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lunedì 13 novembre 2017

Gentrification. Le transumanze notturne verso i luoghi della movida, le feste di strada, i mercati all’aperto itineranti, tutto quell’insieme di effervescenze che fanno sembrare una città vivace e dinamica sono ormai parte della cultura urbana. Ma quello che fa di un quartiere una meta turistica glamour è spesso frutto di una «artificiosa» riqualificazione che consiste nel risanamento, il più delle volte con interventi di speculazione immobiliare, di aree popolari e nell’espulsione degli abitanti originari, a favore di classi più agiate (la gentry per l’appunto). Vasti tessuti sociali vengono così lacerati per far posto ad un fiorire di negozi vintage, birrerie artigianali, pasticcerie siciliane a fianco di marchi transnazionali, in un panorama eclettico ma senza memoria.

“Gentrification. Tutte le città come Disneyland”
di Giovanni Semi




Recensione a: Giovanni Semi, Gentrification, Tutte le città come Disneyland?,
Il Mulino, Bologna 2015, pp. 240, 22 euro

Scheda libro:
GIOVANNI SEMI, Gentrification: Tutte le città come Disneyland?
Le transumanze notturne verso i luoghi della movida, le feste di strada, i mercati all’aperto itineranti, tutto quell’insieme di effervescenze che fanno sembrare una città vivace e dinamica sono ormai parte della cultura urbana. Ma quello che fa di un quartiere una meta turistica glamour è spesso frutto di una «artificiosa» riqualificazione che consiste nel risanamento, il più delle volte con interventi di speculazione immobiliare, di aree popolari e nell’espulsione degli abitanti originari, a favore di classi più agiate (la gentry per l’appunto). Vasti tessuti sociali vengono così lacerati per far posto ad un fiorire di negozi vintage, birrerie artigianali, pasticcerie siciliane a fianco di marchi transnazionali, in un panorama eclettico ma senza memoria.

Giovanni Semi insegna Sociologia delle culture urbane e Sociologia generale presso l’Università di Torino. Per il Mulino ha già pubblicato «Osservazione partecipante. Una guida pratica» (2010).

Posted by Alberto Bortolotti:
Il saggio “Gentrification” rappresenta una sorta di manuale del cosiddetto fenomeno della gentrificazione, ovvero “la conquista di un territorio urbano da parte di un gruppo di persone differenti per posizione di classe rispetto agli abitanti precedenti”[1]. 

Questo tema, affrontato da molti anni su riviste di settore, quotidiani e saggi, non è, tuttavia, mai stato veramente discusso dal mondo politico e mediatico, sebbene il fenomeno in oggetto si verificò per la prima volta già nell’Ottocento, attraverso il consolidamento della urban gentry, ossia la piccola borghesia.

Giovanni Semi spiega che la gentrificazione nasce con la modernità, periodo in cui la città diviene il centro delle società occidentali, come scrive David Harvey in Giustizia Sociale e Città: 
“la città è simultaneamente il meccanismo e l’eroe della della modernità”[2]. 

La piccola borghesia, una volta appropriatasi del proprio status sociale, iniziò a riconoscere delle qualità e delle opportunità economiche in alcune zone della città, decidendo di investirvi dei capitali per riqualificarle. Celebri esempi di questo fenomeno sono il Greenwhich Village di New York, o Notting Hill a Londra, episodi non sporadici che, successivamente, si verificarono anche in tutta Europa e nel resto del mondo, tanto da essere tuttora in fase di sviluppo.

La gentrificazione è un fenomeno che è stato esportato nel resto del mondo in modo direttamente proporzionale all’accentuazione del liberalismo, inteso nella sua forma economica pura: il liberismo. Non a caso la gentrification nasce e si sviluppa prevalentemente nei paesi anglosassoni. 

Il fatto che le parti di città “gentrificate” abbiano costi della vita più alti di altre ne è la prova, poiché non concede a chiunque il diritto di scegliere dove abitare. Ovviamente, in termini di teoria politica, quest’ultimo concetto fa parte del dibattito tra individuo e società tuttavia, meglio precisare che, nella configurazione neoliberista, come disse Margaret Thatcher, “non esiste la società”.

