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sabato 16 giugno 2018

Plotino. L'occhio non vedrebbe mai il sole se non fosse già simile al sole, né un'anima vedrebbe il bello se non fosse bella.

Il vescovo di Roma si recò a far visita a Plotino.
Alla soglia della villa del filosofo, venne fermato da Porfirio "Attendi qui, il maestro sta meditando", l'erede di Pietro si mise a sedere; il tempo passava, ma nessuno si presentava per introdurlo. Innervosito, il vicario di Cristo aprì di soppiatto la porta e vide Plotino in piedi accanto ad un cerchio di bambini; rideva insieme a loro. Offeso nella sua dignità, si avvicinò al filosofo egiziano "Dunque sono queste le tue meditazioni? Mi lasci alla porta per sghignazzare con dei fanciulli?"; Plotino senza smettere di sorridere gli rispose "Sono gli orfani dell'Uno. Osserva cosa stanno facendo".
Il vescovo di Roma abbassò gli occhi sul pavimento, e vide tracciato con il gesso un cerchio diviso in 36 spicchi, in ogni spicchio c'era il nome di un dio: Dioniso, Serapide, Mitra, Giove, Jawhe... i bambini a turno lanciavano il dado, e a seconda dello spicchio in cui cadeva, quello sarebbe stato il dio a cui si sarebbero consacrati. Preso dall'orrore, il vescovo si fece il segno della croce e uscì di corsa dalla villa, credendo di aver partecipato ad un rito demoniaco. Porfirio, avendo assistito alla scena, si fece accanto al maestro, e gli chiese cosa fosse successo. "Nulla, i cristiani sono troppo giovani per capire un gioco così serio" e dalla sua gola uscì una risata così forte e cristallina, da aver attraversato indenne i secoli fino ad oggi.


Speculare, riflettere: ogni attività del pensiero mi rimanda agli specchi. Secondo Plotino l'anima è uno specchio che crea le cose materiali riflettendo le idee della ragione superiore.
Italo Calvino - Se una notte d'inverno un viaggiatore


In verità non c'è bellezza più autentica della saggezza che troviamo ed amiamo in qualche individuo, prescindendo dal suo volto, che può essere anche brutto, e, non guardando affatto alla sua apparenza, ricerchiamo la sua bellezza interiore.
Plotino


Tutti gli uomini, fin dalla nascita, si servono dei sensi prima che dell’intelligenza e s’imbattono anzitutto nelle cose sensibili: alcuni rimangono fermi ad esse per tutta la vita e credono che esse siano le prime e le ultime… Costoro sono simili a quegli uccelli pesanti che hanno avuto molto dalla terra e, resi pesanti, non riescono a volare in alto, pur avendo ricevuto le ali dalla natura.
E c’è finalmente una schiatta d’uomini divini che hanno una forza maggiore e una vista più acuta, i quali vedono con uno sguardo penetrante lo splendore di lassù e si elevano al di sopra delle nubi e della nebbia terrena e gioiscono di quel luogo vero e familiare, come un uomo che dopo tanto vagabondare torna alla sua patria bene governata.
Plotino


"La conoscenza di Lui non si ottiene nè per mezzo della scienza, nè per mezzo del pensiero, come per gli altri oggetti dell'intelligenza, ma per mezzo di una presenza che vale più della scienza. È necessario mutare la vista corporea con un'altra, ridestando quella facoltà che ognuno possiede ma che pochi adoperano."
Plotino


L'insegnamento giunge solo ad indicare la via ed il viaggio;
ma la visione sarà di colui che avrà voluto vedere.
Plotino


In verità non c'è BELLEZZA PIU' AUTENTICA della SAGGEZZA che troviamo ed amiamo in qualche individuo, prescindendo dal suo volto che può essere brutto e, non guardando affatto alla sua apparenza, ricerchiamo la sua BELLEZZA INTERIORE.
Plotino

Plotino non volle mai che si festeggiasse il suo compleanno, ma nel giorno della nascita di Platone e di Socrate invitava gli amici ad un banchetto.
(Porfirio - "Vita di Plotino e ordine dei suoi scritti")


L'occhio non vedrebbe mai il sole se non fosse già simile al sole, né un'anima vedrebbe il bello se non fosse bella.
Plotino, Enneadi, III-IV sec.

