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domenica 2 luglio 2017

Gengis Khan. Porto gli stessi cenci e mangio lo stesso cibo dei bovari e degli stallieri. Considero il popolo come un fanciullo e tratto i soldati come fossero miei fratelli. I miei progetti sempre concordano [con la ragione]. Quando faccio il bene, ho sempre cura [degli uomini]. Quando mi servo delle miriadi di miei soldati, mi pongo sempre alla loro testa. Mi sono trovato in cento battaglie e non ho mai pensato se c'era qualcuno dietro me. Ho affidato il comando delle truppe a quelli in cui l'intelligenza era pari al coraggio. A chi era attivo e capace ho affidato la cura degli accampamenti. Agli zotici ho fatto mettere in mano la frusta e li ho mandati a sorvegliare le bestie

[...] Si dice che Gengis Khan una volta avesse lanciato un attacco a sorpresa e che la sua cavalleria avesse marciato per oltre 200 chilometri in 24 ore. Non c’era da meravigliarsi che la cavalleria mongola venisse descritta così: «Arrivano rapidamente come se scendessero dal cielo e spariscono rapidamente come il passaggio di un fulmine». [...] Da Jurchen e dai cinesi imparò le tattiche dell’assedio delle città e riconosceva l’importanza degli artigiani specializzati, tanto che uccidere gli artigiani non-mongoli veniva vietato con fermezza nei luoghi da lui conquistati. Quando si spingeva verso Ovest nelle sue campagne militari, portava in Mongolia un gran numero di artigiani. [...]
La massiccia spedizione che condusse a Ovest valicò i vecchi confini tra Europa e Asia.
La guerra portò distruzioni di massa in molti Paesi, ma servì anche a unire le culture orientali e occidentali. Così, in occidente vennero diffuse la polvere da sparo e la carta cinese, mentre vennero portati in Cina la medicina occidentale e i tessuti. [...]

Dopo la sua morte comunque, il corpo dell’imperatore fu portato nella sua amata e selvaggia Mongolia, per essere sepolto in un luogo segreto e non individuabile tra le montagne. Non fu eretto né un mausoleo né una tomba imponente, e nemmeno fu posta una semplice lapide:
Nessuno doveva sapere dove riposavano le spoglie di Gengis Khan
Mille cavalli calpestarono il terreno, per nascondere ogni traccia dello scavo, e forse – nessuno potrà mai dirlo con certezza – i soldati che avevano accompagnato l’imperatore nel suo ultimo viaggio uccisero ogni persona e animale incontrato lungo il percorso da Yinchuan al luogo della tumulazione. Poi uccisero anche tutti coloro che avevano assistito ai funerali, per finire uccisi essi stessi da un altro gruppo di soldati. [...]
Tutto il territorio intorno, oltre 350 chilometri quadrati, divenne Ikh Khorig, il Grande Tabù: nessuno poteva entrarvi, se non i membri della famiglia imperiale e i Darkhad, guerrieri ai quali era affidato il compito di vigilare sul rispetto del tabù. Chi sconfinava era punito con la morte, ancora molto tempo dopo il collasso dell’impero. E quando eserciti stranieri invasero la Mongolia, il Grande Tabù fu difeso strenuamente. Anche quando il paese entrò a far parte dell’URSS, nel 1924, quel territorio rimase off-limits: il governo centrale sovietico, per evitare problemi con il popolo mongolo, dichiarò quel territorio “Area ad alta restrizione”. [...]

Un grande paese dove il commercio sicuro portava ricchezza (“Una vergine con un piatto d’oro poteva girare indisturbata da un angolo all’altro dell’impero”), istituì il primo servizio di posta, abolì la tortura e sancì il principio della libertà religiosa e dell’immunità diplomatica.

https://www.vanillamagazine.it/gengis-khan-limperatore-che-non-volle-una-tomba-da-onorare/
https://www.epochtimes.it/news/gengis-khan-il-grande-fondatore-dellimpero-mongolo-2/


Gengis Khan.
Si racconta che fosse di statura alta, con la testa grossa, la mascella forte, gli occhi penetranti tra il verde e il grigio. [...] Erano cavalieri e arcieri abilissimi, erano analfabeti, non sapevano coltivare la terra e avevano una religione primitiva di carattere magico. [...]
Teneva sempre sul braccio il suo falcone preferito.
'Migliore e più preciso di qualsiasi freccia, diceva, il mio falco può librarsi alto nel cielo e scorgere tutto ciò che un essere umano non può vedere.' Quando il facone morì, ordinò che gli si facesse una scultura in oro.

Finora è storia.
Racconterò adesso una piccola leggenda di cui sono venuta a conoscenza durante un viaggio in Uzbekistan.
A Bukhara esiste uno dei due soli minareti in tutto l'oriente risparmiati dalla furia delle orde di Gengis Khan (non ricordo dove sia l'altro e perché non sia stato distrutto).
Si racconta che nel 1220 il mongolo arrivò nella piazza di Bukhara dopo aver raso al suolo tutto quello che aveva trovato sul suo passaggio.
Vide il minareto e buttò indietro la testa per la meraviglia e l'ammirazione.
Gli cadde il copricapo.
Lo interpretò come un segno a cui si doveva ubbidire e il minareto fu salvo.
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http://www.ilsalottodinonnama.it/personaggi-da-conoscere-meglio/232-gengis-khan.html


Gengis Khan.
una cronaca del XVII secolo infatti racconta che il grande "principe oceanico" sarebbe stato ucciso da una ferita genitale inflittagli da una tenaglia vaginale che Kerbalgin, regina del popolo cinese dei Xi Xia, usò per vendicarsi della violenta sottomissione fisica e politica che da diverso tempo il sovrano mongolo perpetrava ai suoi danni.

Completamente diversa è la versione invece riportata invece nella Historia Mongalorum, la preziosa cronaca scritta tra il 1246 e il 1247 dal frate Giovanni da Pian del Carpine che di ritorno dal suo viaggio in Oriente racconta come colto di sorpresa da un violento temporale, sarebbe stato un fulmine a spezzare la vita di Gengis.

Altre fonti orientali riferiscono al contrario che a portarlo alla tomba fu l'infame raggiro di una delle sue innumerevoli concubine che si servì di un potente veleno per compiere ciò che nessuna mano di uomo era stata capace di fare.

https://cronistoria.altervista.org/nascita-e-morte-di-temujin-il-mongolo-che-avrebbe-ridotto-il-mondo-ai-suoi-piedi/



Gengis Khan..
Un uomo di genio, che da capo di una modesta tribù mongola, riuscì a creare il più grande impero che la storia dell'uomo ricordi, surclassando, Alessandro Magno, l'antica Roma, Carlo Magno, Napoleone o Carlo V sul cui impero non tramontava mai il sole.

Il presupposto della sua impresa fu la nascita della "nazione mongola" forgiata da Gengis Khan aggregando numerose tribù in perenne e reciproca competizione armata. Gruppi familiari, abituati a vagare sparpagliati per le brughiere asiatiche e a farsi guerre spietate, vennero raccolti politicamente e ideologicamente sotto un unico capo che diede loro un corpo di leggi chiamato yasaq. Quel codice, sia pure imposto grazie a spaventose stragi, dimostrerà come princìpi socio-culturali elaborati in un ambiente nomade potessero informare società più complesse basandosi sulle regole del rispetto, della pace e dell'integrazione religiosa estesa a tutto l'impero.

Giova osservare che, a differenza di altri grandi conquistatori, i successori di Gengis Khan, Ögödei, Güyük, Munke, Kublai rafforzarono e ampliarono l'impero e terrorizzarono l'Europa, come, ottocento anni prima, aveva già fatto Attila con i suoi unni, anch'essi usciti dalle steppe del centro Asia.

La gente della steppa ha corpo compatto e nodoso, costituzione robusta.
Gli occhi sono fessure strette a protezione dai raggi solari, dal biancore delle nevi e dalle bufere.
E' gente di poche parole plasmata da climi aspri; maschi e femmine ricevono la stessa educazione, imparando a cavalcare e a svolgere tutto ciò che serve per sopravvivere; il parere delle donne è ascoltato, anche se esiste il rito del concubinato, praticato molto più per convenienze politiche che per questioni sessuali.

Gengis Khan si caratterizza per la sua "fame" di potere:
non si ferma dinanzi a nulla. Uccide il fratellastro che contrasta la sua ascesa nell'ambito familiare, prima allontana da sè e poi uccide l'amico del cuore Jamuka, che lo contrasta per la preminenza in ambito territoriale, fa uccidere dal fratello Belgutai, Buri-boko un pericoloso pretendente al khanato, compie un genocidio dei tatari, eterni nemici della sua tribù, stessa sorte tocca ai merkiti colpevoli d'avergli rapito la moglie, fa dell'impero persiano terra bruciata per aver lo scià sottovalutato la potenza del suo impero, elimina dalla faccia della terra i tanguti per il loro comportameto vile durante la guerra in oriente.

Un aspetto da sottolineare della vita di Gengis Khan è quello di essere sempre stato sull'obiettivo, con tenacia, intelligenza, decisione e, se del caso, diplomazia; i traguardi che Gengis Khan si è posti nella vita li ha raggiunti tutti.

L'opera politica e militare di Genghis Khan presenta luci ed ombre; accanto a iniziative come il sistema postale, l'introduzione della carta moneta, la realizzazione di grandi arterie stradali, il divieto dell'uso della tortura, l'esenzione per insegnanti e dottori dal pagamento delle tasse o il principio della libertà di religione, molti cronisti dell'epoca forniscono dati impressionanti sulle stragi compiute dai mongoli durante le loro conquiste, anche se, in molti casi, il computo dei morti sembra esagerato. Ad esempio, la Cina avrebbe avuto prima dell'invasione una popolazione di 100 milioni di abitanti che si era ridotta a 60 milioni nel 1300; in particolare le popolazioni a nord del fiume giallo, facenti parte della dinastia Song settentrionale, si sarebbero ridotte da 46 milioni a soli 4,5 milioni.

Vorrei infine ricordare che Gengis Khan è stato, probabilmente, il più grande conquistatore della storia, ma va sottolineato che è stato capace di circondarsi, sia di generali valorosi e fedeli, appartenenti alla sua famiglia, o estranei dimostratisi valorosi e, sia di grandi abilissimi organizzatori e amministratori.



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L'ORDA INARRESTABILE.
La strapotenza bellica dell’impero mongolo fondato da Gengis Khan è nota a tutti.
Ma come è possibile che un’accozzaglia di tribù che non aveva mai combattuto grandi battaglie, in poco tempo riuscisse a conquistare il più vasto impero della storia?
Principalmente per tre fattori: i guerrieri di cui disponeva,
il sistema gerarchico innovativo e una tattica militare impareggiabile.

I soldati mongoli erano eccellenti cavalieri che venivano addestrati fin dall’infanzia, tanto che raggiungevano livelli di resistenza ai limiti del leggendario.

Un mongolo in perfetta forma poteva anche cavalcare per due o tre giorni, mangiando, dormendo ed espletando i propri bisogni corporali senza mai scendere da cavallo. Se poi rimaneva senza cibo era uso comune praticare un piccolo taglio sulle gambe dell’animale per succhiare il sangue .
Non solo l’equitazione era la base dell’educazione mongola, anche il tiro con l’arco ne rappresentava un pilastro fondamentale, redendoli gli arceri più letali di sempre .

Le battaglie vennero praticamente sempre combattute in schiacciante inferiorità numerica.
Ma il genio tattico mongolo rendeva i numeri fondamentalmente inutili.

Quando gli veniva data occasione, raramente attaccavano frontalmente, preferivano piuttosto punzecchiare l’esercito nemico, avvicinandosi quel tanto che bastava per poter scoccare i loro dardi, che raramente mancavano il bersaglio. Quando le frecce erano finite e un gran numero di nemici erano caduti, attaccavano con la spada finendo definitivamente l’esercito avversario.

Tutto questo era possibile anche grazie agli straordinari cavalli che possedevano, che erano più piccoli e maneggievoli rispetto agli altri.

La vera rivoluzione era la decentralizzazione del comando sul campo di battaglia. Gengis aveva diviso il suo esercito: l’unità da combattimento più bassa era l’Arban, composta da dieci uomini; 10 Arban formavano un Djaghoun; 10 Djaghoun formavano un Mingan; 10 Mingan formavano un Tuman.

