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giovedì 16 agosto 2018

Lawrence d’Arabia. Lawrence d’Arabia, soprannome che si guadagnò guidando le tribù arabe nella rivolta contro l’impero Ottomano durante la prima guerra mondiale. Lawrence raccontò questa esperienza nel libro autobiografico “I sette pilastri della saggezza” da cui David Lean trasse nel 1962 lo splendido film “Lawrence d’Arabia”.

Tutti gli uomini sognano: ma non allo stesso modo. Coloro che sognano di notte, nei recessi polverosi delle loro menti, si svegliano di giorno per scoprire la vanità di quelle immagini: ma coloro i quali sognano di giorno sono uomini pericolosi, perché possono mettere in pratica i loro sogni a occhi aperti, per renderli possibili.
Thomas Edward Lawrence, Lawrence d’Arabia.


Tutti gli uomini sognano. Non però allo stesso modo. Quelli che sognano di notte, nei polverosi recessi della mente, si svegliano al mattino per scoprire che il sogno è vano. Ma quelli che sognano di giorno sono uomini pericolosi, giacché ad essi è dato vivere i sogni ad occhi aperti e far sì che essi si avverino.
Thomas Edward Lawrence, Lawrence d’Arabia.


Lawrence d’Arabia.
Il 16 agosto del 1888 nasceva uno dei personaggi più affascinanti e controversi del ventesimo secolo: Thomas Edward Lawrence, meglio noto come Lawrence d’Arabia, soprannome che si guadagnò guidando le tribù arabe nella rivolta contro l’impero Ottomano durante la prima guerra mondiale. Lawrence raccontò questa esperienza nel libro autobiografico “I sette pilastri della saggezza da cui David Lean trasse nel 1962 lo splendido film “Lawrence d’Arabia”.

Il libro è disponibile in italiano e ne consiglio caldamente la lettura perché, oltre a raccontare un evento storico importantissimo ed estremamente interessante, è scritto davvero bene; tra le sue molte abilità (soldato, stratega, diplomatico, fotografo, cartografo, archeologo, motociclista, meccanico) Lawrence aveva pure quella di essere un ottimo scrittore; anche se, per quanto riguarda “I sette pilastri della saggezza” (il titolo è una citazione biblica, dei Proverbi per l’esattezza) una parte del merito va riconosciuta al suo buon amico George Bernard Shaw, che lo aiutò nella fase redazionale e che così viene ricordato nella prefazione: «I miei ringraziamenti al signor Shaw per gli innumerevoli suggerimenti di grande valore e diversità; e per tutte le virgole» (molto british!).

Lawrence ebbe rapporti di amicizia anche con altri grandi scrittori di quell’epoca come Robert Graves (che fu uno dei suoi biografi), Winston Churchill (che scrisse, tra l’altro, parecchi libri di storia per cui ricevette il Nobel), E. M. Forster e Joseph Conrad.

Amava molto la letteratura: la sua traduzione dell’Odissea è una delle migliori esistenti in lingua inglese; ma il suo vero amore era la letteratura medievale, dovunque, anche sui campi di battaglia e in mezzo al deserto, portava con sé “La morte di Artù” di Thomas Malory.

È probabile che nel compiere la sua grande impresa araba sia stato mosso dal desiderio di emulare le gesta degli eroi dei suoi amati poemi e romanzi cavallereschi, mentre si lanciava contro i cannoni turchi in groppa al suo cammello si sarà sentito come un cavaliere crociato; e gli arabi erano come i cavalieri medievali una società guerriera dominata dai cavalli, per questo li amava tanto!

La passione per il medioevo fu anche la ragione del suo primo contatto con il mondo arabo, quando era ancora un ragazzo che studiava a Oxford. Nell’estate del 1909, a 21 anni, se ne andò in Siria per compiere un tour a piedi di 1600 chilometri dei castelli dei crociati e si laureò poi con una tesi dal titolo The influence of the Crusades on European Military Architecture—to the end of the 12th century .

Ritornò poi in Siria come archeologo per conto del British Museum partecipando agli scavi della città ittita di Karkemis; e fu sempre in veste di archeologo che, dopo lo scoppio della guerra, fece dei sopralluoghi militari nell’area per conto del governo britannico; la sua avventura araba cominciò così. Era pure una specie di Indiana Jones! O meglio: Indiana Jones è una specie di Lawrence d’Arabia, visto quello che Steven Spielberg ha detto del film di Lean: "Un miracolo di film. Prima di cominciare delle riprese, riguardo sempre Lawrence d’Arabia".