Se l'occhio non si fa luce, come potrebbe vedere la luce?
Plotino

Non è l'anima che è nel mondo;
ma il mondo si, esso è nell'anima.
Plotino



Plotino. Nel mare dell’anima.
Il mondo […] giace nell’anima che lo sorregge e nulla c’è in essa di cui non partecipi: simile a una rete che tra le onde è tutta intrisa dal mare, vive ma non può far sua l’acqua in cui è immersa; essa si estende fin dove si estende il mare, per quanto le è possibile, perché ognuna delle sue parti non può trovarsi se non là dove si trova.”
PLOTINO (205 – 270), “Enneadi” (254 – 269), traduzione [lievemente modificata], introduzione, note e bibliografia di Giuseppe Faggin, presentazione di Giovanni Reale, appendici e indici di Roberto Radice, Rusconi, Milano 1992 (I ed.), IV 3, 9 [37 – 41], p. 575.
“ Κεῖται […] ἐν τῆι ψυχῇ ἀνεχούσῃ αὐτὸν καὶ οὐδὲν ἄμοιρόν ἐστιν αὐτῆς, ὡς ἂν ἐν ὕδασι δίκτυον τεγγόμενον ζῴη, οὐ δυνάμενον δὲ αὑτοῦ ποιεῖσθαι ἐν ᾧ ἐστιν· ἀλλὰ τὸ μὲν δίκτυον ἐκτεινομένης ἤδη τῆς θαλάσσης συνεκτέταται, ὅσον αὐτὸ δύναται· οὐ γὰρ δύναται ἀλλαχόθι ἕκαστον τῶν μορίων ἢ ὅπου κεῖται εἶναι.”
ΠΛΩΤΙΝΟΥ “ Ἐννεάδεςˮ (P. HENRY – H. R. SCHWYZER, “Plotini Opera”, ‘Editio maior’, 3 voll., Museum Lessianum, Bruxelles-Paris 1951-1973), in op. cit., IV 3, 9 [37 – 41], p. 574.


"Immaginate una fonte che non ha origine, e che fornisce la sua acqua a tutti i fiumi, senza esserne esaurita, bensì restando tranquillamente la stessa; e i fiumi che scaturiscono da essa confondono da principio le loro acque, prima di scorrere ognuno in direzione diversa, e pur conoscendo ognuno dove il suo corso si svolgerà."
- Plotino, "Enneadi" (III, 8, 10)


"E che cosa accade agli uomini?
In quanto deriva dell'universo, l'uomo ne è parte;
in quanto invece gli uomini sono loro stessi, ciascuno di essi è un universo proprio."
Enneadi II. 2 4-5

... Lo stesso (che nello specchio) accade nell'anima. Se questa parte di noi, in cui compaiono i riflessi della ragione e della intelligenza non è agitata, tali riflessi sono visibili. Ma se questo specchio è in pezzi, a causa di un turbamento, la ragione e l'intelligenza agiscono senza riflettervisi e si ha allora un pensiero senza immagini...
Piotino, Enneadi


“[Si può] paragonare l’uno alla luce, il termine seguente [l’intelletto] al sole e il terzo [l’anima] alla luna che riceve la luce dal sole. L’anima ha infatti soltanto un’intelligenza a prestito, la quale la illumina solo superficialmente quando essa è intelligente; l’intelletto invece la possiede come cosa tutta sua, ma non è luce pura […].
ma chi fornisce la luce è un’altra luce, una luce purissima, che ad essa dà la possibilità di essere ciò che è."
Piotino



Il divenire perde ogni carattere di drammaticità, in quanto nascere e morire diventano non altro che il mobile gioco dell’Anima che riflette le sue forme come su uno specchio: e si tratta di un gioco in cui tutto si conserva e nulla perisce, perché - dice espressamente Plotino - nulla può venire cancellato dall’essere.


Originariamente anima significa memoria che nasconde e protegge ciò che ci è dato da pensare.
Martin Heidegger

In ciò consiste il potere più grande:
essere in grado di sapersi servire bene dello stesso male
Enneadi III, 2,5,14-24


Io sono tu e tu sei io, e dove tu sei io sono, e in tutte le cose io sono dispersa.
E dovunque tu vuoi, tu mi raccogli; ma raccogliendomi, tu raccogli te stesso.
Vangelo di Eva


Come si può vedere la bellezza dell’anima buona?
Ritorna in te stesso e guarda: se non ti vedi ancora interiormente bello, fa come lo scultore di una statua che deve diventar bella. Egli toglie, raschia, liscia, ripulisce finché nel marmo appaia la bella immagine: come lui, leva tu il superfluo, raddrizza ciò che è obliquo, purifica ciò che è fosco e rendilo brillante e non smettere di scolpire la tua propria statua interiore, finché non ti si manifesti lo splendore divino della virtù e non veda la temperanza sedere su un trono sacro.
… Se tu sei diventato completamente una luce vera, non una luce di grandezza o di forma misurabile che può diminuire o aumentare indefinitamente, ma una luce del tutto senza misura, perché superiore a ogni misura e a ogni qualità; se ti vedi in questo modo, tu sei diventato ormai una potenza veggente e puoi confidare in te stesso. Anche rimanendo quaggiù tu sei salito né più hai bisogno di chi ti guidi; fissa lo sguardo e guarda: questo soltanto è l’occhio che vede la grande bellezza.
Ma se tu vieni a contemplare lordo di cattiveria e non ancora purificato oppure debole, per la tua poca forza non puoi guardare gli oggetti assai brillanti e non vedi nulla, anche se ti sia posto innanzi un oggetto che può essere veduto. È necessario, infatti, che l’occhio si faccia uguale e simile all’oggetto per accostarsi a contemplarlo. L’occhio non vedrebbe mai il sole se non fosse già simile al sole, né un’anima vedrebbe il bello se non fosse bella.
Ognuno diventi dunque anzitutto deiforme e bello, se vuole contemplare Dio e la Bellezza.
Plotino, Enneadi I, 6, 9