A capo di ogni unità c’era un comandante di esperienza e valore crescente fino ad arrivare al Tuman. In questo modo un esercito di grandi dimensioni riusciva ad agire armoniosamente come un blocco unico e al contempo non c’era il rischio che se fosse perito un generale, l’esercito sarebbe caduto nel caos.

In ultimo luogo Gengis aveva la fortuna di comandare degli Orlok (generali di Tuman), di valore e genio militare che lo equivalevano, se non addirittura superandolo. Tsubodai e Jebe su tutti.
Praticamente nessuno, soprattutto agli albori dell’impero, riuscì a sconfiggere Gengis o i suoi eredi.
Quello che salvò l’Europa non fu un esercito valoroso, ma la prematura dipartita di Ogedai, terzogenito di Gengis.

E chissà, se non fosse morto, se oggi parleremmo come lingua comune l’inglese e non il mongolo o il mandarino.
Ma questa è un’altra storia.

Roger

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Storia segreta dei mongoli
 di Anonimo del XIII secolo, Scritto durante la permanenza della corte a Doloan-Boldag del Kodee di Kerulen, fra Silgin e Ceg, nel settimo mese dell’anno del Topo (1240), durante il grande Quriltai che vi fu tenuto.

Rielaborazione di Federico Pistone dalla traduzione originale di Maria Olsuifieva per la casa editrice TEA
http://www.mongolia.it/storia_segreta_dei_mongoli.htm


Durante questo periodo conobbe alcuni di quelli che lo resero potente e vittorioso e che vennero in seguito definiti i suoi quattro cani:
- Sübetei, della tribù Uriankhai
- Djelme, della tribù Uriankhai (fratello maggiore di Subedei)
- Djebe, della tribù Besud
- Mukali, della tribù Barula

[...] ogni tribù (ulus, che indicava anche il patrimonio collettivo) era indipendente, ma tutte erano sottomesse alla famiglia imperiale (cioè alla famiglia di Gengis Khan), il cosiddetto "casato della stirpe aurea", sacro poiché mitologicamente derivato dal Dio del cielo, Tengri, divinità suprema dei mongoli. L'impero nel suo insieme era l'ulus della famiglia imperiale. Tutti i khan offrivano fedeltà e rispetto al Gran Khan, che li sorvegliava con un rapido ed organizzato sistema di intendenti e corrieri. [...]
http://www.sanpietroburgo.it/genghis_khan.asp


Nella capitale venivano inviati oggetti d'oro da tutte le parti del regno per accrescere il tesoro reale. 
In cambio venivano rilasciati certificati di possesso cartacei, equivalenti alle odierne banconote. Queste somme, come l'oro, erano spendibili dai proprietari per l'acquisto di beni e servizi. Con una simile riserva aurea, fu possibile coniare la moneta necessaria per le spese di guerra. Con la conquista di nuove terre e oro, la riserva veniva reintegrata potendosi così finanziare nuove conquiste.
http://www.sanpietroburgo.it/genghis_khan.asp

Marco Polo nel Milione descrive il modo in cui Gengis Khan finanziava la sua spesa militare e i fasti della corte dell'impero mongolo. Il Gran Khan aveva introdotto una moneta a corso forzoso, che poteva essere acquistata dietro conferimenti all'imperatore di oggetti in oro, argento e pietre preziose. Viceversa, la moneta non era rimborsabile al portatore con un controvalore metallico. A pena della morte, la moneta doveva essere l'unico mezzo di pagamento per l'acquisto di beni e servizi in tutto il regno, ed era vietato il baratto. Periodicamente, l'imperatore vietava il possesso privato di oro e altri preziosi, e disponeva che questi dovevano essere conferiti al re in cambio di banconote.

[...] le armate mongole, forti di arcieri a cavallo, attaccavano nel più completo silenzio, guidate solo da bandiere di diverso colore, compiendo manovre complesse in assoluta simmetria e coordinazione, il che incuteva una soprannaturale paura nel nemico.

Le tribù unificate adottarono il sistema militare degli Unni basato sul sistema decimale. L'esercito veniva suddiviso in unità di 10 (arban), 100 (yaghun), 1000 (minghan) e infine 10.000 (tumen) soldati. Durante gli spostamenti i soldati portavano con sé le famiglie e tutti i cavalli, che spesso ammontavano almeno a tre o quattro per cavaliere, avendo così sempre a disposizione animali di trasporto freschi. Inoltre creò una sua guardia personale di 10.000 uomini dove erano reclutati i figli dei comandanti. 

Un altro aspetto fondamentale dell'organizzazione militare fu l'adesione totale alla meritocrazia
gli unici criteri presi in considerazione da Gengis Khan per stabilire il grado di un ufficiale erano la sua capacità e fedeltà, mentre i tradizionali parametri di nascita e stirpe erano praticamente ignorati. Il figlio di un guardiano di bestiame, Subedei, divenne uno dei suoi comandanti più stimati. 

Gengis Khan curò anche la sua fama (l'"immagine") con calcolate azioni di straordinaria ferocia nel punire i nemici o di grande magnanimità verso gli alleati. La fama di inflessibile e invincibile fu un'ottima propaganda contro i suoi avversari politici, i quali sapevano che non sottomettersi equivaleva allo sterminio.

http://www.sanpietroburgo.it/genghis_khan.asp

[...] nel 1202, per due volte Temujin fu vicino alla morta evitandola, una freccia colpisce la sua cavalcatura un'altra sfiora il suo collo,ma la punta era avvelenata e il veleno entra in circolo, Jelme la sera gli succhia via il veleno, il giorno seguente ripresosi vinse la battaglia e mise il suo avversario in fuga. Durante i controlli sul campo in seguito alla vittoria riportata Sorqan-shira si unì a Gengis. Un suo compagno, Jirqo confessò di essere stato lui a colpire mortalmente il destriero di Gengis ottenendo un nuovo nome, Jebe (ovvero punta di freccia) e il perdono unendosi all'armata. [...]


Il nemico pentito.
Gengis Khan disse: “Durante il combattimento a Koiten, quando respingendoci a vicenda, ci raggruppavamo, le frecce nemiche volavano sopra di noi. Chi colpì allora tra le vertebre, al collo, il mio cavallo da battaglia dal mantello color lupino? La freccia era partita dalla montagna”. A tali parole Jebe rispose così: “Lo feci io dalla montagna. Se il Khan comandasse di mettermi a morte, di me rimarrebbe una chiazza umida, grande come il palmo di una mano. Ma se il Khan mostrasse clemenza, io lo servirei così: attraverserei acque melmose, all’ordine ‘avanti’ spezzerei anche le pietre e all’ordine ‘ritirata’ stritolerei qualunque roccia”. Allora Gengis Khan disse: “Il vero nemico tiene sempre segreti il suo delitto e le sue ostilità. Egli trattiene la sua lingua. Ma che dire di costui? Egli non solo non nasconde il danno che ha fatto, ma addirittura si accusa in pieno. E’ degno d’essere un compagno. Si chiamava Jirgogadai ma noi lo chiameremo Jebe, perché ha colpito la mia Jebel dal bianco muso. Ebbebe, Jebe, combatterai ancora con la lancia. Chiamati Jebe d’ora in poi e rimani accanto a me”. Così Jebe passò dai Tayiciud ai nostri ed entrò a far parte della scorta di Gengis Khan.
Storia segreta dei mongoli
 di Anonimo del XIII secolo


«Porto gli stessi cenci e mangio lo stesso cibo dei bovari e degli stallieri. Considero il popolo come un fanciullo e tratto i soldati come fossero miei fratelli. I miei progetti sempre concordano [con la ragione]. Quando faccio il bene, ho sempre cura [degli uomini]. Quando mi servo delle miriadi di miei soldati, mi pongo sempre alla loro testa. Mi sono trovato in cento battaglie e non ho mai pensato se c'era qualcuno dietro me. Ho affidato il comando delle truppe a quelli in cui l'intelligenza era pari al coraggio. A chi era attivo e capace ho affidato la cura degli accampamenti. Agli zotici ho fatto mettere in mano la frusta e li ho mandati a sorvegliare le bestie».

 «Il Cielo è stanco dell'arroganza e dell'amore per il lusso che in Cina sono giunti a livelli intollerabili. Io, al contrario, abito nella regione selvaggia del Nord, dove non può attecchire brama di sorta. Mi volgo alla semplicità, ritorno alla purezza, mi conformo alla moderazione. Gli stracci che porto, il cibo che mangio sono gli stessi dei bovari e dei palafrenieri».

citazione di Gengis Khan, da una stele taoista del 1219

«Se vinciamo, che nessuno si impossessi del bottino, poiché sarà equamente ripartito più tardi; e se dobbiamo ritirarci, torniamo nel luogo da cui siamo partiti e, rimessici in formazione, attacchiamo di nuovo con impeto. Chiunque non torni in formazione sarà decapitato».
Gengis Khan

"se qualche soldato di un’unità di dieci uomini (arban) fuggiva in battaglia, veniva giustiziato con i suoi compagni, e se era un’intera arban a fuggire, veniva giustiziata l’unità di cento soldati (yaghun) alla quale apparteneva".
Giovanni da Pian del Carpine


I mongoli, anche i più giovani, sono orgogliosi di essere discendenti di Gengis Khan. La bibbia qui è La Storia segreta dei mongoli che viene letta e studiata già nelle scuole elementari. 

Una ricerca genetica condotta da Chris Tyler-Smith e pubblicata dall’American Journal of Human genetics ha accertato che lo 0,5% dell’intera popolazione mondiale e l’8% di quella asiatica discende da un uomo solo che ha trasmesso il cromosoma battezzato super Y e che ha vissuto tra il XII e il XIII secolo. Allo stesso risultato era giunta un’altra ricerca condotta da Bryan Sykes dell’Università di Oxford che aveva ricondotto senza incertezza  il gene a Temujin per “la consuetudine dell’imperatore mongolo di uccidere i nemici e violentare le donne quando i suoi eserciti conquistavano un nuovo territorio. “Non c’è dubbio – ha ribadito David Morgan, docente di storia mongola all’Università del Wisconsin – che Gengis Khan lasciò una progenie sterminata”. Insomma, siamo un po’ tutti figli di Gengis Khan.

La Storia segreta dei Mongoli”, scritta nel XIII secolo da una sorta di Omero mongolo, solo diciassette anni dopo la morte di Gengis Khan. È una saga sconcertante per la nostra sensibilità occidentale, ma permette di affondare lo sguardo in una realtà tanto lontana nel tempo e nello spazio, densa di coraggio e crudeltà, di orgoglio e passione. Ogni mongolo ha letto la “Storia segreta” almeno una volta, molti la sanno a memoria, a scuola è studiata con assiduità e ha la stessa valenza per noi della “Divina commedia”. 

In calce, l’autore (o forse gli autori) ha voluto ricordare che l’opera è stata scritta sotto il regno di Ogodei, figlio di Gengis Khan, nel settimo mese dell’anno del Topo (1240). La “Storia segreta”, composta nell’antico alfabeto uiguro, era andata perduta ma a metà dell’Ottocento ne fu miracolosamente rinvenuta una copia trascritta in cinese. Racconta della vita di Gengis Khan, dalle origini alla morte, attraverso le sue impressionanti gesta. Questo testo, lungo quanto un romanzo, è diventato l’unica vera “sceneggiatura” di mille film, libri, documentari e speculazioni su Gengis Khan e sull’impero mongolo, come la saga editoriale “Il figlio della steppa” di Conn Iggulden, il romanzo più venduto in Inghilterra nel 2007.

La Storia segreta si apre con la nascita e del battesimo del più grande conquistatore della storia, partendo dai successi in battaglia del padre: “Proprio mentre Yesugai sconfigge i Tatari che hanno come capo Temujin-Uge, la moglie Hoelun partorisce presso il fiume Onon: allora nasce Gengis Khan. Stringe in mano un grumo di sangue rappreso. Dicono: è nato mentre veniva catturato il nemico tataro Temujin-Uge, lo chiameremo Temujin”. 