Negli ultimi tempi la Siria è al centro dell’attenzione del mondo intero per ragioni tristemente note. Ma non solo la Siria, tutto il Medio Oriente è una zona bollente e non solo a causa del sole del deserto. Questa terra infelice non conosce pace, martoriata da invasioni straniere o da conflitti interni spesso foraggiati dalle potenze straniere, e i semi di tutti i problemi e di tutti i conflitti furono gettati proprio allora, durante la Prima Guerra Mondiale, che è stata, come qualcuno ha detto giustamente, la madre di tutte le tragedie del Novecento, e anche del 2000 a quanto pare.

Con quella guerra gli arabi riuscirono a liberarsi dell’ultrasecolare giogo ottomano, ma per essere subito caricati del non meno pesante giogo occidentale. L’impero britannico si servì subdolamente di loro per combattere i turchi promettendo che avrebbero avuto la libertà e l’indipendenza; inutile dire che, terminata la guerra, si rimangiò ogni promessa. Permettendo l’insediamento dei primi coloni ebrei in Palestina gli inglesi posero anche le basi della futura e apparentemente irrisolvibile questione arabo-israeliana. L’odio degli arabi nei confronti dell’Occidente, che ha dato origine al tragico fenomeno del terrorismo, ha radici storiche di cui bisogna seriamente tenere conto.

Il grande, l’eroico, il leggendario Lawrence d’Arabia fu dunque un subdolo agente dell’imperialismo europeo? 
Sì, ma senza volerlo.

Lawrence era un idealista, che amava sinceramente le genti arabe e avrebbe voluto che la sua lotta servisse a unirle in uno stato libero e indipendente; ma purtroppo l’idealismo e il coraggio nulla possono contro gli interessi di chi ha il potere, una tragedia che lui, vedendo ancora una volta più chiaramente di chiunque altro, così riassume nel suo libro:
«Eravamo affezionati gli uni agli altri, per l’ampio respiro degli spazi aperti, per il gusto del vento impetuoso, la luce del sole, le speranze per le quali lavoravamo. La freschezza mattutina del mondo futuro ci intossicava. Eravamo esaltati da idee inesprimibili ed inconsistenti, ma meritevoli d’essere difese con le armi. Vivemmo molte vite in quelle azioni vorticose, non risparmiando mai le nostre forze: ma quando fummo vittoriosi, all’alba del mondo nuovo, gli uomini vecchi tornarono fuori e ci tolsero la vittoria, per ricrearla nella forma del mondo vecchio che essi conoscevano.

La gioventù sa vincere, ma non sa conservare la vittoria, ed è pietosamente debole dinanzi all’età matura. Balbettammo che avevamo combattuto per un nuovo cielo ed una nuova terra, ed essi ci ringraziarono cortesemente e conclusero la loro pace».

«Tutti gli uomini sognano, ma non allo stesso modo. 
Coloro che sognano di notte nei ripostigli polverosi della loro mente, scoprono al risveglio la vanità di quelle immagini, ma quelli che sognano di giorno sono uomini pericolosi perché può darsi che recitino il loro sogno ad occhi aperti per attuarlo.
Fu ciò che io feci. Intendevo creare una Nazione nuova, ristabilire un'influenza decaduta, dare a venti milioni di Semiti la base sulla quale costruire un ispirato palazzo di sogni per il loro pensiero nazionale. 
Uno scopo così alto fece appello alla loro innata nobiltà di sentimenti e li indusse ad assumersi una generosa parte nelle vicende. Ma quando vincemmo, fui accusato di aver messo in pericolo i profitti inglesi sui petroli della Mesopotamia, e d’aver rovinato la politica coloniale francese nel Levante».

Il libro merita di essere letto anche per la profonda conoscenza che Lawrence aveva della mentalità dei popoli del deserto:
Gli Arabi «rivelavano una generale chiarezza (o asprezza) di fede, quasi matematica nei suoi limiti e repulsiva per la sua intolleranza. 
La concezione semitica del mondo ignorava i mezzi toni. 
Popolo di colori primari, o meglio di bianchi e neri, vedevano il mondo disegnato a contorni precisi. Dogmatici per natura, disprezzavano il dubbio, la nostra moderna corona di spine. Non capivano le nostre angosce metafisiche, l’ansia d’introspezione. Conoscevano soltanto verità e menzogna, fede ed empietà, senza il nostro ambiguo corteo di sfumature. Il loro pensiero non si trovava a proprio agio che negli estremi. Non scendevano mai a compromessi.
Essendo il popolo meno malleabile di tutti avevano accettato il dono della vita senza porre domande, come un assioma. La consideravano inevitabile, imposta all’uomo, in usufrutto, al di là di ogni controllo umano. 
Con un’idea gli Arabi potevano essere trascinati come per una fune, poiché la loro acquiescenza senza riserve li rendeva servi umili e obbedienti. Nessuno di loro si sarebbe sottratto all’impegno assunto, sino a vittoria conseguita».