UNA RIFLESSIONE DI PLOTINO: sii lo scultore di te stesso.
Se non vedi ancora la tua propria bellezza, fai come lo scultore di una statua che deve diventare bella: toglie questo, raschia quello, rende liscio un certo posto, ne pulisce un altro, fino a fare apparire il bel volto della statua. Allo stesso modo anche tu togli tutto ciò che è superfluo, raddrizza ciò che è obliquo, purificando tutto ciò che è tenebroso per renderlo brillante, e non cessare di scolpire la tua propria statua finché non brilli in te la chiarezza divina della virtù... Se sei diventato questo... senza avere più, interiormente, qualcosa di estraneo che sia mescolato a te,... se ti vedi divenuto tale, ... guarda tendendo il tuo sguardo. Poiché solo un occhio siffatto può contemplare la bellezza.

Ritorna in te stesso e guarda: se non ti vedi ancora interiormente bello, fa come lo scultore di una statua che deve diventar bella. Egli toglie, raschia, liscia, ripulisce finché nel marmo appaia la bella immagine: come lui, leva tu il superfluo, raddrizza ciò che è obliquo, purifica ciò che è fosco e rendilo brillante e non cessare di scolpire la tua propria statua, finché non ti si manifesti lo splendore divino della virtù e non veda la temperanza sedere su un trono sacro.
PlotinoEnneadi, I, 6, 9




"Ritorna in te stesso e guarda (ánaghe epì sautòn kaì íde = letteralmente: vai in alto dentro di te e fissa lì la tua attenzione): se non ti vedi ancora interiormente bello, fa come lo scultore di una statua che deve diventare bella: egli toglie, raschia, liscia, ripulisce, finché nel marmo appaia la bella immagine: come lui, leva tu il superfluo, raddrizza ciò che è obliquo, purifica ciò che è fosco e rendilo brillante e non cessare di scolpire la tua propria statua, finché non ti si manifesti lo splendore divino della virtù, fino a vedere la “Saggezza, alta sul suo sacro soglio” 
Se tu sei diventato ciò, se tu vedi tutto questo, se pura sarà la tua interiorità, e tu non avrai alcun ostacolo alla tua unificazione e nulla che sia mescolato interiormente con te stesso, se tu sei diventato completamente una luce vera, non una luce di grandezza e di forma misurabile che può diminuire o aumentare indefinitamente, ma una luce del tutto senza misura, perché superiore a ogni misura e a ogni qualità, se ti vedi in questo modo, tu sei diventato ormai una potenza veggente e puoi confidare in te stesso; anche rimanendo quaggiù tu sei salito né hai più bisogno di chi ti guidi; fissa lo sguardo e guarda: questo soltanto è l’occhio che vede la grande bellezza… L’occhio non vedrebbe mai il sole se non fosse già simile al sole, né un’anima vedrebbe il bello se non fosse bella. Ognuno dunque diventi anzitutto divino e bello, se vuole contemplare Dio e la Bellezza” 
Plotino, Enneadi, I, 6, 9