Quando ha nove anni, il padre decide di trovargli una moglie dagli zii materni. 
“Ha dieci anni, uno in più di Temujin. Si chiama Borte e ha il viso come l’alba e gli occhi di fuoco”. La narrazione passa attraverso il dramma della morte del padre: 
“Yesugai ha molta sete e decide di fermarsi a chiedere da bere a un gruppo di Tatari. 
Ma loro lo riconoscono e di nascosto gli versano del veleno nella coppa. Tre giorni dopo Yesugai sta male e chiama a sé il fratello Munglig e chiede di portargli Temujin”. E qui, ereditato il potere del padre, comincia la vera saga di Gengis Khan, fitta di battaglie, conquiste, razzie, atrocità, amore, amicizia e tradimenti. 
Fino all’incoronazione, nel 1206: “Dopo essersi consultati fra di loro, Altan, Qucar, Saca-Beki e tutti gli altri dicono a Temujin: Ti eleviamo a Khan. Inseguiremo il nemico, ti porteremo le vergini e le mogli più belle, tende, palazzi, schiavi e i cavalli migliori. Cacceremo le belve di montagne e te ne faremo dono, senza sventrarle. Per ogni animale che cattureremo, te ne daremo metà, dopo avergli tolto le zampe. Se dovessi mancare a un tuo comando, allontanaci dall’accampamento, dalle nostre donne, tagliaci le teste e buttale in terra. Struggente l’episodio del ferimento di Gengis Khan, accudito con amorevole cura dal luogotenente Jelme: “Gengis Khan è ferito all’arteria del collo. Impossibile fermare il sangue. Jelme succhia continuamente il sangue che si rapprende. Quando ha la bocca piena, o sputa il sangue o lo inghiotte”. Infine la morte del condottiero, solo accennata, come se il narratore avesse paura di profanarne la memoria, di scoperchiare la tomba che lo stesso Gengis Khan ha ordinato rimanesse per sempre segreta. Non dimentichiamo che l’amatissimo imperatore è scomparso da pochi anni e il dolore popolare è ancora incredibilmente vivo. “Prima di presentarsi a Gengis Khan, Burqan sceglie i doni per il suo imperatore: nove pezzi d’oro, nove d’argento, nove vasi preziosi, nove fanciulle, nove dei migliori cavalli e nove cammelli e, come regalo principale, una tenda d’oro. Durante l’udienza Gengis Khan si sente male”. La “Storia segreta” finisce dove comincia la leggenda e l’orgoglio di un popolo.

http://www.mongolia.it/gengiskhan.htm




eurasia
Gengis Khan e il più vasto impero che la storia ricordi
Platone afferma non esserci alcun re che non sia discendente da schiavi e nessuno schiavo che non sia discendente da re.
Seneca Lettere morali a Lucilio
In questo sito, abbiamo illustrato vita, caratteristiche e comportamenti di grandi personaggi della storia, come Cesare, Alessandro Magno, Marco Aurelio, Sun Tzu, Carlo V d'Asburgo, Nabucodonosor, Elisabetta I, Carlo Magno, Hammurabi, Pietro I di Russia, Caterina la Grande, quali figure emblematiche da tenere come modelli perchè ritengo che coloro che hanno lasciato una traccia significativa nel corso della storia abbiano qualcosa da insegnare, a tutti non solo agli imprenditori. Ugualmente ritengo doveroso prendere in considerazione la vita di Gengis Khan, un uomo di genio, che da capo di una modesta tribù mongola, riuscì a creare il più grande impero che la storia dell'uomo ricordi, surclassando, Alessandro Magno, l'antica Roma, Carlo Magno, Napoleone o Carlo V sul cui impero non tramontava mai il sole. Il presupposto della sua impresa fu la nascita della "nazione mongola" forgiata da Gengis Khan aggregando numerose tribù in perenne e reciproca competizione armata. Gruppi familiari, abituati a vagare sparpagliati per le brughiere asiatiche e a farsi guerre spietate, vennero raccolti politicamente e ideologicamente sotto un unico capo che diede loro un corpo di leggi chiamato yasaq. Quel codice, sia pure imposto grazie a spaventose stragi, dimostrerà come princìpi socio-culturali elaborati in un ambiente nomade potessero informare società più complesse basandosi sulle regole del rispetto, della pace e dell'integrazione religiosa estesa a tutto l'impero. Giova osservare che, a differenza di altri grandi conquistatori, i successori di Gengis Khan, Ögödei, Güyük, Munke, Kublai rafforzarono e ampliarono l'impero e terrorizzarono l'Europa, come, ottocento anni prima, aveva già fatto Attila con i suoi unni, anch'essi usciti dalle steppe del centro Asia. La gente della steppa ha corpo compatto e nodoso, costituzione robusta. Gli occhi sono fessure strette a protezione dai raggi solari, dal biancore delle nevi e dalle bufere. E' gente di poche parole plasmata da climi aspri; maschi e femmine ricevono la stessa educazione, imparando a cavalcare e a svolgere tutto ciò che serve per sopravvivere; il parere delle donne è ascoltato, anche se esiste il rito del concubinato, praticato molto più per convenienze politiche che per questioni sessuali.
Gengis Khan si caratterizza per la sua "fame" di potere: non si ferma dinanzi a nulla. Uccide il fratellastro che contrasta la sua ascesa nell'ambito familiare, prima allontana da sè e poi uccide l'amico del cuore Jamuka, che lo contrasta per la preminenza in ambito territoriale, fa uccidere dal fratello Belgutai, Buri-boko un pericoloso pretendente al khanato, compie un genocidio dei tatari, eterni nemici della sua tribù, stessa sorte tocca ai merkiti colpevoli d'avergli rapito la moglie, fa dell'impero persiano terra bruciata per aver lo scià sottovalutato la potenza del suo impero, elimina dalla faccia della terra i tanguti per il loro comportameto vile durante la guerra in oriente. Un aspetto da sottolineare della vita di Gengis Khan è quello di essere sempre stato sull'obiettivo, con tenacia, intelligenza, decisione e, se del caso, diplomazia; i traguardi che Gengis Khan si è posti nella vita li ha raggiunti tutti. L'opera politica e militare di Genghis Khan presenta luci ed ombre; accanto a iniziative come il sistema postale, l'introduzione della carta moneta, la realizzazione di grandi arterie stradali, il divieto dell'uso della tortura, l'esenzione per insegnanti e dottori dal pagamento delle tasse o il principio della libertà di religione, molti cronisti dell'epoca forniscono dati impressionanti sulle stragi compiute dai mongoli durante le loro conquiste, anche se, in molti casi, il computo dei morti sembra esagerato. Ad esempio, la Cina avrebbe avuto prima dell'invasione una popolazione di 100 milioni di abitanti che si era ridotta a 60 milioni nel 1300; in particolare le popolazioni a nord del fiume giallo, facenti parte della dinastia Song settentrionale, si sarebbero ridotte da 46 milioni a soli 4,5 milioni. Vorrei infine ricordare che Gengis Khan è stato, probabilmente, il più grande conquistatore della storia, ma va sottolineato che è stato capace di circondarsi, sia di generali valorosi e fedeli, appartenenti alla sua famiglia, o estranei dimostratisi valorosi e, sia di grandi abilissimi organizzatori e amministratori.
gengis Khan
Pseudoritratto
La giovinezza
Gengis Khan, nasce (come Temüjin, in altaico Temuçin) nell'alto corso dell'Onon nel 1162 e muore a Ningxia nell'agosto del 1227.
La città, il villaggio, l'agricoltura sono al di fuori della logica della steppa; il massimo dell'"urbanizzazione" consiste nell'ordu un accampamento di tende che può essere smontato nel giro di poche ore. Divisi tra tribù e clan, la libertà dei mongoli consiste nel muoversi nelle illimitate distese centro asiatiche con i propri cavalli, i proppri armenti e le proprie yurte, le tipiche tende circolari con un foro in alto, delle quali si trova riscontro già in Erodoto nel V secolo a.C.. L'approvvigionamento di cereali e stoffe avviene o tramite razzie o scambi commerciali. Lungo le vie carovaniere della steppa viaggiano merci (ad esempio il vetro italico verso la Cina e la seta cinese verso l'Italia) e religioni in un melting pot in cui si mescolano nestorianesimo, manicheismo, ebraismo, islam, buddhismo e, pricipalmente, sciamanesimo. Le depredazioni verso i beni e le persone "sedentarie", considerate dai nomadi, imbelli, sono abituali; le razzie avvengono, talvolta, al seguito di trasmigrazioni planetarie. Nel 215 a.C. le devastazioni dei mongoli costrinsero l'imperatore cinese Shi Huangdi ad avviare quella che diverrà la Grande Muraglia. Giova ricordare che questa immensa costruzione sarà la causa indiretta della caduta dell'impero romano; le popolazioni nomadi, infatti, cozzando contro la muraglia a Est iniziarono a migrare verso Ovest. Avari, alani, visigoti, ostrogoti, e slavi tracimeranno in Germania, i germani e i celti in Gallia, gli unni bianchi in Persia e gli unni neri tra il mar Nero e il Mediterraneo.
Alla vigilia dell'epoca gengiskhanide le steppe sono chiazzate da un gran numero di popolazioni tribali: i tatari nelle valli del Kerulen (mongolia settentrionale), i keraiti nelle valli della Tola e dell'Orkhon (Mongolia centrale a Ovest di Ulan Bator), i naimani fra i fiumi Selenga e Irtysh (Mongolia meridionale), gli uiguri nello Xinjiang, i turchi karluk, a est del lago Balkash (Kazakistan), tumati, kirghisi, buriati e oirati in Siberia, merkiti e taiciuti,attorno al lago Bajkal, qonghirati, kitani e onguti a ridosso delle frontiere cinesi. Al centro di questa spirale di popolazioni, nelle terre bagnate dall'Olon e dal Kerulen, si erano dislocate tra il X e l'XI secolo alcune tribù propriamente mongole, tra le quali i kiyad. Queste tribù erano sempre in lotta tra loro e con i nemici di sempre: tatari, naimani e keraiti.
I primi anni di vita di Gengis Khan sono poco noti e controversi perché descritti solamente dopo la sua morte. La madre Hoelun della tribù dei merkiti, da poco sposata con Yeke-Ciledu, fratello minore del capo dei merkiti, era stata rapita in una scorreria organizzata da Yesugei, con l'aiuto dei suoi fratelli, Nekun-taiji e Daritai. Yesugei era il capo del clan borjigin della tribù dei kiyad, mongoli praticanti il cristianesimo nestoriano; i due ebbero un primo figlio (successivamente i maschi, Joci-Kasar e Kaciun e la femmina Tamülün) a cui diedero il nome di Temüjin, in onore di un valoroso capitano tataro che il padre aveva appena catturato in battaglia. La sua data di nascita è incerta: la più gettonata è il 1162. Temüjin sarebbe nato a Deluun Boldog presso Lamyn Uhaa (non lontano da Ulan Bator). All'età di nove anni suo padre Yesugei decide che era giunto il tempo di organizzare il futuro matrimonio del figlio; convinto che fra i parenti della moglie avrebbe trovato una degna consorte parte verso oriente. La scelta cade su Börte la figlia decenne di Dai Seschen, capo dei qonghirati; dopo l'accordo per il fidanzamento, Yesugei lascia il figlio presso la famiglia di Börte.
Yesugei nella via del ritorno incontra un gruppo di tatari con cui banchetta seguendo le usanze locali: tre giorni dopo muore avvelenato. Yesugei fa in tempo a recarsi da Mongliq, membro di una famiglia di sciamani al quale chiede di badare ai suoi cari. Hoelun deve badare, oltre ai suoi quattro figli, anche ai due avuti dal marito da altra donna (Bekter e Belgutai), senza la protezione dei parenti che non le danno la minima assistenza. La donna insegna ai suoi figli come procurarsi del cibo riuscendo a costruire reti e altri accessori per pescare e cacciare. Per Temüjin i fasti dei primi anni si sono trasformati di colpo in un'esistenza di stenti e privazioni. Si legge nella Storia segreta dei mongoli "Presso la giusta madre i figli, nutriti di radici di piante, divennero giusti e saggi ..... e si distinsero per audacia e prodezza". Temüjin stringe amicizia con un coetaneo di nome Jamuka, figlio di un capo clan della tribù dei giardarani; i due diventano come fratelli di sangue. Intanto la rivalità con il fratellastro Bekter cresce a tal punto che con l'aiuto di suo fratello, l'undicenne Khasar, Temüjin uccide il fratellastro; Temüjin inizia a imporre la sua leadership, partendo dalla famiglia. Il crescente credito acquisito da Temüjin mobilita la fazione taciuta che tenta di bloccare sul nascere l'ascesa di un pericoloso antagonista. I taciuti si pongono alla ricerca del ragazzo: Temüjin fugge nei boschi insieme ai suoi fratelli, per nove giorni lo inseguono fino alla cattura. Il ragazzo viene sottoposto alla kanga, una gogna di legno che usa, però, contro l'uomo posto di guardia, fuggendo dall'accampamento. Nella fuga è aiutato da Sorqan-shira.
Un anno dopo le ricchezze della famiglia sono leggermente aumentate; Temüjin stringe una forte amicizia con Bogorchu, della stirpe dei arulati. Temüjin, che in quei sei o sette anni vissuti pericolosamente, ha irrobustito le proprie schiere razziando e imponendo tributi, si rende conto che non avrebbe potuto ricalcare le intenzioni unificatrici del padre e che da solo non ce l'avrebbe fatta. Per prima cosa si assicura l'appoggio dei qonghirati di Dai Seshen, sposandone la figlia Börte (1181/82). Allo sposo viene regalato un lussuoso manto di zibellino nero. Sapendo che Toghril, alla guida di un forte esercito, era amico di suo padre, Temüjin decide di incontrarlo, proponendogli di unire i propri eserciti. A nulla valgono gli antichi ricordi, ma Toghril viene convinto dal regalo del manto di zibellino nero. Gloria e fama per Temüjin iniziano a soppiantare avvilimento e umiliazioni. Probabilmente nel 1184 i merkiti per vendicarsi del rapimento della moglie di Ciledu, fanno un'incursione nelle terre di Temüjin, rapiscono Börte che viene portata dal fratello di Ciledu, Cilger che la prende come concubina. Per Temüjin questo rapimento si incastra nel puzzle dei suoi progetti. Un conflitto di grandi dimensioni costruito sull'alibi di dover riparare all'affronto del rapimento della moglie avrebbe contribuito al risorgere dei borgikin; come il rapimento di Elena diede ai greci l'alibi per la guerra contro Troia, temibile avversario militare e commerciale. Temüjin chiede l'aiuto di Toghril e di Jamuka che glielo accordano: giardarani, keraiti e borgikin approntano i loro eserciti per sconfiggere i merkiti. Attaccano e sconfiggono la tribù degli uduid e quindi i merkiti che fuggono abbandonando Börte e altre donne che diventano la ricompensa per i comandanti. Börte è incinta del suo primo figlio, Djuci, la cui paternità non è priva di dubbi. La coppia avrà altre tre figli: Jagatai, Ogodei e Tolui e figlie; Temüjin avrà anche molti figli dalle numerose concubine. I merkiti sono stati puniti e Temüjin, pago del risultato, celebra il trionfo ringraziando con un'orazione padre e fratello putativi. Non tralascia di ascrivere la riuscita dell'impresa al possente Cielo Azzurro, il Tengri, e alla Madre Terra, l'Eke-Etugen; il mandato celeste di cui si sentirà investito in tutta la sua vita inizia a essere esibito in pubblico. La famiglia di Temüjin vive con quella di Jamuka come se fosse una sola, fino a che in un giorno di aprile, quando i due stanno cavalcando con famiglie e membri del clan al seguito, Jamuka suggerisce di accamparsi per la notte, mentre Temüjin decide di continuare il viaggio, separandosi. La diarchia non poteva funzionare, prima o poi le aspirazioni al comando dei due giovani si sarebbero scontrate. In quella stessa notte Temüjin attacca un accampamento taciuto e qui un bambino sopravvissuto alla strage, Kokochu, è adottato da Hoelun come ennesimo figlio. Inizia l'operazione di Temüjin di innestare nella propria famiglia le nuove generazioni di altre tribù. I clan avversari non vanno cancellati ma recuperati tramite incorporazione. Dopo la separazione tra Temüjin e Jamuka, separazione discussa e approvata da Hoelun e da Börte, alcuni dei clan minori si aggregano all'uno, altri all'altro, siamo intorno al 1190. Lo sciamano Qorci della nobile tribù dei baarin si unisce a Temüjin e diventerà uno dei consiglieri più ascoltati; la decisione di Qorci ci fa capire che l'influente corpo sciamanico aveva deciso su chi indirizzare il proprio consenso politico. Toghril Khan e Temüjin si dichiararono ufficialmente padre e figlio; venendo adottato dal Khan dei potenti keraiti, in quel momento il capo mongolo più potente, vassallo dell'imperatore Chin, Temüjin acquista la credibilità necessaria a un capo. Durante questo periodo stringe amicizia con alcuni uomini che lo renderanno potente e vittorioso e che verranno in seguito definiti i suoi quattro cani: Sübetei, della tribù uriankhai, Djelme, fratello maggiore di Subedei, Djebe, della tribù dei besud, Mukali, dei baruli.
Grazie al matrimonio con la figlia del capo keraita, Börte, Temüjin diventa uno dei possibili candidati al titolo di Khagan o "Gran Khan", carica rimasta vacante dopo le sconfitte subite ad opera dei chin. I capi tribù si riuniscono in consiglio, il grande khurultai nel quale vari elementi di spicco, fra cui Altan (figlio di Kutula), Sacha-beki (pronipote di Kabul) e Quchar (o Kuchar) lo eleggono Cinggis Khano, come recita la Storia segreta dei mongoli, Cinggis Khagan, il Sovrano Oceanico: la data dell'elezione è dubbia, ma verosimilmente, dovrebbe essere intorno al 1200. Da allora Temüjin sarà chiamato Gengis Khan. Subito dopo il khurultai, Temüjin si premura di gettare le fondamenta per la creazione di uno stato nomade militare e centralizzato e procede alla formazione di un apparato amministrativo che lo terrà impegnato per tutta la vita.