Inoltre, il fatto che la gentrificazione abbia assunto un carattere globale fa sì che le città mondiali si uniformino sempre più tra loro, perdendo la propria identità culturale e tipologica. Sparisce ciò che Aldo Rossi chiamava “l’architettura della città”. Ed è su questo punto che entrano in gioco gli architetti. Se la gentrificazione rappresenta uno degli elementi fondanti dei processi di urbanizzazione e controurbanizzazione, qual è la responsabilità politica degli architetti rispetto alla propagazione di questo fenomeno socio-economico?

Il disegno della città è pensato come qualcosa di fisso, statico, poiché la riprogettazione di importanti aree della città ha sempre previsto la tabula rasa delle preesistenze, come fu nelle dispute tra poteri che hanno permesso lo sventramento e il rifacimento dell’Ile de la Cité a Parigi. 

Ma la città è un essere dinamico, nasce, cresce, vive e può persino morire

Nella sua fase di crescita può espandersi, inglobare, fagocitare altri agglomerati, ritrarsi, in sostanza sottoporsi a una serie di rimodellamenti che passano dalla gentrificazione.

Comunque, in generale la gentrificazione s’innesta a seguito della cosiddetta suburbanizzazione ovvero l’ampiamento di porzioni di città legate alla crescita demografica. Infatti, è la suburbanizzazione ad aver sotteso il fenomeno delle città-giardino londinesi, realtà urbane appena fuori la città (teorizzate da Ebenezer Howard), e quello dell’urban shrinking, ossia la destrutturazione di parti intere di città, come fu per le grandi aree dismesse di Detroit.

Gentrification: mattoni, capitali e politica.
Lo sviluppo delle città, sin dalla loro prima fondazione, è sempre stato legato a una concatenazione di fratture e scontri socio-economici, oltre che geopolitici. Infatti, come scrive Giovanni Semi, 
il controllo politico ed economico dello spazio è dunque un processo costante, segnato da rotture, conflitti, trasformazioni”.

Saper leggere i fenomeni intrinseci di trasformazione dell’urbanizzato, come la gentrificazione, consente quindi di comprendere alcuni dei cambiamenti più complessi della realtà.
Come è stato spiegato nel saggio, “la produzione dello spazio urbano si compie attraverso continui e progressivi spostamenti di investimenti di capitale che, a loro volta, generano massicci disinvestimenti nei luoghi dai quali prendono il largo”. In sintesi, questa “altalena del capitale”, è ciò che lo studioso Neil Smith chiava uneven development ovvero lo sviluppo diseguale. All’interno di questo meccanismo, la gentrification non è altro che un “reinvestimento di capitale” nella città.
Come fanno gli operatori a sapere quando è arrivato il momento di reinvestire? 
Neil Smith lo spiega attraverso la “teoria del rent gap”, un processo intuitivo che, tuttavia, non è sempre rappresentativo di tutte le gentrification, poiché queste rimangono sempre intrinsecamente legate al contesto e ai periodi storici.

La teoria del rent gap si fonda sulla constatazione che imprenditori edili e immobiliari, proprietari, finanziatori e agenti immobiliari si muovono in modo simbiotico poiché ciascuno di essi è alla ricerca di profitto. Questi sono definiti da Smith come “produttori di gentrification”[3]. 

Secondo Neil Smith, i “produttori della gentrification si attivano in maniera congiunta quando si accorgono che si sta ampliando il differenziale di rendita, il rent gap”3. 

Perciò, maggiore è l’interesse potenziale per un quartiere degradato in un dato periodo, più si dovrebbero attivare questi “produttori” per trasformarlo e renderlo appetibile al mercato.

Giovanni Semi aggiunge un’interessante considerazione al rent gap sostenendo che, “gli abitanti si spostano a vivere in un quartiere piuttosto che in un altro, su un terreno che era già stato pensato e prodotto per loro”.

Se questa tendenza fosse verificata, potremmo dire che il ruolo degli architetti, (intesi come teorici e progettisti della città), e quello degli amministratori (ossia i rappresentanti della cittadinanza), consiste nella prassi, in una consulenza al mercato edilizio

Tuttavia, questo schema potrebbe cambiare se sindaci e assessori non avessero interessi verso i “produttori di gentrification”, in questo modo si spezzerebbe il meccanismo di innesto del rent gap che potrebbe anche essere prodotto per mezzo di iniziative governative o municipali.