"Non smettere di scolpire la tua statua interiore". 
"COME SI PUÒ VEDERE LA BELLEZZA DELL'ANIMA BUONA? 
Ritorna in te stesso e guarda: se non ti vedi ancora interiormente bello, FA COME LO SCULTORE DI UNA STATUA CHE DEVE DIVENTAR BELLA. EGLI TOGLIE, RASCHIA, LISCIA, RIPULISCE FINCHÉ NEL MARMO APPAIA LA BELLA IMMAGINE: come lui, LEVA TU IL SUPERFLUO, RADDRIZZA CIÒ CHE È OBLIQUO, PURIFICA CIÒ CHE È FOSCO E RENDILO BRILLANTE E NON SMETTERE DI SCOLPIRE LA TUA PROPRIA STATUA INTERIORE, finché non ti si manifesti lo splendore divino della virtù e non veda la temperanza sedere su un trono sacro.
... Se tu sei diventato completamente una luce vera, non una luce di grandezza o di forma misurabile che può diminuire o aumentare indefinitamente, ma UNA LUCE DEL TUTTO SENZA MISURA, perché superiore a ogni misura e a ogni qualità; se ti vedi in questo modo, tu sei diventato ormai una potenza veggente e puoi confidare in te stesso. Anche rimanendo quaggiù tu sei salito né più hai bisogno di chi ti guidi; fissa lo sguardo e guarda: questo soltanto è l'occhio che vede la grande bellezza.
MA SE TU VIENI A CONTEMPLARE LORDO DI CATTIVERIA E NON ANCORA PURIFICATO OPPURE DEBOLE, PER LA TUA POCA FORZA NON PUOI GUARDARE GLI OGGETTI ASSAI BRILLANTI E NON VEDI NULLA, ANCHE SE TI SIA POSTO INNANZI UN OGGETTO CHE PUÒ ESSERE VEDUTO. È NECESSARIO, INFATTI, CHE L'OCCHIO SI FACCIA UGUALE E SIMILE ALL'OGGETTO PER ACCOSTARSI A CONTEMPLARLO. L'OCCHIO NON VEDREBBE MAI IL SOLE SE NON FOSSE GIÀ SIMILE AL SOLE, NÉ UN'ANIMA VEDREBBE IL BELLO SE NON FOSSE BELLA.
Ognuno diventi dunque anzitutto deiforme e bello, se vuole contemplare Dio e la Bellezza
Plotino. Enneadi I, 6, 9.




Il pensiero sistemico di Plotino.
"Perciò si comprende perchè noi ritroviamo nel volo degli uccelli o in altri animali dei segni <del futuro>. Necessariamente tutte le cose sono interdipendenti, e non solo dell'individuo particolare s'è detto giustamente che "tutto è cospirante", ma a maggior ragione e in primo luogo dell'universo; l'unità del principio unifica le molteplici parti dell'animale, e della molteplicità fa l'unità. E come in ogni individuo ciascuna parte compie la sua speciale funzione, così nell'universo ogni essere ha il suo proprio compito, tanto più che questi esseri non sono veramente delle parti, ma delle totalità ed anche maggiori".
Plotino, Enneadi, II,3,7,15-23



"Siamo parte danzante di una danza di parti interagenti", la metafora batesoniana che esprime perfettamente il pensiero di Plotino.


L'anima, invece, per la potenza del suo essere, è signora dei corpi per il fatto che è essa che li guida nel loro nascimento e nella loro conformazione, e i loro elementi primi non hanno il potere di opporsi al suo volere.
Plotino. Enneadi IV


In realtà, noi possediamo l’Uno in modo tale che possiamo parlare di Lui, pur senza poterlo definire: e infatti diciamo quello che non è, e non quello che è; così parliamo di Lui a partire da quello che viene dopo di Lui. Nulla vieta però di possederlo, anche senza parlarne
Plotino. Enneadi, V, 3, 14


Come quelli che, ispirati da Dio, arrivano a sentire nel proprio intimo qualcosa di più grande di loro, pur non sapendo che cosa sia e da quelle commozioni da cui sono agitati traggono una conoscenza di colui che li pervade, allo stesso modo, allorché la nostra intelligenza é pura, abbiamo il presentimento che Egli sia colui che dona la vita e tutte le altre cose."
Plotino - Enneadi V 3, 14

L'Intelligenza (lo Spirito) si distingue dall'Anima e le é superiore: e ciò che é superiore viene prima per natura. Certamente non é vero, come ritengono alcuni, che un'Anima, realizzato a pieno il suo sviluppo, possa dare alla luce l'Intelligenza.
Plotino, Enneadi V 9,4



Sul mondo sensibile e sulla materia lasciamo che sia Plotino a parlare e non autori interessati a dimostrar le proprie tesi:
Contro gli gnostici
"Condurre poi ricerche su tali questioni non è certo da uomo saggio, ma è proprio di chi è cieco e completamente privo di sensibilità e intelligenza, ossia di chi è assai lontano dal contemplare il mondo intelligibile, perché non riesce neppure a guardare il mondo sensibile. Perché che musico sarebbe chi, 40 conoscendo l’armonia nel mondo intelligibile, non si commuovesse nell’ascoltare l’armonia dei suoni sensibili?115 Oppure, quale esperto in geometria e aritmetica non proverà piacere nel contemplare con i propri occhi la simmetria, la proporzione e l’ordine? Poiché anche nella pittura quelli che 45 contemplano con i propri occhi le opere d’arte, non vedono le stesse cose nella medesima maniera; ma quando riconoscono nel sensibile un’imitazione di ciò che si trova nel loro pensiero, sono come presi da un turbamento e giungono a ricordarsi della realtà vera; proprio da queste esperienze nascono le passioni d’amore. Ebbene, chi contempla la bellezza ben riprodotta in un volto, è trasportato lassù 116; ma potrà esserci 50 invece qualcuno così pigro di mente e passivo a qualsiasi sollecitazione che, pur contemplando tutta la bellezza sensibile, tutta la sua proporzione, questo grande e perfetto ordinamento, la forma che si manifesta negli astri, per quanto siano lontani, non risalirà con la mente, preso da venerazione, dalla 55 qualità degli effetti alla qualità delle cause? Certo, costui non ha compreso questo mondo sensibile, né ha contemplato quello intelligibile"
Enneadi II, 9,16, 43-45