eurasia
L'Eurasia prima dell'impero mongolo.

La conquista della Mongolia
Toghril accoglie la notizia della nomina con atteggiamento di sufficienza, ritenendo il "figlio" Temüjin suo vassallo. Rabbiosa è, invece, la reazione di Jamuka, alla prima occasione, sarà guerra tra i due.
Gengis Khan aiuta Toghril a recuperare il titolo e il trono, sottrattogli dal fratello, Erke-Kara, ristabilendo l'antico splendore del suo padre putativo. Afflato filiale a parte, l'esperienza, la potenza militare dei keraiti e l'autorevolezza di Toghril e la potenza sono essenziali non tanto per fronteggiare le rivalità tra i clan mongoli, piuttosto per soddisfare le pretese dei Jin che chiedono aiuto ai mongoli per infliggere una solenne lezione ai tatari. D'altra parte la politica degli imperatori cinesi è sempre stata quella di fronteggiare i pericoli militari mettendo l'uno contro l'altra le popolazioni centroasiatiche. I Jin, Gengis Khan e Toghril formano una potente coalizione cino-mongolo-keraita, dalla quale si allontanano i giurkini; la coalizione assedia vittoriosamente i due fortini tatari a Naratu-sitigen e Qusutu-sitigen e il capo tataro, Megugin-segultu, e la sua famiglia vengono trucidati. Gengis dona a sua madre un bambino tataro rimasto senza genitori, chiamato poi Sigikan-Quduqu. Gengis Khan rivolge, quindi, l'esercito contro i giurkini, per il loro tradimento, uccidendo Sacha-beki e Taichu, mentre un bambino giurkino, Boroqul, viene dato ad Hoelun. La trionfale campagna militare culmina con la concessione che Pechino fa a Toghril del titolo di Wang-Khan (Re Khan). Dopo questa campagna, Buri-boko, uno dei pretendenti al khanato, accetta di partecipare a un torneo di lotta, organizzato da Gengis Khan; durante il torneo affronta il fratello di Gengis, Belgutai dal quale è ucciso su espresso ordine del Khan; viene così eliminato un forte pretendente al trono. Vengono usati mezzi onorevoli o poco onorevoli per facilitare l'ascesa al potere.
Intanto Jamuka non demorde. Dopo l'omicidio di suo fratello Taichar, ucciso per aver tentato di rubare del bestiame di proprietà dell'ordu khanale, Jamuka utilizza tale gesto come pretesto per organizzare un attacco al vecchio amico. Temüjin avvertito in ritardo dell'attacco si ritira nei meandri dell'Onon, nella gola di Jerene. Gengis si allea con i naimani, mentre molte tribù si alleano con Jamuka; a lui si uniscono i frustrati, i gelosi, gli insoddisfatti, gli orgogliosi, quelli che l'odio l'hanno ereditato dai padri, gli antichi nemici di Temüjin, i taiciuti e i tatari. Una coalizione nata solo con l'obietivo di detronizzare Gengis Khan toglie il collante a un sodalizio malfermo, dal corto respiro, che si dimostrerà un'accozzaglia di soggetti accecati dalla smania di rivincite. Gli uruguti, i manguti e i mongliq si alleano con Gengis. Nello scontro, avvenuto probabilmente nel 1202, per due volte Temujin è vicino alla morte, una freccia colpisce la sua cavalcatura, un'altra sfiora il suo collo, ma la punta è avvelenata e il veleno entra in circolo, Jelme la sera gli succhia il veleno, salvandogli la vita. Il giorno seguente Temüjin ripresosi vince lo scontro decisivo e mette il suo avversario in fuga. Sorqan-shira si unisce a Gengis. Un suo compagno, Jirqo confessa di essere stato lui a colpire mortalmente il destriero di Gengis ottenendo un nuovo nome, Jebe (ovvero punta di freccia) e il perdono. Jebe diventerà uno dei più grandi generali dell'esercito mongolo. Jamuka si dilegua, gli unici a resistere sono i taiciuti che temono l'ira di Gengis, ma l'esercito viene distrutto e i notabili taiciuti sterminati.
Sconfitto Jamuka, Gengis Khan decide di eliminare dalla faccia della terra il popolo dei tatari che continua a costituire una minaccia al khanato. Sempre nel 1202 egli lancia un'offensiva micidiale contro i tatari che sono sconfitti a Dalan-nemurges; l'olocausto viene consumato in tutta la sua crudezza. I tatari maschi la cui altezza supera l'altezza dell'assale di un carro sono soppressi, le donne e gli infanti sono diluiti tra i vari clan mongoli, con una vera e propria pulizia etnica, tipo Ruanda. Con il genocidio i mongoli avrebbero voluto cancellare il nome stesso dei loro atavici nemici; paradossalmente è accaduto il contrario poichè in Cina e in Europa i gengiskhanidi saranno chiamati tatari e, dai cristiani, tartari (da tartaros, il nome degli inferi della mitologia greca). La guerra contro i tatari causa alcuni dispiaceri anche ai mongoli; il fratello Belgulai viene sospeso dal consiglio dei nobili, gli aristocratici Altan, Quchar e Daritai sono privati delle loro ricchezze e fuggono presso Jamuka. I motivi sono legati al fatto di non aver seguito le indicazioni di Gengis Khan durante la guerra e di essere stati la causa di molte perdite nelle file dell'esercito mongolo. Il sovrano mostra di essere inflessibile, quando si tratta di regole e comandi, anche con i collaboratori più stretti.
Nel frattempo Toghril sconfigge i merkiti di Togtoga, sopprime un figlio, ne imprigiona altri due, si prende le loro mogli e le ricchezze e sottomette il popolo. Gengis Khan non gradisce che Toghril non abbia diviso il bottino con lui, ma, il fatto non impedisce una nuova alleanza mongolo-keraita volta a sopprimere i naimani, indeboliti da lotte intestine. La guerra inizia con un ripiegamento delle truppe mongolo keraite e da una sconfitta di Toghril da parte del generale naimano Kogseu-Sabrag; il re keraita viene salvato dal pronto soccorso dei quattro "paladini" mongoli inviati da Gengis, Bogorchu, Miqali, Boroqul e Cilagun. I naimani sono sconfitti, ma non distrutti e si sottraggono allo scontro definitivo.
A coronamento di questa operazione i due re si dànno convegno nella Foresta Nera di Tola, per legarsi con un rito di filiazione. Pensano, anche, di fortificare l'alleanza grazie a matrimoni combinati, ma, Nilqa, figlio di Toghrul non è d'accordo, è geloso e preoccupato che il padre lasci il regno al figlio putativo. Nilqa sobilla il padre dicendogli di non fidarsi di Gengis e insinuando il sospetto che il khan stia tramando con i naimani contro di lui. Nilqa, inoltre, chiede aiuto a Jamuka, nell'eterna ricerca della vendetta personale, e ad Altan e Quchar, anch'essi desiderosi di una rivincita. Toghrul, oramai vecchio e demoralizzato non riesce a schierarsi contro il figlio. Nilqa convince il padre di permettere di dare la mano della figlia a Juci, figlio di Gengis organizzando una festa per predisporre contro di lui una trappola, ma il khan viene avvisato e non partecipa alla cerimonia. I cospiratori attaccano l'ordu khanale che è impreparato al tradimento. Gengis lascia Jelme in retroguardia e inizia una fuga per i pendii settentrionali del Mao-undur. Gengis Khan riorganizza il suo esercito e, con seimila uomini, dopo tre giorni di aspri combattimenti e terrificanti atti di violenza e grandi atti di valore, grazie a un'abilità militare che gli avversari, pur più numerosi, non hanno riesce ad accerchiare e sconfiggere il nemico. Prima del combattimento finale, Jamuka, Altan e Quchar hanno già lasciato l'accampamento e chiesto asilo ai naimani. Toghrul e Nilqa sono costretti alla fuga. Toghrul viene, in seguito, ucciso per errore da militari naimani, mentre suo figlio viene trucidato a Kashgar. In seguito alla vittoria Gengis, avvia una politica di amalgama tra mongoli e keraiti, alcuni generali keraiti vengono inglobati nell'esercito mongolo, il Khan tiene per se, Ibaka, figlia di Jaka-Gambu, mentre dà la sorella Sorgaqtani al figlio Tului, la cui prole sarà importante per la storia mongola. Dopo questa vittoria la Mongolia orientale e quella settentrionale sono ai suoi piedi. L'Ovest è sempre sotto il dominio naimano.
Nel maggio del 1204 Gengis decide di attaccare i naimani al cui comando si trova Tai Buqa (conosciuto con il nome di Tayang). L'esercito gengiskhanide si accampa in vista di quello naimano e il Khan dà l'ordine che ogni uomo accenda cinque fuochi per dare l'impressione al nemico di essere cinque volte più numerosi; lo strataggemma spaventa i soldati naimani. Tayang, avendo compreso la paura dei suoi uomini tergiversa , ma suo figlio Kuchlug lo convince ad attaccare. L'attacco fallisce grazie ai «quattro cani da caccia» (Jebe, Jelme, Subotei e Kubilay) e lo stesso Tayang muore per le ferite riportate. Jamuka fugge ancora una volta chiedendo l'aiuto dei merkiti. Anche l'ulus dei merkiti è sopraffatto e, finalmente, Jamuka viene fatto prigioniero; Gengis Khan decreta che il suo vecchio fratello putativo venga ucciso con il più onorevole soffocamento, cioè senza spargimento di sangue e che il suo corpo venga seppellito. Gengis Khan, non avendo perdonato il rapimento della moglie Börte, non mostra alcuna clemenza nei riguardi dei merkiti; gli uomini vengono trucidati, donne e bambini sparpagliati tra tribù e clan mongoli. Finalmente, nel 1205, Gengis Khan è padrone di tutta la Mongolia e può iniziare a guardare oltre i suoi confini. Nel 1206 il kuriltay, che in seguito diventerà il parlamento mongolo, al Lago Blu lo elegge Gran Khan della nazione mongola. La conquista della Mongolia non ha inficiato il programma gengiskhanide di riassorbimento in un'unica grande compagine mongola delle molteplici tribù dell'Asia centrale, con sistematico rigore, prendendo per se e dando ai suoi collaboratori le principesse delle popolazioni sottomesse e affidando alla madre l'adozione di infanti delle più disparate tribù.
