravvivenza della specie anche attraverso il dolore e la prepotenza. 

Anche la filosofia di Schopenhauer dunque, come in Hegel e secondo la sensibilità romantica, ma in questo caso a differenza di Kant, mantiene un'impostazione metafisica volta a cogliere l’immanente principio infinito della realtà: in Hegel lo Spirito, la Volontà in Schopenhauer. Tuttavia, mentre per Hegel lo Spirito è razionalità e finalismo, per Schopenhauer la Volontà è invece principio irrazionale privo di fini.

La vita umana tra noia e dolore.
Nell'uomo la volontà universale si fa cosciente e si manifesta come dolore. Suscita continui desideri di affermazione e di dominio, ma ogni desiderio si presenta come mancanza di qualcosa e ciò produce sofferenza. La sofferenza cesserà con la soddisfazione del desiderio, però l'appagamento sarà di breve durata. Non appena il desiderio viene soddisfatto subentra la noia, l'insoddisfazione, e sorgono ulteriori desideri, quindi nuove sofferenze, finché non vengano anch'essi realizzati; e così via in un ciclo continuo giacché, essendo infinita la volontà di vivere e di possesso, saranno infiniti anche i desideri che essa suscita. Così tutta la vita, dice Schopenhauer, è come un pendolo che oscilla tra noia e dolore. Anche nel mondo della natura non vi è pace e felicità: ogni animale, ogni pianta, ogni cosa è spinta dalla medesima volontà universale a desiderare e a volere sempre di più. Anche ogni essere della natura lotta continuamente contro gli altri per la propria sopravvivenza e per prevalere; ovunque è conflitto e prepotenza.

Le forme di liberazione dalla volontà.
Scopo della filosofia deve essere allora quello di rendere l'uomo consapevole dell'infelicità dell'esistenza ed indicargli le vie della salvezza, i modi in cui potersi liberare dalla dipendenza dall'irrazionale e crudele volontà universale del mondo.
Se l'essenza della realtà e dell'esistenza è tale volontà, allora il suicidio potrebbe sembrare il rimedio al male della vita. Però il suicidio, in questo caso, non è la negazione della vita, non è il desiderio di non vivere più ma di vivere invece una vita diversa, senza noia e senza dolore: il suicidio quindi non sconfigge l'irrazionale volontà di vivere.
Altri sono i modi del rimedio: ci si può liberare dal dolore della vita causato dalla crudele volontà di vivere e di dominio solo con la negazione di questa stessa volontà di vivere, passando dalla volontà alla "nolontà" (non volontà), come da Schopenhauer chiamata, ossia al rifiuto di una vita basata sull'impulso, sulla forza irrazionale e malvagia della volontà universale. Tale salvezza è possibile per tre vie diverse: 1) attraverso l'arte; 2) attraverso la pietà, nominata etica della compassione; 3) attraverso l'ascesi o, appunto, la nolontà.

L'arte.
L'arte è per Schopenhauer espressione libera e disinteressata di sentimenti, capace di liberare l'individuo dai suoi desideri e dai suoi egoismi e, quindi, di liberarlo dalla crudele ed irrazionale volontà di prevalere.
La contemplazione artistica intuisce le idee eterne, che sono i modelli, le essenze delle cose (si noti l'influsso della filosofia di Platone), e pertanto si svincola dalle costrizioni della cieca volontà che rimane come annullata.
E’ stabilita una gerarchia delle arti in base alla loro capacità di distaccarci dalla perversa, dominante volontà. Si passa così dall'architettura alla scultura e poi alla pittura e alla poesia. Al di sopra di tutte c'è la musica, che è l'arte più universale.
Ma l'arte permette una liberazione solamente momentanea dalla volontà. Si passa così al secondo grado, al secondo modo di salvezza e di liberazione.

La pietà o etica della compassione.
L'arte, in fondo, è un estraniarsi dal mondo concreto. La morale è invece un impegnarsi nel mondo, un darsi da fare per migliorare il mondo. Quando ci rivolgiamo verso il nostro prossimo comprendiamo che anche gli altri uomini sono, come noi, vittime della medesima crudele volontà di vivere. Sentiamo che le loro sofferenze sono simili alle nostre e sorge verso di loro un sentimento di compassione, di pietà, grazie al quale possiamo liberarci dall'egoismo della volontà.
La morale si pone in contrasto con l'egoismo della volontà in due modi:
1. attraverso la giustizia, intesa come non fare il male;
2. attraverso la carità, intesa, ad un livello più alto, come volontà di fare il bene degli altri.
Ma anche nella compassione, nella giustizia e nella carità, rimane ancora un attaccamento alla vita, se non alla nostra a quella altrui, attaccamento che va eliminato per non offrire alcuna occasione di rivincita alla volontà di dominio. Il traguardo vero non è solo quello della liberazione dall'egoismo e dall'ingiustizia della vita, ma quello della totale liberazione e distacco dalla stessa volontà di vivere. Si passa perciò alla terza via, al terzo modo di salvezza.

L'ascesi o nolontà.
Il vero distacco dalla volontà di vivere, cieca e prevaricatrice, si raggiunge solo con l'ascesi, intesa come rinuncia ad ogni desiderio, ad ogni egoismo, ad ogni volontà. Un’ascesi che non è l’immedesimarsi in Dio ma totale negazione del mondo: è un misticismo ateo. L’asceta è colui che vive senza desiderare di vivere, distaccato completamente dalla vita terrena. Secondo le filosofie orientali, da cui Schopenhauer trae ispirazione, si giunge all'ascesi attraverso la meditazione, la povertà ed il rifiuto di ogni piacere della vita. Ebbene, quando l'uomo non vuole più niente, e giunge dunque alla nolontà, allora avrà davvero sconfitto la volontà di vivere. Quando l'asceta giunge a contemplare il mondo come un puro nulla (il nirvana delle filosofie orientali), allora la volontà di vivere viene soppressa. Giacché la volontà di vivere si manifesta nel mondo, di cui è l'essenza, ad essa è per contro impedita ogni manifestazione qualora il mondo sia concepito come un nulla. Il pessimismo di Schopenhauer giunge così a conclusioni di nichilismo drastico (il mondo non vale niente), ripreso poi in forma diversa da Nietzsche, suo discepolo.

Invero, la teoria orientalista dell'ascesi costituisce la parte più debole del pensiero di Schopenhauer. Se la volontà di vivere si identifica con la struttura essenziale del reale come si può ipotizzare il suo annullamento da parte dell'asceta? In che modo la volontà, la cui sostanza è appunto il volere, ad un certo momento può essere in grado di non volere, rinunciando al proprio voler prevalere? Per non dire, inoltre, che la fuga ascetica dalla vita è atto individuale che contrasta con l'ideale etico della compassione verso il prossimo.

Nella prima metà dell'Ottocento, allorquando prevaleva l'ottimismo della filosofia idealistica, il pessimismo e la filosofia di Schopenhauer non furono accettati ed ebbero poco successo. Ma il suo influsso si fece sentire in seguito, con la caduta delle illusioni che avevano fatto sperare nelle rivoluzioni del 1848 e col diffondersi di un nuovo clima culturale.
In campo filosofico l'ascendente di Schopenhauer è presente in Kierkegaard ed ancor più in Nietzsche in ordine alla tematica del nichilismo. Ispirò anche Bergson, Wittgenstein, Heidegger e Horkheimer. La sua influenza si estese anche alla letteratura e all'arte con Thomas Mann e Wagner.



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