Plotino. Cosa l’anima, in viaggio, non conserva.
“Non è necessario conservare in sé tutto ciò che si vede. Quando <l’oggetto percepito> sia indifferente, oppure la sensazione non arrivi propriamente all’io, essendo stata provocata involontariamente dalla differenza delle cose vedute, allora soltanto la sensazione ne è affetta, ma l’anima nulla ha accolto nel suo intimo, poiché essa non ha interesse alcuno a codesta differenza, né per qualche necessità né per altra utilità. Quando poi la sua attività sia rivolta ad altre cose, essa non può affatto conservare alcun ricordo di queste cose, una volta che siano trascorse, poiché nemmeno ne ha la percezione quando siano presenti.
Inoltre, che non sia necessario che di tutte le circostanze concomitanti sia presente l’immagine e che, se anche lo fosse, non sia tale da essere custodita e conservata, che anzi l’impronta di cose simili non provochi alcuna coscienza: tutto questo lo si capirà se si intenda ciò che si è detto, nel modo seguente.
Ecco: se avviene che, movendoci da un luogo a un altro o, meglio, attraversando un luogo, non ci prefiggiamo affatto di fendere ora questa ora quella zona dell’aria, non ne conserviamo il ricordo, anzi nemmeno ci badiamo, mentre camminiamo. Se, in viaggio, non ci fossimo prefissi di percorrere una certa distanza e potessimo fare il tragitto per l’aria, non ci preoccuperemmo di sapere a quale pietra miliare ci troviamo o quanta strada abbiamo fatta; e, finalmente, se dovessimo stare in movimento non per un determinato tempo, ma essere semplicemente in movimento, senza riferire al tempo nessun’altra azione, noi non faremo entrare nella memoria la successione dei tempi.
Si sa, inoltre, che quando si possiede l’idea globale di una cosa che si va facendo e si ha fiducia che essa sarà eseguita compiutamente, non si bada più ai singoli particolari. Anzi, quando si compie ininterrottamente lo stesso atto, è inutile fare attenzione ai singoli momenti di quell’atto che resta sempre eguale.”
PLOTINO (205 - 270), “ Enneadi “, trad. it., introd., note di Giuseppe Faggin, presentazione di Giovanni Reale, Rusconi, Milano 1992, IV 4, 8 [8 - 35], p. 625.



per Plotino il male neanchè esiste essendo un diverso bene... non è in termini di male o bene che Plotino si esprime. La materia non è il male, non è virtuoso il comportamento di chi, però, si identifica totalmente in questa.



 “L'anima, invece, per la potenza del suo essere, è signora dei corpi per il fatto che è essa che li guida nel loro nascimento e nella loro conformazione, e i loro elementi primi non hanno il potere di opporsi al suo volere.” Enneadi IV



Praticamente, un'anticipazione filosofico-antica degli studi sull'attenzione selettiva di E.C. Cherry.