Sembra che stia descrivendo i militanti dell’Isis! 
E invece ha scritto queste parole nel 1922.

Lawrence aveva cercato in tutti i modi di integrarsi perfettamente tra i beduini, anzi di mimetizzarsi:
«Nel mio caso, lo sforzo di anni per vivere come gli Arabi ed imitare la loro mentalità, mi spogliò della mia personalità inglese, e mi mostrò l’Occidente e le sue convinzioni sotto un aspetto nuovo – che lo distrusse completamente ai miei occhi. Ma allo stesso tempo non seppi arabizzarmi completamente. Mi ero spogliato di una forma senza assumerne un’altra».

Amava gli arabi e forse verso alcuni di loro quello che provava non era solo un amore platonico. La sua sessualità è sempre stata uno degli aspetti più discussi e controversi della sua personalità. 
Ufficialmente non ebbe mai relazioni con nessuna donna, o nessun uomo, tanto da far pensare che fosse asessuato, ma, d’altronde, visse in un’epoca in cui certi sentimenti non potevano essere dichiarati ufficialmente. Di certo c’è che nel suo libro racconta di essere stato bastonato e sottoposto ad “altre torture” dai soldati turchi che l’avevano catturato e di aver provato piacere da questa esperienza!

E poi c’è Selim Ahmed, detto Dahoum, il ragazzino siriano che gli fece da assistente durante l’attività di archeologo. Lawrence pose all’iniziò di “I sette pilastri della saggezza” una poesia d’amore apparentemente dedicata a tutto il popolo arabo, ma le iniziali del destinatario sono S.A.

Anche un eroe come Lawrence celava, dunque, qualche ombra sotto il sole del deserto? Di prove non ce ne sono, ma in ogni caso, nel giudicarlo dobbiamo tenere a mente che era un amante della cultura greca, nella quale la pederastia era considerata un valore positivo. 
Può darsi che anche in questo abbia voluto seguire l’esempio degli eroi classici.

Ecco con quale ammirazione descrive le truppe di etnia Ageyl:
«Giovani dai sedici ai venticinque anni, avevano corpi armoniosi e grandi occhi, erano di umore allegro, non incolti, tolleranti, intelligenti, buoni compagni di marcia. Difficile trovarne uno di corporatura tozza. Anche in atto di riposo (quando quasi tutti i volti orientali perdono espressione) restavano ragazzi dallo sguardo vivace. 
Parlavano un arabo dolce e duttile e avevano maniere elaborate, qualche volta fatue. Si mostravano soprattutto remissivi e sottomessi».

La vita di Lawrence fu romanzesca dall’inizio alla fine. 
Dopo aver preso parte alla Conferenza per la pace del 1919, si dimise dalla carica di consigliere politico degli Affari Arabi. Rifiutò anche la prestigiosa Victoria Cross per le sue brillanti azioni militari, proprio mentre Sua Maestà Giorgio V stava per consegnargliela, lasciando lo sbigottito sovrano del Regno Unito letteralmente 
"con la scatola in mano".

Il 17 maggio 1919, ebbe un incidente aereo durante un tentativo di atterraggio sulla pista di Roma Centocelle. L’aereo era un bombardiere della RAF. I piloti morirono ma lui si salvò miracolosamente, anche se si ruppe una spalla e si incrinò una scapola. 
Aveva solo 31 anni e ne aveva già fatte di tutti i colori.

Tentò per due volte di entrare nell’aviazione inglese sotto falso nome, ma venne espulso.

Alla fine si ritirò a vita privata a Clouds Hill, nella contea del Dorset. 
Il 19 maggio 1935 venne annunciata la morte di un certo T. E. Shaw: questo era il nome che aveva adottato negli ultimi anni della sua vita. Aveva 47 anni e morì in un incidente motociclistico in circostanze strane e mai del tutto chiarite. Guidava la sua moto Brough Superior SS100, regalo degli amici Charlotte e George Bernard Shaw.

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