Nel caso della lotta al turismo internazionale nel centro di San Francisco, ad esempio, l’elezione degli attivisti all’interno delle istituzioni e l’intesa tra municipalità e piccoli albergatori ha permesso di allontanare le multinazionali Hilton e Ramada che stavano sistematicamente edificando grandi complessi edilizi nel cuore della città.

Negli ultimi decenni, una delle battaglie più importanti nella governance pubblica, ovvero i meccanismi politici di contrattazione locale, è quella che ha coinvolto le politiche di rigenerazione urbana. Sono comparse per la prima volta verso la fine degli anni Settanta, parallelamente allo sviluppo dei processi d’interdipendenza economica, gli stessi che hanno dato vita alla “teoria delle città globali” di Saskia Sassen.

Il gioco di scale differenti, composto da attori e politiche mobili è ben rappresentato dalla rigenerazione urbana, la quale consiste, sostanzialmente, nel risolvere i vuoti della città soggetti a deindustrializzazioni, per trasformarli in altrettanti occasioni di crescita urbana e sviluppo locale

Le politiche di rigenerazione urbana sono il luogo del confronto tra attori privati (banche d’investimento, fondi d’investimento, compagnie assicurative e imprese, organismi internazionali (Unione Europea, Fondo Monetario Internazionale), governi centrali, regioni e municipalità. In base al posizionamento della città nella gerarchia urbana globale, gli attori che definiscono queste politiche sono differenti.

In generale comunque, gli interventi di rigenerazione urbana sono sempre più localizzati perché fondati sull’“effetto domino”. Infatti, agendo su una singola area strategica, si presuppone che questa innesti un processo di sviluppo di tutte le aree limitrofe, come è stato per l’intervento di Bilbao che ha visto in gioco attori politici e imprenditoriali di livello internazionale.

Un importante episodio di rigenerazione urbana: porta nuova a Milano.
Uno dei casi di rigenerazione urbana più importanti in Italia è quello che ha coinvolto il centro direzionale di Porta Nuova a Milano, un’area compresa tra Porta Garibaldi, Porta Varesine e il quartiere Isola. L’operazione in oggetto, realizzata dagli imprenditori immobiliari Gerald Hines e Manfredi Catella tra 2005 e 2015, ha permesso la trasformazione di una porzione di città pari a circa 290.000 mq.

L’intervento di Porta Nuova è, dal punto di vista dei meccanismi di governance, un prototipo di come una zona della città possa rinnovarsi anche a seguito di decennali conflitti sulle destinazioni d’uso e sulla ridefinizione delle aree abbandonate.

L’importanza di questo intervento, è dimostrata dal fatto che la spirale d’investimenti innestata sull’area ha portato all’ingresso, nel 2013, del fondo Qatar Investment Authority (QIA) controllato dall’emiro al Thani che acquisisce il 40% delle quote di progetto per passare, nel febbraio 2015, al 100%.

Sebbene l’arrivo del fondo QIA sia stato interpretato dalla maggioranza dei media come un grande successo immobiliare e finanziario, simbolo di salto di livello del territorio milanese nei meccanismi di uneven development, rimane il fatto che l’ascesa di fondi sovrani nazionali, come quello del Qatar, all’interno di una città strategica europea, come Milano, può produrre trasformazioni geopolitiche importanti con effetti immediati sia sulla vita dei cittadini sia sulla capacità di azione della politica nei processi di rigenerazione urbana.

In uno scenario fortemente globalizzato, dove le operazioni di rigenerazione vengono attivate solo grazie alla partnership con importanti operatori internazionali, quale sarà, in futuro, il ruolo delle amministrazioni pubbliche rispetto all’espansione della città?


[1] Giovanni Semi, Gentrification, Tutte le città come disneyland, Il Mulino, Bologna 2015.
[2] David Harvey, Giustizia Sociale e Città, Feltrinelli, Milano 1978.
[3] Neil Smith, New Globalism, New Urbanism: Gentrification as global urban strategy, Antipode 2002.



https://www.pandorarivista.it/articoli/gentrification-le-citta-come-disneyland/

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