Plotino. L’anima, l’oggetto esterno e il corpo.
“No, se l’anima è sola, anche se ha la possibilità di volgere la sua attenzione a un sensibile, finirà tuttavia per cogliere un puro oggetto di pensiero, poiché il sensibile le sfugge ed essa non ha nulla per coglierlo. Poiché, anche quando l’anima vede un oggetto da lontano – pur se da principio entri in essa solo la sua forma, che è ciò che va ad essa in condizione, diciamo così, di indivisibilità ─, tuttavia la visione va a finire al substrato di quella forma, in quanto l’anima vede colore e forma come sono fuori di essa.
Non bastano dunque queste due cose sole, l’«oggetto esterno» e l’«anima», soprattutto perché l’anima non soggiace ad impressioni, ma occorre un terzo elemento che soggiaccia alle impressioni, cioè che possa ricevere la forma. Questo deve avere un sentire comune con colui che percepisce ed essere della stessa materia. Esso subisce l’impressione e l’anima la conosce; e l’affezione poi deve essere tale da conservare qualcosa di colui che la produce, senza però identificarsi ad esso; ma poiché sta fra l’oggetto che produce l’affezione e l’anima, deve avere anche un’affezione che sia in mezzo fra il sensibile e l’intelligibile: esso è come un termine medio che congiunge, in certo modo, fra loro gli estremi ed è, insieme, colui che riceve e colui che annuncia, essendo capace di assimilarsi all’uno e all’altro. Poiché è l’organo di una certa specie di conoscenza, non dev’essere identico né al soggetto conoscente, né all’oggetto che dev’essere conosciuto, ma è capace di diventare simile all’uno e all’altro: all’oggetto esteriore per l’affezione che subisce, al soggetto interno perché la sua affezione diventa forma.
Se vogliamo dunque parlare seriamente, le percezioni devono avvenire per mezzo di organi corporei; ed è questa la conseguenza della natura dell’anima, la quale, quando è completamente esterna al corpo, non può percepire nulla di sensibile. Quanto poi a quest’organo, esso dev’essere o il corpo tutt’intero, com’è il caso del tatto, o una parte destinata a questa funzione, come nel caso della vista.
Si può osservare che anche gli arnesi degli artigiani servono da intermediari fra colui che valuta e le cose da valutare e fanno conoscere a chi valuta e le proprietà delle cose esaminate: il regolo, per esempio, stabilisce un rapporto fra l’idea del diritto nell’anima e ciò che è diritto nel legno: esso è in mezzo fra i due e dà all’artigiano la possibilità di giudicare dell’oggetto su cui lavora. Se l’oggetto che deve essere giudicato debba essere a diretto contatto con l’organo, oppure se esso, dalla lontananza in cui si trova, operi attraverso un mezzo, come un fuoco da lontano riscalda la carne; o se il mezzo non subisca alcuna affezione, come nella vista, dove tra essa e il colore non c’è spazio vuoto, ma la possibilità del vedere appartiene alla facoltà dell’organo presente: queste sono altre questioni. È comunque sicuro che l’anima percepisce nel corpo e per mezzo di un corpo.”
PLOTINO (205 - 270), “Enneadi” (254 - 269), trad., introd., note e bibliografia di Giuseppe Faggin, presentazione di Giovanni Reale, appendici e indici di Roberto Radice, Rusconi, Milano 1992, IV 4, 23, pp. 651 e 653.Plotino.Quando danziamo intorno all’Uno una danza ispirata.


L’Uno, essendo immune da alterità, è sempre presente; noi, invece, siamo presso di Lui soltanto quando non ne abbiamo. E non è Lui che tende a noi per attorniarci; ma siamo noi che tendiamo a Lui così da essergli intorno. E sempre siamo intorno a Lui, ma non sempre volgiamo a Lui lo sguardo.
Un coro di cantori, pur essendo stretto al corifeo, può voltarsi a guardare di fuori, ma quando si è nuovamente rivolto a guardare all’interno, allora soltanto canta bene ed è veramente stretto intorno a lui (se non lo fossimo, saremmo completamente annientati e non esisteremmo più), ma non sempre guardiamo a Lui, ma quando volgiamo a Lui lo sguardo, soltanto allora troviamo in Lui il nostro fine e il nostro riposo e, senza alcun disaccordo, danziamo veramente intorno a Lui una danza ispirata.”
PLOTINO (205 - 270), “Enneadi” (254 - 269), trad., introd., note e bibliografia di Giuseppe Faggin, presentazione di Giovanni Reale, appendici e indici di Roberto Radice, Rusconi, Milano 1992, VI 9, 8 [34 – 45], pp. 1355 e 1357.



Santa Sofia, Istanbul


“ Ἐκεῖνο μὲν οὖν μὴ ἔχον ἑτερότητα ἀεὶ πάρεστιν, ἡμεῖς δ´ ὅταν μὴ ἔχωμεν· κἀκεῖνο μὲν ἡμῶν οὐκ ἐφίεται, ὥστε περὶ ἡμᾶς εἶναι, ἡμεῖς δὲ ἐκείνου, ὥστε ἡμεῖς περὶ ἐκεῖνο. Καὶ ἀεὶ μὲν περὶ αὐτό, οὐκ ἀεὶ δὲ εἰς αὐτὸ βλέπομεν, ἀλλ´ οἷον χορὸς ἐξᾴδων καίπερ ἔχων περὶ τὸν κορυφαῖον τραπείη ἂν εἰς τὸ ἔξω τῆς θέας, ὅταν δὲ ἐπιστρέψῃ, ᾄδει τε καλῶς καὶ ὄντως περὶ αὐτὸν ἔχει, οὕτω καὶ ἡμεῖς ἀεὶ μὲν περὶ αὐτόν, καὶ ὅταν μή, λύσις ἡμῖν παντελὴς ἔσται καὶ οὐκέτι ἐσόμεθα· οὐκ ἀεὶ δὲ εἰς αὐτόν, ἀλλ´ ὅταν εἰς αὐτὸν ἴδωμεν, τότε ἡμῖν τέλος καὶ ἀνάπαυλα καὶ τὸ μὴ ἀπᾴδειν χορεύουσιν ὄντως περὶ αὐτὸν χορείαν ἔνθεον. Ἐν δὲ ταύτῃ τῇ χορείᾳ καθορᾷ πηγὴν μὲν ζωῆς, πηγὴν δὲ νοῦ, ἀρχὴν ὄντος, ἀγαθοῦ αἰτίαν, ῥίζαν ψυχῆς.”
ΠΛΩΤΙΝΟΥ “ Ἐννεάδεςˮ (P. HENRY - H. R. SCHWYZER, “Plotini Opera”,‘editio maior’, 3 voll., Museum Lessianum, Bruxelles-Paris 1951-1973), VI 9, 8 [34 – 45], in op. cit., pp. 1354 e 1356.