L'organizzazione del khanato
Gengis Khan, dopo ogni conquista, organizza i popoli, secondo un'impostazione politico-militare basata sulla mobilità e fortemente gerarchizzata: ogni tribù (ulus, che indicava anche il patrimonio collettivo) è indipendente, ma tutte sono sottomesse alla famiglia imperiale, il cosiddetto "casato della stirpe aurea", sacro poiché mitologicamente derivato dal Dio del cielo, Tengri, divinità suprema dei mongoli. L'impero nel suo insieme è l'ulus della famiglia imperiale. Tutti i khan offrono fedeltà e rispetto al Gran Khan, che li sorveglia con un rapido ed organizzato sistema di intendenti e corrieri. Viene creata un'amministrazione basata sulla scrittura, grazie a Tata Tonga, un prigioniero uiguro che era a capo dell'amministrazione dei naimani, a cui Gengis chiede, anche, di insegnare la scrittura ai vari principi. Tata Tonga riesce a convincere Gengis rammentandogli che "il mondo si conquista a cavallo ma che si deve scendere da cavallo per governarlo". Tutta l'organizzazione è posta sotto il controllo di Sigikan. Gengis Khan aggiorna lo Yasaq con i "detti del sovrano" che finiscono con l'avere valenza di prescrizioni imperiali. Una regola risulta fondamentale, rispetto al passato: la soppressione dell'organizzazione tribale e delle relative prerogative. Il nuovo Yasaq contiene le norme concernenti la quotidianità, l'etica, il privato, il sociale, in tempo di guerra e di pace, nelle questioni sacre e profane. Sono previste punizioni a carico di omicidi, ladri di bestiame, violentatori di vergini, adulteri, spie e rinnegati.
Marco Polo, nel Milione, descrive il modo in cui Gengis Khan finanziava la sua spesa militare e i fasti della corte. Il Gran Khan aveva introdotto una moneta a corso forzoso, che poteva essere acquistata dietro conferimenti all'imperatore di oggetti in oro, argento e pietre preziose. Viceversa, la moneta non era rimborsabile al portatore con un controvalore metallico. A pena della morte, la moneta doveva essere l'unico mezzo di pagamento per l'acquisto di beni e servizi in tutto il regno, ed era vietato il baratto. Periodicamente, l'imperatore vietava il possesso privato di oro e altri preziosi, e disponeva che questi dovevano essere conferiti al re in cambio di banconote.
L'aspetto più straordinario della personalità di Gengis Khan fu il genio in campo militare, dalla formidabile tattica: le armate mongole, forti di arcieri a cavallo, attaccavano nel più completo silenzio, guidate solo da bandiere di diverso colore, compiendo manovre complesse in assoluta simmetria e coordinazione, il che incuteva una soprannaturale paura nel nemico. Le tribù unificate adottarono un sistema militare basato sul sistema decimale, simile a quello degli unni. L'esercito veniva suddiviso in unità di 10 (arban), 100 (yagun), 1000 (minghaan) e infine 10.000 (tumen) soldati. Durante gli spostamenti i soldati portavano con sé le famiglie e tutti i cavalli, che spesso ammontavano almeno a tre o quattro per cavaliere, avendo così sempre a disposizione cavalli freschi. Gengis Khan creò una sua guardia personale di 10.000 uomini dove erano reclutati i figli dei comandanti. Ma è l'uso sopraffino dell'arco il segreto dei mongoli, infallibili nello scoccare saette in sella a cavalli in corsa; lo stesso segreto che, ottocento anni prima, aveva permesso agli unni di Attila di spazzare legioni romane e intere popolazioni.
Un altro aspetto fondamentale dell'organizzazione militare fu l'adozione del concetto di meritocrazia: gli unici criteri presi in considerazione da Gengis Khan per stabilire il grado di un ufficiale erano la sua capacità e la sua fedeltà, mentre i tradizionali parametri di nascita e stirpe erano praticamente ignorati. Subedei, il figlio di un guardiano di bestiame, divenne uno dei suoi comandanti più stimati. Gengis Khan curò anche la sua immagine con calcolate azioni di straordinaria ferocia nel punire i nemici vendicativi e ostinati o di grande magnanimità verso gli alleati o i nemici coraggiosi e leali. La fama di inflessibilità divenne un'ottima propaganda contro i suoi avversari politici, i quali sapevano che non sottomettersi equivaleva alla morte.
I personaggi che hanno lasciato forti tracce della loro presenza storica sono stati, generalmente, grandi organizzatori. La memoria storica presso le generazioni successive è tanto più forte quanto maggiore è la capacità di statuti, leggi e codici di resistere all'usura del tempo. Per non parlare della loro valenza nella costituzione di un impero o di un regno. Gengis Khan fu, da questo punto di vista, uno dei più grandi perchè dal caos della steppa con il coacervo di tribù, clan, riti e religioni diversi riusci a creare l'ordine di un impero sottoposto a una legge e a un solo potere.
La creazione dell'impero
Fra i vari paesi confinanti Gengis Khan sceglie, nel 1205, di attaccare il ricco popolo degli xi xia, che, alla sedentarietà indotta dalla frequentazione dei cinesi, uniscono lo spirito aspro e fiero dei montanari tibetani. La dinastia Xia occidentale regnò dal 1038 al 1237 nell'impero Xi Xia, detto anche Xia occidentale, o impero tangut, dal nome del popolo che lo componeva. L'impero Xi Xia si spartiva il territorio cinese con altre dinastie, tra le quali le principali erano quella dei Song (960-1279), dei Liao (907-1125) e dei Jin (1115-1234). Nel periodo di massima espansione l'impero comprendeva le attuali province cinesi del Ningxia, del Gansu, la parte orientale del Qinghai, il nord dello Shaanxi, il nord-est del Xinjiang, il sud-ovest della Mongolia interna ed il sud della Mongolia, e si estendeva per circa 800.000 chilometri quadrati.
I mongoli saccheggiano il Gansu, conquistano la fortezza di Li-ki-li e assediano la città di Lozo-khoto. Dopo questa sortita, soddisfatti per le razzie effettuati e a causa della tenace resistenza avversaria, rifluiscono tra i pascoli dell'Onon. Nel 1206, durante il kurilitai, i grandi elettori reiterano il cerimoniale di intronizzazione e introducono, per la prima volta, la cerimonia del sollevamento del Khan su un manto immacolato; con questo kurilitai Gengis Khan si sente investito non solo del diritto divino di governare i mongoli, ma di un'autorità universale. Gengis Khan domina il territorio dalla grande muraglia a oltre l'Altai, dal Gobi alla Siberia; la dispersione del nomadismo s'è trasformata in compattezza, dalla molteplicità si è passati all'unità, dall'anarchia all'armonia. La gente della steppa ha un unico solo re, un khan che replica in terra la potenza del Tengri in cielo.
A mettere un po' di zizzania nella famiglia del khan provvede il nuovo sciamano Kokochu, chiamato anche Teb-Tengri, sciamano che era tenuto in molta considerazione tra la popolazione. Kokochu influenza il giudizio di Gengis che imprigiona suo fratello Joci-Kasar accusandolo di tramare contro di lui, in seguito lo libera privandolo, però, di molti benefici. Del pericolo che lo sciamano e la sua famiglia costituiscono a corte si rende conto Börte, donna gagliarda e risoluta, che critica fermamente il marito. Finalmente, Kokochu viene ucciso da Temuge-odcigin; sono momenti di tensione nel regno di Gengis, il quale, dopo quell'episodio, separa nettamente la sfera regale da quella sacerdotale e, da quel momento, è lui la persona più vicina a Dio. In ogni caso, i rapporti tra il khan e il fratello maggiore Joci-Kasar non saranno più buoni.
Nel 1207, il Khan affida al primogenito Joci l'armata destra dell'esrcito con cui esplorare le regioni boreali. Gli oirati, che vivono a ridosso del lago Baikal fanno atto di vassallaggio e, in più, si offrono di guidare l'esercirto di Joci nei territori controllati dai buriati. L'approdo al corso superiore dello Jenissei si traduce nella pacifica sottomissione dei kirghisi. Invece, i tumati guidati da Botoqui, approfittando della fitta vegetazione del loro territorio a cui i mongoli non sono abituati, attaccano gli avversari; Boroqul viene ucciso e Qorci fatto prigioniero. Gengis invia il generale Dorbai, che abbattendo molti alberi e facendosi strada nei boschi riesce a sorprendere e soggiogare il nemico. I turchi karluk si arrendono senza combattere, lo stesso fanno gli uiguri, etnia turcofona che vive nel nord-ovest della Cina, soprattutto nella regione autonoma dello Xinjiang, insieme ai cinesi Han. Questi sono il primo vero popolo sedentario che entra nella sfera d'influenza dell'Orda Azzurra, portatori di una raffinata cultura letteraria e artistica; inoltre gli uiguri sperano che i mongoli spazzino l'impero degli xi xia che dominano la rotta commerciale della via della seta.