“ Mὴ ἀναγκαῖον εἶναι, ἅ τις ὁρᾷ, παρατίθεσθαι παρ᾽ αὐτῷ. Ὅταν γὰρ μηδὲν διαφέρῃ, ἢ μὴ πρὸς αὐτὸν ᾖ ὅλως ἡ αἴσθησις ἀπροαιρέτως τῇ διαφορᾶι τῶν ὁρωμένων κινηθεῖσα, τοῦτο αὐτὴ ἔπαθε μόνη τῆς ψυχῆς οὐ δεξαμένης εἰς τὸ εἴσω, ἅτε μήτε πρὸς χρείαν μήτε πρὸς ἄλλην ὠφέλειαν αὐτῆς τῆς διαφορᾶς μέλον. Ὅταν δὲ καὶ ἡ ἐνέργεια αὐτὴ πρὸς ἄλλοις ᾖ καὶ παντελῶς, οὐκ ἂν ἀνάσχοιτο τῶν τοιούτων παρελθόντων τὴν μνήμην, ὅπου μηδὲ παρόντων γινώσκει τὴν αἴσθησιν. Καὶ μὴν ὅτι τῶν πάντη κατὰ συμβεβηκὸς γινομένων οὐκ ἀνάγκη ἐν φαντασίαι γίνεσθαι, εἰ δὲ καὶ γίνοιτο, οὐχ ὥστε καὶ φυλάξαι καὶ παρατηρῆσαι, ἀλλὰ καὶ ὁ τύπος τοῦ τοιούτου οὐ δίδωσι συναίσθησιν, μάθοι ἄν τις, εἰ τὸ λεγόμενον οὕτω λάβοι. Λέγω δὲ ὧδε· εἰ μηδέποτε προηγούμενον γίνεται τὸν ἀέρα τόνδε εἶτα τόνδε τεμεῖν ἐν τῷ κατὰ τόπον κινεῖσθαι, ἢ καὶ ἔτι μᾶλλον διελθεῖν, οὔτ᾽ ἂν τήρησις αὐτοῦ οὔτ᾽ ἂν ἔννοια βαδίζουσι γένοιτο. Ἐπεὶ καὶ τῆς ὁδοῦ εἰ μὴ ἐγίνετο τὸ τόδε διανύσαι προηγούμενον, δι᾽ ἀέρος δὲ ἦν τὴν διέξοδον ποιήσασθαι, οὐκ ἂν ἐγένετο ἡμῖν μέλειν τὸ ἐν ὅτῳ σταδίῳ γῆς ἐσμεν, ἢ ὅσον ἠνύσαμεν· καὶ εἰ κινεῖσθαι δὲ ἔδει μὴ τοσόνδε χρόνον, ἀλλὰ μόνον κινεῖσθαι, μηδ᾽ ἄλλην τινὰ πρᾶξιν εἰς χρόνον ἀνήγομεν, οὐκ ἂν ἐν μνήμηι ἄλλον ἂν καὶ ἄλλον χρόνον ἐποιησάμεθα. Γνώριμον δέ, ὅτι τῆς διανοίας ἐχούσης τὸ πραττόμενον ὅλον καὶ πιστευούσης οὕτω πάντως πραχθήσεσθαι οὐκ ἂν ἔτι προσέχοι γιγνομένοις ἑκάστοις. Καὶ μὴν καὶ ὅταν τις ταὐτὸν ἀεὶ ποιῆι, μάτην ἂν ἔτι παρατηροῖ ἕκαστα τοῦ ταὐτοῦ.”
ΠΛΩΤΙΝΟΥ ” Ἐννεάδες“, IV 4, 8 [8 - 35], in op. cit., p.624.