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L'impero degli xi xia

La solidità degli xi xia poggia su un esercito ben armato e su ben concepite fortificazioni. I mongoli hanno già avuto modo di sperimentare questa solidità nel corso della loro prima incursione, quando non avevano ancora messo a punto macchine e tecniche ossidionali adeguate. Anche la seconda spedizione si rivela interlocutoria e si riduce a un formidabile saccheggio. Nel 1209 Gengis Khan comanda una terza spedizione con un massiccio spiegamento di uomini e di mezzi. Non si tratta più di una razzia ma di una guerra; un conflitto che si protrarrà per una ventina d'anni. In campo aperto le ondate mongole travolgono tutto, Wulahai e altre città minori vengono saccheggiate, ma l'orda si infrange contro le mura di Lingzhou e della capitale Ningxia. Prevale la ragionevolezza e in cambio del ritiro gli xi xia si impegnano a fornire contingenti armati e tributi in cammelli, tessuti e sete. L'imperatore Li-Ngan-Tsuan concede in moglie a Gengis Khan la bellissima figlia Tsaka, pensando di essersi liberato per sempre di quell'orda di predoni.
Nella capitale mongola venivano inviati oggetti d'oro da tutte le parti del regno per accrescere il tesoro khanale. Come s'è già accennato, in cambio venivano rilasciati certificati di possesso cartacei, equivalenti alle odierne banconote. Queste somme, come l'oro, erano spendibili dai proprietari per l'acquisto di beni e servizi. Con una simile riserva aurea, era possibile sostenere le spese di guerra. Con la conquista di nuove terre e oro, la riserva veniva reintegrata potendosi così finanziare nuove conquiste.
Da quasi un secolo i tungusi jurcet si erano sostituiti ai qidan-liao nel dominio della Cina settentrionale, il Catai, instaurando il "Regno d'Oro" dei Jin; esso si estendeva per duemila chilometri tra le provincie dello Shandong, dello Hebei, dello Shanxi, dello Shaanxi, della Mongolia Interna e della Mnanciuria, e che si allargava a meridione oltre il bacino del Fiume Giallo, con una stima di cinquanta milioni di abitanti. L'impero era un crogiolo di etnie: tungusi, cinesi e qidan e i dominatori tungusi dovettero utilizzare i cinesi per l'organizzazione dello stato. Con il tempo il nomadismo dei tungusi si era evoluto in un'economia basata sull'agricoltura e sui commerci. Non tutto andava bene nel Regno d'Oro, cinesi e qidan mal sopportavano il nuovo dominio e le grandi città, Pechino, Kaifeng, Datong, Liaoyang erano l'emblema delle forze disgregatrici all'interno dell'impero. Non migliore era la situazione della Cina dei Song, nella quale si scontravano la raffinatezza degli aristocratici con i neo ricchi, la borghesia dell'imprenditoria mercantile. Dall'esuberanza degli intellettuali e degli imprenditori era nato un dinamismo culturale e scientifici che aveva portato all'invenzione della bussola, della polvere da sparo, della stampa, e, anche alla nascita di numerosi circoli culrturali. Il benessere dell'impero era destinato a incrinarsi, però, a causa di una corte usa a lussi spropositati, a un apparato governativo bacato da favoritismi, corruzione, concussione ed elefantiasi. Inoltre, sia la Cina del Nord, che quella del Sud avevano un buco nero costituito dai costi militari sostenuti per tenere a distanza i vicini nomadi e razziatori. Di converso, l'esuberanza guerresca dell'Orda Azzurra doveva essere incanalata da qualche parte, anche per evitare conflittualità intestine. E il Cielo Eterno, il Tengri aveva imposto a Gengis Khan di incorporare il Regno d'Oro nell'impero mongolo. Quell'impresa deve essere sembrata una follia anche ai più stretti collaboratori del Gran Khan.
catai
Impero dei Jin
Conquista del Catai.
Da tempo Gengis mal sopporta il regno del nuovo imperatore del Regno d'Oro, Weishao Wang, erede di quel Matuka con il quale era stata condotta la campagna contro i tatari. Decide quindi, su ordine del Tengri, nella primavera del 1211 di dichiarargli guerra. Gengis Khan stringe alleanza con gli onguti, popolo cristianizzato di nestoriani che sono acquartierati nello Shanxi, a nord-ovest del Catai con l'incarico di presidiare le frontiere in quel versante. Proprio lì si incunea l'Orda Azzurra; gli storici parlano di 100.000-120.000 uomini con l'utilizzo di 300.000 cavalli. Tra Pechino e Kalgan nella località di Ye Hu Ling si ha la prima grande battaglia campale che si rivela fatale per le truppe cino-jurcet. Anche i mongoli hanno subito perdite impressionanti e l'avanzata si ferma. Durante l'estate 2011 si verificano solo modesti scontri; intanto Jebe assedia e conquista Liaoyang e procede senza intralci fino all'Oceano Pacifico, il mitico Fiume-Oceano, che per i nomadi abbracciava la Terra. Le milizie mongole si sparpagliano come cavallette nel Catai, ma, come con la guerra contro gli xi xia, devono fermarsi davanti alle poderose fortificazioni delle grandi città. Gengis Khan e i suoi ufficiali superiori si dedicano, allora, allo studio delle tecniche di assedio, aiutati da ingegneri cinesi disertori, fino a diventare specialisti in quel campo. Negli attacchi i mongoli usano i prigionieri dando loro l'ordine di porsi in testa ad ogni assalto. Come risultato delle vittorie in campo aperto e di alcune conquiste di fortificazioni, i mongoli nel 1213 si spingono a sud della Grande Muraglia. Vengono conquistate alcune roccaforti come Huailai. Gengis Khan divide l'esercito in tre tronconi. Tiene il centro per sè e Tului e si spinge a sud. Ai figli Joci, Jagatai e Ogodei affida l'incarico di affondare colpi risolutivi nello Shanxi. Ai fratelli Joci-Kasar e Temuge affida l'incarico di andare a devastare la Manciuria. L'obiettivo di tutti è fare terra bruciata e annientare. La Storia degli yuan racconta "Saccheggiarono e distrussero più di novanta città, ridussero in cenere borghi e villaggi, presero tutto quello che c'era da prendere ... non ci furono che dieci città che i mongoli non poterono espugnare". Nella primavera del 1214 tutto l'esercito è attorno a Pechino. Il nuovo imperatore, Utubu paga perchè i mongoli tolgano l'assedio: quantità enormi di oreficerie, raso, sete, 3.000 cavalli, 500 giovinette e 500 giovinetti, Shikuo, una principessa di sangue reale per il gineceo di Gengis Khan. Forse è poco, ma forse Gengis Khan si rende conto di trovarsi in un vicolo cieco. Inizia il ripiegamento reso più spedito con la decapitazione in massa dei prigionieri. I mongoli decidono di porre l'ordu khanale nell'oasi di Dolon. Gengis appena sa che il re dei Liao chiede sostegno per fronteggiare l'intrusione dei Jin e che l'imperatore Utubu ha lasciato Pechino per insediarsi nella più sicura Kaifentg si sente tradito e offeso e, sul finire del 1214, invia due armate capeggiate da Muqali e Joci-Kasar in Manciuria. Il secondo non incontra ostacoli sottomettendo, senza combattere, i popoli che incontra; il primo conquista la città di Paicheng, distrugge le città che gli resistono lasciando in vita soltanto falegnami, muratori e attori. I mongoli costeggiano la Corea che preferisce il vassallaggio al combattimento. In primavera vengono inviati rinforzi a Pechino, dalla nuova capitale cinese, rinforzi che vengono annientati, i mongoli ottengono una schiacciante vittoria a Patseu, dove 3000 mongoli sconfiggono quasi 39.000 soldati jin, e 6000 carri ricchi di provviste e mezzi sono catturati. Soldati cinesi e del Khitai si uniscono ai mongoli, mentre a difendere Pechino è rimasto il generale Fusing. Nel marzo del 1215 Pechino viene assediata, conquistata e saccheggiata; gli abitanti sono passati tutti a fil di spada. In pochi mesi si diffondono tifo e malattie endemiche, mentre Gengis è già risalito verso nord. Il popolo del Regno d'Oro è impoverito ed esacerbato, finchè esplode una rivolta contadina la "Rivolta dei mantelli rossi" che viene repressa dalle truppe imperiali cinesi con terribili massacri. Approfittando della debolezza del Regno d'Oro gli xi xia entrano nel Gansu e sconfiggono le truppe imperiali. Tra l'estate e l'autunno del 1215 Gengis Khan spedisce, nuovamente, le sue armate verso sud. Il Catai è un gigante ferito ma non abbattuto; esso ha fagocitato enormi risorse dell'Orda Azzurra e in quel mattatoio sono finiti molti generali mongoli come Joci-Kasar, Muqali e Jurcedai. Durante l'inverno del 1217 i mongoli sostengono diverse battaglie contro un esercito più numeroso, percorrendo migliaia di chilometri e trovando le fortificazioni nemiche quasi sempre insuperabili. Yelu Chucai, consigliere dell'imperatore, viene fatto prigioniero e pratico di medicina cura i generali e le truppe mongole e diventa consigliere del Khan. La città di Taming viene conquistata nel 1217 poi persa e infine ripresa nel 1220, segno che i cinesi non hanno rinunciato alla lotta. Taiyuan e Pingyao si arrendono nel 1218 e nel 1220 è espugnata Jinan. Kaifeng verrà conquistata solo nel 1234, l'ultimo imperatore Jin è definitivamente sconfitto ponendo fine alla dinastia. Il Catai è annesso allo Stato mongolo. La Cina dei Song, già in una situazione di semi vassallaggio, cadrà sotto la dominazione mongola con un successore di Gengis Khan, Kublai Khan.
Lasciata la Cina, Gengis Khan deve badare all'occidente inquieto. Infatti, Kuchlug deposto khan della tribù mongola dei naimani, è fuggito verso ovest e ha usurpato il trono di Zhilugu, nel khanato dei kara-khitan, il più occidentale degli alleati di Gengis Khan, dove nel 1211 vi aveva chiesto asilo. Kuchlug cerca di ampliare i confini del regno assassinando Buzar, il re della città di Almalik, un altro protetto di Gengis; la moglie e il figlio di Buzar chiedono aiuto a Gengis Khan, che, nel 1218 invia Jebe con due tumen, 20.000 soldati. Kuchlug fugge a sud verso il Kashgar, Jebe lo insegue vietando ogni genere di razzia, il fuggiasco è catturato da alcuni cacciatori che lo consegnarono nelle mani mongole e, quindi decapitato. Questa campagna risoltasi con poche vittime consente all'impero di inglobare il sud-est del Kazakhistan, il Kirghizistan e il Turkestan orientale tutte regioni abitate da musulmani che sono felici di essere inglobati dai mongoli, conoscendo la liberalità di Gengis Khan in fatto di religione.
Nel 1218 le terre controllate da Gengis Khan, a occidente, si estendevano fino al lago Balkhash confinando con Khwarezm, uno Stato islamico che giungeva fino al Mar Caspio, al Golfo di Persia ed al Mar Arabico. Dopo aver sfondato fino all'oceano Pacifico, le mire di Gengis Khan non potevano che indirizzarsi verso ovest. L'esperienza militare contro il Catai aveva portato all'arruolamento nell'Orda Azzurra di tecnici e genieri cinesi che erano i depositari di un patrimonio tecnologico enorme: macchine ossidionali , tubi lanciafiamme, torri mobili, scale estraibili, bombarde a granaglia metallica.

Corasmia
L'impero di Corasmia
La guerra contro l'impero irano-persiano di Khwarezm (Corasmia)
Kuchlug aveva stretto per un breve periodo un'alleanza con lo scià del Khwarezm, Ala al-din Muhammad II, la belligeranza era terminata con l'uccisione di Kuchlug. Dopo quell'episodio non c'erano stati motivi di attrito tra i mongoli e la Corasmia. Nel 1215 emissari del Khwarezm vedono i resti di Pechino e ne restano fortemente impressionati; successivamente vanno in visita ufficiale da Gengis Khan dal quale sono accolti con l'usuale cortesia che i mongoli riservano agli ambasciatori. Gengis Khan affida loro un messaggio per l'imperatore nel quale afferma di considerare Muhammad come uno dei suoi figli prediletti e di essere favorevole ad avviare scambi commerciali tra i due imperi. Muhammad non accoglie benevolmente la lettera perchè essa sottende un velato segno di subalternità all'impero mongolo. Nel 1218 Gengis Khan invia alcuni emissari nella provincia più orientale del Khwarezm per parlamentare con il governatore locale; gli emissari, al comando di Ukuma, portano in dono oro, giada e avorio e chiedono di discutere per l'avvio di iniziative commerciali. Centinaia di carovanieri vengono trucidati, tutti i beni depredati e gli emissari imprigionati. Gengis invia allora tre emissari da Muhammad chiedendo, sia il rilascio dei suoi uomini, sia la consegna del governatore responsabile dell'accaduto. Lo scià ne fa uccidere uno, maltratta gli altri due e fa uccidere gli emissari della precedente missione. Lo scià ha notizia della dominazione gengiskhanide su quasi tutta la Cina, ma ritiene i mongoli un popolo rozzo e barbaro al contronto con il proprio impero e i propri suddti. Gengis Khan si consulta con il cinese Qui Changchun , che gli fa da medico e consigliere. La decisione è presa: Muhammad deve pagare per la terribile offesa. IL khan chiede il sostegno degli alleati, mentre gli xi xia rifiutano oltraggiosamente, Gengis prepara meticolosamente il suo esercito con gli alleati turchi, khitai e cinesi; a seconda delle fonti si parla tra i 100.000 e i 200.000 soldati e di 600-700.000 cavalieri. Un terremoto sta per squassare il paese delle Mille e una notte, l'Islam e, indirettamente, l'Europa.
Prima di intraprendere il viaggio La storia segreta dei mongoli asserisce che Gengis Khan abbia designato il terzogenito Ogodei come suo successore. Questa decisione attesta ancora di più il valore di leadership del Gran Khan, che, otto anni prima della sua morte prematura già si rende conto dell'importanza della successione. Forse era a conoscenza dello sgomento che aveva invaso gli unni alla morte di Attila, che non aveva lasciato indicazioni sulla successione.
Gengis lascia il comando centrale a Temuge-odcigin e decide di portare con sè una delle mogli, Qulan. Prima di partire si reca su un'alta montagna dove rimane senza cibo e acqua in segno di penitenza. Nell'autunno del 1219 l'esercito mongolo si mette in marcia; , giunti vicino a Otrar, Gengis decide di dividere l'esercito in quattro gruppi, Ogodei e Chagatai assediano la città, Jochi si dirige verso le città di Signak e Jand, mentre Gengis e suo figlio Tolui avanzano verso sudovest. Muhammad, che dispone di un maggior numero di soldati, commette un gravissimo errore, disloca le truppe lungo tutto il confine in una sorta di cordone cadenzato dai nodi delle città fortificate. L'argine filiforme predisposto dallo scià non potrà assorbire il cozzo delle schiere mongole; le guarnigioni corasmiane si troveranno sempre in inferiorità numerica. Otrar resiste per cinque mesi all'assedio, forte di un presidio di 80.000 uomini, poi capitola. Dopo Otrar capitola Signak, con la carneficina dell'intera popolazione colpevole d'aver ucciso un messo dei mongoli. Gend non combatte ed evita il massacro, ma non il saccheggio, quindi è la volta di Benaket e di Khogend. Il tronco centrale dell'Orda Azzurra, con Gengis Khan e Tolui intanto, tira diritto, occupando Zarmuk, Nur e puntando su Bukkara, una delle più importanti città della Transoxiana islamica. Nel febbraio 1220 la città viene conquistata e distrutta; sembra che la popolazione sia stata lasciata andare perchè diffondesse il principio che le città che si fossero difese sarebbero state distrutte. L'Orda Azzurra, che si è riunita, punta sulla città più importante dell'impero, la città giardino, Samarcanda. I mercenari di Ala al-Din Muhammad combattono valorosamente, ma nulla possono contro il rullo compressore mongolo. Circa settantamila soldati muoiono in combattimento, trentamila disertano e vengono trucidati dai mongoli come traditori. La capitolazione è del 17 marzo 1220; i cittadini vengono evacuati e poi inizia il saccheggio. Solo cinquantamila rientreranno nella città dei cinquecentomila abitanti. Nell'oasi transossiana di Nasaf, Gengis Khan fa riposare uomini e cavalli, mentre in Afghanistan il principe ereditario, Jala al-Din Manguberti riorganizza l'esercito. Tre reggimenti mongoli al comando di Subotei, Jebe e Tokuchar, poi estromesso, sono alla caccia di Muhammad, in fuga. Nella fortezza di Ilal viene catturata la famiglia reale; la regina madre viene esiliata in Mongolia, mentre i principini sono messi a morte e le principesse distribuite ai comandanti. Muhammad muore, forse di pleurite, nella capanna di pescatori, in solitudine e povertà, nel gennaio del 1221. Gengis Khan riprende le azioni militari per eliminare le sacche di resistenza rimaste nelle fortezze. In dieci giorni viene espugnata Termez e a marce forzate i mongoli si gettano contro le formidabili difese di Urgents (Organza - nell'attuale Turkmenistan) che non accetta la resa. Investire Urgents richiede uno spiegamento immane di uomini e di macchine ossidionali, pertanto attorno alla città vengono addensati tutti gli uomini agli ordini di Jagatai e di Joci. E la città, nonostante combattimenti furiosi non si arrende; Gengis Khan invia, allora, Ogodei, nominato comandante unico. Nell'aprile del 1221 di Urgents non resta più nulla; la Transossiana è completamente assoggetata. Dopo Urgents, i mongoli sotto il comando di Tului si avventano su Balkh e Nesrat, che sono completamente rase al suolo, parzialmente distrutta è anche la città di Merv, per la quale Ibnal-Athir parla di settecentomila morti. Nell'aprile 1221 è la volta di Nishapur, i cui abitanti devono rispondere della morte di Tokuchar; al-Juwaini scrive che la città venne polverizzata in modo che vi potesse passare un aratro. La città di Herat, dopo l'orrore di Nishapur si sottomette immediatamente. Gli storici hanno scritto che l'impatto dei mongoli sulle provincie persiane ebbe l'effetto di una bomba atomica i cui effetti sono ancora oggi riconoscibili. Anche il Khorasan è, quindi, sottomesso e Gengis Khan può ora indirizzarsi verso l'Afganistan, dove lo scià Jalal al-din Manguberti ha costituito un possente esercito di corasmiani e di mercenari turchi. Jalal contrasta i mongoli con la tattica della guerriglia che è facilitata dalla tipologia montuosa del territorio. Inoltre, presso l'attuale Kabul, per la prima volta, i mongoli subiscono un disastroso rovescio. Gengis Khan, studia con i suoi generali le motivazioni di quella sconfitta onde evitare, in futuro, possibili errori commessi. La sconfitta dei gengiskhanidi inorgoglisce i corasmiani e si registrano focolai di ribellione. La repressione è spietata; Herat viene spazzata via e dal generale Eljigidai; Saifi, forse esagerando, sostiene che vi furono più di 1,5 milioni di morti. Gengis Khan entra a Ghazni qualche giorno dopo la fuga dello scià; nella città che rivaleggiava per bellezza e vivacità culturale con Baghdad viene riversata distruziobne e morte. Jalal viene sradicato dalle sue roccaforti montane, viene inseguito nel Panjab e il 24 novembre 1221 sconfitto sulle rive dell'Indo; lo scià fugge nel sultanato di Delhi e Gengis Khan ferma il suo esercito sulle rive del fiume sacro indiano. Il Khwarezm è soggiogato e annesso all'impero mongolo; l'imperatore può ora ritornare nella sua capitale; giustizia è stata fatta. Focolai di insurrezione si accendono qua e là, ma il pronto intervento delle truppe mongole, effettuto lungo le vie che l'imperatore ha fatto aprire ai suoi ingegneri per le incursioni della cavalleria, aggiusta le cose con stragi e demolizioni. Giova notare che solo i mongoli riuscirono a sottomettere e dominare l'Afganistan, come ben sanno sia i russi che gli americani. Va fatta un'altra considerazione storica; la deflagrazione di Corasmia obbliga le tribù musulmane a spostarsi verso ovest.
Gengis Khan invia il chiliatra mongolo Bala-noyon, con due tumen, per un'esplorazione nel sultanato di Dehli; le truppe mongole seminano terrore e distruzione fino alla città di Multan; la città sta per cadere ma cede per prima la resistenza dei mongoli agli insetti e al caldo uumido del Punjab e Bala-noyon decide il ritorno e il ricongiungimento con il grosso dell'esercito.
Intanto Jebe e Subotei con i loro ventimila uomini approfittando della rivalità tra sciiti e sunniti, distruggono e devastano. Tocca alla città di Qom, città santa degli sciiti e poi a Zenjan e Kazvin; Tabriz si salva pagando un altissimo riscatto. I mongoli sconfinano nei territori georgiani; nel febbraio 1221 Jebe e Subotei sconquassano il regno. I mongoli entrano in territorio azero, distruggono Maragha e Hamadan; l'intenzione è puntare su Baghdad sede del califfato dell'islam. Ma i due generali cambiano ancora i piani, ritornano in territorio georgiano distruggendo, definitivamente, la forte cavalleria georgiana e valicano il passo di Derbent; ai mongoli si spalancano le pianure della Russia meridionale. Davanti al pericolo, varie popolazioni e principi russi si coalizzano, formando un esercito di ottantamila uomini. Ma l'alleanza è un coacervo disomogeneo e privo di un comando unitario. I russi cadono nella trappola mongola della ritirata e del contrattacco; l'esercito alleato è completamente annientato. Sull'onda dell'entusiasmo i mongoli scendono in Crimea e mettono a sacco Soldaia, il fondaco dei mercanti genovesi. Anni dopo i tatari di Crimea creeranno il khanato di Crimea; occorre, però, ricordare che i tatari di Crimea sono discendenti di vari popoli pervenuti in questa penisola in epoche diverse. I principali gruppi etnici che in varie epoche popolavano la Crimea e furono coinvolti nell'etnogenesi dei tatari di Crimea erano tauri, sciti, sarmati, alani, greci, goti, romani, cazari, peceneghi, circassi, turchi, mongoli; un ruolo particolarmente importante nell'etnogenesi dei tatari di Crimea ebbero i kipchaki occidentali conosciuti nell'Europa Occidentale come cumani. Non si può trascurare il fatto che l'incursione dei mongoli in Russia precipita l'occidente in un cupo smarrimento e in una paura ancestrale, risalente all'invasione degli unni. Al termine di una cavalcata durata migliaia di chilometri Jebe e Subotei decidono, però, di ritornare all'ordu khanale. Tra la fine del 1223 e l'inizio del 1224 si compie il ricongiungimento con Gengis Khan nella regione dell'Irtysh.
Mahmud e Maskud Yalawash, padre e figlio, corasmiani di Urgents erano burocrati di Corasmia e convincono Gengis Khan che l'ordinamento delle loro città è molto simile a quello dei mongoli. Gengis Khan decide, quindi, che i funzionari che ha fatto venire dal Catai interagiscano con i burocrati corasmiani per integrare lo Yasaq; operazine non semplice considerando che la umma e la sharia musulmane erano lontane dalla cultura cinese. La perizia di Mahmud Yalawash si rivela talmente efficace che verrà nominato governatore della regione di Pechino. Agli orecchi di Gengis Khan era giunta notizia di un altro grande pensatore il monaco taoista Qui Chang-chun, che, dopo essere stato alla corte dei Jin si era ritirato in un solitario raccoglimento; per i taoisti, infatti, l'immersione nell'ordine della natura permette di ritrovare la propria essenza. Il monaco, comunque, non si sente di non rispondere all'appello di Gengis Khan e dopo un viaggio di quindici mesi arriva all'ordu khanale a sud del fiume Amu-Daria, in Afganistan. Osserva lo storico arabo al-Juwaini che il Khan "rispettava, amava e onorava gli uomini dotti e i monaci di ogni religione e li considerava degli intercessori presso Dio". Infatti, oltrecchè intrattenersi con il monaco taoista, l'imperatore inizia a frequentare i "dottori della legge" islamici. L'islam della Corasmia, il nestorianesimo dei kerati, il buddhismo dei kara-kitai, il taoismo o il confucianesimo dei cinesi sono, per Gengis Khan, aspetti diversi di un unico crogiuolo religioso racchiuso dai confini dell'impero e attuato grazie alla tolleranza religiosa dello sciamanesimo che è la radice della cultura mongola.
Nel marzo del 1223 presso Tashkent, durante una battuta di caccia, Gengis cade malamente da cavallo, cosa rara per un mongolo, e rimane seriamente ferito. Da allora non sarà più lo stesso uomo. Decide, quindi, di rientrare alla base e lascia per sempre le terre musulmane portandosi dietro le lacrime di chi afferma "Avrei voluto che mia madre non mi mettesse al mondo, o che io morissi senza essere stato testimone di tutte queste sciagure. Se vi si dicesse un giorno che la Terra non ha mai conosciuto simile calamità da quando Dio ha creato Adamo, non esitate a crederci, perchè questa è la cruda verità.... No, fino alla fine dei tempi, non si vedrà probabilmente mai più una catastrofe di tale ampiezza".
Gengis Khan apprende con entusiasmo le notizie portate da Jebe e Subotei sulla possibilità di invadere il califfatto di Baghdad e la Russia meridionale, ma è preoccupato per altri territori. Andava fatta vendetta con gli xi xia per non aver partecipato alla guerra in oriente, inoltre i tanguti ostacolavano il transito delle carovane commerciali, nel Catai i Jin stavano rialzando la testa, in Corea un agente del fisco era stato ucciso. Il conflitto con gli xi xia esplode in tutta la sua violenza. Nel febbraio del 1227 Gengis Khan conquista le città di Heisui, Gan-zhou e Su-zhou. In marzo conquista la prefettura di Xining e la città di Xindu-fu. In aprile conquista la prefettura di Deshun dove il generale degli xia, Jianlong, resiste per giorni.. Ma Jianlong infine cade e Gengis Khan in autunno prende Xiliang-fu. Un esercito degli xi xia sfida i mongoli in battaglia vicino ai monti Helanshan ma le loro armate vengono sopraffatte. In novembre Gengis Khan pone l'assedio alla città di Ling-zhou; attraversa il Fiume Giallo e sconfigge un altro esercito degli xi xia. Gengis Khan attacca la capitale Ningxia, oramai alla fame; Li Yan, il re dello Xi Xia occidentale si arrende, ma i mongoli vi compiono un vero e proprio genocidio cancellando i tanguti dalla faccia della terra.