“ Ἀλλὰ μόνη, κἂν εἰ οἷόν τε τῷ αἰσθητῷ ἐπιβάλλειν, τελευτήσει εἰς νοητοῦ σύνεσιν, ἐκφυγόντος τοῦ αἰσθητοῦ αὐτήν, οὐκ ἐχούσης ὅτῳ αὐτοῦ λάβοιτο. Ἐπεὶ καὶ τὸ ὁρατὸν ὅταν ψυχὴ πόρρωθεν ὁρᾷ, κἂν ὅτι μάλιστα εἶδος εἰς αὐτὴν ἥκῃ, ἀρχόμενον τὸ πρὸς αὐτὴν οἷον ἀμερὲς ὂν λήγει εἰς τὸ ὑποκείμενον χρῶμα καὶ σχῆμα, ὅσον ἐστὶν ἐκεῖ ὁρώσης. Οὐ τοίνυν δεῖ μόνα ταῦτα εἶναι, τὸ ἔξω καὶ τὴν ψυχήν· ἐπεὶ οὐδ´ ἂν πάθοι· ἀλλὰ δεῖ τὸ πεισόμενον τρίτον εἶναι, τοῦτο δέ ἐστι τὸ τὴν μορφὴν δεξόμενον. Συμπαθὲς ἄρα καὶ ὁμοιοπαθὲς δεῖ εἶναι καὶ ὕλης μιᾶς καὶ τὸ μὲν παθεῖν, τὸ δὲ γνῶναι, καὶ τοιοῦτον γενέσθαι τὸ πάθος, οἷον σῴζειν μέν τι τοῦ πεποιηκότος, μὴ μέντοι ταὐτὸν εἶναι, ἀλλὰ ἅτε μεταξὺ τοῦ πεποιηκότος καὶ ψυχῆς ὄν, τὸ πάθος ἔχειν μεταξὺ αἰσθητοῦ καὶ νοητοῦ κείμενον μέσον ἀνάλογον, συνάπτον πως τὰ ἄκρα ἀλλήλοις, δεκτικὸν ἅμα καὶ ἀπαγγελτικὸν ὑπάρχον, ἐπιτήδειον ὁμοιωθῆναι ἑκατέρῳ. Ὄργανον γὰρ ὂν γνώσεώς τινος οὔτε ταὐτὸν δεῖ τῷ γινώσκοντι εἶναι οὔτε τῷ γνωσθησομένῳ, ἐπιτήδειον δὲ ἑκατέρῳ ὁμοιωθῆναι, τῷ μὲν ἔξω διὰ τοῦ παθεῖν, τῷ δὲ εἴσω διὰ τοῦ τὸ πάθος αὐτοῦ εἶδος γενέσθαι. Εἰ δή τι νῦν ὑγιὲς λέγομεν, δι´ ὀργάνων δεῖ σωματικῶν τὰς αἰσθήσεις γίνεσθαι. Καὶ γὰρ τοῦτο ἀκόλουθον τῷ τὴν ψυχὴν πάντη σώματος ἔξω γενομένην μηδενὸς ἀντιλαμβάνεσθαι αἰσθητοῦ. Τὸ δὲ ὄργανον δεῖ ἢ πᾶν τὸ σῶμα, ἢ μέρος τι πρὸς ἔργον τι ἀφωρισμένον εἶναι, οἷον ἐπὶ ἁφῆς καὶ ὄψεως. Καὶ τὰ τεχνητὰ δὲ τῶν ὀργάνων ἴδοι τις ἂν μεταξὺ τῶν κρινόντων καὶ τῶν κρινομένων γινόμενα καὶ ἀπαγγέλλοντα τῷ κρίνοντι τὴν τῶν ὑποκειμένων ἰδιότητα· ὁ γὰρ κανὼν τῷ εὐθεῖ τῷ ἐν τῇ ψυχῇ καὶ τῷ ἐν τῷ ξύλῳ συναψάμενος ἐν τῷ μεταξὺ τεθεὶς τὸ κρίνειν τῷ τεχνίτῃ τὸ τεχνητὸν ἔδωκεν. Εἰ δὲ συνάπτειν δεῖ τὸ κριθησόμενον τῷ ὀργάνῳ, ἢ καὶ διά τινος μεταξὺ διεστηκότος πόρρω τοῦ αἰσθητοῦ, οἷον εἰ πόρρω τὸ πῦρ τῆς σαρκὸς τοῦ μεταξὺ μηδὲν παθόντος, ἢ οἷον εἰ κενόν τι εἴη μεταξὺ ὄψεως καὶ χρώματος, δυνατὸν ὁρᾶν τοῦ ὀργάνου τῇ δυνάμει παρόντος, ἑτέρου λόγου. Ἀλλ´ ὅτι ψυχῆς ἐν σώματι καὶ διὰ σώματος ἡ αἴσθησις, δῆλον.”
ΠΛΩΤΙΝΟΥ “ Ἐννεάδεςˮ (P. HENRY - H. R. SCHWYZER, “Plotini Opera”,‘editio maior’, 3 voll., Museum Lessianum, Bruxelles-Paris 1951-1973), IV 4, 23, [13-48], in op. cit., pp. 650 e 652.



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