E giunge la fine anche per lui. Non è chiara la causa della sua morte forse per i postumi della caduta da cavallo di qualche anno prima, forse per le ferite riportate nelle battaglie contro i tanguti (questo spiegherebbe la terribile rappresaglia contro la popolazione), forse ucciso dalla moglie di Li Yan, costretta al concubinato. Comunque sia, a metà del 1227 egli chiama Ogodei e Tului dicendo loro "Figli miei, sono al termine della mia vita. Con l'aiuto del Cielo Eterno vi lascio un impero così vasto che occorre un anno di marcia per coprire la distanza che va dal suo centro alle sue estremità. Se volete conservarlo, restate uniti, agite di concerto contro i vostri nemici, agite in concordia per favorire chi vi è fedele. Bisogna comunque che uno di voi occupi il trono. Ogodei sarà il mio successore. Rispettate questa mia volontà, dopo la mia morte".
Il suo corpo venne riportato in Mongolia e sepolto in una località segreta, probabilmente insieme a molti servi uccisi per tenere segreto il luogo della tumulazione. Tutta l'area intorno, per centinaia di chilometri quadrati, venne dichiarata interdetta all'accesso e sorvegliata dalle guardie urianhai (il fedele gruppo tribale di Subedei), oltre ad essere volutamente calpestata da centinaia di cavalli per cancellare ogni traccia della sepoltura. Gengis Khan morì lasciando un impero che si estendeva dalla Siberia al Kashmir, al Tibet, al Mar Caspio, al Mar del Giappone. Nonostante i genocidi, le deportazioni di massa e le distruzioni delle città rase al suolo e ricostruite da zero, l'impero mongolo era solido, pacifico, con genti diverse per stirpe, lingua e religione che convivevano armoniosamente sotto l'equa e inflessibile pax mongolica. Con la pax mongolica i collegamenti tra oriente e occidente si erano fatti sicuri e più semplici tanto che nel seicento Abdul Ghazi scriveva "Sotto il regno di Gengis Khan ogni paese tra Iran e Mongolia godeva di una tale tranquillità che una vergine nuda, con un piatto d'oro colmo di perle sulla testa, avrebbe potuto incedere da levante a ponente senza subire da alcuno la minima violenza". La sicurezza delle vie carovaniere potè consentire l'intensificarsi delle relazioni commerciali e culturali tra due universi ritenuti fino ad allora, in occidente, inconcepibili. Il genio di un nomade aveva dato vita a un rinascimento asiatico che iniziò ad attrarre monaci, studiosi, aristocratici, cavalieri, incantati da quell'impero fiabesco.
Non esistono ritratti o raffigurazioni attendibili di Gengis Khan in quanto sono tutte opere postume e da ritenersi interpretazioni artistiche, compresa la più famosa raffigurazione conservata al National Palace Museum di Taipei (Taiwan), mostrata all'inizio dell'articolo. Di certo dalle descrizioni dell'epoca e da quanto tramandato dallo storico persiano Rashid al-Din, si viene a sapere che nella famiglia di Temüjin erano tutti alti, con capelli rossi, lunghe barbe ed occhi verdi, tutte caratteristiche anomale per le etnie asiatiche e sicuramente tratti fisiognomici atipici tra i mongoli.

Gengis Khan ebbe da varie mogli e concubine numerosi figli e figlie, a ciascuno dei quali vennero assegnati titoli e guerrieri, ma per i 4 figli maschi avuti dalla prima e principale moglie Börte furono riconosciuti i più alti onori ed il diritto di successione per le cariche più rilevanti; questi quattro erano:
Djuci, dalla cui discendenza nacquero sovrani e condottieri,
Djagatai,
Ögödei, il successore,
Tolui, padre di Kublai Khan.
Le successive mogli che gli avevano dato figli e di cui si abbia traccia, furono:
Qulan Khatun dei merkit,
Yesugan dei tatari,
Chi Kuo della Cina,
Yesulun dei tatari,
Abika Khatun dei keraiti,
Gurbasu Khatun dei naiman,
Chaga Khatun dei anguti,
Moge Khatun (poi moglie di Ogodei),

una concubina dei naiman madre di Djurchetai e una concubina dei tatari madre di Orchakan.

http://www.impresaoggi.com/it2/735-gengis_khan_e_il_piu_vasto_impero_che_la_storia_ricordi/





I KHAN

Gengis Khan lasciò ai Mongoli l'eredità di un impero immenso e ricchissimo.
Ecco come si comportarono i suoi eredi: alcuni proseguirono l'opera di conquista e di tolleranza del condottiero, altri al contrario contribuirono al disfacimento al crollo dell'Impero.
A ogni khan, succeduto a Temujin, la redazione di mongolia.it ha assegnato un punteggio da 1 a 5 stellette per l'importanza storica che ha rivestito. Vai alla sezione Gengis Khan

OGODEI *****
Mustacchi lunghi e affilati, pizzo chilometrico e sguardo più crudele del padre.
Ogodei nasce nel 1187 è il terzo figlio ma anche il preferito di Gengis Khan.
A 17 anni già dimostra notevoli capacità strategiche e diplomatiche. Nel 1228 viene incoronato imperatore, raccoglie l’eredità del padre e porta a termine alcuni progetti incompiuti. Completa la costruzione della splendida Karakorum, che diventa la nuova capitale dell’impero, e prosegue nel piano del padre di sottomettere la Cina. Sotto il suo regno viene compilata La storia segreta dei mongoli. Ogodei muore nel 1241, all’età di 56 anni. Anni di regno: 13


MUNKH *****
E’ figlio di Tulay, primogenito di Gengis Khan, da cui prende i tratti somatici oltre al coraggio e alla saggezza.  Nasce nel 1208 e a 41 anni diventa imperatore. Si rivela un grande statista, riuscendo a allargare ulteriormente i confini dell’impero mongolo ma soprattutto a gestirlo con estrema intelligenza e tolleranza. Ospita nella sua reggia di Karakorum numerose autorità e missionari stranieri, come Giovanni da pian del Carpine e Guglielmo da Rubruc, che lo descrive con la perfidia tipica dei cristiani dell’epoca: “E’ un uomo con il naso schiacciato, piccolo di statura e di circa 45 anni. Accanto a lui era seduta una giovane moglie e una delle sue figlie, molto brutta, di nome Cirina”. Muore nel 1258, a cinquant’anni esatti. Anni di regno: 7


KHUBILAI *****
E’ il fratello di Munkh e ha sette anni di meno.
Diventa imperatore nel 1260 e trasferisce la capitale da Karakorum a Pechino.
Fonda la dinastia Yuan che regna su Cina e Tibet. Khubilai favorisce uno sviluppo culturale ed economico senza precedenti che ha ripercussioni nel mondo intero. Durante il suo lungo impero, l’Asia diventa un corridoio comodo e sicuro per mercanti, filosofi, artisti e la tolleranza religiosa (anche Marco Polo ne è testimone) consente una pax mongolica senza precedenti. Khubilai costruisce palazzi sontuosi e ospita i migliori pensatori del mondo ma ha anche la responsabilità di perdere di vista la compattezza dell’impero mongolo che comincia a sfaldarsi sotto i contrasti fra i clan. Muore nel 1294. Anni di regno: 34

COME SPARÍ L’IMPERO PIÙ GRANDE DEL MONDO
di Davor Antonucci
(docente alla Sapienza di Roma - tratto da "Mongolia"
di Federico Pistone - Polaris 2008)

Il periodo successivo alla morte di Gengis Khan è caratterizzato da un punto fondamentale: l’impossibilità di trovare un nuovo condottiero capace di riunire sotto la sua guida le diverse tribù mongole e guidarle di nuovo alla conquista del mondo. Se si eccettuano i primi successori di Gengis Khan, tutti gli altri suoi discendenti, capaci di fregiarsi del titolo di khaghan, non saranno altro che dei primus inter pares tra un nugolo di capi tribù (khan) gelosi della propria autonomia e indipendenza. Proprio questa mancanza di un leader che sapesse unificare le varie anime del popolo mongolo costituirà il suo punto debole nei confronti di popoli e potenze vicine, ben più organizzate da un punto di vista politico, amministrativo e militare: Cina e Russia. La Mongolia suo malgrado si troverà schiacciata dall’espansionismo di questi due imperi già a partire dal XVII secolo, e la divisione delle sue tribù non farà altro che favorirne la politica aggressiva e colonialista dei suoi bellicosi vicini.

Caduta la dinastia degli Yuan, lotte intestine avevano portato in Mongolia al prevalere delle tribù dell’ala occidentale Oirad. I suoi guerrieri erano giunti a porre sotto assedio Pechino, riuscendo a catturare persino lo stesso imperatore Ming (1449).

Nel XVI secolo i mongoli dell’ala orientale riuscirono a tornare al potere per merito di Dayan Khan, diretto discendente di Gengis Khan. Suo nipote Altan Khan conferì il titolo di Dalai Lama al capo della scuola dei Berretti Gialli (dGe-lugs-pa) e pose così le basi per il grane diffondersi fra i mongoli del buddhismo tibetano.

L’emergere dei grandi imperi russo e cinese condizionò pesantemente la storia mongola dei secoli successivi. Mentre l’espansione ad est della russia dei Romanov portava alla conquista della Siberia e dei mongoli buriati, più a sud l’impero mancese dei Qing (1644-1911) si avvantaggiava delle divisioni intestine dei mongoli per farsene alleati alcuni e sottomettere gli altri.

Nel 1634 Legdan Khan, l’ultimo discendente in linea diretta di Gengis, moriva braccato dalle truppe mancesi. Con la sua morte tutte le tribù a sud del Gobi furono sottomesse alla nuova dinastia, seguite a breve dai Khalkha a nord. Solo gli Zungari della Mongolia occidentale tentarono una fiera resistenza, ma dopo numerose e sanguinose battaglie furono sconfitti e sterminati (1755) e il loro nome cancellato dagli annali storici cinesi.

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